L’origine soprasensibile dell’arte

O.O. 271 – Arte e conoscenza dell’arte – 12.09.1920


 

Sommario: Il naturalismo nell’arte nell’epoca materialistica. Il formarsi delle diverse arti. Il rapporto delle arti con la vita prenatale e del post mortem. L’esperienza del colore nel sonno. La pittura manifesta nello spazio il mondo spirituale. L’euritmia. L’arte del futuro rappresenta il mondo soprasensibile

 

Quel che l’umanità ha bisogno di accogliere in sé rispetto alle necessità dell’evoluzione è un’estensione della coscienza in tutti i campi della vita. Oggi l’umanità vive in modo che tutto quel che fa lo riallaccia ai soli avvenimenti fra nascita e morte. Per tutto quanto avviene si considera solo quanto si svolge fra nascita e morte; ma per risanare la nostra vita sarà essenziale che ci si interroghi su quel che avviene al di fuori di questo periodo della vita, quando ci troviamo in altre condizioni. La vita racchiude in sé quel che siamo e facciamo fra nascita e morte, e anche quel che siamo e facciamo fra morte e nuova nascita. Nella nostra epoca materialistica ci si rende poco conto dell’ingerenza della vita fra la morte e la nascita che abbiamo percorso prima di discendere in questa vita attraverso la nascita o meglio la concezione; né ci si rende conto di come in questa vita nel corpo fisico si svolgano già cose che a loro volta alludano alla vita che trascorreremo dopo la morte. Oggi diremo qualcosa che mostrerà come, rispetto all’intera vita umana, determinati campi culturali acquistino un’altra posizione se la coscienza umana si estende al di là della vita, anche ai mondi soprasensibili.

 

Credo che una domanda si potrebbe presentare osservando il complesso della nostra vita artistica. In questa prospettiva esamineremo oggi la vita soprasensibile. Ne risulterà qualcosa che in seguito potrà essere utile per lo studio della vita sociale.

In sostanza noi conosciamo come arti per eccellenza la scultura, l’architettura, la pittura, la poesia, la musica e, sulla base della vita e della conoscenza antroposofìca, vi aggiungiamo l’euritmia. La domanda che ritengo potrebbe sorgere di fronte alla vita artistica sarebbe questa: qual è la causa positiva, reale, per cui portiamo le arti nella vita?

L’arte riguarda la concreta realtà che scorre fra nascita e morte soltanto nell’epoca materialistica.

 

In essa si è dimenticata l’origine soprasensibile dell’arte, e per lo più non si cerca che di imitare quel che esiste nella natura esterna, percepibile ai sensi. Solo chi dunque abbia un sentimento davvero approfondito di fronte alla natura da un lato e all’arte dall’altro, non potrà essere d’accordo con l’imitazione della natura nell’arte, col naturalismo. Occorre infatti sempre riproporci la domanda: può ad esempio il miglior paesaggista incantare in qualche modo sulla tela la bellezza di un paesaggio naturale? Chi non abbia il gusto deformato, anche davanti a un paesaggio naturalisticamente ben colto, dovrà provare il sentimento che ho espresso nel prologo del mio primo mistero drammatico La porta dell’iniziazione, che cioè nessuna imitazione della natura potrà mai raggiungere la natura. Il naturalismo si mostra appunto contrario al sentimento di chi sente giustamente. Questi potrà certo considerare legittimo nell’arte solo ciò che esorbita dalla natura, che tenta di dare almeno nella rappresentazione qualcos’altro che non sia quanto ci offre la semplice natura. Ma in quanto uomini come perveniamo in genere a fare dell’arte? perché nella scultura, nella poesia, andiamo al di là della natura?

