Formazione e perdita di istinti

O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 04.04.1920


 

Sommario: Gli uccelli e le forze planetarie. Formazione e perdita di istinti. Il diabete mellito: debolezza dell’io. Il processo formativo vegetale Va incontro a un processo formativo animale. Il processo formativo animale nell’uomo. Processo di desalificazione. Farmaci di origine vegetale. La betulla bianca. La bolsa del pastore. La coclearia officinale. Lo scorbuto. La funzione della milza.

 

Oggi desidero prendere le mosse da un’osservazione che mi è stata fatta ieri, durante la conferenza, da parte di una persona assai competente in materia, e cioè che queste mie conferenze sono tra le più difficili da comprendere, fra tutte le conferenze di argomento antroposofico. Entro certi limiti devo ammettere che questo è vero, ma si dovrà pure ammettere che non può essere diversa- mente. Proprio dal fatto che quella osservazione è da considerarsi giusta si può però ricavare qualcosa di molto istruttivo. Si prenda un caso in cui ciò che io dico riesce facilmente comprensibile: anzi, prendiamo due casi di questo genere, uno addirittura evidente, l’altro invece meno ovvio per l’umanità attuale. Il caso ovvio è l’affermazione che gli uomini del nostro tempo trovano una più che giustificata difficoltà a comprendere cose come quelle che debbono essere esposte nel nostro contesto. Il merlo non troverebbe nessuna difficoltà a capirle, e anzi ci dimostra praticamente di capirle benissimo! Il merlo infatti non è un animale propriamente ascetico, e ogni tanto si mangia un ragno crociato; poi però si sente male, e quando il suo malessere diventa forte, se nelle vicinanze c’è una pianta di giusquiamo, il merlo le si accosta per cercarvi il rimedio che fa per lui. È proprio un farmaco, perché se non trova il giusquiamo, il merlo muore in preda alle più tremende convulsioni. Ne viene preservato dal proprio istinto curativo che lo spinge a ricercare il giusquiamo e a trarne col becco il rimedio di cui ha bisogno. Questo è il fatto che risulta molto ovvio.

 

Ad esso è però affine un altro fatto che agli uomini d’oggi risulta appunto meno ovvio. In tempi molto antichi gli uomini svilupparono istinti curativi simili; nei loro istinti viveva già qualcosa che più tardi ci si presenta, più o meno concentrato, nella medicina ippocratica. Con riferimento alla giustificatissima osservazione fatta qui ieri, può essere interessante studiare un poco la saggezza dei merli o di altri uccelli, capaci di un comportamento simile a quello descritto. Che cosa avviene infatti realmente, quando il merlo mangia il ragno velenoso? L’intera organizzazione del ragno crociato è strettamente inserita in certe connessioni cosmiche, extraterrestri; da tali processi extraterrestri deriva appunto la conformazione dei suoi arti e perfino il disegno che porta sul dorso: possiamo dire che il ragno crociato ha in sé molta vita planetaria, extraterrestre. L’uccello è invece rimasto indietro, rispetto a quel tipo di partecipazione alla vita dei pianeti, avendola per così dire piuttosto trasferita all’interno del suo organismo. Quando mangia il ragno, le forze planetarie si rendono evidenti in esso: le forze planetarie, ancora dotate della tendenza a configurarsi, vogliono compenetrare l’uccello e contro tale intervento esso ha da combattere. Dal momento in cui il merlo ha mangiato il ragno velenoso, la sua volontà interna diviene un riflesso della vita extra- terrestre. Ed ecco che il merlo ricerca la pianta corrispondente, divenuta affine all’elemento terrestre, cioè all’opposto delle forze planetarie, proprio per il fatto di essere spuntata dal terreno e di avere perfino trattenuto in sé, sotto forma di veleno, qualcosa che essa non è capace di elaborare pienamente sotto l’influsso dei pianeti. A questa pianta l’animale si accosta e vi cerca aiuto. Ciò è a sua volta da ricondursi al fatto che, appena il veleno del ragno opera nel merlo, in quest’ultimo si desta l’istinto contrario, l’istinto di difesa. Dall’istinto aggressivo si passa direttamente all’istinto difensivo; il fenomeno ci mostra nel modo più evidente l’esplicazione di qualcosa di simile a quello che noi facciamo con un semplice movimento riflesso, quando una mosca ci si posa sull’occhio e noi chiudiamo l’occhio o la scacciamo con la mano.

