Il denaro è soprattutto mezzo di scambio

O.O. 340 – I capisaldi dell’economia – 06.08.1922


 

Sommario: Per comprendere denaro e prezzi occorrono concetti viventi e non dogmatici. Il denaro come contabilità universale. Valore nominale e reale. Il denaro è soprattutto mezzo di scambio. Falsificazioni dovute al commercio col denaro. Il lavoro manuale applicato alla natura forma valori economici. La massa del denaro corrisponde ai beni utilizzabili. Concetto di mezzo di produzione. Base del prezzo è anche il rapporto fra popolazione e superficie Utilizzabile del terreno. Frase fatta, convenzioni e routine in luogo di verità, diritto e pratica di vita. L’economia politica è un valore economico.

 

Dalle considerazioni fatte in questi giorni si sarà visto che si tratta veramente di trovare per la vita economica concetti, o meglio immagini, che consentano in effetti di penetrare in essa. Sono convinto che nell’àmbito delle diverse scienze, delle quali io mi occupo oggi nella prospettiva del movimento antroposofico, esista un materiale utilizzabile su vasta scala; ritengo solo che per renderlo veramente fecondo occorrerebbe un sostanziale sviluppo ulteriore, sia nelle scienze naturali, sia in quelle sociali. Per questo ho voluto prospettare soprattutto i concetti immaginativi adatti a fornire punti di appoggio per adoperare nel giusto modo tutto quanto vi è di utilizzabile nella stessa scienza economica. Ho dato dunque delle immagini che dovrebbero essere in senso immediato viventi. Ma ciò che è vivente ha sempre molti aspetti, siamone ben coscienti; forse qualcuno sentirà di dover fare delle obiezioni contro l’una o l’altra delle cose da me esposte. Sotto un certo aspetto, potrei persino rallegrarmi di un tale sentimento, purché mosso da vera serietà e spirito scientifico; questo sentimento dovrebbe infatti sempre esistere di fronte a ciò che è vivente. Il vivente non tollera teorie dogmatiche; in questo senso vanno intesi i concetti immaginativi che ho esposti.

 

Un concetto immaginativo dai molti aspetti è certamente quello del denaro che invecchia, che si logora. Di fronte a simili concetti immaginativi dobbiamo comportarci su per giù come di fronte a un individuo in via di divenire. Vedendolo si desterà in noi il sentimento generico ch’egli sarà in grado di compiere molte buone cose; forse anche potremo figurarci in qual modo le compirà. Ma non è detto che tali rappresentazioni si realizzino sempre a quel modo; l’individuo in questione potrà svolgere la sua azione anche in modo diverso. Così, anche per il concetto del denaro che si logora, si potranno trovare, secondo i casi, diversi modi in cui quel logorìo potrà prodursi. Qui ho tentato di esporre un modo che per così dire è pensato il meno burocraticamente possibile, partendo comunque dalla vita economica stessa.

 

Si potranno muovere obiezioni su obiezioni. Sarà facile opporre per esempio: ma che cosa dovrà determinare un imprenditore a introdurre nella sua azienda proprio del denaro giovane, dal momento che forse, dopo brevissimo tempo, non si potrà più sapere se è davvero denaro giovane o no, dato che l’azienda segue senz’altro il suo corso?

 

Bisogna riflettere che quell’imprenditore non prende il denaro dall’aria, ma lo prende a prestito da qualcuno; ora, come si sarà visto dai miei Punti essenziali…, io non penso affatto che, per il denaro che ha valore, si debbano abolire gli interessi come tali: al contrario ritengo che fino a un certo punto essi siano necessari nel processo economico. Dovrò quindi dirmi: se sono un imprenditore, come faccio a ricevere denaro da chi è in grado di concedermi un prestito, se gli pago gli interessi solo per un periodo brevissimo? Bisognerà fare in modo che l’azienda possa pagare gli interessi il più a lungo possibile. Probabilmente si vedrà che questo sistema per far invecchiare il denaro non è ancora sufficiente; allora si potrà far sì che sul denaro che si spende oggi non si incida la data dell’anno in corso, ma quella di un anno avvenire, in modo che fino allora il valore del denaro aumenti e cominci a decrescere solo da quel momento in poi.

