Pensieri di Natale: il mistero del Logos – Massime 137-139

Commento di Lucio Russo


 

Eccoci arrivati a questa lettera, intitolata: Pensieri di Natale: il mistero del Logos (28 dicembre 1924).

 

 

Nel corso dello studio sul mistero di Michele si inserisce anche quello sul mistero del Golgota.

Ciò è dato dal fatto che Michele è la potenza che guida l’uomo, nel modo che gli è salutare, al Cristo” (p. 138).

 

 

Vedete, “nel modo che gli è salutare”. Si tratta infatti di un “modo” (di un “metodo” o di una “via”) che in tanto è “salutare” in quanto è graduale, e che in tanto è graduale in quanto è gerarchico: in quanto risale, cioè, dalla coscienza ordinaria (fisica) alla coscienza michaelita (eterica), dalla coscienza michaelita alla coscienza sofianica (astrale) e dalla coscienza sofianica alla coscienza cristica (Io).

Ascoltate quanto dice qui Steiner: • “E’ facile dire: ciò che è conoscenza superiore deve sorgere nell’anima! Deve certamente sorgere nell’anima, ma vi può sorgere nella sua forma vera solo quando poniamo ogni sforzo, con pazienza e perseveranza, nell’imparare a conoscere, di gradino in gradino, i fenomeni reali del mondo fisico, e poi dietro ai fenomeni del mondo fisico, cerchiamo lo spirituale” (1).

 

 

Ma la missione di Michele è tale che nel divenire cosmico dell’umanità si ripete in successione ritmica.

La si ebbe ripetutamente, con i suoi effetti benefici sull’umanità terrestre, prima del mistero del Golgota.

Allora essa si riconnetteva con tutto ciò che, a favore dell’evoluzione dell’umanità,

la forza ancora extraterrena del Cristo aveva da rivelare attivamente per la terra.

Dopo il mistero del Golgota la missione di Michele si pone al servizio di ciò che, per mezzo del Cristo,

deve accadere all’umanità terrena.

Nelle sue ripetizioni appare sotto forma trasmutata e progrediente, ma tuttavia in ripetizioni” (p. 138).

 

 

Sappiamo che gli Arcangeli (Michael, Gabriel, Raphael, Anael, Samael, Uriel, Sachiel) si susseguono nella guida spirituale dell’umanità, così che quando l’ultimo ha esaurito il suo compito, il primo torna a svolgerne un altro.

Michele, che aveva svolto la sua ultima missione ai tempi di Aristotele (384-322 a.C.) e Alessandro Magno (356-323 a.C.), riprende la guida dell’evoluzione della coscienza e del pensiero umani nel 1879.

Ai tempi di Aristotele e Alessandro Magno, il Cristo era lo Spirito del Sole e non ancora della Terra, com’è divenuto invece a partire dal Mistero del Golgota. La nuova reggenza di Michele si trova pertanto ad affrontare un mondo radicalmente mutato, sia sul piano eterico-fisico, sia su quello animico-spirituale.

 

 

Di fronte a ciò, il mistero del Golgota sta come un evento cosmico che tutto trascende

e che ha luogo un’ u n i c a  volta nel corso di tutta l’evoluzione cosmica dell’umanità” (p. 138).

 

 

Le reggenze degli Arcangeli si susseguono ciclicamente; l’evento del Golgota ha invece “luogo un’unica volta”.

 

 

Soltanto da quando l’umanità è giunta fino allo sviluppo dell’anima razionale o affettiva, esiste pienamente

il continuato pericolo del distaccarsi, già predisposto fin dai tempi primordiali, dell’essere umano dall’essere spirituale-divino.

E nella stessa misura in cui l’anima perde la facoltà di sperimentare insieme con le entità divino-spirituali,

sorge intorno a lei tutto quello che oggi si chiama “natura”” (p. 138).

 

 

La fase evolutiva dell’anima razionale-affettiva è una fase di transizione dall’anima senziente all’anima cosciente.

Ho già ricordato che il supporto dell’anima senziente è il corpo astrale, che il supporto dell’anima razionale-affettiva è il corpo eterico, e che quello dell’anima cosciente è il corpo fisico.