 

È straordinariamente importante osservare questi processi nel regno animale, e anche in quello vegetale; tra l’altro, la loro osservazione dovrebbe contribuire a distruggere l’opinione che l’intelletto e la ragione si trovino solo racchiusi nel nostro cranio! È come se l’intelletto e la ragione volassero intorno a noi, perché l’istinto aggressivo e l’istinto difensivo che riscontriamo in certi uccelli rappresentano un comportamento perfettamente ragionevole. Ecco dunque che vediamo in azione fuori di noi un intelletto, una ragione esterni, e noi uomini non facciamo che partecipare all’azione dell’intelletto esterno, della ragione esterna. Ne siamo partecipi, ma non li portiamo in noi. È veramente una sciocchezza il dire che li portiamo in noi: noi ne siamo partecipi. L’uccello non vi partecipa ancora nel senso di attribuire a un suo particolare organo l’istinto aggressivo o quello di difesa; esso comprende quanto sta in lui piuttosto mediante il sistema polmonare, mentre noi uomini lo comprendiamo già più mediante il sistema del capo; l’uccello esprime poi l’istinto di difesa col giusquiamo mediante il suo sistema polmonare, perché esso pensa nel fondo del suo essere, e non alla periferia. Noi invece abbiamo strappato il nostro pensare dal polmone e dal sistema ritmico. Forse potremo parlare più precisamente anche di questo: con che cosa noi uomini pensiamo? Ad ogni modo, noi non pensiamo più in una sede tanto « centrale », cioè non pensiamo più tanto coi polmoni e col cuore, congiunti al cosmo, come invece pensano gli uccelli. Anche queste sono conoscenze che occorre acquistare. Ci si può chiedere chi o che cosa abbia espulso da tutti noi gli ultimi residui degli istinti mediante i quali siamo collegati con la natura. Bisogna rispondere che è stata l’istruzione scolastica, e in particolare quella universitaria che in tutti i suoi aspetti arriva a impedire all’uomo l’esperienza della totalità della natura. Le concezioni unilaterali oggi dominanti portano da un lato a una raffinata intellettualità, dall’altro a una raffinata sessualità; nell’umanità moderna viene dissociato e spinto verso questi due poli ciò che nell’umanità antica si svolgeva ancora al centro dell’essere umano.

 

Ma la possibilità di risanare la nostra attività scientifica dipenderà dal ritrovamento di una giusta comprensione del mondo. Si dovrà appunto studiare mediante un’attività scientifica sana, ciò che oggi purtroppo viene studiato con un’attività scientifica per così dire malata.

