Comprensione fra i popoli, base della vita sociale

O.O. 186 – Esigenze sociali dei tempi nuovi – 21.12.1918


 

Sommario: Comprensione fra i popoli, base della vita sociale. Diversità di valutazione fra popoli e individui. Metodo scientifico anche per lo spirito e azione ostacolante della chiesa cattolica. Le disgrazie del presente servono al progresso. Gli sviluppi del cristianesimo per la liberazione anche della forza-lavoro dell’uomo.

 

Quando si fa rivivere nel nostro cuore il versetto che da secoli ci parla degli enigmi celesti e della pace in terra per gli uomini di buona volontà, specialmente nel nostro tempo sorgerà viva la domanda di che cosa in effetti, dal punto di vista dell’evoluzione terrestre, abbia bisogno l’uomo su tutta la terra nel senso della pace intesa dal Vangelo. Veramente parliamo già da settimane di che cosa l’uomo necessiti sulla terra tutta, specialmente nel nostro presente così grave e problematico. E volendo riassumere con un’unica frase ciò che abbiamo fatto oggetto delle nostre considerazioni, possiamo dire che gli uomini devono sempre più raggiungere una completa reciproca comprensione.

 

Ora la ricerca della vera, reciproca comprensione umana coincide con quanto ieri ho spiegato a proposito dell’impulso fondamentale di quella che viene chiamata qui scienza spirituale antroposofica. La scienza spirituale antroposofica cerca di arrivare alla comprensione di ciò che non può essere osservato nel mondo e nella sua evoluzione; considerando invece quel che si deve sviluppare nelle anime umane attraverso la comprensione del mondo, si trova appunto non il contenuto apparente ed illusorio delle presenti esigenze sociali, ma quello vero che consiste nel risvegliare reciproca, vera comprensione fra gli uomini. Bisogna cercare di comprendere gli uomini su tutta la terra, da un lato davvero onestamente, e dall’altro con energia. Al giorno d’oggi lo si può fare solo nel senso di un’attiva vita spirituale che non vuole dedicarsi semplicemente al mondo, ma attivarsi interiormente per giungere alla vera comprensione del mondo e dell’uomo, partecipando agli impulsi dell’esistenza. Ieri ho detto che viviamo in un periodo nel quale nuove rivelazioni spirituali si fanno strada attraverso i veli dei fenomeni esteriori. Questa verità non sarà mai considerata con sufficiente serietà, ma soltanto chi la prenderà del tutto seriamente potrà essere all’altezza dei compiti che in fondo il nostro tempo pone ad ogni singolo che voglia essere vigile nella vita.

 

Ripensando a varie considerazioni qui svolte nel corso di alcune settimane, si noterà che non è così semplice, come molti credono, ottenere su tutta la terra la comprensione fra gli uomini. Ci siamo sforzati di gettare luce sulle caratteristiche dei raggruppamenti umani nelle parti occidentale ed orientale della terra e in quella centrale.

 

Abbiamo tentato di capire, direi senza lasciare il minimo posto alle simpatie o alle antipatie, le più profonde caratteristiche dell’elemento popolare dell’occidente, del centro e dell’oriente. Perché lo abbiamo fatto? Abbiamo fatto presente che il nostro è il periodo del particolare sviluppo dell’intellettualità, che l’intellettualità si manifesta fra i popoli occidentali, in particolare fra quelli di lingua inglese, in modo da apparire quasi istintivamente, come fosse un istinto. Fra i popoli del centro, invece, l’intelletto non agisce istintivamente. A tutta prima non è affatto innato, ma deve essere acquisito per mezzo dell’educazione. Abbiamo fatto rilevare questa notevole differenza fra i popoli dell’occidente ed i popoli del centro. Poi abbiamo rivolto l’attenzione ai popoli dell’oriente e spiegato che fra questi l’evoluzione dell’intelletto si rivela anzitutto nel rifiuto di suscitare in sé l’intellettualità, perché, essi vogliono conservarla per conoscere in avvenire il sé spirituale.

 

Abbiamo indicato anche altre differenziazioni riscontrabili sulla terra, ed oggi ci domandiamo il perché, di tali differenziazioni. Perché cerchiamo di caratterizzare i vari gruppi di popoli della terra dai punti di vista che qui si sostengono? Tentiamo di farlo perché, in avvenire non basterà più il semplice: «Amatevi l’un l’altro», perché, in avvenire gli uomini sulla terra si intenderanno in merito ai rispettivi compiti soltanto se conosceranno l’attività che si esplica su ogni singolo territorio della terra, se in certo qual modo saranno in grado di osservare coscientemente le caratteristiche proprie dei vari raggruppamenti etnici. In tal caso, se si riuscirà ad avere la sensibilità necessaria per una siffatta comprensione, essa potrà anche venir realizzata. Fin da quando si incominciano a caratterizzare in tal modo gli uomini della terra, bisogna sentire di dover mettere da parte l’impulso a valutarli secondo il modo invalso di valutare il singolo uomo in base alle sue qualità morali. Volendo caratterizzare popoli non li si può valutare come si valuta l’individuo. L’essenziale dell’evoluzione individuale degli uomini sulla terra è appunto che l’individuo, così com’è, sviluppa moralità. Solo il singolo uomo è in grado di sviluppare moralità, gruppi di uomini non lo sono. Sarebbe la peggiore illusione se si continuasse a credere che gruppi di uomini, oppure popoli, secondo l’espressione oggi gradita, possano avere fra di loro lo stesso rapporto che un uomo ha con un altro. Chi riesce a capire concretamente che cosa, sono i gruppi di uomini, e quindi anche i popoli, vede che i popoli sono guidati da quegli esseri dell’ordine delle gerarchie che chiamiamo arcangeli (lo sappiamo dal ciclo di conferenze sulle anime dei popoli). Non si potrà però mettere mai sullo stesso piano il rapporto reciproco fra i popoli ed il rapporto che si vede intercorrere fra uomo e uomo. Quello che i popoli sono, lo sono rispetto alle entità divine. Bisogna quindi adottare una valutazione diversa da quella esistente fra uomo e uomo. L’uomo diventa appunto un individuo nel corso della sua evoluzione, e per questo motivo si svincola dal mero elemento etnico per potersi immettere completamente in quello che si chiama ordinamento morale del mondo, ordinamento che è una questione umana individuale.