 

Questo che cosa vuol dire? Vuol dire che

l’uomo dell’anima senziente (mitica) si trova ancora al di sopra della soglia

che divide il mondo animico-spirituale da quello eterico-fisico,

• mentre l’uomo dell’anima razionale-affettiva (filosofica), passando dal corpo astrale al corpo eterico,

e quindi dalla sfera della manifestazione (dell’Entità divino-spirituale) a quella dell’effetto operante, varca la soglia,

dando così un primo taglio al cordone che lo lega agli Dèi.

 

Muoiono così i miti e nascono i concetti, nasce il pensiero (Socrate).

Questo passo avanti nella direzione della libertà

(di quella libertà “da” che si consoliderà nel corso della successiva fase evolutiva dell’anima cosciente)

comporta però il rischio che l’umanità possa perdersi: più si libera dagli Dèi, più si presta infatti

a essere illusa e ingannata dalle forze luciferiche e arimaniche.

 

Teniamo presente che la parte “affettiva”, dell’anima razionale-affettiva, risente ancora dell’anima senziente, mentre quella “razionale” tende già verso l’anima cosciente. Si tratta quindi di un’anima, per così dire, “scissa”; lo si può vedere abbastanza bene se si pensa a Sant’Agostino e a San Tommaso, ai francescani e ai domenicani o ai platonici e agli aristotelici: ossia ai contrasti che insorgono tra quanti mettono (di fatto) al primo posto il sentimento e quanti vi mettono invece il pensiero.

 

Il passaggio dall’anima razionale-affettiva all’anima cosciente comporta comunque

• lo spegnersi della vis immaginativa

• e l’accendersi di quella rappresentativa, che darà vita, come abbiamo visto, alla scienza naturale.

 

 

L’uomo non guarda più l’entità umana nel cosmo divino-spirituale,

ma guarda nel terrestre l’opera compiuta del divino-spirituale”.

 

 

L’“opera compiuta del divino-spirituale” è la res extensa di Cartesio o, in una parola sola, l’oggetto.

 

• La componente “razionale” dell’anima razionale-affettiva, badando in primo luogo al concetto,

bada al pensiero e alla speculazione (metafisica),

• mentre l’anima cosciente, badando in primo luogo all’oggetto, bada alla percezione (sensibile) e alla scienza.

 

Ne è riprova il fatto che,

• nell’anima razionale-affettiva, prevale il “sentire nel pensare”,

• mentre, nell’anima cosciente, prevale il “volere nel pensare”: ossia una forza (d’amore)

che spinge appunto il pensiero verso l’oggetto, verso l’altro o verso il mondo.

 

 

A tutta prima non la vede nella forma astratta in cui la si vede oggi:

esseri e processi fisici sensibili, tenuti insieme da quei contenuti astratti di idee che si chiamano “leggi naturali”.

L’uomo guarda l’opera compiuta ancora quale essere divino-spirituale.

Tale essere divino-spirituale fluisce e rifluisce in tutto ciò che appare all’uomo

come il nascere e morire dei viventi esseri animali, come il crescere e germogliare del mondo vegetale,

come l’attività delle sorgenti e dei fiumi, come la formazione dei venti e delle nubi.

Tutte le essenzialità e i processi che stanno attorno a lui, sono per l’uomo i gesti, le azioni, il linguaggio

dell’essere divino che è alla base della “natura”” (pp. 138-139).

 

 

Finché gode di una residua facoltà immaginativa,

“l’uomo guarda l’opera compiuta ancora quale essere divino-spirituale”

(come ad esempio i grandi maestri della scuola di Chartres o Brunetto Latini nel Tesoretto).

 

Allorché subentra invece la coscienza intellettuale o rappresentativa (vincolata ai sensi)

guarda, non più ai gesti, alle azioni e al linguaggio dell’essere divino-spirituale,

ma soltanto al suo cadavere o al suo scheletro, ch’è fatto appunto di oggetti, di fenomeni e di leggi naturali.

 

 

Come un tempo gli uomini vedevano le azioni, i gesti degli esseri divini universali nelle posizioni e nei movimenti delle stelle,

come vi leggevano le loro parole, così ora i “fatti naturali” diventavano l’espressione della dea della terra,

perché si rappresentava femminile la dea che opera nella natura.

Dei residui di questo modo di rappresentazione, quale contenuto immaginativo dell’anima razionale o affettiva,

rimasero attivi nelle anime umane fin nel medioevo avanzato. Gli uomini che avevano la conoscenza

parlavano delle azioni della “dea” quando volevano far comprendere gli “avvenimenti naturali”.