Riallacciandoci a quanto si è detto ieri, vogliamo oggi studiare ancora un poco l’essere umano in modo che dall’osservazione risulti già un’indicazione per certi processi di guarigione, o terapeutici. Tale orientamento del modo di osservare era molto sviluppato presso l’umanità delle origini: appena l’uomo dell’antichità remota vedeva qualcosa di abnorme in una persona, gli si svelava anche il corrispondente processo terapeutico. Queste doti andarono perdute per l’umanità moderna, per cui l’uomo d’oggi non scopre facilmente con l’intuizione quello che l’uomo antico scopriva per istinto. D’altra parte, questa è l’evoluzione: dall’istinto, attraverso l’intellettualismo, all’intuizione. Proprio la fisiologia e la medicina sono fra le attività umane quelle che più soffrono a causa di uno sviluppo esclusivamente intellettualistico; meno di altre attività umane esse possono svilupparsi nell’atmosfera dell’intellettualismo. Prendiamo infatti un caso concreto, per esempio quello del malato di diabete. Che cosa rappresenta in realtà il diabetico, nella sua evoluzione abnorme? Si potrà acquistare un’adeguata conoscenza del diabete soltanto sapendo che tale malattia è dovuta a un io debole, a una debolezza dell’organizzazione dell’io, incapace di dominare l’intero processo collegato con la formazione dello zucchero. Occorre soltanto interpretare nel modo giusto i fatti. Sarebbe del tutto sbagliato credere che, siccome si ha eliminazione di zucchero, sia presente un io troppo forte; no, si tratta di un io troppo debole che non prende parte al processo organico in misura sufficiente ad effettuare in modo adeguato la compenetrazione dell’organismo da parte dello zucchero. Questa è sostanzialmente la situazione, e con essa è connesso tutto quello che può favorire il manifestarsi del diabete. Come è noto, si può verificare un accenno di diabete quando ima persona eccede nell’ingestione di dolciumi e al tempo stesso beve degli alcoolici; si ha un primo accenno che poi naturalmente scompare; ci mostra però Come quel processo venga messo in moto, in quanto viene indebolito l’io che non riesce a dominare i necessari processi metabolici. A questo punto occorre gettare uno sguardo alle diverse connessioni di tali fatti, e qui debbo menzionare un concetto cui finora ho dato scarsa espressione, un concetto che ricorre però assai spesso nelle domande che mi sono state sottoposte, e sul quale ritorneremo in modo più preciso. Vedrete che terrò conto di tutte le domande rivoltemi, ma occorre prima preparare le condizioni per poter dare risposte comprensibili. Giungo dunque al concetto della cosiddetta predisposizione ereditaria che ha tanta parte nell’insorgenza del diabete.

 

A questo proposito va detto che proprio questa predisposizione ereditaria viene ad agire su un io debole. In tutti i casi possiamo constatare una connessione fra un io debole (si potrebbe però anche dire: un io che non opera con tutti i suoi complessi di forze) e la predisposizione ereditaria. Se infatti in tutti vi fosse la disposizione al manifestarsi della tara ereditaria, ammaleremmo tutti. Che ciò non avvenga è dovuto essenzialmente al fatto che ammalano di meno le persone dotate di un io ben funzionante. Inoltre non va trascurata la circostanza che nel diabete intervengono talora molto fortemente anche cause psichiche, per esempio certi fattori emozionali, in persone troppo eccitabili. Perché? L’io è in fondo debole, e siccome è debole si limita ad agire piuttosto alla periferia dell’organismo, a sviluppare col cervello un forte intellettualismo. In questi soggetti l’io non è però capace di penetrare più a fondo nell’organismo, soprattutto nelle parti nelle quali ha luogo la vera e propria elaborazione della proteina, la trasformazione dell’albumina vegetale in albumina animale. L’attività dell’io non si estende in queste regioni; tanto più attivo comincia invece ad essere in queste il corpo astrale. L’attività del corpo astrale infatti è massima là dove nell’uomo si svolge il processo organico intermedio, per così dire fra la digestione, la formazione del sangue e la respirazione. Questo processo organico di mezzo viene abbandonato a se stesso, per effetto della debolezza dell’io: si sviluppano una quantità di processi autonomi, non connessi con l’uomo intero, bensì con l’uomo centrale. Si può affermare che la disposizione al diabete si realizza quando l’io si esclude dai processi interni. Ora tali processi interni, e soprattutto quelli secretori, sono a loro volta strettamente collegati con la formazione dei sentimenti. Mentre l’io ricerca la sua principale occupazione mediante il cervello, restano prive delle forze dell’io tutte le attività secretorie che hanno un carattere prevalentemente oscillatorio, periodico. A ciò si deve il fatto che l’uomo perda il dominio su certi influssi psichici che si manifestano come fenomeni affettivi. Qual è la ragione per cui noi possiamo rimanere tranquilli anche se intorno a noi avviene qualcosa di emozionante? Rimaniamo tranquilli perché siamo capaci di inviare il nostro intelletto fin nelle viscere, perché siamo realmente in grado di non rimanere attaccati solo al cervello, ma impegniamo tutta la nostra persona. Quando pensiamo, questo non ci è possibile: se siamo attivi in modo unilateralmente intellettuale, gli organi interni si muovono per conto loro. In tali condizioni l’uomo è particolarmente accessibile ai moti affettivi; di conseguenza le emozioni provocano certi loro processi organici, mentre avrebbero dovuto produrre effetti diversi. Le emozioni non dovrebbero produrre processi organici già allo stato di movimenti affettivi, ma dovrebbero prima essere compenetrate dall’intelletto e agire all’interno dell’uomo solo dopo essere state da lui moderate.