 

Insomma tutto ciò che vive può realizzarsi nei modi più svariati; perciò non appena una possibilità venga prospettata in modo vivente, è data l’occasione di tradurla nella realtà in modi diversissimi; come appunto un individuo può esplicare nei modi più vari le sue attitudini. Questa è l’essenza del concetto non dogmatico. Solo facendo propri concetti del genere, soprattutto nella scienza economica, si vedrà come le cose afferrino la vita, e come soltanto su questa base sia possibile valersi di quanto offre già oggi la scienza economica, sulla base di osservazioni parzialmente valevoli.

 

Si prendano ad esempio le spiegazioni abituali relative al prezzò; si dice che ciò che condiziona il livello del prezzo, da parte del venditore, è il suo fabbisogno di denaro, il valore del denaro, le spese di produzione sostenute e la concorrenza da parte del compratore. Se però si analizzano questi concetti, ci si accorgerà che, pur pensando in modo giusto su ciascuno di essi, non si può affatto penetrare per loro mezzo nella realtà economica, per il semplice motivo che prima ci si deve chiedere: può forse dirsi sana una condizione economica in cui, se in un dato momento un certo imprenditore ha bisogno di denaro, questa circostanza fa salire o scendere i prezzi secondo una determinata corrente, in ragione di quel suo fabbisogno? quel che possiamo chiamare valore corrente del denaro, è forse qualcosa che possa operare in modo sano? Tanto l’una cosa quanto l’altra può agire in modo sano e malsano. D’altro lato, riguardo al costo di produzione, per il formarsi d’un prezzo sano, invece che studiare i prezzi considerando le spese di produzione come qualcosa di «assoluto», può essere preferibile pensare piuttosto al modo di ridurre le spese di produzione di un dato articolo, affinché esso abbia sul mercato un prezzo sano. Si tratta dunque di avere concetti che prendano le mosse dal loro vero punto iniziale. Come non si può far cominciare la vita di un uomo dal suo 25° anno di età, così non si dovrebbe stabilire arbitrariamente l’inizio dei concetti che operano nella vita. I concetti economici non si dovrebbero far cominciare solo dalla concorrenza fra compratori e venditori; infatti il problema è proprio se, sotto determinate premesse, l’errore di principio non risieda appunto nell’esistenza di una esagerata concorrenza dei venditori o anche dei compratori. Queste cose devono venir considerate molto profondamente appunto nelle questioni di principio.

 

Ora, prescindendo del tutto dal fatto che qualcuno ritenga giusto l’uno o l’altro punto delle nostre considerazioni, ciò a cui abbiamo mirato di continuo è che i concetti siano viventi; concetti tali indicano poi da sé dove nei singoli casi vadano modificati; si tratta quindi di metterci appunto sulle tracce di tali concetti viventi. Qui possiamo dirci: se da un lato abbiamo il denaro che si logora e invecchia, per il fatto stesso che entra in circolazione come denaro d’acquisto, denaro di prestito e denaro di donazione, appuntò da queste proprietà del denaro, se funzionano senza ostacoli e in modo puramente economico, nascerà da sé, da un lato il bisogno di denaro giovane, e dall’altro il bisogno di denaro vecchio.

Naturalmente dovrei poter svolgere tali questioni per molte settimane; allora si vedrebbe ch’esse s’innestano senz’altro in una sana economia sociale, e che là dove si manifesta una «malattia» nel campo economico, essa può venir guarita proprio con l’osservazione di questi fatti.

 

Che cosa ci risulta dunque, se nel denaro circolante scorgiamo veramente una specie di immagine riflessa di quanto è deperibile nei più svariati oggetti d’uso? (In senso economico le attività spirituali sono anch’esse oggetti d’uso).