Fu soltanto col sorgere graduale dell’anima cosciente che divenne incomprensibile all’umanità

questa maniera di osservazione viva, interiormente animata, della natura.

E il modo in cui nell’epoca dell’anima razionale o affettiva si guardava alla natura,

ricorda il mito di Proserpina, con il mistero che ne stava alla base.

La figlia di Demetra, Proserpina, viene costretta dal dio degli inferi a seguirlo nel suo regno.

La cosa, alla fine, avviene in modo che Proserpina passi soltanto metà dell’anno nel mondo degli inferi,

e l’altra metà nel mondo superiore. Con grandiosa potenza questo mito esprime ancora il modo in cui,

in un passato remotissimo e con una chiaroveggenza di sogno,  si penetrava conoscendo il divenire delle cose terrene” (p. 139).

 

 

Vi voglio raccontare una cosa. Quando, agli inizi dei miei studi junghiani (grosso modo, tra il 1965 e il 1970), mi fu permesso di seguire (da semplice uditore) le lezioni di omeopatia del prof. Antonio Negro, scoprii che gli omeopati (in specie se “unicisti”), parlando tra di loro dei propri pazienti, usavano spesso chiamarli con i nomi dei farmaci. Si poteva sentir dire, ad esempio: “Ho in cura una Nux vomica, una Chamomilla, una Pulsatilla o un Natrum muriaticum”.

Perché questo? Perché i pazienti dei quali parlavano presentavano sintomi simili a quelli curati da quei farmaci.

La cosa mi colpì, perché anche nell’ambiente degli psicoterapeuti junghiani mi era capitato di sentir dire, che so: “Ho in cura un Puer, un Senex, un’Amazzone o una Madre-Strega”.

 

Dai medici omeopatici il paziente veniva dunque caratterizzato da un farmaco (dal cosiddetto simillimum),

mentre dagli psicoterapeuti junghiani veniva caratterizzato da un archetipo.

In entrambi i casi, ma a livelli diversi, emergeva quindi un’attitudine immaginativa che sfociava in una “tipologia”.

 

Scrive a questo proposito Steiner: • “Mentre nella scienza organica deve essere sempre tenuta d’occhio la generalità, l’idea del tipo, nelle scienze spirituali si deve invece tener ferma l’idea della individualità. Quello che importa qui non è l’idea quale si estrinseca nella generalità (tipo), ma quale si presenta nell’essere particolare (individuo)” (2).

 

Era dunque scorretto ciò che facevano gli omeopati e gli psicoterapeuti junghiani? No, non lo era, giacché è proprio quando il “tipo” (costituzionale, temperamentale, caratteriale) prende il sopravvento sull’individualità (sull’Io) che si instaura una patologia.

La difficoltà sta piuttosto nel fatto che a tutt’oggi i primi, ignorando la realtà del mondo eterico, non sanno spiegarsi l’efficacia dei loro farmaci, così come i secondi, ignorando la realtà del mondo animico-spirituale, non sanno spiegarsi la natura dei loro archetipi.

 

Un materialista di certo riderebbe di questi problemi; farebbe bene però a meditare queste parole del TAO-TÊ-CHING:

Il perfetto sapiente comprende la Via / E in essa saldamente si stabilisce /

L’imperfetto sapiente comprende la Via / E ora la segue, ora la perde /

Il sapiente d’infimo rango sentendo parlare della Via / Ride di essa /

Se costui non ne ridesse la Via non sarebbe la Via…” (3).

 

Una cosa dunque, tornando a noi, è pensare la natura come una Dea (Proserpina/Persefone), altra pensarla come un casuale aggregato di atomi o di particelle elementari (in quanto s’ignorano gli esseri elementari).

(Che ne dite? Se Beethoven avesse sentito la natura come un casuale aggregato di atomi o di particelle elementari, avrebbe composto la sua sesta Sinfonia, la Pastorale?)

 

A proposito di Persefone, e a puro titolo d’informazione, vi leggo quanto dice questo Dizionario:

• “Ade, il dio degli Inferi, rapì Persefone e la condusse nel suo regno, con il consenso di Zeus. Demetra, dopo aver cercato a lungo sua figlia, andò a riprendersela. Poiché nel regno dei morti Persefone aveva mangiato i frutti di un albero di melograno, dovette trascorrere parte dell’anno agli Inferi: chi prende qualcosa da quel luogo, infatti, vi resta legato per sempre. Per il tempo restante ella poteva restare con sua madre e ciò diede luogo al succedersi delle stagioni. Persefone non è soltanto la divinità del mondo infernale: grazie al suo legame con Demetra, venne considerata anche dea della vegetazione” (4).

