Atmosfere animiche da ricercarsi partendo dal gesto del suono

O.O. 279 – Euritmia linguaggio visibile – 10.07.1924


 

Sommario: Caratteri dei movimenti euritmici: Hallelujah. Evoè. Ironia faceta. Uso di forme per i versi di una poesia. La poesia nasce dal gesto e dalla forma nelle sedi di misteri. Movimento e gesto precedono la formazione della poesia. La vera poesia ha sempre l’euritmia in sé. Il rapporto intimo tra l’elemento euritmico e quello linguistico. Accelerazione e ritardo del tempo.

 

Proseguiremo innanzi tutto con le forme di cui abbiamo parlato ieri. Vorrei considerare per prime quelle forme che ci permettono di stabilire un certo rapporto tra discorso e replica. Ieri ho parlato delle spirali e abbiamo visto come una spirale fatta verso L’esterno faccia sentire che si esce da sé, l’altra un ritorno in sé. Queste spirali si lasciano unire fra loro anche nella forma. Si eseguano le spirali con un ritmo anapestico e in successione l’una dopo l’altra. (Alle euritmiste: «Provate a farlo prendendo (I) la spirale che va dall’interno all’esterno e (11) fate ora quella che va dall’esterno all’interno; ora viceversa, sei anapesti. Lo si può fare così»).

 

Se però abbiamo un discorso coerente, ipotizziamo un colloquio con domanda e risposta in un dramma, allora è meglio fare la spirale che va dall’interno all’esterno, che corrisponderebbe alla risposta, ponendo semplicemente, al posto dei due ultimi anapesti, due passi molto lunghi con forte accentuazione, come se si volessero proprio avere semplici lunghezze o un semplice tono alto. Lo si esegua in questo modo: quattro anapesti, due toni alti. Si ottiene in questo modo una forma che viene avvertita come del tutto adeguata a esprimere euritmicamente il dialogo di un dramma, o un semplice dialogo.

 

Questo riveste un certo significato anche sul piano della pedagogia terapeutica. Ho detto ieri che si può utilizzare una spirale allo scopo di trattare bambini che sono troppo vivaci, sfrenati, che si picchiano; l’altra spirale per i bambini flemmatici, che non giungono ad alzare le mani.

 

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Se le si fanno eseguire ai gruppi di bambini singolarmente si ottiene un certo successo. Ma formando due gruppi, uno con bambini dal temperamento collerico, l’altro con quelli dal temperamento flemmatico, e facendo fare queste spirali in modo che i due gruppi si debbano guardare negli occhi, allora si correggeranno l’un l’altro. Sarà quindi un esercizio molto efficace perché sfrutterà la correzione reciproca.

 

Partendo proprio da tali fondamenti, abbiamo utilizzato nel corso del tempo tutta una serie di caratteri di movimento ben determinati. (Rivolgendosi a un euritmista: «Ci faccia per favore la forma dell’hallelujah. La si può fare in un primo tempo soltanto nel pentagramma. Stia nel punto più arretrato del pentagramma e ne utilizzi un lato per fare l’hallelujah. Cominci con la h, passi alla a, faccia poi la i sette volte; poi passi alla e; faccia per la seconda volta la i tre volte; poi faccia u, i, a. Ma durante questo tempo, deve percorrere la linea e poi la seconda. Quando lo fa da solo, deve ripetere l’esercizio cinque volte»).

 

Prendiamo ora cinque persone ed ognuna faccia poi lo stesso esercizio che diventerà l’hallelujah. La I percorre la prima linea, la II la successiva, la III la terza, la IV la linea seguente e la V l’ultima linea.

(«Cominciate tutti nello stesso momento. Dovete calcolare esattamente di giungere al vostro posto, dopo aver fatto tutto l’esercizio»).

In tal modo si ottiene dal pentagramma una forma complicata che si trasforma continuamente. Se è studiata bene, assume un aspetto molto solenne e se ne riceve il vero carattere globale dell’hallelujah.

 

Vi è la possibilità di sentirlo anche in modo diverso. Veli 4 diamo nel disegno il primo, e il secondo, il terzo, quarto, quinto e poi un sesto e un settimo. Ognuno si muove nella direzione della freccia (v. disegno).

