Gesù di Nazareth / L’entità di Gesù e il Gesù natanico

L’aurora della rivelazione


 

Se la discesa del Cristo attraverso la terza Gerarchia può essere intesa come l’insieme dei sacrifici dello spirito dell’epoca greco-latina e dell’entità di Gesù – in collaborazione con la Sofia -, si pone allora spontaneamente la domanda riguardo a quella parte del Suo cammino discendente che Lo condusse all’interno dell’entità umana.

Per rispondere a questa domanda va considerato, che l’entità umana presenta due lati, i quali possono servire entrambi da porta d’accesso.

 

• Uno è costituito dalla corporeità, ossia dai corpi fisico, eterico e astrale;

• l’altro dalla spiritualità, ossia dall’entità dell’atma, del buddhi e del manas.

Al centro, nel punto focale dell’Io, vi è l’elemento umano vero e proprio, al quale conducono le due porte.

• Le impressioni giungono all’Io attraverso la porta esterna della corporeità;

• le intuizioni morali, invece, giungono ad esso attraverso la porta interiore dello spirituale.

 

Ne La filosofia della libertà Rudolf Steiner mostra come l’attività dell’Io umano realizzi l’unione delle due correnti nella conoscenza e nell’azione.

Se si concepisce l’entità umana, così come è concepita ne La filosofia della libertà, ci si può rendere conto

che l’ingresso del Cristo nella natura umana avvenne attraverso la ‘porta interiore’:

non dunque come un evento esterno, ma come una suprema intuizione morale.

 

In altre parole, il cammino percorso dal Cristo per prendere possesso, con il battesimo nel Giordano,

dell’organizzazione dell’Io di Gesù di Nazareth,

passò per l’atma, il buddhi e il manas, e non per i corpi fisico, eterico e astrale.

 

Esso fu un battesimo ‘di Spirito e fuoco’, a completamento del battesimo ‘di acqua’ impartito da Giovanni.

Si compì in grande, ciò che si compie ordinariamente nel processo della conoscenza, qual è descritto da Rudolf Steiner ne La filosofia della libertà:

l’unione della percezione proveniente dall’esterno con l’intuizione interiore.

 

Si potrà comprendere il profondo contenuto cristiano de La filosofia della libertà alla luce del battesimo nel Giordano, così come, d’altra parte, non si potrà comprendere il battesimo nel Giordano al di fuori di una prospettiva dogmatica, se non si è prima purificato ogni angolo del proprio pensare e sentire, esercitandosi su quel testo.

 

La discesa del Cristo nell’entità umana passò dunque per l’atma, il buddhi e il manas.

 

Prima di prendere possesso dell’organizzazione dell’Io,

• Egli si congiunse interiormente con il ‘fantòma’ o ‘uomo saturnio’,

• quindi con l’innocente natura dell’ ‘uomo solare’,

• e infine con la pura natura dell’ ‘uomo lunare’.

Dopo aver preso possesso dell’organizzazione dell’Io, Cristo compenetrò la triplice corporeità.

 

Dopo il battesimo nel Giordano si ebbero infine le tre tentazioni nel deserto.

 

Questo fatto rimuove l’apparente contraddizione che si può cogliere

confrontando tra loro diverse conferenze di Rudolf Steiner:

• che cioè il Cristo con il battesimo nel Giordano abbia agito fin nel sistema osseo;

• che Egli, d’altra parte, sia penetrato nella triplice corporeità solo durante le tentazioni nel deserto;

• e che infine si sia incarnato pienamente nel corpo fisico solo nell’ora del Getsemani.

 

• Questa contraddizione si rivela apparente,

se si considera che anche quello chiamato comunemente ‘corpo fisico’, ha in realtà due aspetti, ossia

il sistema di forze dell’uomo spirito (atma),

e il sistema di forze del corpo fisico materiale.

 

Al primo aspetto del corpo fisico si riferisce Rudolf Steiner a proposito del battesimo nel Giordano;

al secondo a proposito dell’evento del Getsemani.

• La suprema intuizione, mediante cui il Cristo potè penetrare nell’entità umana,

• fu preceduta da una estesa percezione del destino dell’umanità.

 

Per il fatto che, prima del battesimo nel Giordano, Gesù di Nazareth era stato testimone del fallimento di tutte le vie percorse dall’umanità nel passato, e della decadenza ineluttabile dei misteri, tale percezione assunse la forma di una domanda, la cui risposta fu la discesa dell’entità del Cristo.

 

Che cosa consentì a Gesù di Nazareth di sperimentare il destino dell’umanità in modo tale, che questa esperienza comportasse la discesa dell’Entità risanatrice?

•  Egli, da un lato recava in sé la vasta esperienza dell’Io di Zarathustra,

• dall’altro, nella propria corporeità, riuniva in sé la coscienza morale dell’umanità e quella della terza Gerarchia.

