Distinzione fra l’antico sistema eliocentrico e quello tolemaico

O.O. 323 – Rapporto delle diverse scienze con l’astronomia – 13.01.1921


 

Sommario: Il sistema eliocentrico di Aristarco di Samo e del terzo periodo postatlantico. Il sistema tolemaico, limitato al quarto periodo; differenze in esso fra pianeti interni ed esterni. Riflessi nell’organizzazione umana per il cuore. Il sistema tolemaico nella storia. Keplero e il ritorno apparente al sistema eliocentrico egizio. Distinzione fra l’antico sistema eliocentrico e quello tolemaico. La concezione astratta di Newton. Pianeti interni ed esterni contrapposti a uomo-animale e vegetale-minerale.

 

È noto che nella letteratura divulgativa si dice che in astronomia fino al tempo di Copernico vigeva il sistema tolemaico e che con Copernico si è passati al nuovo sistema, che è diventato patrimonio spirituale del mondo civile; con qualche modificazione lo si riconosce ancora oggi. Per lo studio dei prossimi giorni sarà però di speciale importanza un fatto che comunico ora, leggendo una citazione di Archimede a proposito della visione cosmologica di Aristarco di Samo: «Secondo l’opinione sua il cosmo è molto più grande di quanto si creda; egli suppone infatti che le stelle fisse e il Sole rimangano immobili, che la Terra giri attorno al Sole che sta al centro, e che la sfera delle stelle fisse nel cui centro si trova il Sole abbia una tale grandezza che il perimetro del cerchio, lungo il quale egli suppone che giri la Terra, ha rispetto alla distanza delle stelle fisse la stessa proporzione che il centro di una sfera ha rispetto alla superficie».

 

Con le parole che descrivono la visione dello spazio secondo Aristarco, si penserà che fra la sua visione del cosmo e la nostra attuale concezione postcopernicana non vi sia alcuna differenza. Aristarco di Samo visse nel III secolo a.C.; possiamo dunque pensare che al suo tempo le persone di una certa importanza culturale avessero un’immagine del cosmo analoga a quella dell’astronomia attuale. Eppure è da notare che nelle menti degli uomini che studiavano questi fatti l’immagine eliocentrica scomparve per lasciare il posto a quella tolemaica, e che solo con il periodo che chiamiamo il quinto della civiltà postatlantica ritroviamo l’immagine eliocentrica che già aveva Aristarco di Samo nel III scolo a.C. è facile intuire che come pensava Aristarco di Samo pensassero molti altri.

Chi studia l’evoluzione del pensiero spirituale umano, anche se è difficile provarlo con documenti, trova che a un certo gradino di evoluzione l’ipotesi eliocentrica era la più riconosciuta da coloro che se ne occupavano, anche in tempi anteriori rispetto ad Aristarco. Risalendo al periodo che chiamiamo terzo postatlantico, vigeva l’immagine eliocentrica, e dobbiamo dire che uomini importanti del tempo, che godevano di autorità in questo campo, seguivano l’immagine eliocentrica che Archimede dice presente in Aristarco di Samo, descrivendola in modo da non distinguerla dalla teoria attuale.

 

Dobbiamo dunque dire che, curiosamente, la visione eliocentrica già esisteva nel pensiero umano, fu poi sostituita da quella tolemaica e di nuovo riconquistata nel quinto periodo postatlantico. Il sistema tolemaico ebbe dunque valore solo per il quarto periodo postatlantico. Non ho inserito ora a caso queste considerazioni, dopo aver parlato a proposito di un punto ideale nella linea evolutiva dei tre regni della natura. Vedremo anzi che tutto ciò sta in una relazione organica. Dovremo approfondire di più questi fatti.

 

In che cosa consiste essenzialmente il sistema tolemaico? Tolomeo e i suoi pensano una Terra immobile attorno a cui ruota il firmamento delle stelle fisse e il Sole, mentre per i pianeti, con le immagini del loro moto apparente di cui ci siamo già occupati, il sistema elabora formule matematiche ben precise. Tolomeo vede la Terra in un punto con intorno il cielo delle stelle fisse, e il Sole che si muove in un cerchio eccentrico intorno alla Terra. Anche i pianeti si muovono in cerchio, ma non in un semplice cerchio come il Sole (fig. 1, pag. 33). Tolomeo prende un punto che si muove in un cerchio eccentrico che chiama “cerchio deferente” e fa di quel punto il centro di un altro cerchio.

