Dolore di Michele riguardo all’evoluzione dell’umanità prima dell’epoca della sua attività terrestre – Massime 134-136

Commento di Lucio Russo


 

Parte seconda – III

Eccoci arrivati alla terza e ultima parte (della lettera: Davanti alle porte dell’anima cosciente), intitolata:

Dolore di Michele riguardo all’evoluzione dell’umanità prima dell’epoca della sua attività terrestre (21 dicembre 1924).

 

Due parole prima di cominciare.

 

Ho detto, una sera (massima 29), che

il problema fondamentale della conoscenza è rappresentato dai diversi gradi o livelli di coscienza,

ossia da una realtà che non viene quasi mai presa in considerazione, e ho riportato queste parole di Steiner:

“Oggi non sono ancora molti coloro che conoscono ciò che sempre più andrà diffondendosi nel mondo:

la lotta tragica per la conoscenza”.

 

Sono trascorsi quasi novant’anni, ma “non sono ancora molti coloro che conoscono” questa “lotta tragica per la conoscenza”, e “non sono ancora molti”, perciò, coloro che sono in grado di capire, sentire e condividere il “dolore di Michele”, ch’è lo stesso della Vergine di cui Michele è il Cavaliere.

Se non è difficile infatti immaginare la Mater dolorosa ai piedi della croce (visibile) del Golgota (come ha fatto ad esempio Iacopone da Todi, nel suo celebre Stabat Mater), è difficile invece immaginarla ai piedi della croce (invisibile) sulla quale la nostra odierna cultura materialistica (soprattutto tecno-scientifica) continua a martoriare la Verità (dice Berdjaev, l’ho già ricordato: “Il cristianesimo è la religione della verità crocifissa”).

 

Si sappia, però, che nessuno può sperimentare la presenza e l’attività solare di Michele (e la realtà della Mater Gloriosa) senza aver prima sperimentato, nella propria anima, questo particolare e profondo dolore (per crucem ad lucem).

Afferma Steiner: • “Non è possibile l’indagine superiore senza tragicità interiore, senza intimo patire”; e aggiunge:

“La frivolezza del nostro tempo in questo campo è tanto grande da prendere tutto alla leggera. La si può veder emergere di continuo dappertutto, ma se ne può notare tutto l’orrore se si è vigili a sufficienza e se i cuori sono abbastanza accesi per la sacralità delle verità spirituali” (1).

 

Ascoltate anche queste parole, trovate dopo la sua morte su un blocco di appunti:

“Vorrei accendere tutti gli uomini / allo spirito del cosmo / perché divengano fiamme e dal loro cuore / facciano scaturire il fuoco … / Gli altri vorrebbero nell’acqua del mondo / annegare le fiamme / perché tutto marcisca / e imputridisca in se stesso. / O gioia se la fiamma umana si sveglia / là dove dorme ancora! / O dolore amaro se l’essere umano / è in catene mentre vorrebbe avanzare!” (2).

 

 

Nell’ulteriore progresso dell’epoca dell’anima cosciente va dileguandosi sempre più la possibilità

di un collegamento di Michele con la generale entità umana.

In questa penetra l’intellettualità umanizzata, e vi scompaiono le rappresentazioni immaginative,

capaci di mostrare all’uomo l’intelligenza del cosmo nella sua essenza.

Soltanto nell’ultimo terzo del secolo diciannovesimo comincia per Michele la possibilità di accostarsi all’uomo.

Prima di allora tale avvicinamento poteva venire soltanto seguendo le vie del rosicrucianesimo puro” (p. 131).

 

 

Volete un esempio del fatto che “l’intellettualità umanizzata” si sforza invano di sopperire alle scomparse “rappresentazioni immaginative, capaci di mostrare all’uomo l’intelligenza del cosmo nella sua essenza”?

Bene, allora vi leggo questa “noterella”, pubblicata dall’Osservatorio scientifico-spirituale:

• “Il settimanale Tempi dedica l’editoriale al “discorso spettacolare” pronunciato da Benedetto XVI al cospetto del “fior fiore dell’intellighentsia europea” (lo scorso 12 settembre, al “Collège des Bernardins” di Parigi), mettendone in risalto (graficamente) il seguente passo: “Un Dio soltanto pensato non è un Dio. Se Egli non si mostra, noi non giungiamo fino a Lui. La cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti: Egli si è mostrato. E adesso è aperta la porta verso di Lui”.

 

A noi sembra, però, che anche il Dio che “si è mostrato” non sia, per l’uomo moderno, che un “Dio soltanto pensato”, poiché “si è mostrato” nel passato ad altri, ma non si mostra oggi a lui (tant’è che viene esortato ad avere fede in chi gli dice che “si è mostrato”).

Non basta, infatti, che un Dio si mostri, ci vuole anche un uomo che sia in grado di vederlo. E l’uomo moderno non ne è in grado, poiché sa vedere soltanto quanto gli mostrano i sensi (fisici).

 

Se è perciò aperta, grazie al Cristo, la “porta” che va da Dio verso l’uomo,

è ancora chiusa, invece, quella che va dall’uomo verso Dio

(“La luce risplende fra le tenebre; ma le tenebre non l’hanno ricevuta […] La luce, quella vera, che illumina ogni uomo, veniva nel mondo. Era nel mondo, e il mondo fu creato per mezzo di Lui, ma il mondo non Lo conobbe. Venne in casa Sua, e i Suoi non lo ricevettero”). L’uomo moderno è capace infatti di tramandare il ricordo di un Dio che “si è mostrato” o di pensare astrattamente un Dio che si mostra, ma non di percepirne la vita, l’anima e lo spirito (per “giungere” così “fino a Lui”).

 

E come potrebbe cominciare a percepirlo

(dal momento che “un Dio soltanto pensato – secondo quanto afferma Benedetto XVI – non è un Dio”)?

Cominciando – come ben sanno quanti conoscono l’insegnamento di Steiner –

a liberare l’ordinario pensiero intellettuale dal vincolo dei sensi (fisici), superando così la sua astrattezza,

il suo vuoto o il suo non-essere (che diviene tanto il non-essere dell’Io, quanto il non-essere di Dio)” (3).

 

• Com’è vero, dunque, che il divino (l’”Io sono” divino) muove verso l’uomo (verso l’Io umano), così è vero che l’uomo deve muovere verso il divino. Questo movimento viene però tacciato di “gnosticismo” e condannato, perché lo si vorrebbe orientato, non in modo diretto verso il divino (a un primo livello, verso Michele), bensì in modo indiretto (e fideistico) verso l’Istituzione (la Chiesa) che dichiara di rappresentarlo e mediarlo.

 

 

Col suo nascente intelletto l’uomo guarda la natura.

Vi scorge un mondo fisico e un mondo eterico nei quali egli non è contenuto.