 

Cose come queste devono venir comprese per mezzo di una reale conoscenza. L’adeguato progresso del cristianesimo nel nostro tempo dipende dalla comprensione di cose come queste. Ho spiegato che viviamo nel tempo in cui, per così dire, gli spiriti della personalità si elevano ad attività creativa, diventano creatori. Ciò è molto importante perché, diventando essi creatori, penetra attraverso il velo dei fenomeni qualcosa che ieri abbiamo indicato come una nuova rivelazione. Gli spiriti della personalità assumono dunque un carattere creativo, diventano per così dire qualcosa di diverso rispetto a prima; il loro essere assume un carattere simile a quello che per l’evoluzione della nostra terra avevano avuto fin dall’epoca lemurica spiriti come quelli della forma. Per questo l’uomo viene a trovarsi davanti ad un mondo completamente modificato. Bisogna rendersene conto perché, il fatto notevole del nostro tempo è che l’uomo viene a trovarsi davanti ad un mondo del tutto modificato. Tale mondo esce per modo di dire da indistinte profondità spirituali, per usare l’espressione goethiana. Osservando l’evoluzione storica dell’umanità nella retrospezione scientifico-spirituale, si potranno vedere tempi pre-cristiani, forse tempi pre-cristiani molto lontani, e si noterà che gli uomini possedevano in modo antico, istintivo, una conoscenza del mondo tanto più diffusa quanto più distante sarà il tempo considerato. Questa diffusa conoscenza del mondo tanto più infonderà venerazione quanto più la si imparerà a conoscere. Alla fine sarà un dato di fatto per l’osservatore che, agli albori dell’evoluzione terrestre, molto sapere era stato per modo di dire diffuso sulla vita terrena dell’uomo, ed era poi man mano svanito. A proposito di questa conoscenza, per quanto possa sembrare strano, il fatto è che nel tempo in cui il mistero del Golgota rese felice l’umanità, essa si trovava contemporaneamente ad un livello molto basso. In quel tempo tutto ciò che gli uomini avevano saputo sboccò per così dire nel caos della coscienza umana. E coloro che si intendevano di queste cose dicevano concordemente che in quel tempo l’evoluzione nella quale l’uomo era coinvolto si trovava di nuovo al momento dell’ignoranza. Nell’oscura ignoranza che si estendeva sull’umanità, che viveva tutt’al più nelle tradizioni di tempi passati, venne ad inserirsi la massima rivelazione della terra: il mistero del Golgota, l’inizio del nuovo sapere, l’inizio della nuova rivelazione per l’umanità. Successivamente, per quanto dipendeva dall’uomo, l’oscura ignoranza si conservò in un certo senso nel corso dei secoli.

 

Si spiega effettivamente moltissimo se, considerando i due ultimi millenni, ci si chiede ragionevolmente che cosa in ultima analisi gli uomini abbiano prodotto nei due ultimi millenni. Tutta la sapienza che in modo indipendente essi avevano a partire dal mistero del Golgota, si limitava a vecchie tradizioni, era ereditata. Intendiamoci bene, io non voglio ovviamente sostenere che l’umanità nei due ultimi millenni non abbia avuto alcuna sapienza e non voglio svalutare quella tradizionale. Ma bisogna tener presente che la sapienza esistente negli antichi tempi pre-cristiani, i cui residui si possono appunto rilevare negli ultimi secoli prima del mistero del Golgota, era stata vista dagli uomini nei tempi antichi, anche se istintivamente. La capacità di mettersi in relazione visiva autonoma con la saggezza cosmica era andata perduta. Ciò che si sapeva nei tempi antichi fu conservato quasi come in una memoria storica, in un ricordo storico. Come ho detto ieri, allo stesso mistero del Golgota fu data la forma dell’antica sapienza; esso fu espresso mediante pensieri dell’antico sapere, il sapere rammentato. Questa situazione durò per secoli. Un sintomo del nuovo modo di penetrare degli uomini nella sapienza cosmica si ebbe col nuovo modo di pensare scientifico, anche se si trattava solo di un sintomo, e anche se a tutta prima ciò avveniva in un modo che chiamerei profano. Si ha qui di nuovo qualcosa che l’uomo vuole conquistare per mezzo dell’attività propria della sua anima. Come ho fatto spesso rilevare, si tratta appunto di osservare in avvenire antroposoficamente il mondo spirituale allo stesso modo in cui da Copernico in poi si è osservato l’ordinamento naturale esteriore, puramente meccanico. Ecco una mèta che dobbiamo fissare, se vogliamo arrivare a comprendere esattamente il nostro tempo: comprendere il divino come si sono imparati a comprendere i fenomeni meccanici terrestri da Copernico, da Galileo e da Giordano Bruno in poi.

 

Molto si oppone alla comprensione del nostro tempo. Come si sa, per poterlo comprendere è necessario affrontare argomenti come quelli trattati nel mio libro Iniziazione; è per modo di dire necessario far vedere agli uomini la via che l’anima deve battere per penetrare nel mondo spirituale, così come Copernico, Galileo e Giordano Bruno* cercarono di entrare nell’ordinamento naturale meccanico esteriore. Chi non ha una comprensione pi’ profonda per le aspirazioni di molta gente potrebbe facilmente meravigliarsi che proprio l’antico spirito confessionale, se così si vuol chiamarlo, in particolare nella forma del gesuitismo, si opponga energicamente al tentativo di indicare le vie che l’anima deve prendere verso i mondi spirituali.

 

Fra le varie stupide accuse apparse nel corso di quest’anno in tre articoli su Stimmen der Zeit, vi è anche l’asserzione attribuitaci secondo la quale la Chiesa proibisce di coltivare l’anima umana in modo da farle trovare la via al mondo spirituale. Per qualche fedele, per qualche credente nell’autorità, tale accusa suona come qualcosa di particolare.