Fa muovere il pianeta in quel cerchio, così che la vera orbita del pianeta è prodotta dalla cooperazione dei movimenti del cerchio 1 e del cerchio 2.

 

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Fig. 1

 

Così per Tolomeo Venere ruota sul cerchio 2 il cui centro si muove sul cerchio 1; il moto di Venere è quindi la risultante dei due movimenti. Per comprenderli dobbiamo tener presenti due cerchi: il deferente (1) e il piccolo cerchio detto epiciclo (2). Tolomeo pensa che Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio abbiano moti di questo tipo, non però il Sole, mentre la Luna si muove in un piccolo cerchio epiciclo. I tolemaici calcolavano, e dobbiamo dire con molta cura, i luoghi del cielo dove si trovano i pianeti e mettevano in rapporto fra di loro i vari moti per arrivare a capire come essi si trovassero in un dato luogo in un dato momento. Stupefacente è quanto fossero relativamente precisi i calcoli dei tolemaici, di Tolomeo e dei suoi seguaci in questo campo.

 

Se infatti oggi tracciamo l’orbita di un pianeta qualsiasi, diciamo ad esempio di Marte, secondo i nostri dati astronomici, e confrontiamo la nostra orbita presunta di Marte con quella che si tracciava secondo la teoria tolemaica dei cerchi deferenti e degli epicicli, vediamo che le due curve si distinguono appena. La differenza è minima e c’è solo perché oggi si calcola in base a più precisi risultati delle osservazioni. Dunque i tolemaici non erano rimasti poi tanto indietro rispetto a oggi, per quanto riguarda i risultati. Non dipendeva dalle loro osservazioni la costruzione di quel particolare sistema di moti planetari che colpisce per la sua complessità: tutti pensano infatti che il sistema copernicano sia assai più semplice. Abbiamo nel centro il Sole attorno a cui i pianeti si muovono in cerchi o ellissi. E infatti molto semplice! Quello tolemaico (fig. 1) è invece molto complesso: ha un cerchio orbitale, poi un altro cerchio, addirittura un cerchio eccentrico.

 

Eppure, per quasi tutto il quarto periodo postatlantico si è con tenacia seguito il sistema tolemaico, tanto che dobbiamo chiederci: in che cosa i tolemaici si differenziavano nel modo di pensare lo spazio planetario e i suoi astri da quello di Aristarco di Samo e di coloro che pensavano come lui? In che cosa si distinguono questi due modi di pensare il sistema cosmico? È certo difficile parlare di questa differenza, perché molte cose in apparenza simili si differenziano interiormente molto. Dalla descrizione del sistema di Aristarco dataci da Archimede, dovremmo pensare che il sistema elio-centrico in sostanza non differisca da quello copernicano.

 

Penetrando però più a fondo nello spirito dell’immagine cosmica di Aristarco troviamo dell’altro. Anche Aristarco seguiva i fenomeni esteriori con linee matematiche, pensava i moti dei corpi celesti con linee matematiche, come fanno anche i copernicani. Fra i due sistemi si inserisce il curioso sistema di Tolomeo di cui non si può dire che la rappresentazione matematica coincida con l’osservazione.

 

Questa è la differenza determinante. La rappresentazione matematica non si appoggia alla serie dei punti di osservazione, ma si comporta come qualcosa che, per giustificare le osservazioni, si isola dalle osservazioni stesse, diventa qualcosa di diverso dal loro semplice collegamento, tanto che esse possono essere comprese solo avendo una tale rappresentazione.

 

Se oggi qualcuno volesse fare un modello del sistema planetario metterebbe il Sole in un punto qualsiasi, rappresenterebbe con linee le orbite planetarie e tali linee sarebbero per lui le orbite stesse. Collegherebbe per così dire le posizioni dei pianeti con linee matematiche. Tolomeo non lo fece; avrebbe piuttosto costruito il suo modello supponendo un perno centrale, poi un’asta a capo della quale vi sia una ruota che gira, e ancora una ruota che gira (fig. 2).

 

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Fig. 2

 

Il modello così costruito, l’immagine matematica che vive nella rappresentazione tolemaica, non ha alcuna somiglianza con quel che si vede. Per Tolomeo l’immagine matematica è qualcosa di diverso da ciò che appare esteriormente. Torniamo ora al sistema copernicano che collega i singoli luoghi empirici di osservazione con linee matematiche che corrispondono a quel che vi era già in Aristarco di Samo. È la stessa cosa? Dobbiamo proprio chiederci: è la stessa cosa?