Attraverso le grandi idee di Copernico, di Galileo, egli acquista un’immagine del mondo extraumano [della natura];

ma perde l’immagine sua propria.

Guarda a se stesso, e non ha la possibilità di arrivare a vedere che cosa egli sia” (p. 131).

 

 

Perché siamo qui riuniti a studiare l’antroposofia?

Per avere appunto “la possibilità di arrivare a vedere che cosa” siamo, o per prendere coscienza della nostra umanità

“Ciò che riceviamo dall’antroposofia, – dice Steiner – è l’essenza di noi stessi”. (4).

 

 

Nelle profondità del suo essere viene risvegliato in lui ciò che è destinato a portare la sua intelligenza.

Con quello si unisce il suo io. Così l’uomo porta ora in sé una triplice essenza.

In primo luogo nel suo essere spirituale-animico, apparente come elemento fisico-eterico,

porta ciò che un tempo, fin dall’epoca di Saturno e del Sole e poi sempre di nuovo,

lo collocava nel regno del divino-spirituale.

È l’elemento in cui l’entità umana e l’entità di Michele possono andare unite” (pp. 131-132).

 

 

Il primo elemento di questa “triplice essenza” è costituito

• dallo spirituale originario (dall’Entità-Io), “apparente” come corpo fisico durante l’evoluzione dell’antico-Saturno, e • animico originario (dalla manifestazione-astrale), “apparente” come corpo eterico durante l’evoluzione dell’antico-Sole.

In tale elemento, “l’entità umana e l’entità di Michele possono andare unite”.

 

 

In secondo luogo l’uomo porta in sé la natura fisica ed eterica quale si sviluppò più tardi,

durante l’epoca lunare e l’epoca terrestre.

Tutto ciò è opera compiuta ed effetto operante del divino-spirituale, ma questo non vi è più presente in modo vivo.

Ritorna ad esservi presente, in modo pienamente vivente

soltanto quando il Cristo passa attraverso il mistero del Golgota.

In ciò che agisce spiritualmente nel corpo fisico ed eterico dell’uomo può venir trovato il Cristo”.

 

 

Il secondo elemento è costituito,

non più dallo spirituale-animico, apparente come elemento fisico-eterico,

bensì dall’elemento eterico (dall’effetto operante) e da quello fisico (dall’opera compiuta),

così come si sono sviluppati e separati dall’elemento animico-spirituale originario,

“durante l’epoca lunare e l’epoca terrestre”.

 

Ascoltate: “Durante lo stato solare della Terra, in un remotissimo passato, l’uomo accolse in sé il suo corpo eterico, quale puro riflesso delle entità cosmiche della saggezza. Durante i successivi periodi di Luna e Terra il corpo eterico si è poi modificato, diventando ciò che è attualmente nell’essere umano” (5).

Riguardo al fatto che “in ciò che agisce spiritualmente nel corpo fisico ed eterico dell’uomo può venir trovato il Cristo”, non posso far di meglio che leggervi alcuni passi di questa conferenza, tenuta da Steiner, a Dornach, il 7 maggio 1923, intitolata: Ascensione e Pentecoste.

 

“Il centro dell’evoluzione della terra sta alla metà dell’epoca atlantica; cosicché al presente la terra ha già superato il suo culmine, il vero centro della sua evoluzione. La terra si trova dunque già in un’evoluzione discendente, e dobbiamo perciò assolutamente tener conto, nella nostra epoca, di questo fatto (…) In quanto la terra si trova in una fase discendente della sua evoluzione, anche il corpo fisico umano attraversa assolutamente un’evoluzione discendente (…) In quanto uomini, noi siamo costituiti in modo che il nostro corpo fisico soggiace alla gravità terrestre, e il nostro corpo eterico alla lievità solare. Il corpo eterico cerca continuamente di fuggire verso il sole. Se dunque il corpo fisico umano fosse divenuto quale sarebbe dovuto diventare senza il mistero del Golgota, allora i corpi eterici umani avrebbero appunto seguito il loro impulso verso il sole (…) Ed ora ci si rappresenti l’immagine dell’Ascensione: davanti agli occhi animici dei discepoli, il Cristo si solleva verso l’alto. Ossia, davanti all’anima dei discepoli appare l’immagine dell’eterico umano, tendente verso l’alto, che si congiunge con la forza del Cristo, con l’impulso del Cristo. Ai discepoli si rivela che l’uomo, al tempo del mistero del Golgota, correva il pericolo di vedere il proprio corpo eterico dirigersi su alle nuvole, verso il sole, e che il Cristo invece tratteneva quel che in tal modo tendeva verso il sole (…) Il mistero del Golgota è la salvazione della corporeità fisica dell’umanità, indifferentemente da quanto gli uomini credano o non credano (…) Il mistero del Golgota ha avuto luogo per portare nuove forze al corpo fisico umano; per rinnovare in certo modo l’umanità sulla terra, per rinvigorirla quel tanto che le era necessario (…) Ora, l’impulso del Cristo deve avere il suo significato non solo per la corporeità dell’uomo, ma anche per la sua spiritualità. Essa si estende al fisico-eterico, ma non potrebbe estendersi anche all’animico-spirituale dell’uomo, se l’anima umana non sviluppasse la conoscenza di questo impulso del Cristo (…) Affinché ciò potesse avvenire, il Cristo compì ulteriormente l’azione del Golgota. E la compì in modo tale, che appunto dieci giorni dopo l’evento dell’Ascensione, egli diede agli uomini la possibilità di compenetrarsi con l’impulso del Cristo anche nella loro interiorità animico-spirituale, nell’io e nel corpo astrale. Questa è l’immagine della festa di Pentecoste: il compenetrarsi dell’animico-spirituale con la comprensione del mistero del Golgota, il discendere dello Spirito Santo. Il Cristo compì l’opera sua per tutta l’umanità. Ma al singolo uomo che deve comprendere quest’azione del Cristo, al singolo individuo umano, egli ha mandato lo Spirito Santo, affinché l’animico-spirituale dell’uomo trovi accesso all’azione del Cristo compiuta per l’umanità in generale (…) L’immagine dell’Ascensione ci dice che l’evento del Golgota è stato compiuto per il fisico e per l’eterico dell’umanità presa nel suo complesso. Il singolo uomo deve farla fruttificare per sé, accogliendo lo Spirito Santo. In tal modo l’impulso del Cristo diventa individuale per ogni singolo uomo (…) Il mistero del Golgota infatti ha avuto luogo, per tutti gli uomini, solo per quanto riguarda il corpo fisico e il corpo eterico. La discesa dello Spirito Santo, il mistero della Pentecoste, testimoniano invece che l’animico e lo spirituale dell’uomo possono partecipare ai frutti del mistero del Golgota, solo se l’uomo si innalza al riconoscimento del vero significato del mistero del Golgota”.