Nel denaro deperibile abbiamo la corrente parallela alle merci, ai beni, ai valori deperibili; cioè ai valori delle cose reali. Che cosa abbiamo dunque in effetti (possiamo subito estenderlo a tutta l’economia mondiale), se abbracciamo con lo sguardo questo parallelismo di valori nominali e di valori reali? Abbiamo qualcosa che in sostanza potremmo chiamare una contabilità estesa a tutta l’economia mondiale. È proprio la contabilità mondiale. L’azione che si compie quando si passa una cifra da una partita all’altra, non è altro infatti che il girare un importo da una partita a un’altra, il che si compie nella realtà quando denaro e merce passano da una mano all’altra. In fondo è proprio lo stesso che si crei la possibilità di segnare nel giusto luogo le diverse somme di una contabilità gigantesca che si estenda a tutta l’economia mondiale, e si diriga poi il tutto in modo che vengano solo trascritti i crediti, oppure che le partite vengano pareggiate consegnando realmente le somme all’interessato, sicché la cosa venga in effetti eseguita. Nella circolazione del denaro abbiamo dunque la contabilità mondiale. Questo, ognuno può vederlo, sarebbe appunto ciò verso cui si dovrebbe tendere, poiché in tal modo avremmo ridato al denaro il suo vero e proprio carattere di semplice mezzo esteriore per lo scambio; se guardiamo l’economia fino in fondo, il denaro non è infatti se non il mezzo per lo scambio reciproco delle prestazioni; in realtà gli uomini vivono di prestazioni, non del contrassegno di queste.

Appunto perché il denaro, in un certo senso, falsa le prestazioni, può accadere che, per l’intromettersi del commercio del denaro, si verifichi una falsificazione di tutta l’economia; ma in tal caso si tratta appunto di una falsificazione che diventa possibile non attribuendo al denaro il suo vero carattere.

 

Ma ora si tratta di dover riconoscere, è l’ho mostrato specialmente ieri, che le prestazioni debbono venir giudicate nei modi più svariati rispetto ai valori che circolano nella vita economica. Abbiamo notato ieri che quanto si ricava dalla natura, a cui si applica il lavoro umano, corrisponde in realtà all’immagine del riunire il lavoro e l’oggetto di natura; si può cioè iniziare il processo economico nel punto in cui si dice: il valore si genera mediante il lavoro che si aggiunge a un prodotto di natura. Ma nel processo economico esiste anche la corrente opposta: quella che si manifesta quando intervengono le prestazioni spirituali. Per il fatto che intervengono prestazioni spirituali, è necessario introdurre un’altra formula di valutazione che si può esprimere così: una prestazione spirituale vale tanto quanto è il lavoro ch’essa fa risparmiare a chi la introduce. Dunque chi dipinge un quadro, producendo così un valore per cui s’intende che vi sia dell’interesse, senza di che non sarebbe un valore, se il fatto si svolge in sane condizioni economiche, esso dev’essere valutato secondo il criterio che al pittore venga risparmiato altrettanto lavoro quanto gli occorre fino a che non abbia prodotto allo stesso modo un nuovo quadro. Possiamo così vedere che nel processo economico le prestazioni spirituali si contrappongono alle prestazioni che si limitano semplicemente alla lavorazione della natura, cioè a un lavoro manuale o al lavoro mediante mezzi di produzione. Dal fatto che da un lato occorre il lavoro legato ai mezzi di produzione, e che dall’altro deve venir risparmiato del lavoro, nasce questa circolazione economica di due correnti opposte che in modo sano devono compensarsi.

 

Ma come tradurlo in realtà? A tutta prima basterebbe pensare alla contabilità generale di tutta l’economia mondiale, poiché, da essa sorgerebbe quanto deve reciprocamente compensarsi; e qui nascerebbe il prezzo.