 

Ma suona così soltanto perché, non si pensa che la stessa Chiesa ha vietato anche le ricerche di Copernico e di Galileo. La Chiesa si è comportata allo stesso modo con l’indagine esteriore, per cui non c’è da meravigliarsi che tratti a quel modo l’indagine interiore in campo spirituale. Conserva soltanto le sue abitudini. Allo stesso modo in cui fino all’anno 1827 si è opposta alla dottrina copernicana, così la chiesa cattolica si oppone alla penetrazione nel mondo spirituale. Tuttavia l’ingresso nel mondo spirituale non è un vacuo discorrere in astrazioni, ma è qualcosa di altamente concreto. Si tratta di un nuovo superamento della oscura ignoranza e della penetrazione consapevole nel contesto spirituale che sta alla base del mondo. È la stessa oscura ignoranza che faceva scorrere lo sguardo sulla terra, che vedeva popoli, raggruppamenti di uomini, e ne parlava come di un caos. Si parlava dei popoli dell’occidente, del centro e dell’oriente, ma non si faceva alcuna distinzione, alcuna caratterizzazione. Si sapeva tutt’al più che le guide dei singoli popoli erano gli arcangeli. Non ci si sforzava di conoscere il carattere dei singoli popoli degli arcangeli. Invece è proprio della nuova rivelazione che ormai si osservi veramente il modo di agire dei singoli arcangeli sulla terra. Questo sarà un effettivo, reale arricchimento della coscienza umana sulla terra. Non riuscendo a sollevarsi dalla nebulosa ignoranza a tali effettive differenziazioni, si è creato l’abisso esistente fra gli argomenti dei sermoni domenicali che ho caratterizzato ieri e quelli che l’uomo considera questioni della vita pratica esteriore. Ho detto del modo in cui, nel campo delle confessioni religiose, si parla del mondo divino e della sua relazione con gli uomini; ho detto che tale modo è inadeguato a comprendere veramente l’attività degli uomini sulla terra, inadeguato a dire alla gente qualcosa di più dell’«amatevi l’un l’altro». Il che ha lo stesso valore del dire alla stufa: «Riscalda la stanza; è il tuo dovere». Una tale dottrina non ha però la capacità di afferrare effettivamente i cuori, se per il resto gli uomini devono darsi da fare nelle occupazioni quotidiane e non sono in grado di collegare le nozioni relative alle faccende quotidiane con quanto viene argomentato in merito ad affermazioni abitudini e dogmi sul mondo spirituale. Questo abisso esiste, e le confessioni non vogliono staccarsene.

 

A motivo dell’esistenza di questo abisso e del persistere nel volervi restare attaccati, si vedono formarsi degli strani fenomeni. Così da parte dei gesuiti si rimprovera alla scienza dello spirito antroposofica il suo sforzo di ricercare nell’uomo qualcosa che sia suscettibile di sviluppo per avvicinarlo al divino. Questa è considerata un’azione eretica perché, la Chiesa insegna – e vieta di sostenere un’opinione diversa – che nella sua essenza Dio non ha nulla a che fare col mondo e nemmeno, in identità sostanziale, con l’anima umana. Chi sostiene che l’anima umana in qualche modo abbia in sé qualcosa dell’essenza divina, per la chiesa cattolica di estrazione gesuitica è un eretico. In affermazioni come questa si insinua l’intimo sforzo della Chiesa di non lasciare che gli uomini pervengano al divino, di escluderli dal divino. Il dogma assume cioè una forma che ha per effetto di impedire agli uomini di pervenire al divino. Non c’è pertanto da meravigliarsi che nel quinto periodo postatlantico, destinato a portare l’anima cosciente, il sapere relativo alle cose pratiche del mondo non sia divenuto spirituale ma puramente arimanico, perché, non si è permesso agli uomini di pervenire al divino. Come abbiamo spesso caratterizzato, la scienza oggi riconosciuta è infatti puramente arimanica. Strano è soltanto il fatto che la chiesa cattolica preferisca la scienza naturale arimanica. a quella ad orientamento antroposofico, dato che la prima oggi non viene più considerata eretica ma ufficiale, e la seconda viene diffamata come eretica.

 

L’uomo veramente illuminato deve appunto avere chiarezza in merito a queste cose. Deve capire che sulla via dello spirito si deve intraprendere lo stesso processo adottato sulla via della natura, perché, soltanto così si può impedire che quest’ultima devii nell’elemento puramente arimanico. È deviata appunto perché la via spirituale vi si è associata solo più tardi. Ma da ora in poi, andando verso il futuro dell’umanità, essa deve congiungervisi affinché la scienza naturale venga sollevata al suo livello divino-spirituale, e perché, la nostra vita fra nascita e morte possa essere collegata con la nostra vita fra morte e nuova nascita, come ci dice l’antroposofia. Ciò avverrà però solo se avremo la volontà di comprendere veramente la vita su tutta la terra, afferrandola come essa agisce nell’uomo. Comprenderemo anche il singolo individuo soltanto comprendendo il carattere dei raggruppamenti degli uomini; e in questo modo saremo in grado di vedere nell’intimo la vera realtà.

 

Non molto tempo fa ho richiamato l’attenzione su uno strano fenomeno che può sorprendere qualcuno. Lo ripeterò in breve. Come si sa il filosofo Avenarius svolse la sua attività in Svizzera. Egli certamente si considerava un ottimo cittadino borghese e non si reputava assolutamente un rivoluzionario. Espose le sue dottrine per iscritto con un linguaggio così difficile che pochi le leggono. Con un linguaggio un po’ più facile, ma simile, svolse la sua attività a Vienna e a Praga un altro filosofo: Ernst Mach. Anche questi si considerava un ottimo cittadino. Nessuno dei due aveva davvero la vena rivoluzionaria. Poi avvenne lo strano fenomeno, l’ho appunto fatto rilevare, che questi due filosofi diventassero i filosofi ufficiali del bolscevismo, che i bolscevichi li considerassero i propri filosofi; comprendendo bene il termine, si potrebbe dire che li considerarono filosofi di Stato. Con un termine volentieri usato si può dire che entrambi, Avenarius e Mach, si rivolterebbero nella tomba se venissero a sapere di essere considerati i filosofi di Stato dei bolscevichi. Avevo detto che non si capisce questo fenomeno solamente perché, ci si attiene alla logica astratta, non alla logica della realtà dei fatti, di ciò che si vede. Malgrado la cosa possa apparentemente sembrare poco interessante, voglio richiamare ancora una volta l’attenzione su questo fatto da un altro punto di vista; in particolare voglio mettere in rilievo un punto della filosofia di Avenarius che ci può essere di guida nella risposta all’importante domanda: «Come avviene che Avenarius e Mach diventino i filosofi di Stato bolscevichi?». Infatti il dato di fatto è sempre caratteristico per la confusione del presente.