 

Sappiamo, dalla Cronaca dell’Akasha (6), che all’epoca atlantica (la quarta qui ricordata da Steiner), preceduta dall’epoca polare, dall’epoca iperborea e da quella lemurica, ha fatto seguito la nostra (la quinta), che sarà seguita, a sua volta, da altre due (la sesta e la settima).

Dice Steiner: • “Il centro dell’evoluzione della terra sta alla metà dell’epoca atlantica; cosicché al presente la terra ha già superato il suo culmine, il vero centro della sua evoluzione”.

E’ quindi a metà dell’epoca di mezzo (la quarta) che si esaurisce la spinta evolutiva fornita all’umanità sull’antico-Saturno. “Tutto ciò che ha ricevuto la sua prima disposizione nel corpo di calore di Saturno – precisa infatti – ha finito di svilupparsi”.

 

L’impulso del Cristo, ossia del Figlio di Dio,

rinnova dunque questa spinta, per tutta l’umanità, nella sfera incosciente del corpo fisico e del corpo eterico,

• ma attende che ciascuno di noi,

per libera iniziativa e in grazia delle mediazioni di Michele, della Vergine e dello Spirito Santo,

la faccia propria nella sfera coscientedel corpo astrale e dell’Io, ossia nella sfera del Figlio dell’uomo

(“Il figlio dell’uomo è l’io e il corpo astrale, in quanto nati nel corso dell’evoluzione dal corpo fisico e dal corpo eterico”) (7).

 

 

In terzo luogo, l’uomo ha in sé quella parte del suo essere spirituale-animico

che ha assunto nuova natura durante l’epoca lunare e terrestre.

In questa parte Michele è rimasto attivo, mentre nell’altra, rivolta alla Luna e alla Terra, egli è divenuto sempre più inattivo.

In questa parte è Michele che ha conservato all’uomo la sua immagine umano-divina.

Egli poté farlo fino al sorgere dell’epoca dell’anima cosciente.

Poi, in certo modo, il complessivo elemento spirituale-animico dell’uomo si immerse nel fisico-eterico,

per estrarne l’anima cosciente” (p. 132).

 

 

Nel terzo elemento della ”triplice essenza” umana si distinguono dunque due parti:

• una (evolutasi “durante l’epoca lunare e terrestre”) in cui “Michele è rimasto attivo”;

• l’altra (“rivolta alla Luna e alla Terra”),in cui è invece “divenuto sempre più inattivo”.

 

Disponiamo infatti di un elemento fisico-eterico rinnovato o redento dal Cristo,

ma siamo al contempo portatori,

• sia di un elemento animico-spirituale vincolato al fisico-eterico del “vecchio Adamo”

(in cui Michele “è divenuto sempre più inattivo”),

• sia di un elemento animico-spirituale vincolato al fisico-eterico del “nuovo Adamo”

(in cui Michele “è rimasto attivo”).

 

• Qual è dunque il primo? Quello della coscienza ordinaria e dell’ego, legati ai sensi (al “vecchio Adamo”);

• e qual è il secondo? Quello dei gradi della coscienza superiore e dell’Io, liberi dai sensi.

E’ in questa sfera, infatti, che Michele “ha conservato all’uomo la sua immagine umano-divina”.

 

Domanda: In che cosa è consistita la cosiddetta “caduta”?

Risposta: Ricordi? Antico-Saturno: corpo fisico; antico Sole: corpo eterico; antica Luna: corpo astrale; Terra: Io.

Ebbene, Lucifero (nel corso dell’epoca lemurica) ha spinto, più del dovuto (più di quanto voluto, cioè, dalle entità creatrici), il neonato Io dentro il corpo astrale e il corpo l’astrale dentro il corpo eterico. Questa sua azione ha provocato la reazione di Arimane che ha spinto, più del dovuto (più di quanto voluto, cioè, dalle entità creatrici), il corpo fisico dentro il corpo eterico e il corpo eterico dentro il corpo astrale.

Come vedi, questi arti, destinati a godere di una relativa autonomia, pur rapportandosi tra loro, si sono venuti invece a mescolare e confondere, fino al punto di renderci esseri, come si usa dire, “tutti d’un pezzo”, nei quali l’Io è identificato col corpo astrale (con la psyché), il corpo astrale è identificato col corpo eterico (con la physis) e il corpo eterico è identificato col corpo fisico (con il sôma).

Se ciò ti è chiaro, ti sarà allora chiaro il perché, sulla via dell’iniziazione, si ponga il compito di allentare e sciogliere tali vincoli (significativamente ritenuti, dalla scienza materialistica, normali o naturali).

 

Scrive appunto Steiner: • “Esperienze importanti durante l’ascesa ai mondi superiori sono gli incontri con il “guardiano della soglia”. Essenzialmente ve ne sono due, uno “piccolo”, ed un altro “grande”. L’uomo incontra il primo, quando i fili che uniscono volontà, pensiero e sentimento cominciano a disciogliersi nei corpi più sottili (corpo astrale e corpo eterico) (…) L’uomo incontra il “grande guardiano della soglia”, quando lo scioglimento dei legami si estende fin nelle parti fisiche del corpo (e cioè soprattutto nel cervello)” (8).

Torniamo a noi.

Sapete che supporto dell’anima senziente è il corpo astrale, che supporto dell’anima razionale-affettiva è il corpo eterico e che supporto dell’anima cosciente è il corpo fisico: vale a dire, gli organi di senso e il cervello.

Pensate ad esempio a Galilei: non aveva occhi che per la realtà (sensibile); al contrario dei teologi dottrinari che gli si opponevano, sentiva ciò che gli era dato osservare e su cui poteva pensare assai più importante di quanto dicessero Aristotele e la Bibbia.

Potremmo anche dire, volendo far ricorso a un noto termine freudiano, che Galilei era animato da una vera e propria libido oggettuale (ovviamente conoscitiva): vale a dire dall’amore per l’oggetto o per l’altro da sé.

Questa è l’anima cosciente: cioè un’anima che comincia ad avere a cuore la realtà fisica, per poi avere altrettanto a cuore, col suo evolversi, la realtà eterica, la realtà animica e quella spirituale (• “Tutta la scienza moderna – osserva Steiner – è figlia del cristianesimo. È la continuazione diretta dell’impulso cristico”) (9).

 

 

Sorse allora luminosamente nella coscienza dell’uomo

tutto ciò che il suo corpo fisico e il suo corpo eterico potevano dirgli del fisico e dell’eterico nella natura.

Scomparve invece al suo sguardo ciò che il corpo astrale e l’io potevano dirgli intorno a se stesso” (p. 132).

 

 

Vi ho più volte raccomandato il ciclo di conferenze intitolato: Nascita e sviluppo storico della scienza.