 

È necessario rendersi conto che si tratta in sostanza di una debolezza dell’io. L’io è la parte dell’uomo affine a quanto di più spiccatamente extraterrestre agisca su di lui, cioè a quanto è più periferico rispetto alla Terra. Tutto ciò che agisce entro il nostro io si accosta a noi provenendo da molto lontano dalla Terra. Dobbiamo quindi cercare di conoscere i processi affini a quelli che hanno a che fare col nostro io, quelli che con l’io hanno qualche affinità, pur essendo extraumani; riusciremo così a trasporre l’io in una sfera grazie alla quale esso possa, per così dire, apprendere a partecipare nel modo giusto a ciò che è extra-terrestre.

 

Ora, l’io viene indotto dalla sfera extraterrestre a elaborare la propria organizzazione interna, o centrale; questo medesimo processo si ritrova, nella sfera del terrestre, in tutti i punti in cui l’extraterrestre stesso induce la Terra (sia quella minerale, sia quella ricoperta di piante) a produrre degli oli eterei, o degli oli in genere. Questa è la direzione in cui dobbiamo procedere. Proprio come l’io umano opera nell’occhio, mettendosi veramente in diretto rapporto col mondo esterno in quella specie di propaggine del mondo esterno che è l’occhio, così dobbiamo mettere in relazione l’io col processo formativo degli oli. Vi riusciremo nel modo migliore, cercando di elaborare dell’olio finemente disperso nell’acqua di un bagno per curare dei pazienti con questo tipo di balneoterapia. Sarebbe molto desiderabile che si ricercasse anzitutto quale grado di dispersione sia quello ottimale, quante volte si debbano ripetere questi procedimenti, e così via. Comunque, è questa la via da seguire per giungere a un trattamento del flagello del diabete. Come vedete, la comprensione del processo esterno e della sua stretta connessione col processo umano interno crea le premesse per una fisiologia umana-extraumana che al tempo stesso è una terapia. Questa è la via che promette dei buoni risultati.

 

Partendo da qui, vorrei indicare di nuovo il modo in cui l’uomo è propriamente affine all’ambiente, ora che abbiamo acquistato concetti più concreti. Proviamo a osservare ancora una volta la flora terrestre, tutto il manto vegetale della Terra: dal suolo esso tende verso l’alto, disperdendo le forze nel fiore, raccogliendole poi di nuovo nel frutto. Di tale processo vediamo migliaia di singolari variazioni: talvolta viene trattenuto nella formazione delle foglie ciò che di solito si trasfonde interamente nel seme, e in tal caso le foglie diventano spesse, di tipo erbaceo; oppure s’ingrossano gli involucri dei semi e certe forze vengono trattenute ancora all’ultimo momento. Insomma, troviamo tutte le variazioni possibili.

 