Le partite di questa contabilità generale dovrebbero però significare qualcosa. La partita A, che io registro nella mia contabilità, deve corrispondere a ciò che posso chiamare: «lavoro collegato alla natura», l’altra partita B deve corrispondere a: «tanto lavoro viene risparmiato mediante una data prestazione». Ognuna di queste partite deve avere appunto un significato, e può averlo soltanto se rappresenta cose che siano comparabili o che possano venir rese comparabili dall’economia, dato che non si può senz’altro chiedere: quante noci vale una patata? Si tratta invece di dire: la noce è un prodotto di natura collegato con lavoro umano; la patata è un prodotto di natura collegato con lavoro umano; come si comparano tra loro i due valori?

 

Bisognerà proprio trovare qualcosa che ci dia davvero la possibilità di valutare, di stimare reciprocamente i valori economici l’uno rispetto all’altro. La faccenda diventa più ardua quando per esempio qualcuno scrive un articolo che in senso economico deve aver tanto valore quanto è il lavoro fisico che viene risparmiato su qualsiasi mezzo di produzione, detrattone il sia pur piccolo lavoro fatto per scriverlo. Ma, in ogni modo, possiamo immaginare che non è un compito tanto semplice calcolare come tutte queste cose vadano confrontate e stimate reciprocamente. Tuttavia ci si potrà arrivare prendendo il processo economico da un altro capo. Da un lato abbiamo dunque lavoro fisico applicato al mezzo di produzione (a cui appartiene anche la natura), ed è un lavoro per un dato momento appunto ben determinato; in altre parole ciò significa che in un dato momento occorre un determinato lavoro umano per produrre del grano su un certo appezzamento di terreno, fino al punto in cui il grano arriva al negoziante o altrove. Si tratta senz’altro di una data quantità, di una quantità che sotto un certo aspetto si può calcolare; tutto il lavoro, tutta l’attività economica umana, quando la si abbracci con lo sguardo, riconduce infatti in qualche modo alla natura. Non v’è altra possibilità che quella di ritrovarne la genesi nella natura. Il contadino applica la propria attività direttamente alla natura; chi si occupa dell’abbigliamento non vi lavora direttamente, eppure il suo lavoro riconduce anch’esso alla natura. In quanto egli applica lo spirito alla propria attività, il suo lavoro conterrà di certo qualcosa del lavoro risparmiato; ma comunque il suo lavoro riconduce alla natura. Tutto, fino alle più complicate prestazioni spirituali, riconduce in ultima analisi alla natura, o al lavoro con mezzi ‘di produzione. Possiamo riflettere con tutta l’obiettività possibile: giungeremo sempre alla conclusione che tutta l’economia risale da ultimo al lavoro fisico applicato alla natura, producendo quei valori che devono essere suddivisi nel campo intero dell’economia chiusa in sé.

 

Consideriamo ancora una volta l’ipotesi che ho prospettato ieri: l’economia chiusa di un villaggio. In essa abbiamo trovato i lavoratori manuali comuni, e, quanto a lavoratori spirituali, solo il maestro, il parroco e forse ancora il segretario comunale. È un’economia molto semplice. Qui la maggioranza della popolazione accudirà a lavori fisici, lavorerà la terra con le proprie braccia; dovrà produrre in più anche ciò di cui hanno bisogno per il proprio alimento, abbigliamento, ecc., il maestro, il parroco e il segretario comunale. Questo lavoro dev’essere compiuto dagli altri, perché il maestro, il parroco e il segretario comunale non possono fare da sé la loro parte di lavoro intorno alla natura. Immaginiamo ora che in questo villaggio vivano 30 contadini, più quei tre, chiamiamoli «notabili», che prestano la loro opera spirituale. Essi han bisogno del lavoro manuale degli altri.

