Sfera, raggio e nodo nell’uomo.

O.O. 323 – Rapporto delle diverse scienze con l’astronomia – 12.01.1921


 

Sommario: Sfera, raggio e nodo nell’uomo. Metamorfosi della lemniscata nelle ossa umane. Contrapposizione fra testa e arti rispetto alla posizione dei pianeti. La posizione verticale umana rispetto al Sole. La colonna vertebrale umana e animale rispetto a Sole e Luna. I moti del Sole e della Terra. L’evoluzione dell’astronomia. Inserimento della figura umana nel moto delle stelle. Difficoltà nei calcoli delle orbite planetarie osservate e pensate: i tre Soli. I regni della natura. Selenka.

 

Oggi vorrei indicare come le osservazioni fatte mostrino un risultato ben determinato. Abbiamo da un lato osservato i moti dei corpi celesti, e anche se non li abbiamo approfonditi in concreto – e ancora lo faremo — abbiamo potuto avere un’idea generale del fatto che vi è una precisa disposizione di corpi cosmici in movimento. D’altra parte abbiamo guardato la figura umana, gettando anche qualche sguardo alle figure animali e vegetali; lo faremo ancora, per sostenere la nostra tesi. Abbiamo soprattutto studiato la forma umana e visto che essa è in relazione con qualcosa che si manifesta nel moto dei corpi celesti; vedrò di esprimermi con la massima prudenza.

 

Ho indicato ieri che, comunque si osservi l’organismo umano, si ritrova ovunque il principio del nodo (se si prescinde dai due estremi polarmente opposti del raggio e della sfera). Nell’organismo umano dobbiamo sempre cercare questi tre principi strutturali: la sfera con la sua azione verso l’interno e il raggio; e fra i due il nodo, la lemniscata (fig. 1). Si potranno valutare in modo esatto questi principi strutturali dell’organismo umano pensando il nodo, ossia la lemniscata, come una costante variabile, per esprimermi in modo paradossale; dobbiamo pensare a delle variabili nell’equazione di una curva, al posto delle costanti. La variabilità si esprime nel modo più evidente nella parte centrale dell’organismo umano.

 

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Se guardiamo l’intera costruzione delle costole e delle loro vertebre, vediamo che nella vertebra una metà della lemniscata è molto compressa e nelle due costole l’altra metà molto dilatata (fig. 2); il che non ci deve ingannare sulla presenza del principio della lemniscata è molto compressa e nelle due costole l’altra metà molto dilatata (fig. 2); il che non ci deve ingannare sulla presenza del principio della lemniscata. Dobbiamo pensare che nelle costole che si uniscono davanti nello sterno la materia si assottigli, si dilati nello spazio, compensata dalla materia più compressa delle vertebre. Osservando la figura umana sopra e sotto questa parte centrale, vediamo che la parte relativa alle vertebre si allarga molto verso l’alto e che i rami della lemniscata ci sfuggono, si immergono nella formazione interna e diventano indeterminati (fig. 3).

 

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Se dalla parte centrale andiamo verso il basso (fig. 2), verso le articolazioni degli arti inferiori nel bacino, vediamo che ciò che si allarga corrisponde alla atrofizzazione dell’altra parte del nodo. Dobbiamo pensare a un nodo in sé mobile che domina nella parte centrale dell’uomo, e immaginare che le forze plasmatrici dilatino il nodo da un lato assottigliando le forze materiali, mentre dall’altro lo comprimono. Dobbiamo dunque immaginare che dalla parte centrale in su la parte del nodo che era compressa nella vertebra si dilati, e riconoscere che verso il basso ci sfugge l’altra parte, quella aperta. Così abbiamo anche il caso che il nodo chiuso si atrofizzi verso il basso, mentre la parte della lemniscata che scompare in alto, dalla parte della testa, continua invece in basso, unendosi in qualche modo alla radiale (fig. 4).

