15 – Il passaggio dell’uomo dopo la morte attraverso le sfere del cosmo

O.O. 140 – Ricerche occulte sulla vita fra morte e nuova nascita – 12.03.1913


 

QUINDICESIMA CONFERENZA

 

Nel corso della mia ultima visita, in cui ebbi occasione di parlare in questa sede della vita tra morte e nuova nascita, abbiamo cercato di considerare il nesso di questa vita tra morte e nuova nascita con le grandi relazioni del cosmo. Cercammo di mostrare come la via che viene effettivamente percorsa tra morte e nuova nascita conduca attraverso il cosmo, attraverso le sue sfere. Proviamo ora a ripercorrere ora brevemente quanto avevamo voluto mettere in luce.

 

Il primo periodo dell’essere umano dopo la morte

in realtà è riempito da una sorta di relazione con l’ultima vita terrena.

• È qualcosa che cresce direttamente dall’ultima vita terrena, tanto che in questi primi tempi dopo la morte

continua veramente ad esistere tutto ciò che aveva afferrato il corpo astrale umano nella vita terrena.

• Continua ad esistere tutto ciò che l’occupava in vita: affetti, passioni, sentimenti.

 

E poiché tutto ciò viene sperimentato coscientemente, nel corso dell’incarnazione fisica, solo quando si è dentro il corpo fisico, l’esperienza di tutte queste forze presenti nel corpo astrale appare naturalmente sostanzialmente diversa quando si attraversa la sfera fra morte e nuova nascita.

Nei casi normali – ve ne sono molte eccezioni – l’esperienza dei primi tempi dopo la morte è permeata da una certa privazione, provocata dal fatto che ora l’essere umano deve vivere le sue esperienze nel corpo astrale senza avere a disposizione il corpo fisico.

Egli sente l’urgenza di riavere il proprio corpo fisico e questo lo trattiene per un tempo più o meno lungo – lo si può definire tale – nei casi normali nella sfera della Terra.

Tutto il kamaloka si svolge realmente nella sfera tra la Terra e l’orbita lunare, ma la parte più significativa si svolge molto più vicino alla Terra che all’orbita lunare.

 

Le anime che hanno sviluppato in misura minore sentimenti e sensazioni che esulino dalla vita terrena vengono trattenute dalla loro stessa brama molto più a lungo nella sfera della vita terrena.

Se una persona – ed è facile quasi vederlo esteriormente – ha generato in sé per tutta la vita solo sentimenti e sensazioni che possono essere soddisfatti mediante gli organi fisici e le condizioni terrene, non può fare altro che rimanere legata alla sfera terrestre per un periodo di tempo più lungo.

Si può rimanere legati alla sfera terrestre ancor più di quanto si creda, per i desideri e gli istinti più vari. Pensiamo per esempio a persone molto ambiziose che si occupano solo di prendere in considerazione un aspetto o l’altro delle condizioni terrene, che attribuiscono a ciò il massimo valore e che fanno dipendere tale valutazione da giudizi inerenti all’umanità terrestre e che perciò sviluppano anche nel corpo astrale un’eccitazione che le rende anime legate alla Terra per un lungo periodo di tempo. Vi sono così molte ragioni che trattengono l’essere umano nella sfera terrestre. E la maggior parte delle cose che vengono trasmesse per via medianica all’uomo dai mondi spirituali deriva effettivamente da anime simili ed è sostanzialmente ciò che queste anime aspirano ad abbandonare.

 

Non occorre pensare sempre che tali anime restino legate alla Terra per motivi poco nobili, anche se spesso è qualcosa del genere. I motivi possono anche essere legati alla preoccupazione per ciò che si è lasciato sulla Terra. Le apprensioni per gli amici, i parenti, i figli lasciati sulla Terra possono anche agire come una specie dipeso, trattenendo l’anima nella sfera terrestre. Ed è bene rivolgere l’attenzione proprio a questo punto, perché, se lo prendiamo in considerazione, possiamo anche mediante ciò essere d’aiuto al defunto. Se sappiamo che per esempio un defunto può sentire una determinata preoccupazione per i suoi cari in vita – e si possono sapere talune cose a questo proposito – è utile togliergli questa ansia. Si può facilitare la condizione di un defunto, infatti togliendogli ad esempio la preoccupazione per il figlio, che ha lasciato privo di mezzi. Se si fa quindi qualche cosa per il figlio, si toghe veramente una preoccupazione al defunto e questo è proprio un giusto servizio d’amore.

 

Immaginiamo infatti la situazione. Il defunto non ha di fatto i mezzi per risolvere le proprie ansie; dal mondo in cui vive talvolta non può fare ciò che potrebbe alleggerire la condizione di un figlio, di un parente, di un amico lasciati sulla Terra e si trova spesso condannato – e questa in molti casi è una sensazione straordinariamente opprimente per il chiaroveggente – a nutrire la sua preoccupazione finché la condizione della persona lasciata sulla Terra non migliora da sé o per altre circostanze. Se facciamo quindi qualcosa noi per migliorarla, di fatto abbiamo reso al defunto un giusto servizio d’amore.

Si vede anche spesso che una personalità deceduta in vita si era prefissa ancora determinati scopi. Resta attaccata a tali propositi e noi possiamo aiutarla se cerchiamo di realizzare noi ciò che avrebbe voluto fare. Tutto ciò non è difficile da comprendere e va tenuto in seria considerazione poiché concorda con l’osservazione chiaroveggente.