 

Avenarius propone varie questioni e nel suo linguaggio parla di introiezioni cioè di concetti da lui sviluppati relativamente alla pura gnoseologia, usando un linguaggio incomprensibile per molti. Con questo linguaggio egli propone però una questione molto interessante proprio dal punto di vista della scienza dello spirito. La sua domanda è la seguente: «Un uomo, essendo solo al mondo, parlerebbe delle distinzioni fra quanto è nella sua anima e quanto c’è fuori nel mondo, delle differenze fra soggettivo ed oggettivo?». Avenarius è abbastanza intelligente per dire che siamo indotti a parlare di soggettivo ed oggettivo perché, stando di fronte ad un altro uomo e cioè quando non siamo soli al mondo, riteniamo che anche nell’altro vi sia ciò che di un tavolo o di qualche altro oggetto abbiamo nel nostro cervello. A causa di questa deviazione, per il fatto di proiettare nel cervello l’immagine che abbiamo in noi, di modo che tutta la questione assuma un carattere di immagine, distinguiamo le cose che sono nella nostra anima dalle cose che stanno al di fuori, che sono di fronte a noi, dagli oggetti. Avenarius pensa che se oltre a noi non ci fosse altra gente fuori nel mondo, non vi sarebbe la questione della differenza fra le cose nella nostra anima e quelle al di fuori di essa, ma ci considereremmo un’unità, ci considereremmo come un confluire con le cose, non ci distingueremmo dal mondo.

 

Si può dire che con questa affermazione Avenarius abbia ragione da un certo punto di vista, e che erri terribilmente da un altro. Ha ragione in quanto significa sì qualcosa che nel corso della nostra primissima infanzia anche se di quel tempo non ricordiamo nulla veniamo in contatto con delle persone; ciò ha un certo significato. Tutto il nostro modo di pensare ne viene influenzato. Se non venissimo in contatto con altra gente, il nostro pensare sarebbe diverso, ma non come immagina Avenarius. Chi è in grado di scoprire con lo sguardo spirituale il dato di fatto veramente basilare giunge su questo punto alla verità. Avremmo certamente un’immagine diversa del mondo se avessimo incontrato altra gente nel tempo in cui non eravamo in grado di pensare coscientemente. Ma il fatto curioso sarebbe che in quell’immagine diversa del mondo vi sarebbero gli spiriti che ne stanno alla base. Se quindi fossimo soli al mondo e se non esistessero altri uomini, non ci distingueremmo dal mondo, ma non nel senso di Avenarius. Se fossimo soli al mondo, ed è una terribile astrazione, certamente non ci distingueremmo né dai minerali né dalle piante, ma dietro a questi scorgeremmo il mondo divino spirituale. In ogni caso non ci dovrebbero essere nemmeno animali, perché, essi danneggerebbero l’immagine del mondo. Da questo fatto risulta però che la convivenza degli uomini è la causa per cui non percepiamo in modo spontaneo il mondo spirituale che è dietro alle piante e agli animali. Al prezzo di non percepire il divino mondo gerarchico, conquistiamo ciò che abbiamo attraverso la convivenza con altri uomini sulla terra fisica. In certo qual modo gli uomini si mettono davanti al mondo divino occultandolo. Naturalmente Avenarius non lo sapeva e quindi ha portato la questione su un binario del tutto sbagliato. Egli credeva che non essendoci gli uomini, non ci considereremmo staccati dal mondo, non ci distingueremmo da esso. La verità però è questa: in realtà non ci distingueremmo dagli altri uomini, dalle piante e dagli animali, ma ci distingueremmo dagli esseri divini che avremmo attorno a noi. Questa è la verità.

 

Considerando ciò, si può pensare qualcosa di molto importante per il nostro tempo, e cioè che è strano come per molti riguardi sia destino del nostro tempo che gli spiriti più acuti sfiorino, tocchino i problemi più importanti e li avviino sui binari più errati; e sempre in modo da distogliere dall’accoglimento dello spirituale. Non si può infatti distogliere dallo spirituale in modo più radicale di quanto faccia Avenarius perché, la sua filosofia è acuta, è scritta con la massima raffinatezza del linguaggio accademico essa pertanto è atta a distogliere dallo spirito gli uomini, possibilmente addormentati. Quando però gli uomini vengono distolti dallo spirito in stato di assopimento, considerano questo fatto una necessità quasi matematica; non accorgendosi di essere distolti dallo spirito, accettano questo fatto come qualcosa di scientificamente dimostrato. Questo da un lato.

 

L’intimo scopo del pensiero di Avenarius, e per Mach si può dire qualcosa di simile, era di giustificare una scienza che distogliesse radicalmente l’uomo dallo spirito. Il bolscevismo dovrebbe istituire un ordinamento sociale che escluda ciò che è spirituale, dovrebbe raggruppare socialmente l’umanità in maniera che lo spirituale non vi prenda parte. Ecco l’intima connessione. Essa si manifesta nella logica dei fatti. Non per motivi esteriori, ma per intimissime affinità di essenza, Avenarius e Mach sono diventati filosofi di Stato dei bolscevichi.

 

Da ciò risulta che dinanzi a cose come queste si sta invero piuttosto irrigiditi col comune pensiero oggi corrente. Ci si può solo meravigliare come facciano i bolscevichi a far diventare Avenarius e Mach i loro filosofi di Stato. Oggi è possibile capire i collegamenti, ma bisogna considerare le basi spirituali. Con questo caso concreto ora lo abbiamo fatto. Ma bisogna essere in grado di indicare come sarebbe in realtà se l’uomo fosse da solo sulla terra fisica senza altri uomini. Ho appena ricordato un fatto spirituale, ma se ne potrebbero ricordare anche altri comuni; specialmente nelle reciproche relazioni fra gli uomini, intervengono oggi semplicemente dei fenomeni nella vita umana che sorprendono perché, non possono essere compresi se non con l’osservazione scientifico-spirituale.