 

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Quando troviamo la possibilità di seguire in modo evidente la lemniscata mobile in sé, e pensiamo il principio della lemniscata in combinazione con le forze che sono o sferoidali o radiali rispetto al centro della Terra, abbiamo un sistema di forze che possiamo pensare alla base di tutta la forma, di tutta la struttura dell’organismo umano; né si devono pensare tali forze come qualcosa di ipotetico, bensì proprio come qualcosa che si esprime nella struttura.

 

In corrispondenza di tutto ciò anche nello spazio cosmico, nei movimenti dei corpi celesti, troviamo una particolare configurazione di tali movimenti. Abbiamo visto ieri come nella formazione dei nodi planetari si ritrovi fuori di noi lo stesso principio strutturale che abbiamo in noi. Seguendolo, è interessante notare che questi nodi si presentano in Venere e in Mercurio quando tali pianeti sono nella congiunzione inferiore, cioè quando si trovano fra la Terra e il Sole, quando il Sole agisce su di noi rafforzato da quei pianeti.

 

Se invece ricerchiamo i nodi di Marte, Giove e Saturno li troviamo quando sono in opposizione. Così, nel contrasto tra congiunzione e opposizione possiamo trovare qualcosa che corrisponde a una contrapposizione nelle forze plasmatrici dell’uomo. Osservando i nodi di Saturno, Giove e Marte che si presentano in opposizione, e quindi sono più attivi in quei momenti, dobbiamo metterli in relazione con ciò che nell’uomo è meno influenzato dal Sole, proprio perché quei nodi sono in opposizione. Invece le formazioni dei nodi di Venere e Mercurio, che avvengono in congiunzione, nei principi strutturali dell’uomo devono portare ciò che deriva dal Sole e che è fondato sul Sole. Dobbiamo dunque pensare che l’azione del Sole è rafforzata da Venere e Mercurio, mentre diminuisce con i pianeti esterni che, durante la formazione dei loro nodi, esprimono qualcosa che è in rapporto diretto, non indiretto con l’uomo.

 

Riflettendo su tutto ciò, ci rendiamo conto che esiste una contrapposizione tra raggio e sfera; dobbiamo solo pensare alla forma che viene espressa da questi movimenti e riconoscere che Marte, Giove e Saturno sono affini perché le loro orbite corrispondono quando esse formano i nodi, quando cioè la formazione dell’orbita si spinge verso l’esterno. Prescindendo dagli altri pianeti, Saturno, Giove e Marte esprimono la loro attività su ciò che nell’uomo dipende dalla sfera, e dunque sulla testa; di contro, essendo in contrasto polare, le formazioni dei nodi di Venere e Mercurio si manifestano in ciò che nell’uomo è polarmente opposto alla testa, che sfugge al parallelismo della formazione sferica, ma è parallelo a quella radiale, ossia in ciò che nell’atrofizzarsi di una parte della lemniscata si sviluppa negli arti, nell’evoluzione radiale. Tutto ciò è in relazione con Venere e Mercurio.

 

Dovremmo però ancora dire: dei pianeti esterni, che in opposizione formano i loro nodi, è importante come essi sviluppino l’intensità della loro azione proprio nella formazione dei nodi; mentre dei pianeti interni, Venere e Mercurio, si avrà una maggiore efficacia non nel nodo, ma nel resto dell’orbita, ossia nella parte contrapposta al nodo. Basti pensare a un nodo di Venere, come lo disegno in uno schema (fig. 5).

 

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Fig. 5

 

Lo si capisce meglio pensando che la parte in alto diventa sempre meno attiva quanto più scende verso il basso, vale a dire che dove in basso l’orbita di Venere si chiude, non si chiude nei suoi effetti, ma si trasforma in parabola proprio per l’atrofia che nella formazione del corpo umano corrisponde al finire delle vertebre e a ciò che vi si collega. Quell’atrofizzarsi corrisponde al nodo che dà solo la direzione, ma non la completa. Ciò che nell’orbita di Venere si chiude, viene a mancare nella formazione umana.