 

Vi sono molte altre cose che possono trattenere un essere umano nella sfera eterica della Terra, ma prima o poi egli si dilata oltre la sfera eterica. Ho già avuto occasione di descrivere in parte come avviene tale espansione. Dobbiamo tuttavia trasformare i nostri concetti se vogliamo comprendere la vita tra morte e nuova nascita e non dà troppo fastidio se parliamo dei defunti con parole prese dalle condizioni terrene – e in realtà adatte solo ad esse – per avere un linguaggio effettivo per tale condizione. E anche se ciò che possiamo dire con le nostre parole sulla vita dopo la morte va bene solo come immagine, non necessariamente ciò che viene formulato in parole è veramente sbagliato.

 

Si deve per esempio considerare che il caratterizzare il defunto come chiuso in un luogo, come può esserlo una persona che vive nel corpo fisico, non è mai completamente giusto, perché in effetti l’esperienza dopo la morte, come pure quella nell’ambito dell’iniziazione, è un uscire dal corpo che si accompagna a una dilatazione dell’intera entità animica. E quando seguiamo un’anima giunta alla sfera lunare e cerchiamo di delimitarne il “corpo”, dobbiamo in realtà identificalo nell’espansione della capacità di esperienza. Questo “corpo” del defunto si dilata in una grande sfera che viene poi delimitata esteriormente dall’orbita lunare.

In effetti, l’uomo cresce spiritualmente fino ad una dimensione gigantesca; cresce dentro le sfere planetarie e le singole sfere dei defunti non sono separate come lo sono gli uomini sulla Terra, ma stanno spazialmente l’una dentro l’altra.

L’essere separati gli uni dagli altri si basa sul fatto che le coscienze sono separate tra loro, così da poter essere completamente immersi gli uni dentro gli altri senza sapere gli uni degli altri.

 

Ciò che ho detto l’ultima volta a proposito del sentirsi soli o in compagnia dopo la morte si riferisce quindi ai rapporti delle coscienze tra di loro. Non che il defunto si trovi per esempio su di un’isola solitaria, Se vogliamo immaginarcelo spazialmente, il defunto non si trova su un’isola deserta, ma compenetra altri di cui non sa nulla, nonostante si trovi con essi nello stesso spazio.

 

Prendiamo ora in considerazione ciò che accade quando è terminato il periodo del kamaloka.

Quando l’uomo inizia l’esistenza nel devachan dopo la vera sfera lunare, in fondo il kamaloka non è ancora completamente concluso. Ciò non esclude tuttavia che, nell’ambito della sfera lunare, si sistemino in certo qual modo anche cose che non sono significative soltanto come vissuti del kamaloka, ma anche per tutte le esperienze successive che l’anima compie quando rientra nell’esistenza attraverso la nascita.

Se consideriamo ciò che accade nel kamaloka, vediamo che l’essere umano, che attraversa qui la vita tra morte e nuova nascita, può essere in essa tanto attivo da eliminare dalla sua anima tutto ciò che è presente in lui come disposizione, così che non rimanga indietro nulla. Sono molteplici i modi con cui le persone possono lasciare indietro incompiute le loro disposizioni. Molte vite si presentano allo sguardo dell’anima in modo tale per cui possiamo dire a buon diritto: quest’uomo, in base alle sue capacità e predisposizioni, avrebbe potuto conseguire effettivamente nella vita qualche cosa di completamente diverso da ciò che ha conseguito; non ha risolto le proprie disposizioni.

 

Va considerato ancora qualcosa d’altro. Vi sono persone che intraprendono le cose più varie nel corso della vita. Non occorre quindi che si tratti semplicemente di predisposizione, ma di propositi che possono andare dal piccolo al grande. Quanto viene compiuto dagli esseri umani nel corso della loro vita senza riuscire veramente a giungere ad un reale sviluppo! E le cose vanno in modo tale che non si può necessariamente biasimare la loro vita.

Per mostrare un esempio importante voglio portare la vostra attenzione su di un fatto, che alcuni dei nostri amici già conoscono: scrivendo Pandora, Goethe intraprese un’opera poetica sulla quale restò bloccato. Già una volta cercai di caratterizzare ciò che accadde a Goethe con Pandora, spiegando che gli venne impedito dal portarla a compimento proprio per la grandezza che viveva in lui e che aveva concepito l’intenzione di comporre Pandora, ma non la capacità di svilupparla da se stesso, cosa questa che avrebbe anche trasformato l’intenzione in realtà. Gli fu impedito di completare Pandora ed altre opere non dalla sua insufficienza, ma in certo qual modo della sua grandezza. Goethe lasciò alcune opere incompiute e il frammento che abbiamo di Pandora mostra che sotto il profilo artistico esteriore egli si era posto qui delle esigenze così elevate che semplicemente non gli bastarono forze per realizzare l’intera grande intenzione con la stessa facilità del pezzo che era riuscito a comporre. È un’intenzione non realizzata e appartiene senza dubbio alla regione delle intenzioni non attuate.