 

Non si creda che sia stato così in ogni tempo. Anticamente vi erano pure fenomeni del genere, ma gli uomini li comprendevano istintivamente con l’antica chiaroveggenza istintiva. Poi, durante il periodo dell’oscura ignoranza, fenomeni del genere non si verificarono nelle reciproche relazioni fra gli uomini. Ora tornano a verificarsi. Non è che si evolvano soltanto le anime degli uomini, si evolve il mondo; esso si muta e mostra le sue trasformazioni anzitutto nelle relazioni degli uomini fra di loro; nel prossimo periodo le mostrerà nelle relazioni fra l’uomo e gli altri regni della natura. Attualmente e nel prossimo futuro la vita resterà incomprensibile agli uomini se non vorranno osservarla dal punto di vista scientifico-spirituale. L’anima umana sarà preda di continue illusioni se non ci si deciderà a ricorrere ai concetti scientifico-spirituali. Fra i presenti ve ne sono alcuni ai quali, allo scoppio della catastrofe bellica, ho spesso ripetuto che sui fenomeni cosiddetti storici degli ultimi secoli si può scrivere la storia al modo di Ranke o di altri in base alle documentazioni trovate rovistando negli archivi. In questo modo non si può scrivere la storia di questa catastrofe bellica perché, per quanti documenti gli uomini possano esumare dagli archivi, se non si presterà attenzione alle disposizioni animiche di chi ha partecipato all’inizio della guerra e alla penetrazione di potenze arimaniche negli eventi terrestri attraverso tali disposizioni, se non si presterà attenzione al fatto che per questo motivo le cause della catastrofe bellica sono di origine arimanica, se non si vorrà studiare l’inizio della catastrofe bellica dal punto di vista scientifico-spirituale, quell’inizio rimarrà sempre oscuro. Direi che in questa catastrofe vi è un invito per gli uomini ad imparare da essa. Si può imparare molto da quanto è accaduto negli ultimi quattro o cinque anni a seguito della situazione precedente. Soprattutto si imparerà a non porre certi problemi così unilateralmente come prima, ma in modo adeguato alle esigenze del tempo.

 

Ho detto spesso che non vi è motivo di prendere a cuor leggero le avversità del tempo o magari di chiudere gli occhi davanti ad esse. Ma non vi è neppure motivo per il pessimismo. Basta pensare alle cose terribili avvenute sulla terra nel corso degli ultimi quattro anni e mezzo. Che cosa ne è l’essenziale? L’essenziale sono le esperienze che le anime umane hanno fatto in questo periodo, ovviamente rispetto alla loro evoluzione nell’evoluzione di tutta la terra. A questo punto sorge però una importantissima, grave domanda. Si tratta di una domanda paradossale solo perché, essa è grave ed insolita per il comune pensare: sarebbe stato cioè veramente desiderabile che l’umanità avesse continuato semplicemente a vivere, senza una catastrofe come questa, così come si era abituata a vivere fino al 1914? Lo si può in realtà desiderare così senz’altro? Quando sorge una tale domanda torno sempre a riferirmi a ciò che dissi prima dello scoppio di questa catastrofe bellica in un ciclo di conferenze a Vienna e cioè che, considerando ciò che vive nel mondo umano, le relazioni reciproche fra gli uomini, la vita sociale, si manifesta una specie di carcinoma sociale, una infiammazione cancerosa che si insinua nell’umanità. Senza dubbio gli uomini hanno chiuso gli occhi dinanzi al carcinoma della comunità sociale; non hanno voluto guardare le condizioni effettive. Guardando però in fondo alle cose nessuno può dire che sarebbe stato un bene per l’umanità se essa avesse proseguito come prima. Allontanandosi dal mondo spirituale per la via cui avevo accennato, essa sarebbe scesa sempre più in basso. E coloro ai quali guardiamo con animo tanto addolorato, i milioni di uomini che a seguito di questa terribile catastrofe sono stati spazzati via dal piano fisico, che ora vivono come anime, sono essi che pensano più di tutti che ora, mentre passano il resto della loro vita nel mondo spirituale, la loro situazione è diversa e che sarebbe stata differente se il loro karma li avesse trattenuti ancora sulla terra.

 

Ma sub specie aeternitatis, dal punto di vista dell’eternità, le cose hanno un aspetto diverso. Questo andava pur detto. Soltanto le cose non devono essere prese con leggerezza e succintamente. Quant’è vero che il sopraggiungere di questa catastrofe è infinitamente triste, altrettanto vero è che per causa sua l’umanità è stata preservata da un terribile affondamento nel materialismo e nell’utilitarismo. Se oggi non lo si vede ancora, lo si vedrà soprattutto nei paesi centrali ed in oriente dove, invece di un ordinamento che assorbisse in sé il materialismo, si è sviluppato il caos. Certamente non si può parlare senza un fondo di dolore del caos che si è riversato sui paesi centrali ed orientali, caos che dal punto di vista esteriore offre poche speranze di trasformarsi in uno stato di armonia. Ma c’è dell’altro. Dove vi è il caos, nel prossimo futuro vi sarà un mondo il quale, attraverso il piano fisico esteriore, darà il meno possibile agli uomini. Nei paesi centrali e in quelli orientali i vantaggi derivanti dal piano fisico non saranno grandi. Non saranno molti i vantaggi che l’uomo potrà avere per il fatto di passare la vita in mezzo a violenze esterne. Per stare saldo l’uomo dovrà rafforzarsi nell’intimo della sua anima, e rafforzandosi interiormente per stare saldo potrà fare il primo passo sulla via verso il mondo spirituale, potrà prendere la decisione di avviarsi allo spirito dal quale soltanto può derivare la salvezza dell’avvenire. Infatti l’essenziale per l’avvenire sarà che in certo qual modo la nostra parte corporea esteriore ci sfuggirà, che il nostro fisico esteriore, come ho detto ieri, non sarà più sano come nel passato, che racchiuderà in sé più morte che nel passato. E quando nel mondo fisico si potrà trovare davvero poco, sorgerà l’impulso a comprendere che si potrà trovare il contenuto dell’enigma del mondo non con la parte alla quale è collegato il nostro elemento corporeo, a comprendere che a tale scopo bisogna salire al mondo spirituale; a comprendere l’impulso di andare a ricavare anche l’ordine sociale dal mondo spirituale. Il mondo fisico potrà avere una forma armonica soltanto dalla vita spirituale. Nelle prime pagine la Bibbia non dice che siano stati Lucifero ed Arimane a cacciare l’uomo dal paradiso, ma che a cacciarlo è stato lo stesso Jahve. Ma noi sappiamo anche che la cacciata dal paradiso significa per l’uomo diventare libero, significa per gli uomini l’esperienza della libertà, in quanto con essa è stata posta la possibilità, è stato posto il germe della libertà. È forse contrario alla saggezza biblica dire che è stata la stessa saggezza divina a cacciare gli uomini del nostro tempo, tendente al materialismo e all’utilitarismo, verso germi che spiritualmente compresi dovrebbero servire il mondo? Dal fondo doloroso degli ultimi quattro anni e mezzo si sentono quasi risuonare le parole: «Spiritualità vuol manifestarsi attraverso i veli dei fenomeni esteriori; uomini imparino dalle sventure a considerare queste manifestazioni, e sarà la loro salvezza!».