 

Dobbiamo quindi dire che, in tutto ciò che sottende il principio della formazione umana in modo tale che ne derivi la metamorfosi tra testa e membra, con il ricambio ad esse collegato, abbiamo ciò che nell’universo corrisponde alla contrapposizione tra i pianeti con i loro nodi in posizione di congiunzione e quelli che li sviluppano in opposizione; tra i due gruppi vi è il Sole.

 

Ne risulta in modo ben chiaro che rispetto alle azioni qualitative constatate nell’orbita del Sole dobbiamo vedere qualcosa che, anche per la forma, deve essere intermedio tra le forme orbitali dei pianeti esterni e quelle dei pianeti interni. Così si vede che dobbiamo attribuire a quanto ci viene espresso dal moto orbitale del Sole tutto ciò che nell’uomo si trova in mezzo, fra la formazione della testa e quella del sistema del ricambio; dobbiamo cioè mettere in relazione con l’orbita solare il nostro sistema ritmico. Da questo si vede altresì che dobbiamo riconoscere una contrapposizione tra le orbite dei pianeti esterni e interni e il moto solare che è fra quelle orbite. Sia per il moto solare, sia per l’orbita della Luna abbiamo inoltre qualcosa di molto caratteristico. Osservando quei due moti vediamo che non presentano nodi. Non hanno nodi. Rispetto all’uomo e agli esseri terrestri dobbiamo vedere una contrapposizione fra Sole e Luna, da un lato, e i pianeti con i loro nodi dall’altro. Le orbite planetarie con i loro nodi corrispondono palesemente nell’uomo a ciò che ha forma di lemniscata.

 

Guardando la figura umana e pensandola nella sua relazione con la Terra, dovremo necessariamente mettere in rapporto il corso del Sole con ciò che in essa è radiale, e le orbite dei pianeti con ciò che nel corpo umano ha forma di lemniscata.

 

Vediamo che cosa si ottiene mettendo in una certa relazione tutto l’uomo, e non solo il suo organo di conoscenza, con il cielo stellato; ne risulta che tutto quello che in noi è verticalità è in relazione con il moto solare, mentre tutto quello che è ordinato secondo la lemniscata è in relazione con il moto dei pianeti con orbite a lemniscate variabili. Ne segue qualcosa di importantissimo. Dobbiamo pensare che con la nostra posizione verticale abbiamo un certo rapporto con il moto del Sole. Dove abbiamo allora la possibilità di pensare a un’altra orbita che non presenta nodi, a quella lunare? Osservando senza pregiudizi le figure sulla Terra, troveremo la corrispondenza fra la linea della colonna vertebrale degli animati e l’orbita della Luna. Proprio nel fatto che la colonna vertebrale dell’uomo è legata all’orbita solare e quella dell’animale all’orbita lunare, dobbiamo cercare la differenza morfologica tra uomo e animale.

 

Dunque, proprio studiando quella differenza non ci possiamo limitare alla Terra. Non ci basta seguire una semplice morfologia comparata; dobbiamo confrontare che cosa essa ci offre in tutto l’universo, in modo da avere indicazioni sulle posizioni reciproche dell’orbita lunare e dell’orbita solare, almeno in prospettiva. Ci si deve sempre esprimere con molta cautela, ma possiamo dire che le due orbite sono più o meno perpendicolari fra loro.

 

Se pensiamo alla posizione verticale umana, o meglio a ciò che corrisponde alla linea principale della colonna vertebrale, vediamo qualcosa che indica decisamente il suo legame con il moto del Sole, secondo una sensata morfologia; d’altra parte non potremo non collegare il moto solare con tutto ciò che in qualche modo si riferisce al raggio terrestre, con la Terra in movimento che incontra il moto solare con diversi raggi. Lo definiremo meglio in seguito. In ogni caso se ne ha un’idea dicendo che la direzione dell’orbita solare si deve porre in posizione radiale rispetto alla superficie della Terra. Pensando a tutto questo non ci rimane che concludere che la Terra non può in alcun caso compiere una rotazione attorno al Sole, e che quindi quella che si calcola giustamente e con tanta cura come la rotazione della Terra attorno al Sole deve certo essere la risultante di altri movimenti.