 

Abbiamo così da un lato la possibilità che l’uomo non superi le proprie predisposizioni per ragioni di comodo o per altre trascuratezze del carattere o intellettuali, ma dall’altro abbiamo anche la possibilità che l’uomo non porti a compimento i propri propositi, dai più grandi ai più piccoli. Tutto ciò che l’uomo porta in sé per così dire come imperfezione – è una nobile, grande imperfezione quella per cui un poeta non porta a termine Pandora, ma è un’imperfezione che riguarda la sua persona – dunque, tutto quello che l’uomo si addossa come imperfezione viene inciso nella cronaca dell’Akasha e portato sino alla sfera lunare; e per lo sguardo chiaroveggente è un’esperienza davvero preziosa quella di poter lasciar agire su di sé ciò che dell’imperfezione umana è impresso tra Terra e Luna. Vi è fedelmente registrato tutto ciò che può essere impresso riguardo alle incompiutezze umane più o meno nobili. Vi troviamo impressi casi che ci indicano come un uomo, a causa della salute fisica, della corporeità ben predestinata ad una capacità intellettuale, avrebbe potuto conseguire qualche cosa che invece non ha conseguito. Quando la persona ha varcato la porta della morte, ciò che avrebbe potuto diventare e non fu resta impresso nella cronaca dell’Akasha.

 

Vi prego però di non pensare che nella sfera lunare si trovi la fine di Pandora: ciò che vi è inciso è la realtà propria del corpo astrale di Goethe, una realtà che possiamo scoprire, se ci è chiaro che Goethe, pur avendo un obiettivo ben definito, lo realizzò solo in parte. Tali cose sono impresse tutte tra la Terra e la Luna. Ma anche tutto ciò che riguarda le piccole cose che appartengono a questa regione.

Chi, diciamo, ha fatto un proponimento, ma non lo ha realizzato, prima che varchi la porta della morte imprime la non realizzazione di questo proponimento nella sfera tra Terra e Luna.

Possiamo caratterizzare abbastanza esattamente tutto ciò che si mostra qui allo sguardo chiaroveggente. Per esempio, una promessa non mantenuta si imprime successivamente per prima cosa nella sfera di Mercurio. Invece, ciò che è proponimento si imprime nel la sfera lunare.

• Ciò che non tocca noi soltanto, ma tocca direttamente altre persone, non si imprime nella sfera lunare subito, ma solamente più tardi. Tuttavia, ciò che ci tocca, che ci lascia indietro nell’evoluzione, ciò che resta incompiuto nel nostro sviluppo personale, si imprime entro la sfera lunare.

 

È particolarmente importante che noi, oltre a tutto il resto detto qui da me lo scorso anno, prendiamo in considerazione anche il fatto che proprio le nostre imperfezioni, quelle che non avrebbero dovuto esservi secondo le predisposizioni, sono impresse nella sfera lunare.

Non si deve affatto immaginare che sia qualche cosa di spaventoso in tutte le circostanze aver impresso qualcosa di simile nella sfera lunare. In un certo senso le realtà così incise sono da annoverare tra le più preziose e le più ricche di significato.

 

Vogliamo subito parlare del significato di questo imprimersi nella cronaca dell’Akasha.

Mentre l’essere umano si espande progressivamente nelle altre sfere, imprime nelle sfere corrispondenti ciò che è rimasto indietro di se stesso, ciò che si è acquisito o manifestato nella vita precedente come imperfezione. Egli cresce oltre la sfera lunare e passa in quella di Mercurio.

Preciso che sto continuando ad usare il linguaggio dell’occultismo, non quello dell’astronomia. L’uomo lascia quindi impresso qualcosa ovunque nella sfera di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, Giove, Saturno ed oltre.

 

La maggior parte delle tracce vengono lasciate però nell’ambito della sfera del Sole e abbiamo visto che, al di fuori della sfera solare, l’uomo deve sostanzialmente fare qualcosa che non trova sempre personalmente piacevole. Egli attraversa così, tra morte e nuova nascita, dopo aver sistemato più o meno ciò che lo attrae ancora verso la Terra, le sfere del nostro sistema planetario, proseguendo poi oltre. E ciò che gli è necessario nella sua evoluzione tra morte e nuova nascita risiede proprio nell’incontro con le diverse forze.

La volta scorsa parlai del fatto che l’uomo incontra le gerarchie superiori e deve riceverne i doni: questo passare dinnanzi alle entità delle gerarchie superiori e raccoglierne i doni, visto esteriormente, in senso spiritualmente esteriore, somiglia a un effondersi nello spazio cosmico. E quando l’essere umano ha raggiunto la sua corrispondente massima espansione, si contrae poi nuovamente, fino a diventare così piccolo da potersi unire come germe spirituale a ciò che proviene da un padre e da una madre. Questo è lo straordinario mistero per cui l’uomo, quando varca la porta della morte, diviene in effetti per così dire una sfera sempre più grande, espande la propria spiritualità, cioè le possibilità di vita dell’anima, diviene gigantesco e poi si contrae nuovamente.

Ciò che vive in noi è in effetti il concentrato proveniente da un cosmo, da un universo planetario,

e noi abbiamo dentro letteralmente tutto ciò che abbiamo sperimentato in tale universo.

 

La volta scorsa ho descritto il passaggio attraverso le sfere di Mercurio, Venere e del Sole.

Oggi vorrei parlare del passaggio attraverso la sfera di Marte.