Steiner vi spiega, con grande chiarezza,

l’inconscio processo che presiede alla nascita della scienza (galileiana): ossia quello in virtù del quale

l’uomo, per un verso, porta fuori di sé (proietta) il suo fisico-eterico sulla natura

(matematizzandola e geometrizzandola)

• e, per l’altro, porta dentro di sé (introietta) l’animico-spirituale della natura

(soggettivizzandolo o psicologizzandolo).

 

Pensate ad esempio a Cartesio:

• la res extensa (il corpo eterico e il corpo fisico) la pone appunto nella natura (nell’oggetto),

• mentre la res cogitans (l’Io e il corpo astrale) la pone appunto nell’uomo (nel soggetto).

 

Oppure, per fare un altro esempio, pensate a Jung: allo scrittore cileno Miguel Serrano che, nel corso di un’intervista, gli aveva chiesto se gli archetipi che poneva a fondamento della sua psicologia analitica agissero, oltre che nell’anima dell’uomo, anche nella natura, rispose che li si doveva pensare attivi solo nell’anima dell’uomo.

Ecco appunto la scissione: da una lato le scienze dell’uomo (la pneumatologia e la psicologia), dall’altra le scienze della natura (la chimica e la fisica).

Fatto sta, però, che le prime, separate dalle seconde (come si presentano nella cultura “classica”), cadono nelle grinfie di Lucifero, mentre le seconde, separate dalle prime (come si presentano nella cultura “scientifica”), cadono nelle grinfie di Arimane.

 

 

Inizia così un’epoca in cui nell’umanità si desta il sentimento di non poter più conoscere se stessa per mezzo del proprio criterio.

Comincia la ricerca di una conoscenza dell’entità umana.

Non si riesce ad appagare questa ricerca con quello che offre il presente.

Si risale storicamente a tempi passati. Nell’evoluzione spirituale sorge l’umanesimo.

Esso non sorge perché si aveva l’uomo, ma perché lo si aveva perduto.

Se ancora lo si avesse avuto, Erasmo da Rotterdam ed altri avrebbero agito da intonazioni d’anima ben diverse da quelle che in loro destava l’umanesimo” (p. 132).

 

 

L’uomo comincia a esercitare l’attività scientifica, ma dal momento che non ne ricava nulla che lo aiuti a conoscere se stesso, cerca allora di colmare questo vuoto volgendosi al passato e, in particolare, all’antichità classica (alla cultura greco-romana).

E’ raro, a tutt’oggi, imbattersi in qualcuno che sia convinto che, oltre alla scienza del mondo fisico, possono darsi una scienza dell’anima e una scienza dello spirito. Chiunque attualmente si volge (bontà sua) all’anima e allo spirito, si sente piuttosto in dovere di accantonare la scienza per affidarsi alla poesia, alla letteratura, all’arte o alla religione (mentre, per Steiner, dovremmo “giungere al Cristo attraverso un pensiero scientifico”) (10).

 

Sta di fatto che i soli ad aver tentato di volgersi, da medici, e quindi con spirito pratico-scientifico (terapeutico), all’anima (alla psiche) e allo spirito (un libro di Jung è intitolato: La simbolica dello spirito [11]) sono stati, piaccia o meno, Freud e Jung.

(Scrive Jung: “Tutto ciò che oggi va sotto il nome profano di “psicoanalisi” ha la sua origine nella pratica medica, ed è per la massima parte psicologia medica” [12].)

 

Abbiamo parlato mille volte dei limiti dell’interpretazione dei dati delle loro ricerche (delle loro teorie), ma ciò non toglie che siano stati i primi a voler penetrare in modo moderno all’interno di una realtà che era stata fino allora monopolio della filosofia e della religione.

Osserva appunto Fausto Antonini: “Se si volessero trovare le origini della psicanalisi bisognerebbe risalire a quelle di tutta la scienza moderna da Leonardo a Galilei”, ricordando che “Freud intuiva il significato più sintetico delle proprie scoperte quando dichiarava di aver compiuto la terza grande rivoluzione scientifica” (dopo quelle di Copernico e Darwin) (13).

 

E che cosa dice Steiner? Dice

• che “non capisce l’intimo impulso dell’antroposofia chi non voglia organizzarla nel senso del pensiero e del sentimento più moderni” (14),

• che l’antroposofia è “una corrente spirituale che nella nostra epoca scaturisce con profonda necessità dal sorgere della concezione scientifica dei secoli scorsi, nella forma che questa ha assunto in modo speciale nel nostro tempo”;

puntualizzando, al contempo,

• che deve essere “pensata più come una figlia vivente, se così posso dire, dei presupposti scientifici, piuttosto che solo una sua logica conseguenza” (15).

 

 

Nel Faust, Goethe trovò più tardi una figura umana che aveva totalmente smarrito l’uomo.

Sempre più intensa si fa questa ricerca dell’uomo, perché si ha soltanto la scelta

fra il rendersi apatici di fronte al sentimento del proprio essere

e lo sviluppare l’aspirazione verso di esso come un elemento dell’anima.

(…) Rinascimento, vale a dire rinascita spirituale, e umanesimo si affrettano, anzi si precipitano verso una spiritualità,

ma in una direzione in cui non la si può trovare;

nella direzione in cui andrebbe invece ricercata abbiamo l’impotenza, l’illusione, lo stordimento.

E in pari tempo, dovunque, irrompono le forze di Michele: nell’arte, nella conoscenza, nell’interiorità dell’uomo;

dovunque, tranne che nelle forze nascenti dell’anima cosciente” (p. 133).

 

 

Che cosa vuol dire “dovunque, tranne che nelle forze nascenti dell’anima cosciente”?

E’ semplice: dovunque, tranne che nella scienza.

Vedete, la “ricerca dell’uomo” è la cerca del Santo Graal, e la cerca del Santo Graal è la ricerca della vera anima umana.

(Prendendo spunto da queste parole di Steiner: • “L’iniziato cristiano consegue con la sua disciplina iniziatica la purificazione del suo corpo astrale; egli trasforma il corpo astrale in vergine Sofia e viene illuminato dall’alto (o, se preferite, adombrato) dallo “Spirito Santo”, dall’io cosmico” [16],

e da queste altre di Wagner [tratte dal libretto del Parsifal]: • ”Il costume dei cavalieri e degli scudieri del Gral è simile a quello dei templari, tunica e mantello bianco; invece però della croce rossa, è dipinta sullo scudo e ricamata sul mantello una colomba volante” (simbolo dello Spirito Santo) [17],

oso suggerirvi dei pensieri che potrebbero costituire, volendo, una traccia meditativa:

  1. “Le idee sono per l’antroposofia i recipienti d’amore” [Steiner] [18];
  2. “L’idea è eterna ed unica; non è ben fatto di usare anche il plurale. Tutto ciò che scorgiamo e di cui possiamo parlare, non è che manifestazione dell’idea; noi esprimiamo concetti, e in questo senso l’idea stessa è un concetto” [Goethe] [19];
  3. “L’assoluto è l’universale e unica idea, che, col giudicare, si specializza nel sistema delle idee determinate, che però tornano nell’unica idea, lor verità” [Hegel] [20].