 

I particolari che riguardano la formazione dell’uomo sono così complicati che la brevità del nostro corso non consente di trattarli tutti. Riflettendo sui diversi accenni qualitativi morfologici, si vedrà che in merito alla formazione umana abbiamo la Terra che segue il Sole, o meglio si ha un procedere del Sole seguito dalla Terra; quindi orbita terrestre e moto solare devono in certo modo coincidere: la Terra segue il Sole in modo che durante la sua rotazione i raggi terrestri coincidano con il moto solare, o per lo meno abbiano una qualche relazione con esso.

 

Si può naturalmente obiettare che tutto ciò contrasta con quel che dice l’astronomia ufficiale. Ma non è così, non è affatto così! Si sa infatti che l’astronomia corrente, per spiegare tutti i fenomeni, ipotizza che il Sole sia stabile in uno dei due punti focali dell’ellisse che la Terra percorre, e che contemporaneamente si sposti verso una determinata costellazione. Pensando in modo adeguato la direzione di quel moto, si vede che in certi casi dai moti del Sole e della Terra, così come vengono ipotizzati, si ottiene per la Terra un’orbita che non corrisponde all’ellisse pensata con la Terra rotante attorno al Sole; prende invece un altro aspetto che non è l’ellisse. Spiegherò poco alla volta queste cose; per oggi basti dire che quel che ho qui riferito non deve sembrare particolarmente rivoluzionario nei riguardi dell’astronomia corrente. Più importante è la morfologia e l’inserimento della figura umana in tutto il sistema del movimento degli astri. Non si tratta di presentare una rivoluzione nell’astronomia, non è il nostro caso.

 

Immaginando il moto della Terra come è disegnato nella fig. 6 (pag. 29) e anche il Sole in movimento, si può con facilità pensare che il Sole si muove e la Terra lo segue. Anche secondo l’attuale astronomia non è indispensabile che la Terra passi davanti al Sole; la Terra invece, quando il Sole si è già allontanato, lo segue nel suo moto. E anzi possibile, tenendo presente la velocità ipotetica che è stata calcolata per il moto solare, che si ottenga un bel risultato dai calcoli, e cioè che la risultante dell’ipotetico moto della Terra e dell’ipotetico moto del Sole diano un movimento e una velocità che possano venir inseriti nell’astronomia moderna.

 

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Vorrei solo far notare che quel che dico è in relazione con l’astronomia attuale, anzi le è più vicino di alcune teorie in cui si studiano solo certi movimenti, tralasciandone altri. Non intendo presentare una rivoluzione nell’astronomia, e lo dico espressa- mente per evitare la diffusione di favole, ma intendo inserire la figura umana nei movimenti dei corpi celesti, in tutto il sistema del cosmo. Faccio anche notare che i rapporti delle orbite fra loro, come sono costruiti secondo le osservazioni astronomiche, non sono tanto semplici. Come si sa dalla seconda legge di Keplero, le forme delle orbite dipendono dai raggi vettori, ossia dalla loro velocità. Quindi tutta la forma dell’orbita dipende dal raggio vettore. Se è così anche per le forme delle orbite, quali ci si presentano, dobbiamo pensare che in certe circostanze l’aspetto può ingannarci. Potrebbe darsi che nei nostri calcoli, che partono dalla velocità e dalla lunghezza del raggio vettore, non ci siano le grandezze originarie, bensì le risultanti; ne deriverebbe un’immagine apparente che ci obbliga risalire a monte.