Quando l’anima umana ha superato la sfera del Sole ed entra in quella di Marte, nella nostra epoca penetra effettivamente in condizioni del tutto diverse rispetto ancora a poco tempo fa. Proprio quando si seguono tali cose con lo sguardo chiaroveggente, si vede come ciò che fu detto in tempi antichi, partendo dalla chiaroveggenza presente in origine nell’umanità, a proposito delle parti del sistema planetario non sia affatto senza fondamento reale. Se nei tempi antichi si era visto in Marte una parte del nostro universo planetario in relazione con gli aspetti bellici o aggressivi nell’evoluzione dell’umanità, questo corrisponde in fondo ad una realtà. Tutte le storie fantastiche che oggi si raccontano su una possibile forma di vita su Marte contengono un fondo di verità.

Le entità che, volendo usare questo termine, possiamo definire come marziani sono di natura completamente diversa da quella degli esseri terrestri, con i quali non possono essere confrontale. E l’elemento caratteristico essenziale di queste entità fu in effetti sempre, sino al diciassettesimo secolo, l’aspetto aggressivo, guerresco, assalitore, cosicché, la cultura legata a Marte fu in sostanza realmente di natura guerresca. Tutto si basava sulla competizione e sullo scontro fra anime che si lanciavano le une sulle altre, E ciò che l’uomo sperimentava nel periodo intermedio tra morte e nuova nascita passando attraverso Marte, era un incontro con le forze dell’aggressività; queste forze bellicose passavano nella sua anima.

E il fatto che una persona che rinasce sulla Terra appaia particolarmente predisposta a sviluppare nella vita terrena le forze dell’aggressività va ascritto al suo passaggio attraverso la sfera di Marte.

 

A questo proposito, la vita è veramente molto complicata. Durante la vita terrena viviamo tra le entità dei tre regni di natura e tra gli uomini. Con vari mezzi incontriamo anime che, a causa della loro vita dopo la morte, si trovano ancora in una certa connessione con la Terra; ma nel frattempo compaiono sempre anche entità spirituali che si sentono del tutto estranee sulla Terra. E quanto più è evoluto lo sguardo chiaroveggente, quanto più in là vede l’iniziato, tanto più si incontrano anime estranee alla Terra e tanto più si apprende che attraversano la sfera terrestre dei vagabondi, che in effetti non sono normalmente in relazione con la vita terrena.

Per noi uomini della Terra la cosa non è però diversa da ciò che accade agli abitanti della Luna, attraverso la cui vita passiamo anche noi tra morte e nuova nascita. Quando per esempio attraversiamo la sfera di Marte, siamo in certo qual modo degli spettri per gli abitanti di quel pianeta; l’attraversiamo come entità estranee alla loro sfera.

Ma anche gli esseri di Marte, in un certo stadio della loro esistenza, sono condannati ad attraversare la nostra sfera terrestre; essi l’attraversano e una persona con una certa iniziazione li incontra, se le condizioni lo permettono, mentre attraversano la sfera terrestre. Vi è un continuo passaggio di entità del nostro sistema planetario.

 

Mentre viviamo sulla Terra tra nascita e morte e pensiamo spesso di non essere circondati da null’altro che dalle sole entità dei diversi regni di natura, intorno a noi vi sono esseri di passaggio provenienti da tutti gli altri pianeti del nostro sistema planetario.

Anche noi, in un certo periodo di tempo tra morte e nuova vita, migriamo presso gli altri uomini delle sfere. È solo che noi uomini sulla Terra dobbiamo proprio sviluppare l’elemento più essenziale di quella che è la nostra missione nell’ambito dell’attuale ciclo cosmico. Agli altri mondi planetari sono quindi attribuite altre entità. Tra morte e nuova nascita dobbiamo però toccare anche gli altri mondi planetari.

Quando si parla quindi in generale della vita nel devachan, si deve dire che, quando descriviamo nel complesso questo o quell’aspetto della vita nel devachan, resta in tal modo inespresso, ma è vero, che ciò avviene in una qualsiasi sfera del nostro sistema planetario. Ne fa sostanzialmente ancora parte. Così dunque attraversiamo la sfera di Marte in un certo periodo di tempo della nostra vita tra morte e nuova nascita.

 

Così come la Terra compie un’evoluzione discendente fino al mistero del Golgota ed ascendente a partire da esso, anche gli altri pianeti compiono un’evoluzione analoga. E se a partire dall’anno 33 – non è del tutto esatto, ma si avvicina – inizia sulla Terra un’evoluzione ascendente perché questo è il vero centro dell’evoluzione terrestre, su Marte questo punto centrale è avvenuto all’inizio del XVII secolo e tutte le condizioni si svilupparono sino a questo punto su Marte in una specie di linea discendente, mentre a partire da quel momento proseguono su una linea del tutto diversa: una linea ascendente.

Infatti accadde allora qualche cosa di straordinariamente importante per Marte.

Abbiamo già conosciuto la straordinaria figura di Gautama Buddha, in riferimento all’evoluzione della Terra, e abbiamo sottolineato che l’evoluzione di questo Buddha giunse al suo compimento quando egli, che era bodhisattva, nel ventinovesimo anno della sua vita fu elevato alla dignità di Buddha e ciò lo destinò a non incarnarsi di nuovo in un corpo fisico terrestre. Avete poi sentito in altre conferenze che il Buddha, in un tempo successivo ha continuato ad operare nella sfera terrestre dal mondo spirituale, per esempio sul corpo astrale del Bambino Gesù del Vangelo di Luca.