“L’universale e unica idea”, in quanto Recipiente dei recipienti d’amore, ossia quale Calice che contiene [“Il Signore è con te”] il sangue del Cristo [del Logos o dell’”Io sono”], è dunque la Vergine [“piena di grazia”], quale Regina Angelorum, Vas spirituale, Vas onorabile, Vas insigne devotionis, come recitano le litanie lauretane.)

 

Chi ha avuto la bontà di leggere ciò che scrissi in un mio breve ricordo di Massimo Scaligero (21), rammenterà che tale ricerca ha segnato tutto il mio cammino. Quando mi accostai ad esempio al marxismo (avevo vent’anni), lo feci non perché nutrissi interesse per i problemi politici ed economici, ma perché avevo a cuore il problema dell’alienazione: ossia il problema, prettamente antropologico, di un essere umano che vive estraniato dalla propria realtà.

Questo problema mi ha portato in seguito alla psicoanalisi freudiana, a quella junghiana e infine all’antroposofia (scrive Uehli, parlando del Parsifal e della ricerca del Graal di Wagner: “Quali sono dunque le premesse dietro cui può essere intrapresa una ricerca del Graal con questo sfondo? Non può muovere da un interesse personale, ma dev’essere intrapresa per interesse all’umanità in genere”) (22).

 

Soltanto l’antroposofia mi ha permesso però di capire ch’è inutile porre o affrontare tale questione se non si è in grado di capire che l’ esistenza  può essere alienata o estraniata unicamente in rapporto alla sua  essenza.

Gli esistenzialisti, ad esempio, sono convinti che l’essenza nasce dall’esistenza; ma sbagliano, perché dall’esistenza (sgorgata dall’essenza) non nasce l’essenza, bensì la coscienza dell’essenza.

 

Voglio raccontarvi un fatterello capitatomi di recente. Essendomi trovato a parlare con un ingegnere informatico, dopo essermi dichiarato, in materia, un incompetente, ho approfittato per chiedergli alcune informazioni. Mentre lo ascoltavo, mi è venuto però da pensare: chissà se lui sarebbe disposto a dichiararsi un incompetente in materia di anima e di spirito?

Avevo fatto appena in tempo a pensarlo, che quello ha preso a condire i suoi discorsi con asserzioni del tipo: “Tutto dipende dal cervello”, “L’anima non esiste”, “L’uomo è stato sempre lo stesso”, e così via.

Perché si è sentito in diritto di farlo? Per il semplice fatto che si crede che in materia di anima e di spirito non si possa essere scientifici, e che perciò un’opinione valga l’altra.

 

Scrive appunto Berdjaev: • “Il razionalismo, l’umanesimo, il diritto, il liberalismo, la democrazia: sono altrettante forme di pensiero e di vita le quali hanno per fondamento l’ipotesi che la Verità è inconoscibile e che forse non esiste. Vale a dire che non vogliono conoscere la Verità” (23).

Dice Steiner: • “E in pari tempo, dovunque, irrompono le forze di Michele: nell’arte, nella conoscenza, nell’interiorità dell’uomo; dovunque, tranne che nelle forze nascenti dell’anima cosciente”.

Come si vede, non si riesce ancora a dare alle forze dell’anima cosciente, ossia alle forze che permettono la ricerca scientifica, un orientamento verso lo spirito o, il che è lo stesso, verso la realtà dell’essere umano.

 

 

È un vacillare della vita spirituale. Michele indirizza tutte le sue forze all’indietro nell’evoluzione cosmica,

affinché gliene derivi la potenza per mantenere l’equilibrio con il “drago” sotto i suoi piedi.

Appunto nella scìa di questi sforzi per la potenza da parte di Michele nascono le grandi creazioni del rinascimento.

Ma esse sono ancora un rinnovamento dell’essenza dell’anima razionale o affettiva per opera di Michele,

non ancora l’azione delle nuove forze animiche” (p. 133).

 

 

Un conto, dunque, è che le “nuove forze di Michele” vengano accolte, in modo scientifico, dall’anima cosciente (producendo, come ho detto a suo tempo, un nascimento), altro che vengano accolte, in modo artistico, letterario o filosofico dall’anima razionale-affettiva (limitandosi così a produrre un ri-nascimento).

Anche Berdjaev, ad esempio, pur convinto, come scrive, che “una rigenerazione spirituale dell’uomo e delle sue opere può essere oggi concepita solo attraverso un approfondimento del cristianesimo, attraverso un’ultima rivelazione dell’immagine del Cristo nell’uomo, fedele alla rivelazione cristiana della personalità umana” (24), non riesce a immaginare tale rigenerazione in forma assolutamente nuova (come appunto un nascimento), ma come un post-moderno e “nuovo Medioevo” (come quindi un ri-nascimento).

 

 

Si può guardare Michele, pieno d’ansia se poter alla lunga essere in grado di combattere il “drago”, mentre osserva

come gli uomini vogliano conquistare un’immagine dell’uomo stesso, tratta da uno dei campi della natura conquistata a nuovo.

Michele vede come la natura venga osservata e come dalle cosiddette “leggi naturali”

ci si voglia formare un’immagine dell’uomo. Vede come si pensi che una determinata qualità di un animale si perfeziona,

che un insieme di organi si armonizza, e come da tale processo “nasca” l’uomo.

(…) E così gli uomini, con un simile pensare intorno all’uomo, vivono in immagini prive di realtà, in illusioni;

inseguono una immagine dell’uomo che si illudono soltanto di raggiungere; ma in verità non vi è nulla nel loro campo visivo.

“La forza del sole spirituale getta i suoi bagliori sulle loro anime, il Cristo opera; ma essi non possono ancora accorgersene.

La forza dell’anima cosciente domina nel corpo, ma essa non può ancora penetrare nell’anima”.

Tale all’incirca è l’aspirazione che Michele pronuncia con preoccupazione ansiosa.

Se cioè le forze di illusione negli uomini non diano al “drago” una potenza tale che per Michele

diventi impossibile il mantenimento dell’equilibrio” (pp. 133-134).

 

 

Inutile dire che l’ansia di Michele non è quella che costringe un numero sempre maggiore di persone a far uso, oggigiorno, di ansiolitici o tranquillanti.

Quella di Michele è un ansia (cristica) per le sorti dell’umanità, mentre l’altra è solo un’ansia (egoica) per le sorti di se stessi.

Sarebbe bene che lo considerassero (ma non c’è granché da sperare) anche quanti ricorrono alla meditazione a mo’ di ansiolitico o di tranquillante. Non si tratta infatti di approdare, mediante questa o mediante magari il “pensiero positivo” (il think pink della new age), a una “pace interiore” egoica e, diciamolo pure, alquanto irresponsabile e beota, quanto piuttosto di arrivare a condividere lo stato d’animo ansioso e doloroso di Michele.