Il processo formativo Vegetale non si esaurisce però in quel che si può considerare come effetto dell’azione fisica, diciamo della Terra, o magari anche della contrapposta azione della luce. Quanto è vero che la pianta porta in sé il corpo fisico e quello eterico, altrettanto vero è che nelle sue parti alte, là dove l’extraterrestre viene in certo modo a contatto col terrestre, un elemento astrale cosmico si trova in rapporto con l’esistenza vegetale espansa nei suoi corpi fisico ed eterico. Si potrebbe dire che nella sua crescita la pianta va incontro a un processo formativo di tipo animale, senza però raggiungerlo. Al suo interno, vorrei dire, la Terra è imbevuta del processo di formazione vegetale, mentre là dove si trova anche l’atmosfera (nella cui direzione si sviluppano le piante) essa è imbevuta da un processo di formazione animale che però semplicemente non giunge a compimento, un processo verso il quale la pianta tende crescendo, senza peraltro raggiungerlo. Questo processo che noi vediamo fluttuare per così dire sopra il fiorente mondo delle piante, e che nei confronti dell’intera Terra ha il carattere di un cerchio, questo processo si ritrova dappertutto centralizzato negli animali stessi: qui esso è trasposto all’interno. Gli animali si attribuiscono in certo qual modo ciò che si svolge al di sopra delle piante, trasferendolo nel loro interno; ai loro organi (dèi quali essi si avvantaggiano in confrontò delle piante) essi ricorrono per svolgere, centralizzata in un punto, un’attività che altrimenti si esercita sulla pianta dalla periferia e dall’esterno.

 

Lo stesso processo di formazione animale è presente anche nell’uomo, ma qui opera più verso il centro dell’intera organizzazione fisica; si svolge in tutto dò che avviene fra la digestione, la formazione del sangue é la respirazione. In questo ambito l’uomo assomiglia maggiormente all’odierno processo di formazione animale, per quanto riguarda il proprio processo formativo umano. È per questa ragione che l’uomo fisico interno ha la massima affinità con le tendenze vitali del mondo vegetale, e perciò possiamo sempre confidare di poter giovare all’uomo interno, ricorrendo alle forze e alle tendenze vitali operanti nelle piante. Senonché l’uomo ha sull’animale un vantaggio: quello di non partecipare solo al processo reciproco che si svolge fra l’elemento vegetale e l’elemento astrale, come l’animale; l’uomo è implicato anche nel processo reciproco fra la sfera minerale e quella che si trova ancora più alla periferia di quanto stia la sfera astrale. Possiamo dunque affermare che per l’uomo nella fase attuale dell’evoluzione terrestre è caratteristico proprio il fatto di partecipare al processo di formazione minerale. Proprio come nell’animale ha luogo una trasformazione delle sostanze proteiche, così nell’uomo avviene di continuo un processo del tutto trascurato dalla scienza: un processo dotato di una tendenza più periferica che non la trasformazione animale delle proteine, e che si svolge, se così possiamo esprimerci, fra il cielo e il regno minerale. Volendo denominarlo in base al suo aspetto più caratteristico, si potrebbe parlare di processo di desalificazione.

 

Nel nostro organismo è infatti sempre presente un ininterrotto processo di desalificazione, cioè la tendenza a trasformare la formazione dei sali nel suo contrario: su questo si fonda in realtà la natura umana, e anzitutto il nostro pensare umano che travalica la sfera animale.

 

In quanto uomo « periferico » (cioè non in quanto uomo « centrale » che è simile alla formazione animale) noi ci opponiamo strenuamente alla salificazione; noi le opponiamo qualcosa, come l’animale si contrappone alle comuni forze formative terrestri della proteina vegetale. In quella contrapposizione stanno le forze che, per giovare all’uomo, vanno ricercate di preferenza nel regno minerale stesso, al fine di poter curare certe malattie resistenti al trattamento esclusivamente fitoterapico. Vorrei dire che si considera l’uomo troppo sotto l’aspetto animale, volendolo curare solo con rimedi vegetali. Si onora l’uomo, presumendo che anch’egli partecipi a questa strenua lotta combattuta nell’ambiente circondante la Terra e rivolta contro la mineralizzazione della Terra stessa; lo si onora offrendogli la possibilità di partecipare a quella più strenua lotta, facendovi in certo senso intervenire l’io.