 

Non sarebbe però nulla di eccezionale. Se infatti si vuol calcolare secondo l’astronomia corrente la posizione del Sole in un certo giorno e a una determinata ora, oggi serve più di un calcolo, più della semplice legge secondo cui la Terra si muove attorno al Sole. Si è infatti notato con stupore che nell’antica astronomia dei misteri, non in quella exoterica, si parlava non di un Sole, ma di tre Soli; si distinguevano tre Soli. Non posso dire di trovarvi qualcosa di straordinario, perché l’astronomia attuale ha pure tre Soli. Ha il Sole di cui calcola il corso, come apparente controimmagine del movimento della Terra attorno al Sole. Ha un altro Sole (in fondo solo pensato) per correggere alcuni dati che non corrispondono. Ha poi un terzo Sole che serve a correggere i dati che ancora non corrispondono dopo la prima correzione. Quindi, anche nell’astronomia attuale si distinguono tre Soli: uno reale e due pensati. Questi ultimi sono necessari per le correzioni, perché i calcoli non sono corretti e non danno l’esatta posizione del Sole. Occorre sempre correggere. Questo ci dice che non dobbiamo troppo fondarci sui nostri calcoli, e che sono necessari anche altri mezzi per avere adeguate idee sul moto degli astri.

 

Non potremo arrivare a maggiore precisione nelle nostre idee generali sulle orbite planetarie, se non continuiamo lo studio degli esseri terrestri. In merito è necessario studiare senza pregiudizi le relazioni reciproche fra i regni della natura. Di solito li si pensa in una linea retta: regno minerale, vegetale, animale, e voglio anche aggiungere quello umano che molti tralasciano, ma è lo stesso. Ci si chiede se questo ordine abbia poi un senso; è un ordine su cui si fondano molte idee del nostro tempo, almeno nel periodo di fioritura della visione meccanicistica della natura. Attualmente nella scienza vi è una certa disperazione, se si può dir così, ma le abitudini del pensiero sono rimaste quelle che fiorivano venti o trent’anni fa. Alla gente sarebbe piaciuto pensare che quella serie: minerale, vegetale, animale, uomo, avesse presentato nel minerale l’aspetto più semplice per risalire alle piante grazie a una certa combinazione della struttura minerale, e poi all’animale per una combinazione della struttura delle piante, e così via fino all’uomo. In tutte le teorie sulla generazione originaria, generatio aequivoca, si esprime la tendenza di far risalire la vita animata all’inanimato, all’inorganico, al minerale. Penso che ancora oggi molti scienziati credano che non si possono trovare altri legami ragionevoli nella serie dei regni della natura, se non si fa risalire all’inorganico quel che si presenta nell’uomo.

 

In molte discussioni, studi, libri e conferenze e altre pubblicazioni scientifiche che vogliono essere considerate serie e competenti, si trovano sguardi quasi ipnotizzati fissati su come poter dimostrare la nascita del primo essere vivente in una natura immaginata come un insieme di atomi solo minerali.

Ci si domanda però se si possa intendere così tutta la serie degli esseri naturali, se sia giusto il modo di tener conto delle loro caratteristiche più evidenti.

 

Paragonando un animale a una pianta, con tutti i risultati dell’osservazione si vede che nella formazione dell’animale non si trova qualcosa che si presenti come una continuazione della vita vegetale. Possiamo pensare la più semplice pianta annuale continuarsi in una perenne, ma è impossibile trarre dai principi di formazione organica qualcosa che indichi la continuazione della pianta nell’animale. È anzi più facile rilevarne una contrapposizione polare. Una delle più notevoli la si vede nell’opposto metabolismo dell’anidride carbonica da parte della pianta e dell’animale, dell’utilizzazione dell’ossigeno. Certo occorre fare attenzione a che queste cose siano osservate in modo giusto. Non si può semplicemente dire che l’animale inspira ossigeno, e che la pianta inspira anidride carbonica ed espira ossigeno. I fatti non stanno proprio così. Per quanto riguarda ossigeno e anidride carbonica, però, nel complesso piante e animali sono ai poli opposti. È più esatto descrivere la realtà dicendo: ciò che accade nell’animale quando ossigeno e carbonio si uniscono e vengono espulsi in forma di anidride carbonica è un processo catabolico, vale a dire che l’anidride deve essere eliminata affinché l’animale possa esistere. Lo stesso vale per l’uomo. Nella pianta invece l’anidride deve essere assorbita.