 

Da come si regge il sistema copernicano con le sue premesse, ci si dirà che esso è molto vicino al nostro comportamento matematico in campo empirico. Copernico, è dimostrato, costruì idealmente il suo sistema planetario come noi costruiamo idealmente un triangolo che poi ritroviamo nella realtà empirica esterna. In un certo senso egli partì da un’immagine matematica a priori che poi applicò a fatti empirici.

 

Che cosa vi è alla base del sistema di Tolomeo che lo rese complesso? Era tanto complesso che quando lo si presentò al re Alfonso di Spagna (è noto l’episodio), questi disse con la sua coscienza di sovrano: «Se Dio mi avesse chiesto consiglio per la creazione, l’universo sarebbe stato più semplice di questo, pieno di cicli ed epicicli». In quell’insieme di cicli ed epicicli esiste forse qualcosa di legato alla realtà? Vorrei porre la domanda: è tutta una fantasia o contiene qualcosa che si può riferire a una realtà? Per deciderlo, approfondiremo la questione.

 

Seguendo in senso tolemaico i movimenti del Sole, i movimenti apparenti del Sole, i movimenti apparenti di Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, possiamo dire che l’angolo prodotto da quei movimenti dà sempre una certa grandezza; possiamo perciò confrontare i movimenti che indicano le posizioni dei singoli astri nel cielo. Il Sole non si muove in epiciclo, possiamo dunque dire che il suo movimento giornaliero nell’epiciclo è zero. Possiamo allora stabilire il movimento giornaliero di Mercurio nell’epiciclo, attribuendogli una cifra che chiamerò x1, per Venere sarà x2, per Marte x3, per Giove x4, per Saturno x5.

 

Vogliamo anche fissare i movimenti che fanno i punti centrali degli epicicli sui cerchi deferenti secondo il sistema tolemaico, mettendo y per il Sole. Abbiamo allora il fatto singolare che il valore del movimento del punto centrale dell’epiciclo di Mercurio è uguale a quello del movimento del Sole; dobbiamo cioè usare ancora y, e mettere y anche per Venere. Questo significa che i punti centrali degli epicicli di Venere e Mercurio si muovono su orbite coincidenti con l’orbita solare, ossia parallele. Invece i movimenti dei punti centrali degli epicicli di Marte, Giove e Saturno sono diversi, diciamo x’, x’’, x’’’. Sommando però x3+x’, x4 + x’’, x5 + x’’’, facendo cioè la somma dei movimenti negli epicicli e dei movimenti del punto centrale degli epicicli, ossia dei cerchi deferenti, ottengo una grandezza costante che è la stessa che si ha con y per i movimenti del Sole e del punto centrale degli epicicli di Venere e di Mercurio.

X3 + x’ = y

X4 + x’’ = y

X5 + x’’’ = y

Si vede che vi è una notevole regolarità, la quale ci porta a considerare diversamente il significato cosmico dei punti centrali degli epicicli di Venere e Mercurio, che sono vicini al Sole, rispetto a quelli di Marte, Giove e Saturno che ne sono lontani; in questi ultimi i punti centrali degli epicicli non hanno lo stesso significato cosmico. Vi è qualcosa che dà al percorso delle loro orbite un significato del tutto diverso da quello dei pianeti vicini al Sole. Questo fatto era ben noto ai tolemaici ed era uno dei fattori decisivi per la costruzione del singolare sistema di cicli ed epicicli che si allontanava dall’evidenza empirica. Furono proprio questi i fattori che resero loro necessaria la costruzione di un simile sistema.

Per tali motivi per i tolemaici, secondo la loro particolare concezione, era concreto il pensiero: se Mercurio e Venere per qualcosa d’altro hanno lo stesso valore di Giove, Saturno e Marte, non si può semplicemente parlare di un cerchio regolare e così via (pensiero che per l’uomo moderno rimane più o meno inespresso, poiché egli si limita a narrare che quelle persone hanno costruito quel sistema). Un pianeta ha infatti significato non solo nel proprio spazio, ma anche oltre. Non basta guardarlo nella sua posizione in cielo e nei suoi rapporti con gli altri corpi celesti; si deve partire dal pianeta e arrivare al punto centrale dell’epiciclo. Quel punto centrale si comporta nello spazio nello stesso modo in cui vi si comporta il Sole. Così possiamo tradurre nel linguaggio moderno quel che si diceva allora: i punti centrali degli epicicli di Venere e Mercurio si muovono nello spazio nello stesso modo in cui si muove il Sole. Però gli altri (Marte, Giove e Saturno) si comportano in modo diverso, sono come il Sole soltanto se si sommano i loro moti con i moti del cerchio deferente. Dunque il loro rapporto col Sole è diverso.