 

In fondo, ogni volta che curiamo qualcuno con la silice noi facciamo appello alla sua forza di spezzare, di superare quel duro minerale; in tal modo mettiamo l’io in condizione di partecipare intensamente a un processo che non avviene più affatto sulla Terra, bensì fuori della sfera terrestre, là dove vigono forze tendenti a frantumare nello spazio cosmico tutto ciò che è terrestre- mente solido. Lo spazio cosmico ha la peculiarità di frantumare minutamente tutto ciò che si agglomera e si consolida nell’esistenza planetaria. Nella vita ordinaria noi questo lo facciamo di rado, raramente vi partecipiamo. A un’attività di tal genere, che di solito è compiuta solo dallo spazio cosmico, partecipano più di tutti le persone dotate di una natura matematica, quelle che si abituano a vivere molto in figure, in formule matematiche. Questo tipo di pensiero si fonda infatti sulla frantumazione di ciò che è minerale; chi invece ha una certa avversione per le matematiche, si limita piuttosto al solo processo di desalificazione, e non può diventare interiormente un « frantumatore ». Questa è la differenza tra le nature matematiche e quelle non matematiche. Ora, questa opposizione al processo di mineralizzazione della Terra sta alla base di moltissimi procedimenti terapeutici.

 

Anche queste nozioni facevano semplicemente parte degli istinti di aggressione e di difesa dell’umanità antica. Quando l’uomo antico avvertiva in sé una certa debolezza nel pensiero, egli ricorreva a qualcosa di minerale; grazie alla frantumazione interiore di quel minerale, egli riacquistava la capacità di mettersi in armonia con forze extraterrestri situate molto lontano.

 

Ora, è possibile osservare la natura extraumana in modo tale, da poter per così dire toccare con mano quanto siano giustificati questi punti di vista; l’osservazione consente realmente di verificarli bene. Per cercar di seguire un tale processo di verifica, proviamo a osservare una pianta che sotto questo riguardo presenta un grande interesse: la betulla (Betula alba). In fondo, la betulla si oppone già per conto suo in duplice modo all’ordinario processo formativo vegetale: non vi partecipa. Il processo formativo vegetale ordinario si realizzerebbe, se si potesse mescolare quel che si svolge nella corteccia della betulla con quel che invece accade nelle sue foglie, e specialmente nelle foglioline giovani primaverili, che presentano ancora una sfumatura di colore bruniccio. Se si mescolassero tra loro questi due processi distanti l’uno dall’altro, sì che il principio attivo nella corteccia della betulla cooperasse nella stessa sede con ciò che agisce invece nelle sue foglie, ne scaturirebbe una meravigliosa pianta erbacea fiorifera. La betulla ha origine dal fatto che i processi che si svolgono nella formazione delle proteine legata alla vita, nel suo caso vengono trasferiti nelle foglie in misura maggiore di quanto accade di solito; nelle sue foglie si concentra in certo modo il processo formativo proteico, mentre in cambio nella corteccia si conserva il processo di formazione dei sali potassici. Nelle altre piante, diverse dalla betulla, in quelle che rimangono erbacee, quei due processi confluiscono in modo che già nella radice il processo di formazione dei sali di potassio si compenetra col processo di formazione delle proteine. La betulla invece respinge verso l’esterno, nella corteccia, ciò che la radice prende dalla terra, e dopo aver compiuto tale espulsione spinge nelle sue foglie quel che di solito le altre piante mescolano con quanto è tratto dalla terra. Per effetto di questo comportamento, la betulla si indirizza ad agire in due modi diversi sull’organismo umano.

 