 

Ma il Buddha agì ancora in altro modo sulla vita della Terra, senza più incarnarsi in un corpo fisico. Ciò avvenne nel settimo-ottavo secolo in una scuola di Misteri dell’Europa sud orientale, in cui vi potevano essere come maestri – per le persone di allora che erano ancora più o meno dotate di chiaroveggenza – non solo delle individualità incarnate in un corpo fisico, ma anche individualità che agivano soltanto col loro corpo eterico dalle altezze spirituali. È infatti possibile che gli uomini più evoluti possano essere istruiti da individualità che non sono mai state o non sono più incarnate in un corpo fisico. Buddha fu quindi maestro in una tale scuola di Misteri e fece allora parte dei suoi discepoli colui che nell’incamazione successiva sarebbe nato come Francesco d’Assisi. E molte delle caratteristiche che vediamo risaltare tanto potentemente nella vita di Francesco d’Assisi vanno ricollegate al fatto che Francesco d’Assisi fu un discepolo del Buddha.

 

Il Buddha quindi, dopo il mistero del Golgota, continuò ad operare dalle altezze spirituali sulla sfera terrestre, come se fosse unito alla vita che vale per l’uomo che sta tra la nascita e la morte. Tuttavia, alle soglie del diciassettesimo secolo, egli si ritirò dalla vita terrena e compì per Marte un evento analogo al mistero del Golgota, anche se non di altrettanta grandezza. Compì tuttavia qualche cosa che su Marte corrisponde al mistero del Golgota, divenendo in tal modo, all’inizio del diciassettesimo secolo, il redentore di Marte: l’individualità che doveva introdurre una sfera di pace e unirla all’elemento aggressivo di Marte. E da allora si può incontrare su Marte l’impulso del Buddha, così come dal mistero del Golgota in poi si incontra sulla Terra l’impulso del Cristo.

 

Il destino di Buddha su Marte non fu il passaggio attraverso la morte, come accade per il mistero del Golgota, ma sotto un certo profilo fu a sua volta una specie di crocifissione. Essa consistette nel fatto che questa meravigliosa individualità, che irradiava ovunque pace ed amore secondo le condizioni precedenti della sua vita terrena, fu sottoposto a qualcosa che gli era del tutto estraneo: l’elemento aggressivo e guerresco di Marte. Il Buddha doveva agire in modo pacifico su Marte. Ed è per lo sguardo chiaroveggente immensamente impressionante il confronto fra due momenti. Il primo è quello in cui egli ascese alla massima altezza raggiungibile nell’ambito dell’esistenza terrena, quando nel suo ottantesimo anno di vita, dopo aver vissuto cinquant’anni come Buddha sulla Terra – elevato alla dignità di buddha – in una meravigliosa notte di luna, il 13 ottobre del 483 a.C., esalò il suo essere nella luce lunare argentea che splendeva sopra la Terra. Questo, che appare anche esteriormente come una manifestazione dell’atmosfera di pace emanante dal Buddha, ci testimonia il punto culminante dell’evoluzione del Buddha nella vita terrena.

È un momento meraviglioso e vi è qualcosa di veramente impressionante se gli si accosta un altro momento, quello in cui, all’inizio del diciassettesimo secolo, il Buddha giunge su Marte con tutte le sue immense forze di pace e di amore per irradiare pace e amore in quell’elemento aggressivo e, in tal modo, inaugurare l’era dell’evoluzione ascendente di Marte.

 

Se quindi un’anima attraversava la sfera di Marte prima dell’evento che possiamo chiamare il mistero del Buddha, veniva dotata preferibilmente delle caratteristiche aggressive, ma se la attraversa ora e se veramente è predisposta a ricevere qualcosa dalle forze di Marte viene dotata di qualcosa di sostanzialmente diverso.

Per non creare malintesi, vorrei precisare che Marte nel suo complesso è divenuto un pianeta di pace tanto poco quanto la Terra è oggi già cristianizzata. Il processo durerà ancora a lungo e le anime predisposte ad accogliere elementi aggressivi, avranno ancora abbastanza occasioni per accogliere in sé anche aspetti del genere. L’evento citato va considerato con lo sguardo spirituale: quanto più la Terra va verso una evoluzione materiale, tanto meno si riesce a considerare naturale, conoscendo veramente l’evoluzione della Terra, l’essere nella vita terrena umana tra nascita e morte un seguace del Buddha, nel senso in cui egli ebbe seguaci nel periodo precristiano.

 

Si perde a poco a poco, nell’ambito dell’evoluzione umana terrena, la possibilità di un’evoluzione come quella di Francesco d’ Assisi: sarà sempre meno possibile, sarà sempre meno adatta alla cultura esteriore. Ma tra la morte e la nuova nascita l’anima ha l’occasione di realizzarlo. E se non suonasse grottesco, si potrebbe dire, dal momento che corrisponde a un dato di fatto, che tra morte e rinascita ogni anima umana, nel suo passaggio attraverso la sfera di Marte, ha per un certo periodo di tempo, l’occasione di essere un francescano od un buddista e di accogliere tutte quelle forze che possono fluire nell’anima umana da un tale sentire e sperimentare.

Può quindi essere particolarmente importante per l’anima umana attraversare Marte.