(Osserva Mariano Bigi, riferendosi al nono capitolo del libro del profeta Ezechiele: “Coloro che si salvano [dal “castigo divino”] non lo sono in virtù dell’appartenenza a un popolo che è caro a Dio, anche se non gli è sempre fedele, ma in forza di una presa di coscienza personale del male di cui sono testimoni e di un atto di contrizione interiore; sono coloro che “sospirano e piangono per gli abomini” che si compiono in Gerusalemme” [25].)

 

Ascoltate quanto dice Steiner, riguardo al “corretto processo della meditazione”: “Prima si conquista a fondo un pensiero, del quale si può riconoscere la validità con gli strumenti offerti dalla vita e dalla conoscenza ordinarie. In seguito ci si immerge ripetutamente in quel pensiero, identificandosi con esso. Il rafforzamento dell’anima deriva dal vivere con un pensiero conosciuto in tal modo” (26): conosciuto cioè in modo critico dal sano intelletto, e non preso o raccattato qua e là soltanto perché “bello”, “edificante” o, per l’appunto, “positivo”.

(Sarebbe il caso di spiegare ai seguaci di questo “gaio esoterismo” che il pensiero, per essere “positivo”, deve soltanto preoccuparsi di essere ciò che è: ossia, pensiero.)

 

Michele, dice Steiner, “osserva come gli uomini vogliano conquistare un’immagine dell’uomo stesso, tratta da uno dei campi della natura conquistata a nuovo”: vale a dire, osserva come vogliano conquistarsi un’immagine dell’uomo o del soggetto (pensante e conoscente) a partire dal mondo extra-umano (fisico-chimico) o dall’oggetto (pensato e conosciuto).

“La forza dell’anima cosciente – dice ancora – domina nel corpo, ma essa non può ancora penetrare nell’anima”.

 

Per questo ho detto, poco fa, che Freud e Jung sono stati i primi a voler penetrare in modo moderno all’interno di una realtà ch’era stata, fino allora, monopolio della filosofia e della religione.

Abbiamo infatti i fisici, i chimici e il materialismo perché l’anima cosciente domina nel corpo, ma abbiamo ancora i chierici e la metafisica perché “non può ancora penetrare nell’anima” (tanto che perfino i fisici e i chimici sono diventati ormai dei “metafisici”).

 

Mi avete sentito dire, altre volte, che urge una scienza umana dell’uomo. Se fossero, che so, le formiche a studiare l’uomo, avremmo infatti una “scienza dell’uomo”, ma non una “scienza umana dell’uomo”.

Si ha comunque un analogo risultato quando la scienza dell’uomo non viene fatta consapevolmente da ciò ch’è umano nell’uomo (cioè dall’Io), ma inconsapevolmente (come oggi) da ciò ch’è solo parte dell’uomo (ad esempio, dal sistema nervoso o da quello osseo).

Soltanto una scienza umana dell’uomo può essere però autocosciente, e soltanto una scienza autocosciente può permetterci di realizzare davvero la nostra umanità.

 

Domanda: Potresti fare un esempio della metafisica dei fisici e dei chimici?

Risposta: Vedi questo libro di Edoardo Boncinelli, intitolato: Come nascono le idee (27)? Senti che cosa dice qui: “Studi statistici imponenti hanno mostrato che se la componente genetica non è tutto, come si sa da almeno cinquant’anni, anche la componente derivante dalle particolari condizioni ed esperienze di vita di ogni singolo individuo analizzato [la componente ambientale] non è assolutamente sufficiente a spiegare queste differenze. Esistono insomma alcune differenze sottili tra individuo e individuo che non si possono spiegare se non come scelte casuali compiute dalle varie parti del corpo stesso nel corso dello sviluppo” (28).

Le “differenze sottili tra individuo e individuo” sarebbero prodotte dunque dal “caso”.

Già, ma che cos’è il caso? E’ un’idea, e non una cosa, e quindi una realtà non “fisica”, ma per l’appunto “metafisica”.

Riprendiamo la lettura.

 

 

Altri cercano piuttosto di sentire la natura unificata con l’uomo, mercé forze interiori-artistiche. Risuonano possenti le parole pronunciate da Goethe nel tratteggiare l’azione esplicata da Winkelmann in un bel libro: “Se la natura sana dell’uomo agisce come un tutto, se egli si sente nell’universo come in un tutto grande, bello e degno, se il benessere armonico gli conferisce un rapimento puro, libero, allora l’universo, se potesse sentire se stesso, esulterebbe come giunto alla sua mèta, ammirando l’apice del proprio divenire e della propria natura”.

In queste parole di Goethe risuona l’impulso che dava a Lessing la sua spiritualità di fuoco e che animava in Herder il suo vasto sguardo universale; e tutta la creazione di Goethe è quasi una multilaterale rivelazione di queste sue parole.

Schiller ha descritto nelle sue Lettere estetiche un uomo ideale che porta in sé l’universo, nel senso di queste parole, e che lo realizza nell’unione sociale con altri uomini. Ma da dove proviene questa immagine dell’uomo? Essa splende come sole mattutino sulla terra primaverile. Ma nel sentimento umano essa è stata suscitata dallo studio dell’uomo greco. Gli uomini la nutrirono con energico impulso interiore micheliano, ma poterono sviluppare quell’impulso soltanto immergendo lo sguardo dell’anima nei tempi passati.

Infatti Goethe, volendo sperimentare in sé l’”uomo”, sentì i più gravi conflitti con l’anima cosciente. Egli lo cercò nella filosofia di Spinoza; e soltanto durante il suo viaggio in Italia, penetrando nell’essere greco, credette finalmente di presentirlo. Dall’anima cosciente che vive in Spinoza [in particolare nella sua Ethica more geometrico demonstrata], egli ritorna però alla fine verso l’anima razionale o affettiva che si andava spegnendo. Di questa egli non poté che introdurre moltissimo nell’anima cosciente, con la sua vasta concezione della natura” (pp. 134-135).

 

 

Il fatto che l’immagine dell’uomo, anche in individualità del calibro di Lessing, di Herder, di Schiller e di Goethe, fosse nutrita, sì, da un “energico impulso interiore micheliano”, ma sviluppato “immergendo lo sguardo dell’anima nei tempi passati”, ossia nella Grecia, sta a dimostrare che non è affatto facile cogliere la differenza qualitativa tra l’anima razionale-affettiva e l’anima cosciente.

Ci si conferma, è vero, che la prima, è un’anima “filosofica”, mentre la seconda è “scientifica” (Goethe, dice infatti Steiner, “non poté che introdurre moltissimo [dell’anima razionale-affettiva] nell’anima cosciente, con la sua vasta concezione della natura”: cioè appunto con i suoi lavori scientifici), ma resta il fatto che per cogliere con sicurezza tale differenza è necessario sviluppare una sorta di senso che dia modo di distinguere l’aura (il colore, il suono, il profumo, il sapore) dell’una da quella dell’altra.