Si ottiene allora un’impressione diversa. Questi movimenti vanno fatti con la stessa disposizione solita. Gli esecutori davanti devono sempre stare in modo che quelli dietro stiano alla metà della distanza degli altri due, affinché si veda tutto. («Provate quindi: 1 a 2, 2 a 3, 3 a 4, 4 a 5, 5 a 6, 6 a 7 e 7, in un arco all’indietro, a 1. Tutti contemporaneamente»).

Si ottiene in tal modo un hallelujah di solennità tutta particolare grazie al tempo lento.

 

Lo si può ancora variare se ogni euritmista, giungendo al proprio posto, compie ancora un movimento ad arco (tutti lo eseguono contemporaneamente – v. disegno seguente). I due movimenti devono essere di nuovo colmati dagli stessi gesti. Si avrà così la necessità di intonare l’hallelujah un po’ più rapidamente. Si può elaborare molto di più tale gesto.

 

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Si può provare in questo modo: tutti gli euritmisti tranne due si sistemano nel pentagramma, uno dei due forma il sole (A) come abbiamo indicato ieri ed esegue il gesto solare mentre tutti gli altri percorrono il pentagramma. Il secondo (B) faccia il calmo gesto lunare, durante il quale gli altri percorrono il pentagramma. Allora abbiamo una forma per un hallelujah che intoniamo in un certo modo.

Passiamo da qui al secondo senza gli archi, e così abbiamo un halklujah molto solenne. E poi, mentre passiamo dal primo al secondo, sole e luna si dispongono come prima.

E allora si può passare all’ultimissimo, il che richiede quindi di nuovo un tempo più veloce. In tal caso l’hallelujah può risaltare nel modo più diverso. Si tiene una forma che può agire sugli spettatori in maniera davvero seria. Tentiamolo una volta: hallelujah.

In questo modo si ha la possibilità di utilizzare realmente le forme fino ad individualizzare l’interpretazione.

 

Vediamo ora una volta l’Evoé. (Rivolgendosi a un euritmista: «Lo può fare da solo»). Facciamo un passo con la e; con la v si stende un braccio e si pone l’altro come se si afferrasse qualcosa; con la o si avvicinano le braccia al corpo, ergendosi; con la e si fa un passo indietro. Eseguendo questi movimenti otteniamo la forma.

Vedremo adesso come può agire questa forma se la si fa in tre. In tre ci si può avvicinare tanto da prendere leggermente la mano dell’altro nella v. Questo diverrà tanto più espressivo quanti più euritmisti parteciperanno.

Questi sarebbero esempi per determinate forme che si possono elaborare in particolar modo penetrando nella loro atmosfera, conservando assolutamente il carattere dell’elemento euritmico, per trovare atmosfere animiche a partire dal gesto del suono.

 

Proprio in riferimento a un gesto che viene tratto dall’atmosfera animica come il suono viene ricavato in euritmia, si può vedere in riferimento a questo gesto come si possano riprodurre delle atmosfere animiche in maniera del tutto adeguata. Provate ad eseguire questo esercizio: un’euritmista ne guarda un’altra, si pone sulla punta del piede sinistro, fa ora il gesto della s mentre guarda l’altra. Credo appaia evidente come la tratti con ironia; l’ironia burlona scaturisce in modo del tutto naturale dal gesto euritmico compiuto nel senso giusto.

 

Immaginiamo che la stessa euritmista voglia fare per esempio il gesto seguente: dapprima ironizzare nella percezione e poi esprimere il carattere burlesco più attivamente con la sua volontà interiore.

Dapprima ripete quello che ha già fatto e poi prosegue abbassando le punte dei piedi, alzandosi con leggerezza; rimane nel gesto della s tenendo il viso e lo sguardo di traverso. Passate dal primo al secondo movimento: divertitevi prima con ironia, poi con la burla.

Ciò che si ottiene quando si cerca realmente il gesto risulta così del tutto adeguato, come abbiamo visto in questo caso. Con questo esempio volevo mostrare come le cose vadano sentite.

 

In euritmia si raggiunge davvero il punto cui si deve arrivare volendo eseguirla in modo artistico, quando si è in grado di sentire necessario ogni movimento, quello di una vocale, quello di una consonante, oppure gli altri che abbiamo indicato, nello stesso modo in cui abbiamo sentito come necessario questo movimento o gesto un po’ forte e deciso. Imparate proprio da questo gesto come ci si debba ritrovare nelle cose.