 

Chi acquisti un senso per i nessi universali, vedrà ad esempio come nella scultura si lavori in modo singolare per attenersi alla forma umana, come si cerchi di esprimere il carattere umano plasmando la forma, come non ci sia dato, quando modelliamo un uomo, di incorporare semplicemente la forma che ci appare nell’uomo naturale, interiormente animata, colorita, pervasa da tutto ciò che vediamo oltre la forma. Credo che lo scultore che modella uomini a poco a poco assurga a un sentimento del tutto particolare. È per me indubbio che lo scultore greco avesse il sentimento di cui sto per parlare, e che solo nell’epoca naturalistica lo si sia perduto.

 

Mi sembra che lo scultore che plasma la figura umana abbia nell’operare un modo di sentire del tutto differente quando modella il capo oppure il rimanente corpo. Le due cose sono fondamentalmente diverse fra loro nell’esecuzione. Per esprimermi in modo alquanto drastico, direi: quando si lavora alla configurazione scultorea del capo umano, si ha la sensazione di essere di continuo succhiati dal materiale, che il materiale ci voglia assorbire in sé. Quando invece si modella il resto del corpo umano, si ha il senso di incidere dappertutto senza giustificazione il corpo, di premerlo, di urtarlo dall’esterno. Si ha il senso di formare dal di fuori il rimanente corpo, che le forme si creino da fuori. Quando si modella il corpo si ha dunque la sensazione di plasmare verso l’interno, e verso l’esterno quando si modella il capo.

 

Per la formazione scultorea quello indicato mi sembra un sentimento caratteristico che di certo era proprio dell’artista greco e che è andato perduto nel periodo naturalistico, quando si cominciò ad essere schiavi del modello. Ci si chiede: da dove proviene questa sensazione, quando si intende plasmare la figura umana sulla base del soprasensibile?

 

Tutto ciò è in relazione con questioni molto più profonde, ma prima di esaminarle vorrei ancora menzionare dell’altro. Pensiamo a come, dinanzi alla scultura e all’architettura, sia forte il sentimento di una certa interiorità dell’esperienza, sebbene scultura e architettura si valgano in apparenza di un materiale fisico: dinanzi all’architettura si vive interiormente sia la dinamica, sia il modo in cui la colonna sorregge l’architrave, come la colonna fiorisca nel capitello. Si sperimenta interiormente ciò che è rappresentato esteriormente. Qualcosa di analogo avviene anche per la scultura.

 

Non è così per la musica, e tanto meno per la poesia. Nel dar forma al materiale poetico è come se le parole, che esprimendosi in prosa si hanno nella laringe, quando invece vanno configurate in giambi o trochei, quando si fanno rimare, (voglio di nuovo usare un’espressione drastica) è come se scappassero e si dovessero inseguire. Esse popolano piuttosto l’atmosfera circostante che non l’interiorità. La poesia è sentita molto più esteriormente che non ad esempio la scultura e l’architettura. Così è anche per la musica, seguendola col sentimento. Anche i suoni musicali animano tutta l’atmosfera circostante. Si dimenticano spazio e tempo, o almeno lo spazio, e si vive fuori di sé in un’esperienza morale. Non si ha, come nella poesia, il senso di dover rincorrere le figure che si creano, ma di doversi tuffare in un elemento indefinito, dilagante dappertutto, e di scioglierci noi stessi in questo elemento.

 

Di fronte al complessivo essere dell’arte, qui si cominciano a distinguere certe gradazioni di sensazioni. Si danno ad esse certi caratteri ben definiti. Quel che ho descritto ora e che, come ritengo, può sentire a sua volta chiunque abbia una fine sensibilità per l’arte, non avviene osservando un cristallo o qualche altro prodotto minerale, o una pianta, o un animale, o un uomo in carne ed ossa. Dinanzi a tutta la natura esterna fisico-sensibile si sente diversamente dalle sensazioni e dai sentimenti che ora ho descritto come caratteristici per i diversi settori dell’esperienza artistica.