 

 

Nei tempi primordiali tutta l’attività universale partiva dall’àmbito circostante la terra.

La terra stessa era appena sul nascere.

Veniva formando l’essere suo nell’evoluzione cosmica, sotto l’azione di quanto le stava attorno.

Gli esseri divino-spirituali del cosmo lavoravano attorno al suo essere.

Quando la terra fu giunta a tanto da diventare un corpo cosmico indipendente

[quando fu cioè separata prima dal Sole e poi dalla Luna],

dal tutto universale scese allora su di essa spiritualità divina che divenne la divinità della terra.

La chiaroveggenza sognante dell’umanità antica ha sperimentato e conosciuto questo fatto cosmico;

e da questa conoscenza è rimasto il mito di Proserpina; ma ne è rimasto anche il modo in cui, fin nel medioevo inoltrato,

si cercò di penetrare nella natura con la conoscenza, perché allora non vi si cercavano ancora, come più tardi,

le impressioni dei sensi, cioè quanto appare alla superficie del mondo terrestre,

ma vi si cercavano le forze che dalle profondità della terra agiscono verso la superficie.

– E si vedevano queste “forze delle profondità”, queste “forze del mondo inferiore”,

in reciproca azione con gli effetti delle stelle e degli elementi dell’ambiente terreno” (p. 140).

 

 

La “reciproca azione”

• tra le “forze delle profondità” o “forze del mondo inferiore”

• e “gli effetti delle stelle e degli elementi dell’ambiente terreno”,

va pensata non solo in modo dinamico, ma anche qualitativo.

 

L’elemento dinamico (eterico) fa infatti da ponte tra l’elemento quantitativo (fisico) e quello qualitativo (astrale).

Possiamo perciò parlare di entità o di deità, ma anche di qualità:

ossia di una realtà che viene del tutto ignorata dalla scienza contemporanea.

 

Questo ci ricorda, ancora una volta, che solo il pensiero vivente (eterico) può permetterci di attraversare la soglia

e di affacciarci così sul mondo (astrale) delle qualità con la stessa lucidità con la quale ci affacciamo, grazie ai sensi,

su quello della quantità.

 

 

Ivi le piante crescono nelle loro svariate forme, si manifestano nella loro apparenza multicolore.

In tutto questo agiscono le forze del sole, della luna e delle stelle in unione con le forze delle profondità terrestri.

Il fondamento viene dato dai minerali che già traggono interamente la loro natura dalle forze universali che sono diventate

terrestri. Le rocce spuntano dal “mondo inferiore” solo per virtù delle forze celesti che sono divenute terrestri.

Il mondo animale non ha invece accolto le forze della “profondità della terra”.

Esso nasce soltanto dalle forze cosmiche che agiscono nell’ambiente terreno.

Esso deve il divenire, nascere e crescere, la sua facoltà di nutrirsi e muoversi, alle forze solari fluenti sulla terra.

Può riprodursi sotto l’influsso delle forze lunari fluenti sulla terra.  Appare in molte forme e specie

perché, dall’universo, le posizioni delle stelle agiscono nei modi più svariati sulla vita animale, conformandola.

Gli animali sono però semplicemente collocati sulla terra, dal cosmo.

Partecipano alla vita della terra soltanto con la loro coscienza ottusa; ma non sono esseri terrestri

né per quanto riguarda la loro generazione e la loro crescita, né per tutto quello che sono,

in quanto possono percepire e muoversi” (pp. 140-141).

 

 

Vi ho già confidato, una sera, che quando mi sento dire, come non di rado capita, che i cani o i gatti “so’ mejo de li cristiani”, quasi sempre rispondo: “Perché li cristiani non so’ cristiani”.

Gli animali vivono infatti da animali, mentre i cristiani non vivono da cristiani o, il che è lo stesso, gli uomini non vivono da uomini.

Gli animali vivono da animali perché non possono far altro; gli uomini possono vivere invece da uomini o da non-uomini perché sono liberi, perché la loro vita non è più gestita direttamente dal mondo spirituale.