 

Il sistema tolemaico si fondava su questi diversi comportamenti rispetto al Sole; non si voleva infatti costruire un sistema di pensiero fondato semplicemente sull’insieme di linee dei luoghi planetari dati empiricamente, ma si voleva costruire un sistema di pensiero in base a qualcosa d’altro. Alla sua base vi era una reale conoscenza, ed è un fatto che non si può negare, se lo si studia in modo storicamente corretto. L’uomo attuale naturalmente dice: siamo tanto progrediti col sistema copernicano da non aver bisogno di seguire quelle persone. L’uomo moderno non si occupa dei tolemaici, ma se lo facesse vedrebbe che essi pensavano che Marte, Giove e Saturno stessero con l’uomo in un rapporto diverso da Mercurio e Venere. Essi mettevano Giove, Saturno e Marte in relazione con la struttura della testa, e Venere e Mercurio con l’organizzazione che è al di sotto del cuore. Anziché “testa” sarebbe meglio dire che Giove, Saturno e Marte erano messi in relazione con la struttura di tutto ciò che al di sopra del cuore, e Mercurio e Venere con tutto ciò che è al di sotto del cuore. Quindi, i tolemaici riferivano all’uomo ciò che esprimevano col loro sistema.

 

Su che cosa si basa tutto ciò? Per avere una risposta, penso che sia necessario cogliere il tono di fondo del mio libro Enigmi della filosofia, dove espongo la diversa maniera di conoscere il mondo prima del secolo XV e dopo. Questo “uscire dal mondo”, che fu possibile solo dopo il secolo XV, prima non esisteva. Su questo punto non si è capiti bene dal mondo moderno. Oggi diciamo: penso le cose più diverse sul mondo, ho le più diverse percezioni sensorie. Crediamo di essere diventati molto intelligenti rispetto agli uomini di un tempo che erano sciocchi e immaginavano una quantità di cose infantili. Si pensa quasi che quella brava gente sarebbe arrivata già prima ad avere idee intelligenti, se soltanto si fosse sforzata un pochino.

Fu necessaria tutta l’evoluzione dell’umanità, perché gli uomini divenissero intelligenti come lo sono ora. Non si tiene affatto conto che il modo di immaginare il mondo, di confrontarsi con esso era del tutto diverso. Paragonando i vari passaggi come li ho descritti nel mio Enigmi della filosofia, si vede che dall’inizio alla fine del quarto periodo postatlantico non si distinguevano nettamente concetto, immagine e contenuti sensori: erano tutt’uno. Si vedeva nella qualità sensoria anche l’immagine, l’idea, in modo tanto più intenso quanto più si risale nel tempo. Dobbiamo avere idee esatte sull’evoluzione dell’umanità. Il dott. Stein* dice nel suo libro cose giustissime per il nostro tempo, ma se in passato, nella scuola di Alessandria, egli avesse dovuto scrivere un saggio sulla percezione sensoria avrebbe dovuto esprimersi in modo del tutto diverso. Non lo si vuole riconoscere oggi, perché rendiamo tutto assoluto.

 

Risalendo ancora nel tempo, fino al fiorire del periodo egizio-caldaico, troviamo che concetto, pensiero e realtà esteriore fisico-sensoria sono ancora più uniti. Da quella stretta unione derivano le immagini che troviamo infine, seppur in decadenza, in Aristarco di Samo. Prima ancora erano assai più evidenti. Il sistema eliocentrico fu appunto percepito non appena il pensiero si rivolse alla percezione sensoria esteriore. Nel quarto periodo postatlantico, dall’VIII secolo a.C. al XV d.C., l’uomo dovette staccarsi da quel mondo unitario dei sensi. E qual era il campo più adatto? Quello in cui l’unione della realtà esteriore con il pensiero sembrava presentare le più grandi difficoltà. Ora il pensiero poteva liberarsi dalle impressioni dei sensi.

 

Se dunque consideriamo in questa prospettiva il sistema tolemaico, vediamo che fu un importante strumento per l’educazione dell’uomo, e con ciò arriviamo all’essenza del sistema. Fu la più grande scuola di emancipazione del pensiero dalla percezione sensoria. Quando poi l’emancipazione giunse a un certo livello di pensiero interiore, come si vide allorché spiriti come Galileo e altri poterono pensare la matematica astratta presentandola in modo tanto complesso, giunse Copernico. Studiò i vari risultati delle osservazioni sulle uguaglianze della y in vari luoghi e, partendo da quei risultati matematici, potè costruire il suo sistema cosmico che fu appunto disegnato partendo da quei risultati. E un ritornare dal pensiero astratto alla realtà fisico-sensoria.