 

Fatto sta che quelle di Steiner sono scoperte, e non teorie: scoperte che la scienza, se non fosse mortificata, com’è oggi, dal materialismo, saluterebbe di certo con entusiasmo (chi volesse riprodurre, alla luce della moderna anima cosciente, il celebre dipinto di Benozzo Gozzoli: Il trionfo di San Tommaso, dovrebbe porre, al posto di San Tommaso, Steiner e, al posto di Averroè, gli odierni rappresentanti della scienza materialistica).

L’ho già detto: quella della scienza dello spirito, in quanto scienza, è una “concezione immacolata” (“benedetta, tra le donne”), mentre le altre (“donne”) sono “maculate”.

Non lo si capisce o non lo si riconosce solo perché il cuore non è puro (“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”): perché non si ama la verità, anzi la si teme.

 

 

Michele guarda con serietà anche a questa ricerca dell’uomo. Ciò che è conforme ai suoi intendimenti penetra bene nell’evoluzione spirituale umana; ed è l’ u o m o che in passato vedeva la sostanza dell’intelligenza, allorché ancora Michele la amministrava nel cosmo. Ma se non venisse afferrato dalla forza spiritualizzata dell’anima cosciente, ciò dovrebbe alfine sfuggire all’attività di Michele e cadere sotto il dominio di Lucifero. L’altra preoccupazione angosciosa nella vita di Michele è appunto che, nell’oscillare dell’equilibrio cosmico-spirituale, Lucifero possa ottenere il sopravvento.

La preparazione di Michele alla sua missione per la fine del secolo diciannovesimo trascorre in cosmica tragicità. Giù sulla terra domina spesso un profondo appagamento per gli effetti della concezione naturale; nella regione dove opera Michele domina un senso tragico per gli ostacoli che si oppongono all’avvento di una vera immagine dell’uomo.

Nei raggi del sole, nel brillare dell’aurora, nel fulgore delle stelle, viveva un tempo l’amore austero, spiritualizzato di Michele; quell’amore aveva come sua nota dominante il dolore causato dal suo volgere lo sguardo all’umanità.

La situazione di Michele nel cosmo diventò tragicamente difficile, e insieme urgente verso una soluzione, appunto nel periodo di tempo che precedette la sua missione terrena. Gli uomini riuscivano a tenere l’intellettualità soltanto nell’àmbito del corpo, e in esso soltanto nei sensi. Quindi, da un lato, non accoglievano nella loro conoscenza nulla che non fosse loro detto dai sensi; la natura divenne il campo della manifestazione sensoria, manifestazione pensata però del tutto materialmente. Nelle forme naturali non si percepiva più l’opera compiuta del divino-spirituale, ma qualcosa privo di spirito, di cui si sosteneva tuttavia che producesse l’elemento spirituale in cui l’uomo vive. D’altro lato, del mondo spirituale gli uomini non volevano più accogliere altro che quello di cui si aveva notizia storica. Una veggenza dello spirito verso il passato veniva condannata severamente, quanto una veggenza nel presente” (pp. 135-136).

 

 

Dice Steiner: • “La preparazione di Michele alla sua missione per la fine del secolo diciannovesimo trascorre in cosmica tragicità. Giù sulla terra domina spesso un profondo appagamento per gli effetti della concezione naturale (basti pensare alla Belle Époque, alla Tour Eiffel o al balloExcelsior); nella regione dove opera Michele domina un senso tragico per gli ostacoli che si oppongono all’avvento di una vera immagine dell’uomo”.

 

Torniamo così a quanto ho detto prima di cominciare questa lettera. Ho affermato, una sera (massima 19), che l’antroposofia è una “cosa seria”, e non un passatempo, un trastullo, un hobby, né tantomeno un “buon affare”, e ho anche ricordato che Scaligero mi consigliò di leggere Del sentimento tragico della vita, di Miguel de Unamuno, lo stesso autore de L’agonia del cristianesimo.

Vi confesso che ripenso a questo (nonché al fatto che Steiner parla della necessità di “un virile ingresso nel severo mondo dello spirito”), tutte le volte che mi capita tra le mani la pubblicità di iniziative, più o meno “antroposofiche”, che prevedono attività rivitalizzanti, trattamenti di benessere, passeggiate, chiacchierate, elevazione di frequenze e “molto altro ancora” (in una di queste, ad esempio, veniva annunciato uno “stage molto consapevolmente olistico” su S. Francesco, e in un’altra, relativa a un corso di euritmia, l’antroposofia figurava tra le “materie complementari”).

 

Sapete, si racconta che Garibaldi, volendo che un suo breve soggiorno a Roma passasse inosservato, prese alloggio in un modesto albergo di Trastevere. Ma la precauzione si rivelò inutile, perché ben presto, sotto il balcone della sua stanza, si radunò una folla che, gridandone a gran voce il nome, lo invitava ad affacciarsi.

Ebbene, sapete che cosa fece Garibaldi? Attese un poco, poi si affacciò, disse: “Romani, siate seri!”, e subito rientrò.

Non sono Garibaldi, ma vi confesso che piacerebbe anche a me poter dire a quanti propongono iniziative del genere: “Cercatori dello spirito, siate seri!” (non seriosi, l’ho già detto, ch’è tutt’altra cosa). Ma torniamo a noi.

 

Dice Steiner:

“Gli uomini riuscivano a tenere l’intellettualità soltanto nell’àmbito del corpo, e in esso soltanto nei sensi”.

 

Ciò significa che l’anima, finché ha a che fare con il sensibile, è “anima cosciente”, ma che non appena molla tale presa, regredisce all’anima razionale-affettiva, se non addirittura all’anima senziente.

Quando ci occupammo de I punti essenziali della questione sociale (29), feci notare, a questo proposito, che l’unica vita davvero moderna con cui abbiamo a che fare è quella economica (legata alla tecno-scienza), giacché la nostra vita giuridica risente ancora del diritto romano e la nostra vita spirituale o religiosa risente ancora dell’Antico Testamento.

L’anima cosciente che domina il mondo fisico, si trascina pertanto una coda impregnata di anima razionale-affettiva e di anima senziente.

Studiamo e pratichiamo dunque la scienza dello spirito, poiché vorremmo appunto imparare a portare nella sfera dell’anima cosciente anche i mondi dell’anima e dello spirito.

Prima di poter far questo, dovremo però portarvi il mondo della vita, imparando a pensare la natura organica così come la pensava Goethe.