 

Anche questo è un linguaggio che per qualcuno saprà di paradosso, ma è il linguaggio che il Cristo ci induce ad usare nel nostro tempo, perché, col progredire del cristianesimo si devono esprimere le verità cristiane in modo nuovo; e questo può avvenire solo comprendendole spiritualmente. Il mistero del Golgota è un evento spirituale che ha inciso nell’evoluzione della terra. Lo si può comprendere soltanto attraverso il metodo spirituale di conoscenza. Come in fondo l’umanità ha trovato il Cristo attraverso le avversità, così anche noi dovremo cercare il Cristo attraverso le avversità col nuovo modo di capire e nella nuova forma.

 

Certo in quel che così si è detto non vi è un conforto generico. Ma volendo star discosti da ogni grossolanità, nel senso più profondo della parola, vi è forse un po’ di conforto, forse l’unico oggi corrispondente alla dignità umana del nostro tempo. In ogni caso non è un conforto che suggerisca agli uomini di aspettare che senza la loro collaborazione tocchi loro in sorte tutto il divino; è invece un conforto che suggerisce agli uomini di utilizzare le proprie forze; si scoprirà allora che Dio parla e lavora nelle anime, si scopre Dio nel mondo e, quel che è più importante, che con Dio si potrà agire in comune nel mondo. Bisogna cessare dall’avere un atteggiamento semplicemente passivo nei confronti della conoscenza soprasensibile. Per scoprire se stesso interiormente l’uomo deve riscuotersi, e con l’interiore scoperta riconoscere se stesso come un elemento del mondo. Insorgano pure le fedi religiose che vogliono rendere la vita comoda all’uomo, addormentando il suo spirito con l’incenso (intendo in modo figurato), perché, trovi la via al divino passivamente, senza collaborare. Le fedi religiose, che in questo modo si rivolgono all’indolenza dell’uomo, insorgeranno sempre contro l’esigenza, ora manifestatesi dai mondi spirituali, che l’uomo cerchi il suo valore anche con attività interiore, con operosità interiore, on attivo interiore sviluppo della vita spirituale.

 

Deve essere così specialmente se si vuole tener conto dell’esigenza del nostro tempo che si manifesta sotto vari mascheramenti e camuffamenti. Nelle ultime settimane ho già fatto presente che viviamo, che almeno gran parte delle persone colte vivono delle conquiste della civiltà greca, che soltanto non peniamo sempre che l’ambiente in cui viviamo è stato creato perché, la civiltà greca si è sviluppata sulla base della schiavitù, che una gran parte degli uomini dovevano essere schiavi perché, potessero esistere quelli che sentiamo come i benefici della civiltà greca. Rendendosi però ben conto di ciò che significano l’arte greca, i bei ricordi della vita greca, la scienza greca e altre cose ancora nate in conseguenza della schiavitù, ci si chiede con intensità diversa da che cosa dipenda che noi non pensiamo più come i grandi filosofi greci Platone e Aristotele: che cioè la schiavitù sia qualcosa del tutto ovvio. Per gli uomini più saggi era allora naturale che i nove decimi dell’umanità vivessero in condizione di schiavitù. Per noi oggi ciò non è più ovvio, anzi consideriamo che offenda la dignità umana chi pensi in questo modo. Che cosa è stato a mutare talmente la capacità di pensiero nell’ambito dell’umanità occidentale. È stato il cristianesimo. Il cristianesimo ha liberato gli uomini dalla schiavitù; il cristianesimo li ha indotti a riconoscere, almeno per principio, la massima che gli uomini, quanto alla loro anima, sono uguali davanti a Dio.

 

Da questo deriva però anche l’esclusione della schiavitù dall’ordinamento sociale umano. Ma sappiamo che una cosa è rimasta, e dobbiamo sempre tornare a farvi riferimento dai più vari punti di vista; è rimasta fino al nostro tempo la concezione che ho indicato proprio come il punto saliente della coscienza del proletario: che nel nostro ordinamento sociale una parte dell’uomo, e per di più un elemento che si svolge nel corpo, può essere comperata come merce ed anche venduta dall’uomo stesso. Questo è appunto ciò che snerva ed irrita. In effetti il punto saliente del problema sociale è che la forza lavoro possa essere pagata. Ed è anche questo che lascia sul fondo di tutta la nostra comunità sociale il carattere dell’egoismo, perché nell’ordinamento sociale deve dominare l’egoismo se l’uomo deve far pagare il proprio lavoro per ciò di cui ha bisogno. Egli deve procurarsi un introito. Dopo il superamento della schiavitù, la tappa che resta da superare è che nessun lavoro umano possa essere merce. Questo è il vero punto saliente del problema sociale che il nuovo cristianesimo risolverà. Ho esposto varie questioni a proposito della soluzione del problema sociale. La triarticolazione dell’ordinamento sociale di cui ho parlato stacca la merce dalla forza lavoro; quindi in avvenire gli uomini compreranno e venderanno solo merce, solo prodotti esteriori, solo quanto è separato dall’uomo, e l’uomo lavorerà per il suo prossimo per amor fraterno, come avevo già scritto nel saggio La scienza dello spirito e il problema sociale del 1905.