 

Possiamo star certi che se agli animali venisse data la stessa libertà (“da”), presto vedremmo, che so, dei pappagalli che vogliono vivere da gatti o dei gatti che vogliono vivere da pappagalli: vedremmo insomma succedere, tra gli animali, quello che succede tra noi. E che cosa accadrebbe in un alveare o in un formicaio? E’ presto detto: qualcosa di simile a quello che succede nelle società umane quando nessun ego (psichico) vuole vivere da Io (spirituale), e non può perciò coscientemente e liberamente trasformare il “dovere”, che governa l’ordine animale, nel “volere” che dovrebbe governare l’ordine umano.

Riassumendo:

• abbiamo il regno minerale, che soggiace alle forze celesti divenute forze terrestri;

• abbiamo il regno vegetale che sta tra le forze terrestri e quelle celesti;

• e abbiamo il regno animale ch’è un regno celeste: ossia, lo zodiaco (zòon).

 

 

Questa grandiosa idea del divenire della terra viveva un tempo nell’umanità.

Da quello che ancora ne rimane nel medioevo, traspare solo in scarsa misura quella grandiosità.

Per poter giungere a tale conoscenza, bisogna risalire con lo sguardo veggente fino a epoche remotissime,

perché anche i documenti fisici che abbiamo non rivelano quel che esisteva nelle anime degli uomini,

se non a chi sa penetrarli con lo sguardo spirituale” (p. 141).

 

 

Abbiamo visto, una sera (lettera 30 novembre 1924), che fine ha fatto il mito di Edipo, una volta caduto nelle mani di Freud.

D’altro canto, una cosa è il mito (che la sa più lunga, come affermato più volte da Steiner, della scienza contemporanea), altra la coscienza del mito.

La coscienza intellettuale, non essendo all’altezza (immaginativa) del mito, non può comprenderlo (così come, lo abbiamo detto, non può comprendere il sogno).

Per comprendere davvero un mito (o un sogno) occorre infatti sviluppare la coscienza immaginativa, nonché, almeno in parte, quella ispirata.

(Chi voglia farsi un’idea del vero significato dei miti legga, di Steiner: Miti e Misteri dell’Egitto [5] e Leggende e misteri antichi, nella loro occulta verità [6].)

 

 

Orbene, l’uomo non è in grado di potersi tenere lontano dalla terra quanto lo fa il mondo animale.

Nel dire questo, ci accostiamo tanto al mistero del genere umano, quanto a quello del mondo animale.

Tali misteri si rispecchiano nel culto degli animali dei popoli antichi, soprattutto degli Egizi.

Negli animali si vedevano degli esseri che sono ospiti della terra; esseri nei quali si può osservare

l’essere e l’effetto operante del mondo spirituale limitrofo al terrestre.

E nell’unione della figura umana con quella animale, che ci si rappresentava in immagini, ci si ponevano dinanzi

le figure di quegli esseri elementari intermedi che nel divenire universale sono sì sulla via verso l’umanità,

ma che non entrano nell’elemento terrestre per non diventare uomini. Esistevano siffatti esseri intermedi.

Raffigurandoli, gli Egizi non facevano altro che esprimere quanto vedevano.

Ma quegli esseri non possiedono la piena autocoscienza dell’uomo.

Per ottenerla, l’uomo dovette entrare nel mondo terrestre in modo completo,

in modo tale da accogliere entro la propria natura qualcosa della natura della terra” (p. 141).

 

 

• Abbiamo detto che l’anima razionale-affettiva è attenta al concetto,

• mentre l’anima cosciente è attenta all’oggetto (della percezione sensibile).

Consideriamo, però, che essere attenti all’oggetto vuol dire essere attenti anche al soggetto: non si può avere infatti

una piena coscienza del non-ego o dell’altro da sé se non si ha una piena coscienza dell’ego o di sé.

 

• Per poter approdare all’autocoscienza, per poterci cioè conoscere come soggetti

• abbiamo avuto dunque bisogno di avere di fronte a noi degli oggetti

(“Si acquista infatti la coscienza dell’io – dice appunto Steiner –

solamente imparando a distinguere se stessi dagli oggetti esteriori”) (7).

 

Perché questo fosse possibile è stato però necessario che scendessimo fin giù nel corpo fisico,

giacché solo a questo livello, non potendosi i corpi compenetrare, si realizza una radicale alterità.