 

Il fatto che la coscienza morale vivesse nella sua corporeità, attestava un alto sviluppo della coscienza stessa.

La coscienza morale non è infatti ancora perfetta, per destarsi le occorrono ponderazione e riflessione.

Lo è solo quando anche la corporeità si conforma ad essa, come la pianta si conforma alla luce del sole.

La pianta non pondera e non riflette, ma dispiega semplicemente le sue foglie all’azione del sole.

Così l’intera organizzazione animica e corporea di Gesù di Nazareth

anelava alla coscienza morale dell’universo, al Cristo-Sole.

 

• Il suo corpo astrale serbava in sé gli impulsi interiori che vi aveva immesso l’entità gerarchica di Gesù, quando si era unita al Cristo.

• La sua sostanza era costituita dalle ispirazioni dell’Arcangelo Gesù, il quale per tre volte era stato compenetrato dal Cristo. Ciò aveva reso il corpo astrale di Gesù di Nazareth un ‘corpo di anelito al Cristo’.

• D’altra parte l’intera organizzazione di questo corpo, in conseguenza della sua partecipazione alle precedenti azioni risanatrici del Cristo nell’umanità, condivideva il destino della stessa.

 

Possiamo anche dire: il corpo astrale di Gesù di Nazareth era,

• nelle sue correnti ascendenti anelito umano;

• nelle sue correnti discendenti dolore umano.

 

Nessuna organizzazione corporea avrebbe potuto reggere un simile corpo astrale, se l’Io che abitava in esso non avesse posseduto una straordinaria forza unitiva, e se la sovrumana facoltà di empatia di quello stesso corpo astrale non fosse stata equilibrata da una forza ad essa contraria.

Mentre l’Io di Zarathustra potè dirigere con saggezza i poderosi aneliti che vivevano nel Gesù natanico, l’organizzazione fisica li potè sopportare, in quanto nel corpo astrale irradiava l’entità del Buddha. Per il fatto che l’entità del Buddha irradiava nel corpo astrale del Gesù natanico, la calma mitigatrice del Buddha fluì in quella mobilissima vita dell’anima. Questa calma preservò l’organizzazione fisica dalla distruzione dovuta a un eccesso di dolore, mentre la forza unitiva di Zarathustra la preservò da un irrigidimento dovuto a un troppo intenso anelare.

 

La natura astrale del Gesù natanico univa dunque in sé

• la più grande capacità di ‘estasi’, ossia di effondersi in pura dedizione,

• alla più grande capacità di ‘èntasi’1, ossia di calmo raccoglimento in sé.

• La prima facoltà le permise dì sostenere la prova del battesimo nel Giordano,

con la quale accolse l’Entità cosmica del Cristo;

• l’altra si dimostrò efficace poco dopo, durante le tentazioni nel deserto.

 

Il corpo eterico di Gesù di Nazareth recava in sé lo spirito vitale dell’anima gemella di Adamo, il che si esprimeva nel fatto che intatte forze di giovinezza conferivano ad ogni moto dell’anima di Gesù la freschezza del primo giorno della creazione.

Egli parlava come può parlare il più innocente dei bambini, che possieda al tempo stesso una saggezza maturata nel corso di millenni.

La saggezza del grande Zarathustra splendeva in lui in tutta la sua freschezza giovanile, senza alcuna stanchezza, senza le ferite di innumerevoli delusioni, senza il peso e le angustie che l’anima deve sostenere sulle vie che la conducono alla saggezza. L’esperienza dà la saggezza, ma stanca, stanca anche le anime. L’anima di Zarathustra serbava in sé l’esperienza accumulata da epoche remote della storia terrena. Egli la cedette ad un’anima che ne era priva.

 

• Sorse così il meraviglioso accordo tra la più matura saggezza e un animo interamente bambino. Sorse un uomo che, parlando, non solo diceva la verità, ma le infondeva la vita del primo giorno della creazione. Quando egli parlava – prima del battesimo nel Giordano -, una luce aurorale si effondeva sui frutti vespertini dell’esperienza umana.

Questa meravigliosa entità visse in un corpo fisico, predisposto ad accoglierla fin da tempi primordiali. La preparazione era avvenuta in modi diversi, tra cui quello di regolare le forze dell’ereditarietà, in modo che trasmettessero gli aspetti positivi del passato dell’umanità. L’ereditarietà fu posta al servizio degli intenti della guida spirituale. A tal fine un certo numero di individualità si incarnò ripetutamente in una stessa linea di discendenza, accogliendone le qualità positive nel corso di molte generazioni, ed eliminandone con un faticoso lavoro quelle negative.