 

Supponiamo ancora che ognuno di quei 30 contadini dia a quelle tre persone, o singolarmente a ciascuna di esse, un «buono», un foglietto sul quale venga segnato, diciamo, X quantità di grano, di grano già lavorato. Un altro dà un foglietto sul quale è segnato un altro prodotto che riguardo al consumo sia paragonabile al grano. Sono cose fattibili. I foglietti vengono conservati dal parroco, dal maestro e dal segretario i quali, anziché recarsi personalmente sui campi a provvedersi di frumento, di frutta, di carne, presentano i foglietti alla gente che lavora e che, in cambio dei foglietti, consegna poi i prodotti. Questo è il processo che deve svilupparsi da sé, e che non può svolgersi diversamente, nemmeno se a qualche furbacchione salti in mente di introdurre delle monete metalliche al posto dei foglietti. Il processo è proprio questo: creare la possibilità di dare dei «buoni» sulla base del lavoro materiale accumulato, applicato ai mezzi di produzione, investito in valori economici; «buoni» che si trasmettono affinché venga evitato del lavoro a chi deve risparmiarselo.

 

Si vede da tutto questo che non può esservi nessuna sorta di denaro che non sia una semplice espressione della massa dei mezzi di produzione disponibili in un campo qualsiasi (tra i quali saranno da annoverarsi in modo particolare e in prima linea le terre), dei mezzi di produzione ridotti a quanto si può esprimere nella forma più semplice. In questa forma l’intero processo economico potrà essere afferrato.

 

Quanto dobbiamo dire in proposito si connette col fatto che in nessuna parte del mondo è possibile creare un paradiso economico. A un tale paradiso potrà credere solo chi sogna utopie senza nessun contatto con la realtà. È facile dire, con somma disinvoltura, che l’economia dovrebbe essere costruita così e così, ma né un’economia singola né l’economia che chiamiamo mondiale può essere costituita in via assoluta in un dato modo, ma solo in via relativa. Pensiamo per esempio di avere, in un qualsiasi campo economico chiuso in sé, una data superficie di terra. Se tutte le persone ivi esistenti intraprendono veramente tutti i lavori possibili agli uomini, avremo per il consumo un risultato diverso se la popolazione di quella superficie di terra sia di un milione, anziché di due. Tutto dipende assolutamente dal rapporto della massa della popolazione con la superficie del suolo, e quindi anche dalla quantità di beni che una data popolazione può ricavare dalla superficie del suolo (da cui in ultima analisi tutto proviene).

 

Poniamo per ipotesi che un territorio economico abbia 35 milioni di abitanti (il numero è indifferente; e quel che dico riguardo a un campo economico chiuso vale anche per l’economia mondiale). Poniamo dunque che in un dato momento un territorio economico abbia 35 milioni di abitanti, e che questi abitanti debbano essere portati a una condizione, per quanto possibile, economicamente equa. Il problema non è espresso in modo del tutto preciso e chiaro, ma si comprenderà subito che cosa intendo dire. Che cosa si dovrebbe fare, affinché fra quei 35 milioni di abitanti si stabiliscano condizioni atte a determinare prezzi equi? Quando ci si accingesse a portare la vita economica a uno stato sano, bisognerebbe dare a ogni singolo individuo una quota della superficie del suolo (calcolata sulla media della fertilità e delle possibilità di coltivazione) che corrisponda alla totalità del suolo produttivo divisa per 35 milioni. Se ogni bambino, venendo al mondo, ricevesse semplicemente quel dato appezzamento di terra da coltivare, allora si formerebbero i prezzi che sono possibili in quel territorio, e ogni cosa avrebbe il suo vero e naturale valore di scambio.

 

Ma ciò che ho esposto qui come una strana ipotesi, corrisponde proprio alla realtà. Il processo economico, indipendente dall’uomo, fa veramente così. Lo fa (e si capirà bene che intendo quel che sto per dire in senso figurato), in quanto il processo economico divide effettivamente la superficie del suolo fra un dato numero di individui, i quali poi devono lavorare in modo adeguato tutto quanto spunta dal suolo; si può immaginare tutto il territorio ripartito fra gli abitanti, e questo, come fatto reale, dà a ogni singola cosa il suo valore di scambio; si può tener nota di questi valori di scambio, e l’esperienza ci mostrerà eh’essi si approssimano molto alla realtà vera. Se poi li si confronta con la realtà d’oggi, si trova che certe cose hanno oggi un prezzo molto al di sotto, e altre molto al di sopra dei valori così calcolati. Se ora immaginiamo che in qualche luogo sorga un paese di «Utopia» in cui si possano trasferire tanti neonati ai quali inizialmente provvedano gli angeli, ma a ognuno dei quali venga assegnato il suo pezzo di terra, al momento in cui essi potranno cominciare a lavorare, vedremo formarsi i veri e naturali valori di scambio. Se dopo un certo tempo i prezzi risultassero diversi, sarebbe segno che qualcuno avrebbe tolto qualcosa ad altri. Ed è appunto ciò che è avvenuto, provocando il malcontento di tanti: si sente oscuramente che nel processo economico si è potuto insinuare qualcosa che fa alterare di molto i prezzi reali.