 

La via per arrivare a tale mèta sarà magari lunga, ma nulla all’infuori di questo, e questo soltanto, potrà risolvere il problema sociale. Chi oggi non crede che nell’ordinamento del mondo dovrà avvenire solo così, è simile a chi avesse detto agli inizi del cristianesimo che schiavi avrebbero dovuto esserci sempre. Come allora quello avrebbe avuto torto, così ha torto oggi chi dice che bisognerà pagare sempre il lavoro. Allora non si poteva immaginare che non ci potesse essere un certo numero di uomini nella condizione di schiavi, né Platone né Aristotele potevano immaginarselo. Oggi le persone più avvedute non riescono a pensare che possa esistere una struttura sociale in cui il lavoro possa avere anche validità del tutto diversa di quando esso viene pagato. Naturalmente anche in avvenire col lavoro sarà creato un prodotto, ma il prodotto sarà l’oggetto unico e solo che si potrà comperare e vendere. Questo salverà socialmente gli uomini.

 

Per capire queste cose occorre la conoscenza, la logica derivata dall’osservazione. L’umanità non progredirà senza una tale logica perché, essa è il combustibile per ciò che deve diffondersi fra gli uomini: l’amore per il prossimo che nasce dalla comprensione fra gli uomini. Per quanto strano possa sembrare mentre negli uomini vi sono ogni genere di resti atavici di varia estrazione, attualmente tutto viene considerato secondo simpatia ed antipatia. Se viene spiegato per esempio qualcosa del tipo da me trattato qui tempo fa, quando dissi che considerando le tre parti della natura umana i popoli occidentali hanno il compito di sviluppare particolarmente proprio la natura addominale, i popoli centrali quella del cuore, e i popoli orientali quella della testa, tali cose vengono valorizzate in molti modi; l’uomo possiede da qualche parte nella sua interiorità un certo angolo dove le valorizza. Bisogna che tale valorizzazione cessi perché, proprio il considerare le differenziazioni sulla terra fonderà l’amore pieno di comprensione. Il vero amore per gli uomini, estendentesi su tutta la terra, nel periodo dell’anima cosciente nascerà dalla comprensione, non dall’incomprensione. Allora ci si saprà ritrovare nel Cristo su tutta la terra. Il Cristo non riguarda un popolo o un altro, riguarda tutta l’umanità. Ma perché, sia riconosciuta come questione che riguarda tutta l’umanità, bisognerà che qualche illusione cada, bisognerà che gli uomini sappiano elevarsi al punto di considerare senza illusioni la vera essenza delle cose. Gli uomini delle più varie estrazioni oggi non lo vogliono. Io so però di esprimere soltanto un pensiero di pace natalizia presentando il seguente paradosso. Parlando delle differenziazioni non parlo, come si sa, del singolo uomo ma di popoli. Se non si ha buona volontà queste cose si possono fraintendere facilmente. Faccio presente spessissimo che non mi riferisco al singolo uomo individuale emergente dal popolo ma che intendo appunto i popoli. Mentre espongo quel che segue prego di tenerlo presente.

 

Consideriamo un po’ questa o quella opinione sugli Stati dell’Europa centrale, espressa negli ultimi quattro anni e mezzo. Siccome sono in grado di capire quegli stati d’animo, non voglio dire assolutamente nulla contro la gente entusiasta dell’Intesa. Non ho assolutamente questa intenzione. Ognuno ha la sua opinione, giustificata da un certo punto di vista. Ma si può distogliere lo sguardo dall’opinione avuta negli anni trascorse considerarne il seguito nel presente. In tal caso molte cose riusciranno forse pochissimo comprensibili. Ci si potrà domandare se sia proprio necessario mantenere i medesimi giudizi di quando nei paesi centrali vi erano i potenti, ed essi disponevano ancora del potere; se sia necessario, in modo raffinato, fare il possibile per mantenere gli stessi punti di vista. È proprio necessario. È altrettanto spiegabile? Considerandole superficialmente non si potranno spiegare tante questioni come si potevano spiegare prima. Considerandole però in modo più approfondito, esse sono spiegabili, ma non come emanazione di un singolo uomo (i singoli uomini provocheranno il risanamento di queste condizioni nei paesi occidentali); chi giudica esprimendo semplicemente l’elemento nazionale, o esprimendo giudizi dell’elemento nazionale in base a preconcetti, ha però nel subcosciente qualcosa che si può caratterizzare nel modo seguente.

 

Alcune settimane fa ho spiegato qui che nella nostra concezione del mondo, e cioè nel nostro modo di pensare, presentemente vivono ancora molti elementi dell’Antico Testamento che l’essenza del cristianesimo si è ancora poco affermata. La caratteristica dell’ufficio jahvetico consiste nel fatto che esso concerne tutto ciò che non accogliamo per mezzo dell’educazione fra nascita e morte, ma ciò* che ereditiamo, ciò che è nel nostro sangue e che esercita soltanto un influsso durante il sonno quando abbiamo abbandonato il corpo. La concezione jahvetica pulsa ancora molto nel nostro tempo. Nel periodo intellettualistico essa può elevarsi alla concezione cristica soltanto se si cerca di penetrare con la massima energia nel mondo spirituale non per nascita o per mezzo delle qualità che ci derivano dalla nascita, ma per mezzo di quel che acquistiamo con l’educazione. Non l’occidente è predestinato a passare naturalmente dall’ufficio jahvetico a quello cristico: la predestinazione inizia nel centro dell’Europa soltanto e si avvia verso oriente. Questo vale naturalmente per i popoli e non per il singolo. Da qui il singolare pensare wilsoniano ancora completamente adagiato nella rappresentazione dell’Antico Testamento; anche se lo si nega, tale pensare si presenta in effetti come se volesse negare e distruggere ciò che ha l’impulso a svilupparsi spiritualmente nei paesi centrali ed in oriente. Per questo al presente è tanto inspiegabile che si continui con questi princìpi avanzando tutte le scuse possibili, mentre è stato rimosso ciò che si diceva di voler rimuovere, e sono rimasti soltanto i popoli ai quali si assicura di non voler fare nulla di male. Si continua perché, in effetti ci si difende dallo sviluppo spirituale nei paesi centrali e orientali che si è manifestato nel corso degli ultimi secoli. Subcoscientemente lo si vorrebbe spegnere. Non ci si vorrebbe impegnare in queste cose.