Sorse così una linea di eredità positiva che risaliva, come è detto nel Vangelo di Luca, fino ad Adamo e a Dio. Il Divino, che già ai tempi di Adamo esercitava un’azione formatrice nella corporeità, potè esercitarla anche in quella del Gesù natanico: ciò vuole esprimere il Vangelo di Luca.

 

L’entità spirituale che conservò e sviluppò ciò che di buono era trasmissibile per via ereditaria fu Jahvè-Elohim. Fin dal momento in cui Melchisedek, tramite Abramo, restituì alla corrente ereditaria la sua bontà originaria, Jahvè-Elohim fu la potenza (exusia) che custodì e promosse tale bontà di generazione in generazione. Essa raggiunse il suo apice nel corpo del Gesù natanico.

Ciò si espresse soprattutto in una prerogativa di quest’ultimo, la quale non può essere caratterizzata altrimenti che come ‘massima plasticità nei confronti dell’elemento animico-spirituale’. Tale plasticità giunse a tal punto, che a Gesù non si poteva attribuire una sembianza esteriore precisa e duratura. La sua sembianza esteriore era infatti uno specchio così perfetto dell’anima che, in base ad essa, non si poteva parlare genericamente di ‘Gesù’, ma di un ‘Gesù del dolore’, un ‘Gesù della compassione’, un ‘Gesù della devozione’, un ‘Gesù della saggezza’, e così via.

 

Questa prerogativa non si limitava alla capacità espressiva , del viso e della figura, ma giungeva fino alle profondità nell’organizzazione corporea, facendo sì che tale organizzazione non avesse alcunché di meccanico. Al giorno d’oggi, in cui si apprezzano per lo più le doti dell’‘uomo forte’, ciò potrebbe apparire un grande svantaggio.

Fisicamente Gesù era l’opposto dell’odierno ‘uomo forte’. Quando dovette portare la Croce, era troppo debole per farlo. La sua ‘forza’ e la sua ‘debolezza’ non dipendevano affatto ‘ dai muscoli, ma dalla condizione della sua anima. Egli era fisicamente forte, quando l’animico-spirituale ardeva in lui, e fisicamente debole, quando l’odio e la cecità degli uomini lo opprimevano. Eppure possedeva il più sano dei corpi umani: il suo fu invero il primo corpo veramente sano. Occorre solo intendere la ‘salute’ e la ‘forza’ diversamente da come le si intendono oggi. Oggi per salute del corpo si intende il massimo avvicinamento possibile alla condizione animale.

 

Se si vuole però comprendere che cosa sia la salute umana,

la si deve ricercare nella perfezione del corpo ad essere espressione e strumento dell’anima e dello spirito,

e non nella sua capacità di far concorrenza agli animali.

Non è infatti compito dell’uomo possedere una muscolatura migliore di quella del leone o del toro,

bensì attuare la vera umanizzazione del corpo e della vita.

 

Il Gesù natanico possedeva dunque un’organizzazione fisica

che si potrebbe denominare ‘organizzazione dell’amore’,

diversa da quella che tende a regredire alla condizione del centauro.

 

La natura del Gesù natanico non si esaurisce però in una considerazione del suo corpo fisico, eterico e astrale.

Nella natura di ogni essere umano incarnato vi è infatti ancora qualcosa che avvolge quest’essere,

similmente a come fanno i suoi corpi.

Ogni uomo incarnato dispone di un ‘corpo’ di altro genere, che può essere denominato ‘involucro karmico’.

Esso consiste di forze del bene e del male che non derivano dalla triplice corporeità,

ma sono attratte nell’ambito di esistenza di un singolo uomo dal suo karma passato,

costituendo una sorta di ‘anello di influenza’ [Wirkungsring] intorno a lui.

Anche elevate entità spirituali possono essere attratte dall’uomo nel proprio ambito per via di affinità karmica.

 

Varie sono le entità e le forze che formano l’involucro karmico di un uomo.

Se ne indicherà tuttavia l’essenziale, dicendo che esso è la possibilità di azione – condizionata dal karma passato –

da parte di entità extraumane nell’ambiente di un certo uomo.

 

Il caso del Gesù natanico costituisce però un’eccezione.

Il Gesù natanico non aveva alcun karma umano individuale proveniente dal passato.

Il suo involucro karmico era perciò assai diverso da quello degli altri uomini.

Egli non era avvolto da un involucro karmico individuale, ma dall’involucro karmico dell’umanità.

 

Ciò significava che intorno a lui operavano grandi impulsi di portata universalmente umana,

di cui erano veicolo entità spirituali capaci di manifestarli con la massima purezza.

Intorno a lui operavano specialmente tre impulsi, destinati a ‘spianare la via’ al Cristo.

Essi si manifestavano nella semplice forma di ‘visione’, ‘spirito di sacrificio’ e ‘penitenza’.