Ma ovunque l’uomo giunga, inscrive le sue perfezioni ed imperfezioni

a seconda di come corrispondono alle caratteristiche di questa sfera.

 

E veramente: ciò che abbiamo di perfezioni ed imperfezioni viene iscritto fedelmente nella cronaca dell’Akasha tra morte e rinascita. È registrato ovunque.

Una nostra caratteristica sarà registrata nella sfera lunare, altre in quella di Venere, altre in quella di Marte, altre ancora in quella di Mercurio, altre nella sfera di Giove e così via. E quando torniamo poi di nuovo, ci contraiamo lentamente e incontriamo allora tutto ciò che abbiamo iscritto durante la nostra uscita: così si forma tecnicamente il nostro karma.

Se troviamo sulla via del ritorno che abbiamo avuto questa o quella imperfezione o incompiutezza, allora possiamo imprimere nel nostro essere – non eliminare, ma imprimere dapprima nel nostro essere – una copia di ciò che avevamo impresso nella cronaca dell’Akasha. Non viene eliminata ancora. Poi scendiamo sulla Terra.

Per il fatto di avere in noi tutto ciò che imprimiamo in noi sulla via del ritorno – e siamo in certo qual modo costretti ad inscrivere se non tutto, molto – si sviluppa il nostro karma: ma lassù è ancora inscritto tutto, ed ora queste tracce cooperano in modo singolare. Esse sono impresse nelle sfere della Luna, di Venere, Mercurio e così via e compiono movimenti precisi, cosicché può avvenire quanto segue.

 

Un uomo ha impresso nella sfera lunare una certa imperfezione; attraversando la sfera di Marte, ha impresso una caratteristica del carattere per il fatto di aver fatto proprio in quel luogo un certo elemento aggressivo che non possedeva; lo ha impresso lì. Ora prosegue e ritorna sulla Terra. Vivendo qui sulla Terra ha accolto nel suo karma ciò che ha impresso ed esso si trova nel contempo scritto sopra di lui. Lassù vi è Marte che sta in una certa costellazione rispetto alla Luna; i pianeti esterni indicano la posizione contrapposta delle sfere. Mentre Marte sta in una certa posizione rispetto alla Luna, nella stessa posizione si trovano per così dire la sua aggressività impressa e la sua imperfezione. La conseguenza di ciò è che queste cooperano quando sono l’una dietro l’altra ed è questo il momento che può indicare dove l’uomo, nella prossima vita, intraprenda grazie alla forza aggressiva di Marte ciò che rimase imperfetto.

Per cui la posizione dei pianeti indica effettivamente ciò che l’uomo stesso ha iscritto in queste sfere. E se rileviamo sul piano astrologico le posizioni dei pianeti ed anche quella dei pianeti nei confronti delle stelle fisse, ciò è come una specie di indicazione di quello che abbiamo impresso noi stessi. Non si tratta tanto dei pianeti esteriori, perché ciò che agisce su di noi è quello che abbiamo impresso nelle singole sfere. Abbiamo qui il motivo reale del perché agiscano le costellazioni dei pianeti, del perché indichino effetti sulla natura umana: per il fatto che l’uomo le attraversa. E se la Luna sta in una certa posizione rispetto a Marte e ad una stella fissa, questa costellazione di astri collabora; cioè la virtù di Marte agisce sull’uomo insieme alla Luna e alla stella fissa e per questo fatto avviene ciò che può avvenire mediante la loro cooperazione.

 

• Quindi, il nostro lascito morale depositato tra morte e nuova nascita è effettivamente ciò che ricompare karmicamente in una nuova vita come costellazione astrale del nostro destino. Questo è il motivo più profondo della costellazione astrale e del suo nesso con il karma umano. Quando si approfondisce la vita umana tra morte e nuova nascita, si nota come l’uomo sia effettivamente in relazione con tutto l’universo e quanto ciò sia significativo.

• Gli esseri umani sono dunque in una relazione di una certa necessità proprio con ciò che si trova al di fuori della sfera solare.

 

Consideriamo in modo del tutto particolare la sfera di Saturno.

• Quando l’uomo si è sforzato di occuparsi di concetti scientifico-spirituali nell’attuale vita terrena,

il passaggio attraverso la sfera di Saturno è particolarmente importante per la sua prossima vita.

• È infatti in questa che vengono create le condizioni

per cui egli può trasformare le forze, che qui ha fatto proprie mediante la conoscenza scientifico-spirituale,

in capacità che configureranno poi la sua corporeità, in modo che nella vita successiva

egli porterà in sé come una predisposizione naturale la tensione verso lo spirituale.

 

• Ora può accadere che l’uomo cresca con un’educazione materialista o evangelica o cattolica. Quando la scienza dello spirito gli viene incontro, egli si scopre ricettivo ad essa, non la rifiuta per l’una o l’altra ragione, ma l’accoglie con tutta l’anima nella propria interiorità. Ora varca la porta della morte e attraversa la sfera di Saturno. Mentre l’attraversa, accoglie forze tali per cui sarà in una prossima vita per così dire un uomo di natura spirituale che già da bambino mostrerà ovunque tendenza allo spirituale.

Quindi, ogni zona che attraversiamo tra morte e nuova nascita ha in sé una parte del compito

di trasformare ciò che accogliamo animicamente in una vita

in forze che possono poi diventare fisiche e dotarci tra morte e nuova nascita di determinate facoltà.