 

Si può parlare della conoscenza soprasensibile come di una trasformazione del solito conoscere astratto in una conoscenza veggente, e si può anche accennare a un’esperienza conoscitiva. È assurdo pretendere che si debba secondo logica e con pedanteria dare dimostrazioni dei domini superiori come lo si fa nella scienza e nella matematica. Immedesimandosi in quel che diventano le sensazioni quando si entra nel campo dell’arte, si perviene a poco a poco a singolari e interiori stati d’animo. Risultano così sfumature ben determinate, quando si viva davvero nell’interiorità la scultura e l’architettura, quando di quest’ultima si segua la dinamica e la meccanica, quando si seguano le forme rotonde nella scultura. Si apre una via singolare che percorre il mondo interiore del sentimento; ci si muove in un’esperienza animica che è molto simile alla memoria. Chi abbia l’esperienza del ricordo, l’esperienza della memoria, nota che il sentire l’architettura e la scultura è simile al processo interiore del ricordo. Si tratta però di un ricordare a un gradino superiore. In altre parole: sulla scorta del sentimento architettonico e scultoreo, ci si avvicina a poco a poco al sentimento animico, all’esperienza interiore che l’indagatore dello spirito conosce come ricordo di condizioni prenatali. In realtà, il modo in cui si vive tra la morte e una nuova nascita rispetto al cosmo intero, sentendosi muovere in ogni direzione come spirito animico o anima spirituale, incrociandosi ed essendo in equilibrio di fronte ad altre entità, viene ricordato nel subconscio e ridato nell’architettura e nella scultura.

 

Se per la scultura e l’architettura riviviamo questa singolarità con la nostra presenza interiore, scopriamo che in esse non vogliamo se non far apparire in qualche modo per incanto nel mondo fisico-sensibile le esperienze avute nel mondo spirituale prima della nostra nascita o meglio della nostra concezione. Se costruiamo case non secondo il puro principio dell’utilità, ma le facciamo architettonicamente belle, configuriamo i rapporti dinamici nel modo in cui ci affiorano dal ricordo le esperienze di equilibrio, di forme librate da noi avute nel tempo fra la morte precedente e questa nascita.

 

Si scopre così come l’uomo sia pervenuto a sviluppare architettura e scultura in quanto arti. Nella sua anima echeggiava l’esperienza fatta fra la morte e la nuova nascita. Volle in qualche modo enuclearla e averla presente creando l’architettura e la scultura. Che nella sua evoluzione culturale l’umanità abbia prodotto queste due arti è in sostanza da ricondurre al fatto che la vita fra morte e nascita continua ad agire, che l’uomo vuole estrarla dalla sua interiorità; come il ragno tesse la sua tela, così noi vorremmo enucleare, plasmare quel che avevamo vissuto fra la morte precedente e questa nascita. Portiamo le esperienze prenatali nella vita fisico-sensibile. Tutto ciò che vediamo nel complesso delle opere d’arte architettoniche e scultoree altro non è che la realizzazione dei ricordi inconsci della vita fra la morte precedente e questa nascita.

 

Ora abbiamo una risposta concreta alla domanda perché l’uomo faccia dell’arte. Se non fosse un essere soprasensibile che attraverso la nascita o meglio la concezione entra in questa vita, non eserciterebbe certo né la scultura né l’architettura.

Sappiamo quale relazione caratteristica vi sia fra due o anche tre vite terrene susseguentisi: la testa che abbiamo oggi, riguardo alle forze formative, è il corpo acefalo trasformato della precedente incarnazione, mentre il corpo che abbiamo oggi si trasformerà in capo nella incarnazione prossima. Il capo umano ha un tutt’altro significato: è vecchio, è la trasformazione del corpo di prima. Le forze che si sperimentarono fra la morte precedente e questa nascita plasmarono l’attuale forma esteriore del capo: il corpo cova invece in sé le forze che si configureranno nella vita seguente.