Ecco perché l’anima cosciente è legata al corpo fisico.

 

 

L’uomo dovette sottostare al fatto che questo mondo terrestre

è l’opera compiuta degli esseri divino-spirituali collegati con l’uomo,

ma appunto  s o l t a n t o   l ‘ o p e r a   c o m p i u t a. 

E poiché è solamente l’opera compiuta, staccata dal suo principio originario,

appunto per questo vi hanno accesso le entità luciferiche ed arimaniche” (pp. 141-142).

 

 

Potremmo paragonare “l’opera compiuta, staccata dal suo principio originario” a una scultura finita,

e per ciò stesso “staccata” dal suo autore.

Come a questa hanno accesso i mercanti d’arte, così a quella hanno “accesso le entità luciferiche e arimaniche”.

 

Abbiamo detto e ripetuto che l’opera compiuta è il cadavere dell’Entità divino-spirituale originaria.

Che cosa dice infatti il Vangelo? “Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi” (Mt 24,28).

E non basta guardarsi oggi intorno per constatare che mai, forse, si sono visti a raduno tanti avvoltoi?

 

 

Ne deriva per l’uomo la necessità di fare di quest’opera compiuta, permeata da Lucifero e da Arimane, la dimora di una parte della sua vita, quella terrena.

Questo è ancora possibile, senza che l’elemento umano si stacchi permanentemente dalla sua originaria sfera divino-spirituale, fino a che l’uomo non è ancor giunto allo sviluppo della sua anima razionale o affettiva [finché non è giunto, cioè, varcando la soglia dall’alto in basso, a dare alla coscienza il supporto del corpo eterico]. Ma giunto qui, ha luogo nell’uomo una corruzione del suo corpo fisico, del suo corpo eterico e del suo corpo astrale. La scienza antica conosceva questa corruzione come qualcosa che vive nell’entità umana. Si sapeva che essa era necessaria perché nell’uomo la coscienza potesse progredire fino all’autocoscienza.

(…)Tuttavia, nelle epoche precedenti lo sviluppo dell’anima razionale o affettiva, l’uomo era ancora talmente unito con le forze della sua primordiale origine divino-spirituale [ad esempio nell’anima senziente, supportata dal corpo astrale], che queste forze, dalle loro sedi cosmiche, potevano mantenere in equilibrio le forze luciferiche ed arimaniche che in terra si accostavano all’uomo. Allora, da parte dell’umanità, per cooperare a questo equilibrio bastava che nei miti del culto e dei misteri si svolgesse l’immagine dell’entità divino-spirituale che penetra nei regni di Lucifero e di Arimane, e ne risorge vittoriosa. Nei tempi precorrenti il mistero del Golgota si riscontravano quindi, nei culti dei popoli, delle rappresentazioni in immagini di quello che poi diventò realtà nel mistero del Golgota.

Dopo che si fu sviluppata l’anima razionale o affettiva, solo la realtà poté salvaguardare l’entità umana dal distacco dalle sue entità divino-spirituali. Nell’organizzazione dell’anima razionale o affettiva, vivente di elementi terrestri durante la sua esistenza terrestre, il divino doveva penetrare interiormente come entità anche nella sfera terrestre. Ciò avvenne quando il logos divino-spirituale, il Cristo, congiunse con la terra il suo destino cosmico in favore dell’umanità. Proserpina era discesa nella sfera terrestre per liberare il mondo vegetale dal doversi formare di soli elementi terrestri. Questa è la discesa di un’entità divino-spirituale nella natura della terra. Anche Proserpina ha una specie di “risurrezione”, ma annuale, in successioni ritmiche.

Di fronte a questo evento, che si verifica sulla terra quale fatto cosmico, sta la discesa del logos per l’umanità. Proserpina discende per riportare la natura al suo orientamento originario. Questo processo deve avere per fondamento il ritmo, perché il divenire della natura si svolge in ritmi. Il logos discende nell’umanità. Questo avviene una sola volta durante l’evoluzione dell’umanità, perché questa evoluzione è soltanto un anello in un gigantesco ritmo universale nel quale l’umanità, prima di essere umana, era tutt’altra cosa che “umanità”, e sarà tutt’altra cosa poi, mentre invece la vita vegetale, come tale, si ripete in ritmi brevi” (pp. 142-143).