 

 

Nell’anima dell’uomo viveva ormai soltanto quello che emanava nell’ambito del presente, nel quale Michele non pone il piede. L’uomo era contento di poggiare su terreno “sicuro”. Era persuaso di averlo, perché nella “natura” non cercava dei pensieri nei quali subito paventava arbitrio di fantasia. Ma Michele non era contento; era costretto a condurre al di là dell’uomo, nel dominio suo proprio, la lotta contro Lucifero e Arimane. Da ciò risultò la grande, tragica difficoltà poiché Lucifero si avvicina tanto più facilmente all’uomo, quanto più Michele, il quale conserva anche il passato, deve tenersi lontano dall’uomo. Così si svolse da parte di Michele contro Lucifero ed Arimane, nel mondo spirituale immediatamente limitrofo alla terra, l’ardente lotta per l’uomo mentre questi, nell’ambito terrestre stesso, teneva in attività la sua anima contro la corrente salutare della propria evoluzione.

Tutto questo vale naturalmente per la vita culturale europea ed americana. Per quella asiatica si dovrebbe parlare diversamente” (p. 136).

 

 

Vedete: “l’ardente lotta per l’uomo”. Chiunque faccia davvero suo lo spirito dell’antroposofia, non può non mettersi interamente al servizio di questa “ardente lotta”.

Che cosa fanno infatti le forze avverse all’uomo? Gli mettono ad esempio in testa, come abbiamo visto, di essere un prodotto del caso, e quindi un essere in balia di un’entità (metafisica) imprevedibile e inconoscibile.

Per quale ragione, altrimenti, essendo necessario ricorrere a una realtà extrasensibile per spiegare il fenomeno, si dovrebbe preferire fare appello a quella del caso, ossia a un’”idea-non-idea” o a un’“idea vuota”, piuttosto che a quella dello spirito o dell’Io?

(Ove poi si consideri, come afferma Steiner, che “lo spirito porta la necessità nella casualità” [30], l’idea di una “casualità creatrice” appare il prodotto di una vera e propria “sincope” spirituale.)

 

Deve essere sottolineato che queste cose, se vogliamo capire il perché Steiner parli non solo di una “lotta ardente per l’uomo”, ma anche, riferendosi a Michele, di dolore, di ansia, di angoscia e di tragicità, vanno non soltanto pensate, ma anche sentite.

“L’uomo – dice ancora – era contento di poggiare su terreno “sicuro””.

Questo stato d’animo “positivistico” (nel senso di Comte) non ha ovviamente a che fare con la “positività”: ossia con l’esercizio che Steiner ci suggerisce di praticare. Il “positivismo” ha infatti un occhio solo, mentre la “positività” ne ha due, ed è per questo che può cogliere l’inquietante risvolto spirituale del moderno progresso materiale.

Tanto più ci si accontenta, infatti, di questo progresso, tanto più crescono, in Michele, l’ansia e l’angoscia per il nostro futuro, giacché le forze da lui vinte devono essere vinte anche da ciascuno di noi.

 

“Lucifero – dice sempre Steiner – si avvicina tanto più facilmente all’uomo, quanto più Michele (…) deve tenersi lontano dall’uomo”.

Perché Michele “deve tenersi lontano dall’uomo”, aspettando che questi muova verso di lui in piena coscienza e volontà? Lo abbiamo detto: per non violare e infirmare la sua libertà.

 

Leggiamo adesso le massime.

Massime 134/135/136 (21 dicembre 1924)

 

 

134 – “Nel primissimo tempo dell’evoluzione dell’anima cosciente,

l’uomo sente di aver perduto l’immagine dell’umanità, dell’entità sua propria,

prima datagli immaginativamente.

Ancora impotente a trovarla nell’anima cosciente, egli la cerca sulla via scientifica o su quella storica.

Vorrebbe far risorgere in sé l’antica immagine dell’umanità”.

 

135 –  “Per tale via non si perviene ad essere veramente pervasi di entità umana, ma soltanto ad illusioni.

Però non ce ne avvediamo, e crediamo di scorgervi qualcosa da cui l’umanità è portata”.

 

136 –  “Così, nell’epoca antecedente alla sua attività sulla terra,

Michele deve guardare con ansia e con dolore all’evoluzione dell’umanità.

Ché l’umanità ripudia ogni considerazione spirituale, e così facendo taglia tutto ciò che la collega con Michele”.

 

 

Note:

  1. R.Steiner: Il quinto Vangelo – Antroposofica, Milano 1989, pp. 122, 127;
  2. cit. in S.Rihouët-Coroze: Rudolf Steiner: la vita e l’opera del fondatore dell’antroposofia – Convivio, Firenze 1989, p. 329;
  3. Noterella 7 ottobre 2008;
  4. S. Rihouët-Coroze: op. cit., p. 191;
  5. R.Steiner: La soglia del mondo spirituale in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977, p. 156;
  6. cfr. R.Steiner: Cronaca dell’Akasha – Bocca, Milano-Roma 1953;
  7. R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni – Antroposofica, Milano 1995, p. 105;
  8. R.Steiner: L’iniziazione – Antroposofica, Milano 1971, p. 156;
  9. R.Steiner: Il quinto Vangelo, pp. 14-15;
  10. S. Rihouët-Coroze: op. cit., p. 94;
  11. cfr. C.G.Jung: La simbolica dello spirito – Einaudi, Torino 1975;
  12. C.G.Jung: Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna – Einaudi, Torino 1969, p. 5;
  13. F.Antonini: Psicanalisi e filosofia – Tempora, Roma 1964, pp. 43, 129;
  14. R.Steiner: Formazione di comunità – Antroposofica, Milano 1992, p. 122;
  15. R.Steiner: L’antroposofia e le scienze – Antroposofica, Milano 1995, p. 7;
  16. R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni – Antroposofica, Milano 1995, p. 183;
  17. Parsifal – Ricordi & Sonzogno, Milano 1981;
  18. R.Steiner: Formazione di comunità, p. 12;
  19. cit. in R.Steiner: Linee fondamentali di una gnoseologia della concezione goethiana del mondo in Saggi filosofici – Antroposofica, Milano 1974, p. 69;
  20. G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Laterza, Roma-Bari 1989, p. 198;
  21. cfr. Intelletto d’amore, 20 giugno 2004;
  22. E.Uehli: La nascita dell’individualità dal mito – Bocca, Milano 1939, p. 188;
  23. N.Berdjaev: Nuovo Medioevo – Fazi, Roma 2004, p. 76;
  24. ibid., p. 53;
  25. M.Bigi: Il TAU un segno di spiritualità – Dehoniane, Bologna 2002, p. 29;
  26. R.Steiner: La soglia del mondo spirituale, p. 132;
  27. cfr. Elefanti e chincaglieria, 15 novembre 2008;
  28. E.Boncinelli: Come nascono le idee – Laterza, Roma-Bari 2008, p.57;
  29. cfr. R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Antroposofica, Milano 1999;
  30. R.Steiner: Linee fondamentali di una gnoseologia della concezione goethiana del mondo, p. 78.