 

Questo è il motivo per cui lo scultore ha un sentimento diverso rispetto al capo da quello che ha per il rimanente corpo. Dinanzi al capo egli sente come se esso volesse assorbirlo, perché il capo è formato dall’incarnazione precedente, grazie a forze che risiedono nelle sue forme presenti. Dinanzi al resto del corpo egli sente come se volesse penetrarvi, cioè in qualche modo premerlo, mentre gli dà forma, perché vi risiedono le forze spirituali che conducono oltre la morte e portano fino alla prossima incarnazione. Questa radicale differenza fra passato e futuro nel corpo umano è appunto particolarmente sentita dallo scultore. Nella scultura si esprimono le forze formative del corpo fisico, il modo in cui agiscono da incarnazione a incarnazione. Ciò che risiede più nelle profondità del corpo eterico, portatore del nostro equilibrio, della nostra dinamica, risiede piuttosto nell’arte architettonica.

 

Vediamo che in realtà non è possibile afferrare la vita umana nella sua complessità se non si getta anche uno sguardo alla vita soprasensibile, se non si risponde con tutta serietà alla domanda: come si arriva a dar forma all’architettura e alla scultura? Gli uomini non vogliono guardare al mondo soprasensibile perché non intendono osservare nel giusto modo le cose di questo mondo.

 

In sostanza, come sta la maggior parte degli uomini davanti alle arti che rivelano un mondo spirituale? Proprio come il cane davanti alla favella umana. Il cane ode il linguaggio umano e probabilmente lo scambia con l’abbaiare. Non capisce il senso che è riposto nei suoni, se non è proprio il «Rolf di Mannheim». Era un cane ammaestrato attorno al quale tempo fa si fece un gran chiasso fra gente che si occupa di simili inutilità. Così si sta davanti alle arti che in verità parlano del mondo soprasensibile nel quale si era vissuti: non si vede nelle arti quel che esse rivelano.

 

Guardiamo ad esempio all’arte poetica. Teniamo presente, secondo l’opinione di Lichtenberg, che quando si parla di cose simili non bisogna dimenticare che il novantanove per cento della produzione poetica eccede il fabbisogno dell’umanità nel nostro pianeta e non è in genere neppure vera arte, mentre per chi la pratica la vera arte poetica scaturisce dall’intero uomo. E che cosa fa essa? Non si ferma alla prosa: le dà forma, vi introduce la misura, il ritmo. Fa qualcosa che l’uomo prosaico trova appunto superfluo per la vita. Plasma ulteriormente quel che anche così darebbe il senso che vi si vuol collegare.

Quando, ascoltando una recitazione che sia vera arte, si acquisti il sentimento di quel che soltanto il poeta fa del contenuto prosaico, si arriva a sensazioni singolari. Non si può sentire come poesia il semplice contenuto, il contenuto prosaico di una poesia. Si sente come poesia il modo in cui le parole scorrono in giambi, in trochei o in anapesti, come i suoni si ripetono in allitterazioni, in assonanze o in rime. Si sentono molte altre cose riposte nel modo in cui viene plasmata la materia della prosa. Questo deve entrare nella recitazione. Si crede di recitare «artisticamente», quando dall’intimo e con grande profondità apparente si evidenzia solo il contenuto prosaico. Riuscendo a mantenere realmente la singolare sfumatura di sentimento che è racchiusa nella forma, si arriva a dire che essa va oltre il sentimento solito: questo aderisce infatti alle cose dell’esistenza sensibile, mentre la forma poetica non vi aderisce. L’ho espresso prima quando ho detto che la poesia vive più nell’atmosfera circostante; oppure si vorrebbe irrompere fuori da se stessi, per sperimentare rettamente fuori di noi le parole del poeta.

È così perché si esprime qualcosa che fra nascita e morte non si arriva affatto a sperimentare.