 

Interessantissimo è vedere come nell’immagine astronomica l’umanità si stacchi dalla realtà esteriore. Tenendolo presente, comprendiamo come giustamente dobbiamo tornare indietro, in un senso più completo. Ma come farlo? Keplero ne aveva ancora un sentore. Spesso cito una sua espressione, che suona un tantino enfatica, in cui dice all’incirca così: «Ho preso i sacri vasi degli Egizi dai loro templi per portarli agli uomini moderni». Nel suo sistema planetario, sorto da una concezione molto romantica della struttura dell’universo, sentiva quasi il rinnovarsi del vecchio sistema elio-centrico. Un sistema che non era creato a partire da ciò che si vede con gli occhi, ma sentendo che cosa vive nelle stelle.

 

L’umanità che in origine aveva costruito il sistema di Aristarco, col Sole centrale intorno a cui ruota le Terra, quell’umanità sentiva nel cuore gli effetti del Sole, nella testa quelli di Giove, Saturno e Marte, nello stomaco, nel fegato e nella milza quelli di Venere e di Mercurio. Erano esperienze reali, e il sistema era stato costruito da quelle esperienze presenti in tutto l’uomo. In seguito, quell’esperienza complessiva andò perduta. Si percepiva ancora con gli occhi, le orecchie e il naso, ma non più col cuore o col fegato. Per l’uomo attuale, percepire qualcosa del Sole col cuore o di Giove col naso è pura follia. Certo si può capire perché sia considerata follia. Quest’intensa esperienza del cosmo, col tempo, andò perduta.

Tolomeo creò un’immagine matematica del cosmo che conteneva ancora qualcosa dell’antico sentire, il quale però, dal punto di vista qualitativo, si era già allentato. I tolemaici percepivano (ma solo in epoca antica, poi non più) che le cose stanno rispetto al Sole in un modo diverso che non, per esempio, rispetto a Giove. Il Sole manifesta la sua attività in modo relativamente semplice attraverso il cuore, Giove opera nella testa come una ruota, in cui si esprime l’epiciclo; in un senso diverso, descritto nella fig. 1, anche Venere agisce attraverso il cuore. Di tutto ciò a quel tempo si conservava ancora solo l’aspetto matematico, che si descriveva in forma circolare: il moto solare più semplice rispetto alle orbite più complicate dei pianeti; sempre, però, nella sua configurazione matematica in relazione con l’organizzazione umana.

 

In seguito tutto ciò andò perduto e rimase la piena astrazione. Oggi però dobbiamo ritrovare la via per una relazione con l’universo a partire dall’uomo nel suo complesso. Non si deve far seguire a Keplero un’altra astrazione, come fece Newton ponendo astrazioni in luogo di concretezze: la massa e così via, che è solo una conversione, una trasformazione per la quale non esiste alcuna realtà empirica. Dobbiamo seguire un’altra via, una via che penetri nella realtà ancora più a fondo di Keplero. Allo scopo dobbiamo studiare anche la forma e la struttura dei regni della natura in relazione con il sorgere e il calare del Sole, i moti del Sole, delle stelle e così via. Peculiare della concezione eliocentrica è che esista una contrapposizione tra i pianeti interni ed esterni e che al centro si trovi la Terra. Troviamo ancora in modo molto singolare un’altra specie di contrapposizione, come abbiamo detto ieri, tra minerale e pianta da un lato, e animale e uomo dall’altro.

Volendo disegnare questa biforcazione, dobbiamo fare in modo che il minerale continui la pianta da un lato, mentre per animale e uomo dobbiamo disegnare una linea che torni in se stessa (fig. 3).

 

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Fig. 3

 

Abbiamo dunque visto due cose: quello che possiamo chiamare il percorso speciale dei punti centrali e delle circonferenze degli epicicli, che danno un rapporto col Sole diverso a seconda che si tratti dei pianeti interni o esterni; inoltre, la prosecuzione del regno vegetale in quello minerale da un lato, la formazione dell’animale e il capovolgimento dall’animale all’uomo dall’altro. Come ho detto ieri, leggendo lo studio di Selenica si trova la giustificazione di questo simbolismo.

Tenendo presenti questi due complessi di cose cercheremo di ottenere un sistema cosmico corrispondente alla realtà.