 

Si badi bene: il risultato di un processo di distruzione, che deve essere eliminato dall’animale, fa parte invece del processo costruttivo delle piante. È un’opposizione polare palpabile. Non si può pensare il processo formativo dell’animale come continuazione lineare di quello vegetale, e ciò che impedisce la vita dell’animale va viceversa pensato come fattore costruttivo delle piante. Nel metabolismo animale il carbonio deve essere eliminato nell’anidride carbonica con l’ossigeno; capovolgendo il processo si può immaginare il processo anabolico della pianta.

 

Non si ha quindi un processo in linea retta da pianta ad animale. Possibile è però immaginare (senza cadere in un errato simbolismo) un centro ideale e vedere da un lato il processo formativo della pianta, e dall’altro quello dell’animale, come una specie di processo divergente (fig. 7).

 

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Il centro ideale va pensato nel senso che se si volesse continuare in linea retta il processo formativo della pianta, si arriverebbe alla pianta perenne e non all’animale. Quando però si giunge alla pianta perenne ci si presenta qualcosa che, seguendolo abbastanza a lungo, ci permette di arrivare a qualcos’altro. Pensando una pianta perenne e continuando la sua linea di sviluppo si arriva alla mineralizzazione. Possiamo dunque dire che nel diretto proseguimento del processo formativo delle piante abbiamo la strada verso la mineralizzazione.

 

Se ora andiamo a vedere la contrapposizione polare nell’altro lato della biforcazione (quello della formazione animale), chi procede per schemi penserebbe di dover prolungare anche questo lato, l’altro ramo della biforcazione; ma non sarebbe una continuazione polare. Dobbiamo invece pensare: per le piante abbiamo una continuazione, per gli animali dobbiamo procedere a ritroso, andare in direzione contraria, immaginare che il processo formativo dell’animale non proceda oltre se stesso, ma rimanga dietro al proprio divenire.

 

Studiamo ora la zoologia, secondo le ricerche di Selenica, sulla differenza fra embrioni animali e umani e sull’aspetto della forma animale e umana dopo la nascita; si avrà un’idea di questo “rimanere indietro”. In realtà abbiamo la nostra forma umana grazie al periodo embrionale nel quale avanziamo come gli animati, restiamo indietro. Studiando questi regni del tutto esteriormente e liberi da ipotesi, abbiamo tuttavia la necessità di tracciare una linea matematica ben singolare, una linea che sparisce quando si vuol procedere dall’animale all’uomo e che invece prosegue per la pianta (fig. 8).

 

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Ancora un ampliamento della matematica! Nel disegno di questo schema abbiamo una differenza che è pura matematica: vi sono linee che, se continuate, diventano più lunghe, e altre che, se continuate, diventano più corte. È un pensiero matematico perfettamente valido.

Se dunque vogliamo mettere in un certo ordine i regni della natura, dobbiamo avere un punto ideale dal quale si biforchino il regno vegetale e quello animale; prolungando la linea dalla parte della pianta, essa diventa più lunga, e diventa invece più corta allungandola dalla parte degli animali. È una rappresentazione matematica: otteniamo così le relazioni fra i regni della natura avendoli uno accanto all’altro. Sorge ora un quesito, e ce lo vogliamo porre perché è importante dargli una risposta. A che cosa corrisponde quel punto ideale nella realtà? Possiamo intuire che, come i vari regni della natura sono in relazione con quel punto ideale, così nel cosmo i vari moti degli astri devono essere collegati con qualcosa che vi corrisponde.

 

Ce ne occuperemo domani.