 

Si manifesta qualcosa di animico di cui si può anche fare a meno, volendo vivere soltanto fra nascita e morte. Si può vivere benissimo fino alla morte e trapassare, senza dare alla vita altro contenuto che quello prosaico. Ma perché si sente il bisogno di aggiungere a questo spoglio contenuto prosaico ritmo e assonanza, allitterazione e rima? Perché si ha in sé più di quanto ci occorre fino alla morte; perché si vuol plasmare questo sovrappiù ancora in questa vita. È previsione della vita che viene dopo la morte: si è indotti non solo a parlare, ma a parlare poeticamente, abbiamo già in noi quel che segue la morte. Come dunque scultura e architettura sono in relazione con la vita prenatale, con le forze che ci sono rimaste dalla vita prenatale, così la poesia è in relazione con la vita che si svolgerà dopo la morte, con le forze che già ora sono in noi per la vita dopo la morte. È soprattutto l’io, quale vive fra nascita e morte, quale passa per la morte e poi continua a vivere, quello che già ora porta in sé le forze che manifestano l’arte poetica.

 

Il corpo astrale già ora vive qui nel mondo dei suoni e forma in melodia e armonia il mondo dei suoni che non troviamo nella vita fuori nel mondo fisico, perché nel nostro corpo astrale vi è già quel che esso sperimenta dopo la morte. Come sappiamo, il corpo astrale che portiamo in noi vive con noi solo un certo tempo dopo la morte, e poi lo deponiamo. Ha tuttavia in sé l’elemento propriamente musicale, ma lo ha in sé quale lo sperimenta qui fra la nascita e la morte nel suo elemento di vita, nell’aria. Ci occorre l’aria, se vogliamo avere un mezzo per il sentire musicale.

 

Quando saremo giunti dopo la morte alla tappa in cui deponiamo il corpo astrale, deponiamo anche tutto ciò che di musicale ci richiama alla vita terrena trascorsa, e in quel momento cosmico l’elemento musicale si trasforma nella musica delle sfere. Ci rendiamo indipendenti dalle esperienze musicali fatte nell’aria e penetriamo in un elemento musicale delle sfere. Quel che infatti si sperimenta qui quale musica nell’aria è lassù musica delle sfere. Ora il riflesso relativo si compenetra dell’elemento dell’aria, si fa più denso, diventa la musica terrena che sentiamo qui, che imprimiamo nel nostro corpo astrale, che configuriamo, che sperimentiamo finché abbiamo il corpo astrale. Dopo la morte deponiamo il corpo astrale, e allora il nostro elemento musicale, mi si scusi l’espressione banale, acchiappa la musica delle sfere. Così nella musica e nella poesia viviamo in anticipo quello che è il nostro mondo, la nostra esistenza dopo la morte. Sperimentiamo il soprasensibile in due direzioni. In questo modo ci appaiono queste quattro arti.

 

E la pittura? Dietro il nostro mondo dei sensi esiste anche il mondo spirituale. Il fisico o il biologo materialisti parlano di atomi e molecole al di là del mondo dei sensi. Non sono però atomi e molecole. Dietro il mondo dei sensi vi sono entità spirituali, vi è il mondo dello spirito nel quale viviamo fra l’addormentarci e lo svegliarci. E il mondo che riportiamo dal sonno e che in sostanza ci infervora quando dipingiamo, portando in genere sulla tela o sulla parete il mondo spirituale dal quale siamo spazialmente circondati. Perciò nel dipingere bisogna badare molto a partire dal colore, non dalla linea, perché essa mente in pittura; la linea è sempre qualcosa che ricorda la vita prenatale. Volendo dipingere nella coscienza estesa al mondo dello spirito, bisogna dipingere quel che scaturisce dal colore. Sappiamo che l’esperienza del colore si fa nel mondo astrale. Quando si entra nel mondo che attraversiamo fra l’addormentarci e lo svegliarci, si fa un’esperienza cromatica. Quando vogliamo formare l’armonia dei colori e trasferirla sulla tela, ci muove il voler far fluire nel nostro corpo desto quel che abbiamo vissuto fra l’addormentarci e lo svegliarci. Tutto ciò esiste in noi e vogliamo trasferirlo nella pittura sulla tela.

Anche quel che appare nella pittura è la riproduzione di un elemento soprasensibile.