 

Se ora si cerca di comprendere l’organismo economico col modo di pensare che abbiamo applicato in queste nostre considerazioni, con gli stessi provvedimenti potremo arrivare a quel che qui ho esposto. Questo è l’importante. Troveremo così che sul denaro, che rappresenta direi quasi la contabilità volante dell’economia mondiale, dovrà trovarsi iscritto qualcosa di simile a: grano coltivabile su un dato appezzamento di terra, da confrontarsi poi con le altre cose. I più facili a valutarsi reciprocamente sono i prodotti del suolo; si vede comunque da dove occorra prendere le mosse. Bisogna pur prendere le mosse da dove le cifre devono avere un significato. Ci allontaniamo per forza dalla realtà, se scriviamo sul denaro questo o quel valore aureo; veniamo invece condotti alla realtà, se vi iscriviamo: «vale tanto lavoro applicato a un dato prodotto di natura». Supponendo che sul denaro stia scritto «x frumento», che su tutto il denaro stia scritto: «x frumento», «y frumento», «z frumento», riuscirà evidente a che cosa vada ricondotta tutta l’economia. Con questo avremo ricondotto la moneta ai mezzi di produzione utilizzabili ai quali sia applicato lavoro materiale (mezzi di produzione di qualsiasi settore economico); questa, cioè la somma dei mezzi di produzione utilizzabili, è l’unica moneta sana.

 

Chi sia capace di scrutare spregiudicatamente la realtà, vede proprio così la situazione, benché taluno possa forse obiettare che nemmeno così si possa fare con precisione il confronto con ogni altro valore. Ma fino a un alto grado di precisione si potrà farlo, perché in generale, dato che ogni cosa si valuta, in ultima analisi i valori delle prestazioni non si differenziano poi troppo tra loro attraverso il consumo. Per quanto possa essere un lavoratore spirituale, ogni anno mi occorre tanto lavoro risparmiato, quanto mi abbisogna per mantenermi come essere umano; si mostrerà anche senz’altro assai bene che a un lavoratore spirituale occorre anche qualcosa di più che non a un lavoratore manuale; appunto perché la cosa apparirà tanto evidente, sarà anche ovunque riconosciuta. Nelle economie chiuse si trovano ancora oggi delle situazioni (sebbene vadano diventando sempre più rare), nelle quali i lavoratori spirituali ricevono con abbondanza quanto loro necessita, e trovano gente che glielo dona volentieri, senza scriverlo prima su foglietti.

Non lo dico perché voglia fare di una questione economica una questione sentimentale; ma lo dico perché è parte delle realtà della vita economica, e perché in ultima analisi in ogni punto del complesso economico ci si imbatte nell’uomo.

 

Soprattutto si ottiene in questo modo un rapporto fra le singole parti di un complesso economico che è abbracciabile con lo sguardo. Si ottiene la possibilità che anche nel denaro ognuno scorga in ogni istante la propria connessione con la natura. Quel che rende tanto malsane le nostre condizioni è il fatto ch’esse si stacchino tanto dalla natura, che non si scorga più il loro nesso con la natura. Se arriviamo effettivamente (e il risolvere tale problema dipenderà soltanto dall’organizzazione che sapremo crearci nella vita associativa) a segnare sulla nostra carta-moneta il valore di natura anziché il valore indefinibile dell’oro, riconosceremo direttamente, nel commercio quotidiano, anche il valore di ogni prestazione spirituale, poiché sapremo allora che, mentre un pittore dipinge un quadro, tanti contadini devono lavorare a produrre frumento, avena e altro, per un dato numero di mesi o di anni. Pensiamo in quale chiara prospettiva ci si mostrerebbe in tal modo tutto il processo economico! Allora si direbbe, usando il frasario attuale: abbiamo una moneta in natura anziché una moneta aurea; questa sarebbe appunto la cosa giusta, quella che mostrerebbe la vera realtà economica.