 

 

Non so se sapete che al Verano (il cimitero monumentale di Roma) c’è una vecchia tomba sulla quale è scritto (mi pare di averlo già detto): “Noi fummo come voi siete, voi sarete come noi siamo”.

Ebbene, è questo un pensiero che potrebbe essere rivolto dalle entità superiori a quelle immediatamente inferiori, a tutti i livelli della scala gerarchica: dagli Arcangeli, ad esempio, agli Angeli, dagli Angeli agli uomini o dagli uomini a “quegli esseri elementari intermedi che nel divenire universale sono sì sulla via verso l’umanità, ma che non entrano nell’elemento terrestre per non diventare uomini”.

Viene qui fatta però una distinzione tra gli eventi della natura, nella quale Proserpina/Persefone (“discesa nella sfera terrestre per liberare il mondo vegetale dal doversi formare di soli elementi terrestri”) s’incarna e disincarna ritmicamente (come mostra l’avvicendarsi delle stagioni), e il Mistero del Golgota che si verifica una volta sola.

E perché? Perché si tratta di un evento che chiude un intero ciclo dell’evoluzione terrena e cosmica, aprendone al contempo un altro “apocalittico”: rivolto cioè al futuro (dice appunto Steiner: “Quasi come un’ultima conclusione di quanto è stato impresso all’uomo su Saturno, Sole e Luna, si è svolto sulla Terra l’evento del Cristo, che ha dato all’uomo il dono supremo, la facoltà di vivere nella prospettiva dell’avvenire,…” (8).

 

 

Per il genere umano, dall’epoca dell’anima cosciente in poi, è una necessità il vedere in questa luce il mistero del Golgota,

poiché già nell’epoca dell’anima razionale o affettiva vi sarebbe stato il pericolo del distacco dell’uomo dalla spiritualità,

se non fosse avvenuto il mistero del Golgota.  Nell’epoca dell’anima cosciente dovrebbe avvenire

un totale oscuramento del mondo spirituale per la coscienza dell’uomo, se l’anima cosciente non riuscisse a fortificarsi

tanto da poter volgere indietro lo sguardo con comprensione verso la sua origine divina.

Se vi riesce, essa trova allora il logos universale, quale entità capace di ricondurla indietro.

Essa si compenetra dell’immagina potente che rivela quello che è avvenuto sul Golgota” (p. 143).

 

 

Quello che stiamo oggi vivendo e patendo, nella nostra coscienza,

è per l’appunto “un totale oscuramento del mondo spirituale”.

 

• “La Luce risplende fra le tenebre, – dice Giovanni – ma le tenebre non l’hanno ricevuta”; e prosegue: “La luce, quella vera, che illumina ogni uomo, veniva nel mondo. Era nel mondo, e il mondo fu creato per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe. Venne in casa sua e suoi non lo ricevettero. Ma a quanti lo accolsero…” (Gv 1,5 e 9).

Notate questo “accogliere” o recipere, giacché allude al “recipiente” o al Vas al quale ho già fatto cenno.

 

• Come la Vergine “accoglie” il Logos, e come Giovanni “accoglie” la Vergine,

• così ciascuno di noi è chiamato ad “accogliere”, facendo della propria anima un “calice”,

il sangue (l’”Io sono”) del Cristo-Gesù

(“Gesù dunque, vedendo sua Madre e lì presente il discepolo che egli amava, disse a sua Madre: “Donna, ecco il tuo figlio”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua Madre”. E da quel momento il discepolo la prese con sé” – Gv 19, 26-27).

 

Pensate ai rododendri. Sapete che cosa fanno? Fioriscono tra la fine di aprile e i primi di maggio, e subito dopo essere sfioriti formano i nuovi boccioli: questi rimangono nel loro stato per tutto il resto dell’anno e si schiudono solo nella primavera successiva.

Ebbene, l’ego è chiuso in se stesso come questi boccioli, ma attende invano, per schiudersi, la sua primavera, giacché Arimane lo mantiene, congelandolo, nel suo stato di difesa, di paura e di “rattenimento”.

Dice invece la Vergine: “Fiat mihi secundum verbum tuum”. Ciò che importa, infatti, è che sia fatta la volontà di Dio, perché sarà fatta la nostra volontà solo se sarà fatta la Sua (recita il Pater Noster formulato da Steiner, l’ho già ricordato: “La Tua volontà sia da noi attuata quale tu l’hai posta nella nostra intima essenza”).