 

Così le arti rinviano dappertutto al soprasensibile. Per chi possa sentirla nel modo giusto, la pittura è una manifestazione del mondo spirituale da cui siamo circondati nello spazio, che dallo spazio ci compenetra e nel quale ci troviamo fra l’addormentarci e lo svegliarci. La scultura e l’architettura attestano del mondo spirituale che attraversiamo fra la morte e una nuova nascita prima della concezione e della nascita; la musica e la poesia testimoniano di come viviamo la vita nel dopo morte. Così la nostra partecipazione al mondo spirituale penetra nella nostra corrente vita fisica sulla terra.

 

Se consideriamo le arti che immettiamo nella vita da un punto di vista angusto, come dipendenti soltanto da quel che si svolge fra la nascita e la morte, togliamo ogni senso alla creazione artistica. Essa è infatti senz’altro un’immissione di mondi spirituali soprasensibili nel mondo fisico sensibile. Solo perché siamo spinti da quel che portiamo in noi dalla vita prenatale, perché siamo spinti nello stato di veglia da quel che portiamo in noi dalla vita soprasensibile durante il sonno, perché siamo spinti da quel che ora è già in noi e ci configurerà dopo la morte, introduciamo architettura, scultura, pittura, musica e poesia nel mondo dell’esperienza sensibile. Se di solito non parliamo dei mondi soprasensibili è solo perché non comprendiamo neppure quello sensibile, e soprattutto non capiamo quel che una volta la cultura umana spirituale conosceva e che ora è andato perduto, si è fatto superficiale: l’arte.

 

Se impariamo a capire l’arte, essa ci dà la vera prova dell’immortalità e anche deN’«innatalità» umane. E ne abbiamo bisogno, perché la coscienza si estenda oltre l’orizzonte delimitato da nascita e morte, perché riallacciamo alla vita ultraterrena quel che abbiamo nella nostra vita fìsica sulla terra.

Se poi, partendo da una conoscenza che vada diretta alla conoscenza del mondo spirituale, quale è la scienza dello spirito orientata antroposoficamente, accogliamo il mondo spirituale anche nella rappresentazione, nel pensiero, nella sensazione, nella volontà, avremo il terreno per un’arte che in certo modo abbracci sinteticamente la vita prenatale e quella dopo la morte.

 

Consideriamo ora l’euritmia che mette in movimento il corpo umano stesso. Che cosa mettiamo in movimento? L’organismo umano affinché si muovano le sue membra. Le membra sono quelle che anzitutto rinviano alla vita seguente sulla terra, quelle che ci rimandano al futuro, al dopo morte. Ma come configuriamo i movimenti delle membra che facciamo nell’euritmia? Studiamo in modo sensibile-soprasensibile come si siano formati dalla vita precedente, a partire dal capo (attraverso le disposizioni intellettuali e quelle del sentimento), la laringe e tutti gli organi della favella. Riallacciamo direttamente la vita prenatale a quella dopo la morte. Dalla vita terrena prendiamo in certo modo solo il materiale fisico: l’essere umano stesso che è lo strumento per l’euritmia. Facciamo però apparire in lui quel che studiamo interiormente, quel che in lui è preformato da una vita precedente, e lo trasferiamo nelle sue membra, vale a dire in ciò in cui si prefigura la vita dopo la morte. Offriamo nell’euritmia una configurazione e un movimento dell’organismo umano che sono una prova esteriore e diretta della vita dell’uomo nel mondo soprasensibile. Ricolleghiamo l’essere umano direttamente al mondo soprasensibile, facendolo muovere con l’euritmia.

Ovunque l’arte sia coltivata con un vero sentimento artistico è una testimonianza del nesso tra l’uomo e i mondi superiori.