Da un lato, la sua corteccia (che contiene come si è detto i sali potassici adatti) si prepara ad agire soprattutto quando ci proponiamo una desalinizzazione dell’organismo umano, ad esempio in presenza di eruzioni cutanee; nell’uomo si proietta cioè verso la periferia, e vi agisce terapeuticamente, quel che nella betulla si è gettato verso il basso, nella corteccia. D’altro lato, con le foglie che conservano le forze formative proteiche si ricava dalla betulla un principio curativo che si rivolge verso l’uomo « centrale », agisce su di esso e può dimostrarsi un buon rimedio nella gotta e nel reumatismo. Volendo poi potenziare ancor più l’intero processo, si potrà arrivare alla parte minerale della formazione della betulla: si prenda il suo legno, se ne prepari un carbone vegetale, e si otterranno attivissime forze curative per l’ambito viscerale, intestinale: cioè per la parte dell’organismo interno dell’uomo che in certo senso si affaccia sul mondo esterno. Bisogna imparare a scorgere nella forma esterna delle piante il modo in cui esse agiscono sull’uomo. Lo studio della betulla ci, può condurre all’immagine seguente: volendo trasformare immaginativamente la betulla entro l’uomo, per ricavarne forze curative per l’uomo intero, bisognerebbe raffigurarsela rovesciata. Le forze della sua corteccia e del suo legno vanno fornite alla pelle dell’uomo, alla sua periferia, mentre quel che la pianta rivolge verso il mondo esterno va indirizzato all’interno dell’organismo umano. L’intero albero della betulla viene in tal modo introdotto (per così dire rovesciato) nell’uomo; naturalmente questa non è altro che un’immagine, ma in essa possiamo riconoscere che tutto quell’insieme è salutare per l’uomo.

 

Nelle piante che sviluppano energicamente la formazione delle radici e le forze di queste, si depositano per effetto di tale azione sali di potassio e di sodio; questa tendenza a trattenere le radici nello stadio di pianta erbacea, sul piano curativo si manifesta come capacità di curare le emorragie, ma anche la calcolosi, la renella, e così via. Una pianta che potrebbe riuscire utile in questo modo, nelle emorragie interne, nelle formazioni calcolose renali, ecc., sarebbe la borsa del pastore {Capsella bursae pastorìs).

 

Ora cerchiamo di immedesimarci in un’altra pianta interessante: la comune coclearia (Cocblearia officinalis). Essa contiene degli oli sulfurei e per questo fatto agisce, mediante lo zolfo, direttamente sulle sue stesse proteine. Ora lo zolfo è la sostanza minerale che agisce sulla proteina favorendone le forze formative. Se si svolge troppo pigramente, il processo di formazione delle sostanze proteiche viene accelerato dall’aggiunta di un processo sulfureo. Questo è in sostanza ciò che ha elaborato organicamente in sé una pianta come la coclearia. Per il fatto di crescere in determinati terreni, di essere cioè inserita nella natura in un modo ben determinato, la coclearia è condannata ad esplicare processi proteici troppo lenti; a questo pone rimedio, per un meraviglioso istinto di natura, la presenza degli oli sulfurei che invece stimolano quei processi.

 

Va però tenuto conto che altro è un processo proteico accelerato da fuori, e altro un processo proteico che si svolge con la stessa celerità, ma per forza propria. Naturalmente sono numerose le piante nelle quali si trovano processi di formazione proteica che decorrono con la stessa velocità di quello della coclearia, ma non si tratta di processi dovuti all’intervento di un principio accelerante sopra un principio di inerzia. Questa continua cooperazione di un principio di inerzia con un principio di accelerazione (cooperazione dovuta, nel caso della coclearia, alla sua duplice affinità interna) rende questa pianta molto adatta a un adeguato trattamento di malattie come lo scorbuto; infatti nello scorbuto si svolge un processo molto simile a quello ora descritto.

 

Io ritengo che si possa giungere ben lontano, ove ci si educhi a riflettere così, congiuntamente, sui fatti che avvengono nella natura e su quelli che hanno luogo nell’uomo. Con una tale disciplina si perviene a percepire queste affinità tanto importanti. Si perviene però anche a una comprensione dell’essere umano, quale non è possibile acquisire in altro modo; l’uomo infatti non può venir compreso interamente, se non partendo da ciò che è extraumano, e d’altra parte l’extraumano può essere compreso soltanto con la conoscenza dell’uomo. Bisogna saper studiare congiuntamente queste due sfere dell’esistenza.

 

A questo punto, vi prego di non voler considerare inutile che io aggiunga qui oggi ancora alcune considerazioni che ci saranno di grande utilità nei prossimi giorni: riguardano le singolari funzioni della milza nell’organismo umano.