Più tardi San Paolo intese la portata di questi impulsi

e li denominò, dopo che erano stati trasformati dalla presenza del Cristo, ‘fede’, ‘carità’ e ‘speranza’.

 

Dietro a ciò che apparentemente può essere caratterizzato in modo così semplice, vi erano in realtà entità spirituali portatrici di impulsi universali dell’umanità.

Così, già nell’involucro astrale materno che avvolgeva il bambino Gesù era attiva l’entità della Sofia, la portatrice della conoscenza totale. Essa agì successivamente nel suo ambiente con modalità che non è qui possibile descrivere, fino al momento del battesimo nel Giordano e, più oltre ancora, a quello della sua morte sulla Croce.

 

La ‘fede’ che Gesù Cristo potè trovare nel suo ambiente, era opera della Sofia, così come fu frutto della sua cooperazione l’incrollabile certezza lasciata nelle anime dei discepoli dalla conoscenza accesasi con il fuoco della Pentecoste.

 

Dietro allo ‘spirito di sacrificio’, di cui il Cristo Gesù aveva assolutamente bisogno per adempire la propria missione nell’ambiente che lo circondava, vi era un’altra entità spirituale. Era quell’entità, la cui componente astrale viveva in Gesù, mentre il suo essere dell’Io agiva tramite Giovanni il Battista.

Le forze dell’entità gerarchica di Gesù agirono separatamente nella vita interiore di Gesù di Nazareth e nel suo ambiente: all’esterno agivano le forze dell’Io, all’interno le forze astrali.

Il legame d’amore che univa a Gesù gli uomini del suo ambiente era un’entità reale, la quale si scisse, affinché un elemento comune agisse in Gesù e nel suo ambiente. Ciò che legava i discepoli di Giovanni Battista a Gesù di Nazareth era l’entità gerarchica di Gesù, presente come Io in Giovanni Battista, e come componente astrale in Gesù. Per questo il passaggio dei discepoli di Giovanni al Cristo Gesù avvenne in modo del tutto naturale: essi sentirono in Lui l’anima dei pensieri del Battista. Dopo la morte di quest’ultimo, l’Io dell’entità gerarchica di Gesù continuò ad agire nell’ambiente del Cristo Gesù.

 

Nel Battista, tuttavia, non agì soltanto l’entità di Gesù. Nel capitolo 7 si è cercato di mostrare il modo caratteristico in cui l’entità di Elia operava nella parola del Battista. Era questa l’entità spirituale che faceva da sfondo all’attitudine di ‘penitenza’ dell’ambiente di Gesù.

Dopo la morte del Battista, divenne l’anima di gruppo della cerchia dei discepoli del Cristo Gesù. La grande trasformazione che i discepoli dovettero sperimentare, poteva provenire solo da un atteggiamento comune di ‘conversione del cuore’. Dietro quest’atteggiamento, che rappresentava l’anima della loro cerchia, vi era l’entità di Elia.

 

Essa ebbe il compito di tenere desti i discepoli, affinché fossero pronti a riconoscere come insufficiente ciò che si era conseguito in passato, e quindi a superarlo. La questione se questo compito potè o meno essere assolto, è di pertinenza delle ‘Considerazioni sul Nuovo Testamento’. Qui è sufficiente accennare alla missione dell’entità di Elia, per mostrare come nell’‘involucro karmico’ di Gesù di Nazareth agisse, oltre all’entità della Sofia e di Gesù, anche quella di Elia.

 

Nell’‘involucro karmico’ di Gesù di Nazareth erano dunque attivi impulsi universali dell’umanità,

i quali conferivano ad esso una portata universale.

• La Sofia vi svolgeva un’azione illuminatrice,

• l’entità di Gesù vi infondeva calore,

• e l’entità di Elia lo manteneva desto.

 

Esse agivano ciascuna in modo diverso, ma concordi nello ‘spianare la via’ al Cristo.

• La Sofia operò allo stesso modo in cui opera lo Spirito Santo nel cosmo.

• L’azione dell’entità di Gesù corrispondeva più di ogni altra all’Entità dello stesso Cristo,

ossia all’Entità cosmica del Figlio.

• L’entità di Elia agì in qualità di rappresentante del Padre.

 

Si può dunque dire: nell’‘involucro karmico’ di Gesù di Nazareth era all’opera l’eterna Trinità

che, mediante tre entità, rese l’ambiente del Cristo Gesù recettivo alle Sue parole e alle Sue opere.

 

 


 

Note:

1 – È un termine coniato dall’orientalista russo Prof. Rosenberg, docente all’Università di Pietroburgo, per distinguere il raccoglimento buddistico dallo zaratustriano ‘fuoriuscire da sé’. [N.d.A.]