 

Se nel nostro tempo l’uomo è chiamato ad accogliere in certo modo gli dèi nelle sue forze animiche, senza aspettare semplicemente con fiducia che gli portino qualcosa, ma se vuole agire, come se gli dèi vivessero nella sua volontà agente, questo è il momento per l’umanità di sperimentarlo, il momento in cui l’uomo deve in certo modo passare dalle arti obiettive configurate esteriormente a un’arte che assumerà nell’avvenire tutt’altre forme e dimensioni, a un’arte che rappresenti il soprasensibile in modo diretto. Ma come potrebbe essere altrimenti? La scienza dello spirito vuole presentare in modo diretto il soprasensibile, deve dunque esprimere da sé anche quest’arte.

 

L’applicazione pedagogico-didattica porterà via via a che, grazie a un’educazione così indirizzata, gli uomini troveranno ovvio che siamo entità soprasensibili, perché muoviamo le mani, le braccia, e le gambe in modo che vi siano attive le forze del mondo soprasensibile. È infatti l’anima dell’uomo, l’anima soprasensibile, che nell’euritmia fluisce nel movimento. È la vivente esplicazione del soprasensibile quel che si palesa nei movimenti euritmici.

 

Tutto ciò che viene presentato dalla scienza dello spirito è in reale armonia interiore. Da un lato esso è offerto, perché la vita in cui siamo possa essere vista con più profondità e con più intensità, perché s’imparino a vedere le prove viventi dell’«innatalità» e dell’immortalità, e dall’altra parte si immetta nel volere umano l’elemento soprasensibile che è in noi.

 

È questa l’interiore conseguenza della conoscenza scientifico-spirituale, quando sia antroposoficamente orientata. Così la scienza dello spirito estenderà la coscienza umana. L’uomo non potrà più stare al mondo come nell’epoca materialistica, abbracciando con lo sguardo solo quel che vive fra nascita e morte, avendo forse ancora una fede in qualcosa che esiste al di là, che lo fa felice, che lo assolve, di cui però non può farsi alcuna rappresentazione, di cui sente predicare sempre in modo sentimentale, di cui in sostanza non ha che un contenuto svuotato. Grazie alla scienza dello spirito egli deve ricevere di nuovo un reale contenuto dei mondi spirituali. Dobbiamo affrancarci dal vivere in astrazioni, da una vita che vuol fermarsi al percepire e al pensare fra nascita e morte, e che tutt’al più a parole accoglie qualche vago accenno a un mondo superiore. La scienza dello spirito risveglierà una coscienza che allargherà il nostro orizzonte e ci farà sentire il mondo soprasensibile quando agiamo e viviamo qui nel mondo fisico.

 

Se abbiamo oggi trent’anni ci ricordiamo di quel che ci è stato inculcato a dieci, quindici anni. Quando leggiamo a trent’anni, vi colleghiamo il ricordo di aver appreso a leggere ventidue o ventitré anni prima, ma non osserviamo che in ogni momento fra nascita e morte vibra e pulsa in noi quel che abbiamo vissuto fra l’ultima morte e questa nascita. Guardiamo a quel che è stato generato da quelle forze nell’architettura e nella scultura: se lo comprendiamo nel modo giusto, lo trasferiremo anche giustamente nella vita e riconquisteremo un senso per passare dalla prosa al ritmo, alla misura e alla rima, all’allitterazione e all’assonanza della poesia che appaiono superflue rispetto alla vita prosaica. Collegheremo allora quella sfumatura di sentimento col germe dell’essere immortale che portiamo oltre la morte. Diremo: nessuno potrebbe diventare poeta se in tutti non ci fosse quel che nel poeta in effetti agisce creando, vale a dire la forza che si manifesta solo dopo la morte, ma che già ora è in noi.

 

È questa l’immissione del soprasensibile nella coscienza ordinaria che dev’essere di nuovo ampliata, se l’umanità non vuole ancora più affondare in ciò in cui è caduta la coscienza per essersi ridotta a vivere in sostanza solo ciò che si svolge fra nascita e morte, tutt’al più facendosi predicare a parole quel che esiste nel mondo soprasensibile.

Come si vede, si deve far sempre ricorso alla scienza dello spirito quando si parla delle più importanti esigenze culturali del presente.