 

Viviamo una crisi del mondo molto significativa. Ho sentito spesso gente chiedersi come mai gli occidentali, e precisamente i francesi e gli inglesi, odiassero tanto i tedeschi. Per questa domanda c’è una risposta molto semplice, veramente esauriente, e consiste nel fatto che l’uomo guarda in maniera diversa se stesso, anche come membro di un popolo, di quanto non guardi il suo prossimo. Posso assicurare che pensieri come quelli avuti da Mach salendo sull’omnibus o camminando per la strada, sono molto spesso nel subcosciente degli uomini. È nota la storia che Mach stesso racconta: stanco, era salito una volta su un omnibus e non aveva osservato uno specchio sulla parete di fronte alla porta d’ingresso. Egli allora pensò che la persona che si sedeva di fronte a lui fosse bruttissima. Per se stesso egli era un estraneo, tanto poco si conosceva come persona; e vedendosi non si riuscì affatto simpatico.

 

Si osservi la storia spirituale dell’Europa centrale, non nei particolari, ma nel suo complesso. Fino a Lessing, vale a dire fino all’ultimo terzo inoltrato del secolo diciottesimo i tedeschi si sono sforzati di essere come i francesi. Lo si vede da tutto. Ad iniziare da un certo punto, circa nel secolo dodicesimo, i tedeschi si sono sforzati di essere come i francesi, di fare in modo di diventare anch’essi francesi. I francesi, vedendo nell’imitazione ciò che non vedevano in sé oppure anche se lo vedevano, prima lo apprezzavano, provavano un sentimento di forte odio. L’uomo infatti esercita incoscientemente una strana autoconoscenza. In fondo i tedeschi non sono stati mai odiati dai francesi nel loro essere più profondo; i francesi odiavano invece se stessi guardando la loro immagine riflessa dall’anima tedesca. Da allora è incominciato uno strano influsso inglese, oggi non ancora considerato a sufficienza. Gli inglesi vedono ovviamente se stessi altrettanto poco quanto Mach vedeva se stesso, ma si osservavano vedendosi in quell’immagine riflessa che in maniera strana è penetrata nell’anima tedesca del secolo diciottesimo. Nel tedesco giudicano l’inglese. Questa è la semplice soluzione psicologica. Se non si fosse verificata questa crisi mondiale, tale situazione sarebbe durata ancora molto; ci sarebbe stato un gran pastone dal quale sarebbero emerse le singole individualità che peraltro avrebbero avuto le caratteristiche particolari dell’essere tedesco. Ma le avversità, il caos, faranno sorgere dalla crisi proprio ciò che deve sorgere, ciò che è sempre esistito, ciò che soltanto non poté svilupparsi sotto il dominio dell’occidente. Così stanno i fatti reali. Non c’è motivo per essere pessimisti, nemmeno nell’Europa centrale. Bisogna scendere però ai motivi più profondi che stanno alla base del divenire.

 

Quel che le potenze dell’Intesa fanno ora può avere un certo aspetto, ma importa pochissimo perché, in fondo alle loro aspirazioni vogliono qualcosa di impossibile. Vogliono impedire che compaia qualcosa che deve invece svilupparsi nel centro dell’Europa ed in oriente, e che è legato al progresso spirituale degli uomini. Non lo si può impedire. Ne segue però l’altro fatto che l’uomo, se prende sul serio l’avvenire della terra, deve credere appunto allo spirito. Solo lo spirito, la forza dello spirito, provocherà quel che deve avvenire anche per la soluzione delle esigenze sociali, tanto impellenti. È stato necessario che nel periodo delle macchine cinquecento milioni di uomini invisibili, cioè uomini visibili sotto forma di macchine, facessero sentire man mano agli uomini che essi non possono essere pagati come si pagano le macchine. È stato necessario che accadesse questa terribile catastrofe nella quale il periodo delle macchine ha celebrato i suoi massimi trionfi. La catastrofe svilupperà però la forza degli uomini. L’uomo attingerà alla forza sviluppata la possibilità di collegarsi nuovamente col divino, con lo spirituale. Come non è stata una mera sventura che gli uomini siano stati cacciati dal paradiso (per confrontare ora l’inizio dell’evoluzione terrestre con quello che molti considerano l’evento più terribile della storia), così non è una mera sventura che gli uomini siano stati colpiti da una catastrofe come questa. Le verità più importanti sono in definitiva fondamentalmente paradossali. Infatti oggi si potrebbe dire, l’ho messo in evidenza varie volte, che gli uomini sono stati tanto scellerati da crocifiggere l’essere più prezioso apparso sulla terra: il Cristo Gesù. Lo hanno ucciso. Si può dire che è stata una scelleratezza degli uomini. Ma quella morte è il contenuto del cristianesimo. Per mezzo di quella morte è avvenuto ciò che noi chiamiamo il mistero del Golgota. Senza quella morte non vi sarebbe il cristianesimo. Quella morte è la fortuna degli uomini, è la forza dell’uomo terreno. Così paradossali sono le cose della realtà! Da un lato si dire che è stata una scelleratezza degli uomini l’aver crocifisso il Cristo; tuttavia quella morte, quella crocifissione ha fatto sì che avesse luogo il massimo evento terrestre. Una sventura non è sempre una mera sventura. Una sventura è spesso l’avvio per il raggiungimento di grandezza e di forza umane.