 

Vorrei mostrare ancora come le forme debbano essere utilizzate in realtà. Quelli che ieri hanno eseguito sul palcoscenico la danza della pace a cui abbiamo intessuto l’esercizio dell’io-e-tu, ricordino com’erano disposti nei quattro gruppi di tre. Chiedo loro di tornare sul palcoscenico e disporsi allo stesso modo. Adesso invece di fare come ieri la forma muta, faremo la prima forma, quella del triangolo, tre volte sui versi della poesia: Es keimen der Seele Wlinsche (Germogliano i desideri dell’anima). Poi secondo verso, secondo movimento, terzo verso, terzo movimento. Arriviamo così nella posizione di ieri da cui abbiamo iniziato lio-e-tu. Alla fine vi sono ancora tre versi in cui si ritorna alla danza della pace:

 

Es keimen der Seele Wünsche,      Es wachsen des Willens Taten,       Es reifen des Lebens Fruchte.

Ich fuhle mein Schicksal,      Mein Schicksal findet mich.

Ich fuhle meinen Stern,      Mein Stern findet mich.

Ich fühle meine Ziele,      Meine Ziele finden mich.

Meine Seele und die Welt      Sind eines nur.

•  (Germogliano i desideri dell’anima, crescono le azioni della volontà, maturano i frutti della vita.

Io sento il mio destino, (avvicinarsi) il mio destino mi incontra. (indietro)

Io sento la mia stella, (avvicinarsi) la mia stella mi incontra. (indietro)

Io sento le mie mete, (avvicinarsi) le mie mete mi incontrano. (indietro)

La mia anima e il mondo sono una cosa sola.) (incrociarsi)

 

Ora vengono le ultime tre righe, la danza della pace:

 

Das Leben, es wird heller um mich,      Das Leben, es wird schwerer fùr mich,       Das Leben, es wird reicher in mir.

(La vita diviene più chiara intorno a me, la vita diviene più difficile per me, la vita diviene più ricca in me.)

 

Abbiamo in tal modo un contesto: non è semplicemente l’io-e-tu schematico, e nemmeno una semplice forma asciutta; nella struttura del verso, anche se non è perfetta, abbiamo una connessione che ci indica che possiamo usare queste forme. Proviamo ancora una volta. Adesso lo si comprende già meglio: si crea un’equazione del tutto perfetta tra la forma e il contenuto dei versi.

Abbiamo visto nello stesso tempo un esempio del legame molto stretto tra il linguaggio euritmico e il linguaggio in quanto tale.

 

Ho cercato – ma si tratta di un debole tentativo che può solo servire da esempio – di rispondere alla domanda: come scaturirono le poesie da certi misteri in cui esisteva senz’altro l’arte del movimento che vogliamo rinnovare con l’euritmia, come scaturirono da quelle sedi di misteri? Non venne prima il linguaggio, la forma linguistica della poesia, ma si ebbero prima delle sensazioni, poiché l’uomo originario aveva questo in sé, sentiva prima il movimento, il gesto con la sua forma. E, partendo dalla forma, dal gesto e dalla forma, si cercò la forma della poesia. La forma del movimento euritmico e il gesto precedettero la formazione della poesia.

 

Questo ci mostra il rapporto intimo tra euritmia e linguaggio terreno. L’euritmista deve avere in qualche misura il sentimento che non si può in effetti euritmizzare qualsiasi poesia. Il novantanove per cento delle poesie che sono state scritte nel corso del tempo è davvero poco artistico; ne rimane al massimo l’uno per cento. Le varie storie della letteratura non sarebbero così ponderose se si considerasse solo la vera poesia. La vera poesia ha sempre in sé l’euritmia, come se l’autore eseguisse prima nel corpo eterico i corrispondenti movimenti e gesti euritmici, come se il suo corpo fisico avesse soltanto lo scopo di tradurre nel linguaggio dei suoni i gesti e i movimenti euritmici. Una vera poesia può nascere soltanto in questo modo.