 

Eccoci posti di nuovo davanti a un’immagine. Bisogna appunto che parli per mezzo di immagini, poiché esse rendono la realtà, mentre non è realtà ciò che la gente ha in testa di solito nel rapporto economico. Possiede la realtà solo chi sa che il ricevere una moneta d’oro d’una certa grandezza rappresenta una data quantità di lavoro della terra; va inoltre tenuto conto anche del lavoro con altri mezzi di produzione; essi però diventano equivalenti alla natura in quanto, dal momento in cui sono condotti a termine ed escono dal campo delle merci, passano a uno stato di svalutazione, di impossibilità di essere comprati o venduti; per questo diventano simili ai mezzi di produzione che abbiamo in natura. Si tratta solo di una continuazione del processo che abbiamo in natura, quando diciamo che i mezzi di produzione devono essere trattati a questa stregua. Soltanto così si sarà formato un concetto chiaro anche per la natura stessa, quale mezzo di produzione, poiché di fronte ai concetti abituali di «terreno», sarà sempre possibile sollevare qualche obiezione, se non si introduce il concetto del mezzo di produzione quale ho cercato di esporlo nel mio I punti essenziali della questione sociale. Basta riflettere che anche un pezzo di natura deve in ogni caso essere lavorato prima di essere utilizzabile; fino al momento in cui la natura, un pezzo qualsiasi di natura, non sia dissodato e reso utilizzabile, bisogna pure che vi si applichi del lavoro; anche un appezzamento di terra è dunque giustificatamente merce, e cioè un valore economico nel senso di un «bene» collegato a un lavoro.

 

Solo se si formulano veramente i concetti nel modo che abbiamo indicato, è possibile arrivare a concepire il puro concetto del mezzo di produzione; allora lo si potrà applicare nei più diversi campi, e al momento giusto apparirà chiaro che, quando qualcuno scrive un articolo, il valore economico di questo consisterà soprattutto nel lavoro risparmiato, sottrattone solo quel po’ di lavoro materiale eseguito nello scrivere. I concetti si differenziano subito, nelle più diverse direzioni, e in modo da fissarsi saldamente nella vita, se vengono formati nel modo giusto partendo dalla vita stessa.

 

Se dunque in qualche modo si vuol trattare la questione del prezzo, non si può fare altrimenti che risalire, non solo fino alle spese di produzione, ma fino alla origine stessa della produzione, e partendo da quella osservare le condizioni della formazione del prezzo. Allora si potrà veramente seguirne lo svolgimento fino a un punto qualsiasi del processo economico.

 

Con questo ho forse potuto dare almeno qualche idea in merito a ciò che soprattutto importa riguardo alla questione principale dell’economia, alla formazione dei prezzi. L’economia consiste in sostanza nel portare allo scambio fra gli uomini ciò che viene prodotto, e lo scambio si estrinseca nella formazione dei prezzi. La formazione dei prezzi dev’essere dunque il punto principale. Che non occorra risalire a qualcosa di indeterminato, lo si constaterà appunto arrivando fino ai valori che per la lavorazione del suolo possono essere determinati dal rapporto tra il numero della popolazione e la superficie del suolo atta ad esser lavorata. In tale rapporto si trova ciò che in origine sta appunto alla base della formazione del valore, poiché tutto il lavoro che può essere eseguito può provenire solo dal numero della popolazione, e tutto ciò con cui questo lavoro può collegarsi deve provenire unicamente dal suolo. Dei prodotti del suolo tutti hanno infatti bisogno, e per chi in seguito alle sue prestazioni spirituali risparmia il proprio lavoro, devono lavorare gli altri. Ecco perché giungiamo qui a ciò che sta proprio alla radice dell’economia.