 

Il funzionamento della milza nell’organismo umano è caratterizzato dal tendere fortemente verso il piano spirituale. Per tale ragione, in un ciclo di conferenze sulla fisiologia occulta dissi una volta che se si estirpa la milza, subentra molto facilmente il corpo eterico (la milza’ eterica); essa è dunque l’organo che può essere sostituito con la massima facilità dalla sua controparte eterica. D’altra parte, la milza è meno strettamente connessa col ricambio, in confronto agli altri organi addominali; pur essendo poco coinvolta nel ricambio vero e proprio, la milza è però strettamente connessa con la regolazione del ricambio. Che cosa è la milza, in realtà? All’indagine scientifico-spirituale la milza si presenta come l’organo deputato a stabilire di continuo un’armonia fra il ricambio puro e semplice e quanto invece si svolge nell’uomo piuttosto sul piano animico e spirituale. Come in fondo tutti gli organi (quale più e quale meno), la milza è in alto grado un acuto organo di senso subcosciente, e nell’uomo reagisce molto vivacemente al ritmo della introduzione degli alimenti. Le persone che mangiano di continuo provocano in sé un’attività della milza del tutto diversa da quella che hanno invece quelli che mangiano con ordine. Lo si può constatare soprattutto nella irregolare attività splenica nei bambini che mangiano spesso di nascosto: in questi casi, l’attività della milza è aritmica, quasi convulsa. Quella caratteristica della funzione splenica risulta anche dall’osservazione della milza quando non si verifica assunzione di cibo: durante il sonno, infatti, essa giunge a una condizione di profondo riposo, però intendendo il riposo come qualcosa di corrispondente appunto alla natura di quell’organo. La milza è infatti l’organo che l’uomo animico-spirituale possiede per percepire il ritmo dell’assunzione del cibo; nel subcosciente, essa suggerisce all’uomo che cosa deve porre in opera, per controbilanciare almeno in parte l’effetto dannoso di un’alimentazione disordinata, aritmica. In tal modo la milza rivolge la sua attività non tanto al ricambio in senso stretto, quanto ai processi ritmici, al ritmo che dovrebbe venirsi a creare fra l’introduzione degli alimenti e il ritmo respiratorio propriamente detto. Fra il ritmo respiratorio e l’assunzione degli alimenti (che non è proprio molto regolata e ritmica) si trova semplicemente inserito un ritmo intermedio, condizionato appunto dalla milza. Mediante il ritmo della respirazione l’uomo viene disposto a vivere entro i rigorosi ritmi dell’universo; per effetto dell’irregolarità della propria alimentazione, egli disturba di continuo quel ritmo cosmico rigoroso. La milza funge da mediatrice.

 

Questo è un dato di fatto che l’osservazione dell’organismo umano può confermare direttamente. Si provino a studiare i dati anatomici e fisiologici, alla luce delle correlazioni ora esposte, e le si troveranno confermate fin nei minimi particolari. Da un lato risulteranno confermate anche esteriormente dalla collaborazione della milza nell’organismo, e precisamente dalla derivazione quasi diretta dell’arteria splenica dall’aorta; dall’altro, il collegamento con la funzione alimentare risulta documentato dall’appartenenza della vena splenica al sistema portale e quindi dal suo stretto rapporto col fegato.

 

Qui il ritmo per metà esteriore, e per metà interiore, e anche il non-ritmo dell’alimentazione, si coordinano e si regolano reciprocamente. L’attività della milza si trova inserita fra l’uomo ritmico e l’uomo del ricambio, e molti difetti del funzionamento della milza dovranno venire corretti fondandosi su questa conoscenza della connessione tra il sistema respiratorio (o anche quello circolatorio) e il sistema del ricambio, connessione mediata appunto dalla milza. Non è affatto strano che la scienza materialistica trascuri molto la fisiologia della milza, perché la scienza materialistica ignora la triplice struttura dell’organismo umano, che consta dell’uomo del ricambio, dell’uomo della circolazione e dell’uomo dei nervi e dei sensi.