 

Tutto questo non può avvenire nella coscienza intellettualistica. Anche nell’epoca contemporanea vi sono poeti che danzano con il loro corpo eterico prima di dar forma alla poesia, così come ve ne furono in passato, ad esempio Schiller nelle sue opere migliori, quelle più poetiche. Nella maggior parte delle poesie di Goethe si sente che in realtà vi è dietro il gesto euritmico. Vi è tutta una serie di poeti dei quali si può dire: quanto sto eseguendo è senz’altro presente in loro inconsciamente. È presente a livello inconscio.

 

Ma l’euritmista deve sentire naturalmente, dal modo in cui agisce sul suo organismo, se una poesia possa essere euritmizzata, cioè se possa dare risposta alla domanda: comprendo il poeta come euritmista? ha avuto in sé qualcosa nel modo in cui voglio esprimerlo nella forma? Allora, se si sentirà così, si avrà un certo rapporto interiore con la poesia che può essere euritmizzata.

 

Certo non si può esagerare e, in ambito antroposofico, non siamo mai fanatici: non si può esagerare. Non occorre per esempio pretendere di euritmizzare soltanto poesie misteriosofiche o poesie create secondo il modello dell’arte dei misteri.

Ma non si cadrà nella tentazione di esprimere in euritmia una poesia di Wildenbruch. Queste cose vanno sentite dall’euritmista, altrimenti non si penetrerà nel vero elemento euritmico.

 

Spero si sia così compreso il rapporto intimo tra l’elemento euritmico e quello linguistico.

(A un euritmista: «Vorrei ora pregarla di euritmiggare i seguenti versi»):

 

Mein Freund, kannst du es nicht lassen,     Mir das Traurige immer wieder In die       Seele zu rufen?

(Amico mio, non puoi tralasciare di richiamarmi continuamente all’anima ciò che è triste?)

 

(«Lo faccia prendendo come forma un semplice movimento a onda, ma in modo che giungendo nella frase a Mein Freund, kannst du es nicht lassen inif ad accelerare sostanfalmente il tempo, in modo che si veda come l’accelera dopo lassen e faccia la seconda metà: Mir das Traurige immer wieder in die Seele zu rufen, con un tempo sostan- zialmente accelerato. Lo faccia ancora una volta. Invece ora faccia il contrario con la frase seguente»):

 

Was seh’ ich? Es ist der Morgensonne Glanz!

(Che vedo? È lo splendore del sole mattutino!)

 

(«Dopo seh’ ich cerchi di rallentare sostanzialmente il tempo che ha preso prima velocemente. Ha qui il passaggio da un tempo lento ad uno accelerato nel primo esempio, e il passaggio da uno accelerato ad uno lento nel secondo»).

 

Quando in qualche punto, come nella prima frase, si esprime una volontà, un’aspirazione che si vuole in qualche misura trattenere (“non vorrei ch’egli continuasse a richiamarmelo all’anima”) allora abbiamo il passaggio da un tempo lento a uno veloce.

Quando invece vi è un evento esterno che agisce, e sorge quindi l’esigenza di sviluppare l’attenzione su qualcosa, quando si giunge alla percezione, come nella seconda frase, allora si passa dal tempo accelerato a quello rallentato.

 

Mein Freund, kannst du es nicht lassen,       Mir das Traurige immer wieder In die        Seele zu rufen?

(Amico mio, non puoi tralasciare di richiamarmi continuamente all’anima ciò che è triste?)

volere

 

Was seh’ ich? Es ist der Morgensonne Glanz!

(Che vedo? E lo splendore del sole mattutino!)

percezione

 

Si sentirà come in questi due tempi si esprima effettivamente di nuovo ciò che si può chiamare “il portare nel movimento il volere e il percepire o il sentire”. Si dovranno cercare poesie a seconda che corrispondano di più ad un volere, ad un opporsi a qualche cosa, oppure che vi risieda un elemento di difesa, oppure che vi sia contenuto un carattere di dedizione, che sviluppi per esempio anche venerazione, devozione che si vogliano esprimere nel movimento.

Naturalmente accade poi che si aggiunga il gesto corrispondente che abbiamo per esempio visto per la devozione. La questione diviene tanto più elevata. Si possono infatti esprimere in parecchi modi le cose che si vogliono esprimere.