 

Ieri ho potuto arrivare solo fin dove si poteva farlo in una conferenza pubblica, quando ho detto che Raffaello aveva già in sé in modo spontaneo alla sua nascita gli impulsi cristiani. Con questo, non ci si deve per esempio immaginare che Raffaello avesse portato con sé qualche concetto cristiano – non ho mai detto ‘concetti’, ma ‘impulsi’ – o qualche rappresentazione. Gli impulsi si portano da una vita all’altra così che quanto viene accolto in una vita come concetto, si unisce in modo del tutto diverso con la persona e compare poi sotto forma di forze.

Per questo la capacità di creare proprio le sue delicate figure cristiane colme di significati proveniva dalle precedenti incarnazioni di Raffaello: era ciò che lo fa definire una specie di cristiano nato. La maggior parte dei nostri amici sa che Raffaello, prima di attraversare questa incarnazione, aveva avuto quella di Giovanni Battista e qui sono entrati nella sua anima gli impulsi che vennero poi ad esprimersi nell’esistenza di Raffaello come qualcosa di congenito, come impulsi cristiani presenti già prima della nascita.

 

Le sole elucubrazioni e i confronti esteriori possono far veramente mancare il bersaglio quando si fanno affermazioni a proposito di incarnazioni successive. Agiscono in tal modo dinnanzi allo sguardo chiaroveggente che non si potrebbe affatto ipotizzare che una vita sia la causa di quella successiva. Affinché qualsiasi cosa che accogliamo animicamente in un’incarnazione possa sviluppare in quella successiva forze tali da poter intervenire nel lato fisico delle predisposizioni è necessario il passaggio tra morte e nuova nascita, poiché sulla Terra non possiamo trasformare o tramutare ciò che vi sperimentiamo solo sul piano animico, mediante tutte le forze terrestri che possono lavorare sull’uomo, configurandolo plasticamente.

L’uomo nel suo complesso non è affatto un essere terrestre, ma la sua corporeità avrebbe un aspetto spaventoso per le idee umane attuali se si potessero usare per la sua configurazione plastica solo le forze presenti all’interno della sfera terrestre. Entrando nell’esistenza attraverso la nascita, l’uomo deve portare in sé le forze del cosmo: queste devono continuare ad agire perché egli possa assumere la figura umana.

Entro la sfera terrestre non è possibile avere un apporto delle forze che possono formare plasticamente le figure umane. Ciò va considerato a fondo.

 

L’uomo porta in ciò che egli è l’immagine del cosmo, e non semplicemente quella della Terra. Ed è un grosso peccato contro l’essere dell’uomo se lo si fa derivare soltanto da quelle che sono le forze della Terra, e si studia ad esempio solo ciò che può essere osservato esteriormente nei regni della Terra con le scienze naturali, senza tenere conto del fatto che in quello che l’uomo riceve sulla Terra domina nel contempo ciò che alla nascita egli porta in sé dalle sfere ultraterrene percorse tra morte e nuova nascita. E nell’ambito di questa successione di sfere accade anche quanto ho descritto l’altro ieri. L’uomo diviene qui servitore di una o dell’altra potenza delle gerarchie superiori.

Ha particolare importanza tutto quello che viene per così dire inscritto nella tavola della cronaca dell’Akasha tra la Terra e la Luna. Qui vengono inscritte tra l’altro tutte le imperfezioni e viene inscritto tutto ciò che ha un significato per l’evoluzione umana singola, che fa progredire l’uomo o lo trattiene. Ma per il fatto che è iscritto nella sfera lunare, quindi nella tavola della cronaca dell’Akasha tra Terra e Luna, esso acquisisce un ulteriore significato per l’intera evoluzione terrestre. La nostra vita sulla Terra è circondata dalla sfera lunare e nella tavola della cronaca dell’Akasha della sfera lunare abbiamo iscritto infinite imperfezioni, tra l’altro per esempio anche le azioni incompiute degli spiriti grandi.

 

Un modello immensamente interessante per l’osservazione chiaroveggente è Leonardo da Vinci. È uno spirito di tale potenza come ve ne sono veramente pochi di questo rango sulla Terra; ma ciò che in fondo fece in realtà esteriormente rimase ampiamente incompiuto in rapporto a ciò che avrebbe voluto. In effetti, nessuno dei geni a lui simili lasciò tante cose incompiute quante Leonardo da Vinci. In conseguenza di ciò una quantità immensa di cose fu iscritta da Leonardo da Vinci nella sfera lunare. Vi si trova così tanto da dover dire quasi: per quello che è iscritto qui, non si sa come sarebbe potuto giungere alla perfezione sulla Terra!

 

Vorrei attirare la vostra attenzione su qualcosa che mi apparve straordinariamente significativo allorché mi occupai di Leonardo da Vinci. Dovevo tenere a Berlino una conferenza proprio su Leonardo da Vinci. Era molto importante per me osservare in lui proprio un fatto. Riempie di un certo dolore vedere oggi le macchie di colore che svaniscono sempre più nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, che rendono veramente ancora soltanto un’ombra di ciò che erano state queste immagini. Se si considera il fatto che Leonardo da Vinci dipinse per sedici anni questo quadro e come lo dipinse, se ne riceve allora una certa impressione.