 

Osservando la cosa in questo modo, dobbiamo dire: anche nella nostra complicatissima economia attuale avviene quel che già esisteva nelle condizioni economiche più primitive, dove non si aveva in sostanza che il baratto; solo che non siamo più in grado di vedere ovunque chiaramente questo rapporto. Ma lo avremo sùbito davanti a noi, se sui nostri biglietti di banca sarà indicato il rapporto con la natura, poiché nella realtà esso tuttavia esiste. Non dimentichiamolo mai! È la realtà. Vorrei dire, e anche qui parlo servendomi di un’immagine, che mentre compro un oggetto qualsiasi e spendo spensieratamente il mio denaro, c’è sempre un piccolo dèmone che vi scrive sopra quanto lavoro compiuto sulla natura corrisponde a quell’oggetto. Questa è la realtà. Anche qui, per arrivare alla realtà, non dobbiamo rimanere alla superficie.

 

In questi quattordici giorni non è stato veramente possibile dare altro che qualche indicazione atta a servire da guida. So benissimo che queste indicazioni dovrebbero venire ulteriormente elaborate punto per punto, e che la parte più importante di esse sta forse nell’arrivare a comprendere come i concetti immaginativi qui svolti rappresentino in confronto ai soliti qualcosa di vivente. Non avrà occupato invano questi quattordici giorni chi avrà assorbito quanto vi è di vivente in questi concetti immaginativi.

 

Oggi pesa molto sull’anima che si sia di fronte a problemi tanto immani, mentre gli uomini dovrebbero diventare coscienti di che cosa è necessario per guarire i molti mali della nostra civiltà. Si parla molto di quel che occorre fare, ma vi è poca volontà di immergersi nella realtà e prendere da essa i concetti in merito a quanto appunto si deve fare. Oggi avviene in effetti che siamo a poco a poco usciti dalla sfera della verità, dal vero diritto derivato dalla natura umana, e da ciò che deve svilupparsi nell’uomo perché egli possa avere un valore per i suoi simili; siamo usciti dalla pratica della vita per cadere dalla verità nella frase fatta, dal senso del diritto nelle convenzioni, e dalla pratica della vita nella pura routine.

 

Né usciremo da queste tre menzogne: dalle frasi fatte, dalle convenzioni e dalla pura routine, se non svilupperemo la volontà per penetrare nelle cose e per vedere come esse in sostanza si formino nella loro realtà. Solo allora troveremo la possibilità di venir compresi, proprio in quanto vogliamo vedere queste cose studiandole. Oggi nel mondo vi sono molte frasi con un carattere agitatorio che producono danni spaventosi, perché vi sono poche persone che abbiano davvero la volontà di avvicinarsi alla realtà.

 

Per questo è stato per me di profonda soddisfazione che voi qui presenti vi siate occupati con me in queste due settimane per pensare sui problemi dell’economia. Vi ringrazio molto, e mi sia concesso esprimere questo ringraziamento, perché credo di sapere quale importanza abbia il fatto che proprio dei laureati nel campo dell’economia possano collaborare a fondo per sanare la nostra civiltà, per ricostruire la vita dell’umanità.

 

Dobbiamo anche renderci conto che l’economia non è solo una teoria, ma che in effetti anch’essa risulta un valore economico, nel senso che quello che risparmiamo in lavoro può venir fruttuosamente usato per il progresso dell’umanità da parte di coloro che ci risparmiano tale lavoro. Penso che chi aveva preso la decisione di venire qui era cosciente di questo importante compito degli economisti; sarei lieto che vi foste rafforzati in tale compito a seguito di quello che abbiamo potuto elaborare tra di noi, sia pure in modo insufficiente.

Speriamo di avere ancora l’opportunità di elaborare ulteriormente questi concetti.