È noto che talvolta sospendeva per lungo tempo, poi vi si recava, sedeva a lungo davanti al quadro, dava un paio di pennellate e se ne andava di nuovo via. Si sa anche che egli non vedeva talora nessuna possibilità di riuscire ad esprimere ciò che voleva e che soffriva di depressioni terribili perché non poteva portare ad espressione ciò che voleva esprimere nel quadro. Arrivò nel convento un nuovo priore, pedante e rigoroso, che aveva poca comprensione per l’arte. Questo avvenne dopo che Leonardo da Vinci aveva già lungamente lavorato al quadro. Il priore era impaziente e disse: “Perché il pittore non può terminare l’opera?” e gli mosse numerose obiezioni, lamentandosi anche presso il Duca Ludovico. Il Duca lo disse a Leonardo da Vinci, che rispose: “Non so assolutamente se completerò il quadro, perché per tutte le altre figure ho modelli in natura, ma per Giuda e per il Cristo non ne ho. Al massimo per Giuda, se non risulta nessun altro, posso prendere il priore. Ma per il Cristo non ho modello.”

 

Ma non è questo quello che voglio dire, bensì quanto segue: considerando oggi anche esteriormente la figura di Giuda nell’immagine divenuta completamente parvenza, si vede sulla figura un’ombra che non si spiega con nulla, non con la luce che cade su di essa e così via.

Ora, all’indagine occulta si mostra quanto segue: il quadro, come Leonardo da Vinci lo voleva, non fu mai impresso sulla parete. Egli voleva realizzare tutto il resto secondo rapporti di luce ed ombra, ma Giuda doveva essere caratterizzato in modo da credere che la tenebra sul suo volto dominasse partendo dall’interno, e non fosse dovuta alla distribuzione esteriore di luce ed ombra. E per il Cristo doveva essere così che la luce vivesse sul suo volto, provenendo dall’interiorità. Si doveva credere che il volto risplendesse dall’interno.

 

Leonardo da Vinci si trovò in una disarmonia e le cose non risultarono come avrebbe voluto. Si ha veramente molto che appare, se si considera tutto ciò che sta impresso nella sfera lunare e che proviene ancora da Leonardo da Vinci. Si ha qualcosa che non potè essere assolutamente portato a compimento nella sfera terrestre. Se ora si segue l’epoca successiva a Leonardo da Vinci, si vede come egli ha continuato ad operare in una serie di spiriti che lo seguirono. Si possono già trovare esteriormente negli scritti di Leonardo cose rese evidenti in un tempo successivo da naturalisti ed anche artisti. Tutto il periodo seguente si trova sotto l’influsso di Leonardo da Vinci. E ciò mostra che sono le azioni incompiute impresse nel cosmo che hanno agito successivamente come ispirazioni nelle anime dei suoi successori e delle persone vissute dopo Leonardo da Vinci.

 

Le imperfezioni dell’epoca precedente sono ancora più importanti delle perfezioni per un’epoca successiva. Le azioni compiute vanno tenute in considerazione, ma ciò che è configurato perfettamente sulla Terra sino ad un certo grado è per così dire giunto al termine, ha avuto una conclusione nell’evoluzione; invece, ciò che era imperfetto e incompiuto costituisce il germe della successiva evoluzione divina. E giungiamo qui ad una sorprendente, grandiosa contraddizione: la cosa migliore per l’epoca successiva è il fecondo incompiuto: ma proprio ciò che è fruttifero e che resta giustificatamente incompiuto nel tempo precedente.

Ciò che è perfetto in un tempo precedente è destinato al godimento; ma l’imperfetto – quell’incompiuto che deriva dai grandi che non hanno superato se stessi – è destinato alla creazione del tempo successivo. E quindi appare immensamente saggio che ciò rimanga vicino alla Terra, di fatto tra la Terra e la Luna, sulla lavagna della cronaca dell’Akasha.

E qui giungiamo al punto in cui si può capire l’affermazione che la perfezione significa per le epoche più diverse la fine dell’evoluzione, d’una corrente evolutiva, mentre l’imperfezione, in talune circostanze, segna l’inizio di una corrente evolutiva. E gli uomini devono essere particolarmente grati agli Dèi per ciò che è imperfetto in tal senso.

 

Che cosa si è voluto dire con le considerazioni di oggi? Si vuole far comprendere sempre più il nesso dell’uomo con l’intero macrocosmo, mostrare come gli uomini portino realmente in sé il macrocosmo in forma contratta e possano anche avere rapporti con ciò che li circonda spiritualmente. E queste osservazioni possono trasformarsi in un sentimento che compenetra l’uomo, così che possa unire a questa conoscenza un concetto della propria dignità tale che lo renda non presuntuoso, ma responsabile, che lo stimoli a non credere di poter sprecare le proprie forze nel cosmo, ma a sentire che deve impiegarle. È ovvio che nessuno guadagnerebbe qualcosa se dicesse: se ho delle capacità, preferisco lasciarle imperfette.

 

Così non si acquisirebbe nulla, ma si giungerebbe solo alle condizioni già descritte. Se gli esseri umani lasciassero intenzionalmente in sé delle imperfezioni, dovrebbero iscrivere anche queste, ma sarebbero costretti a farlo in modo tale per cui non sarebbero illuminate e non potrebbero neanche agire. Solamente le imperfezioni che restano iscritte perché si è trattato di necessità e non di un’intenzione dettata dalla comodità, possono agire nel modo descritto.