 

Fatto si è che la lotta di Michele è in primo luogo una lotta “culturale”. So che questo termine, ormai abusato e logoro, potrebbe generare dei fraintendimenti o degli equivoci “dialettici” (Scaligero); proprio per questo, però, dovremmo impegnarci a restituirgli il suo originario e vero valore.

Come coltiviamo infatti la terra perché ci dia frutto, così dovremmo coltivare la nostra anima perché ci dia, quale frutto, la nostra umanità (“La donna quando dà alla luce, è nel dolore perché è giunta la sua ora; ma quando il bambino è nato, non ricorda più l’angoscia, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” – Gv 16,21).

Fatto sta che i mali del nostro tempo derivano anzitutto dal fatto che la cultura è divenuta ormai sterile e impotente, quando non addirittura nociva o tossica (in quanto asservita alla vanità o al potere).

Si organizzano, per dirne solo una, dei “Festival della mente”, ma si sarebbe di certo più sinceri se si organizzassero dei “Festival di chi mente” o dei “Festival della menzogna”, oppure ci si dicesse, come Faust: “Ahimè!, ho studiato, da cima in fondo e con ardente zelo, filosofia e giurisprudenza e medicina e, purtroppo, anche teologia. Eccomi qui, povero pazzo, e ne so quanto prima! Vengo chiamato maestro, anzi dottore e già da dieci anni meno, per il naso, in su ed in giù, in qua ed in là, i miei scolari” (9).

 

Nel settembre del 1973, Aleksandr Solženicyn indirizzò ai dirigenti dell’allora Unione Sovietica una lettera aperta, intitolata appunto: Vivere senza menzogna (10); e Steiner afferma: “Oggi siamo in opposizione al nostro tempo, se vogliamo porci al servizio della verità spirituale; è necessario ricordarlo per vedere chiaro come dobbiamo atteggiarci nei nostri cuori, se vogliamo concorrere a portare il messaggio spirituale e a rappresentare la nuova vita spirituale, necessaria all’umanità” (11).

 

Dobbiamo dunque impegnarci a liberare noi stessi e il mondo dalla menzogna, così “da poter volgere indietro lo sguardo con comprensione” verso la nostra “origine divina”.

Ricordiamoci che questa lettera è dedicata ai “pensieri di Natale” e al “mistero del Logos”. “Volgere indietro lo sguardo con comprensione” vuol dire “ricordare”, e sappiamo che Steiner chiama il Natale la “festa del ricordo”: del ricordo di quella nostra “origine divina” (ex Deo nascimur) che viene sistematicamente oscurato e cancellato, ad esempio, dal darwinismo e dall’evoluzionismo materialistici.

Teniamolo sempre presente: chi vuol sapere dove deve andare, deve sapere da dove viene.

Per questo, le entità arimaniche ci indicano non dove dobbiamo andare, ma la nostra provenienza dall’animalità. Ben sanno, infatti, ch’è sufficiente alterare la coscienza del nostro passato per alterare quella del nostro futuro, e raggiungere così lo scopo (dis-umano o in-umano) che si prefiggono.

 

E come alterano la coscienza del nostro passato? Insegnando, ad esempio (come si fa oggi), che l’uomo è un “incidente congelato” dell’evoluzione, uno “psicozoo” o uno “scimmione intelligente”, e che la cosiddetta “anima” non è che il riflesso della vita del corpo (un suo “epifenomeno”).

Sapete, in definitiva, qual è il guaio? E’ che oggi, incontro ai dati forniti da strumenti di rilevazione sempre più evoluti e raffinati, viene portato un pensiero sempre meno evoluto e raffinato, e per ciò stesso incapace di metterli in giusto rapporto tra loro.

E’ per questo, come sottolineato più volte da Steiner, che la scienza dello spirito può trovarsi in contraddizione con le “teorie” elaborate dagli scienziati, ma mai con i “dati” o con i “fatti” che risultano dalle loro osservazioni e ricerche.

 

Ma torniamo al Mistero del Golgota.

Sapete che un ciclo di conferenze di Steiner è intitolato: Da Gesù a Cristo (12).

La nostra via (di conoscenza), non va però “da Gesù a Cristo”,

• bensì, come quella di Paolo, “da Cristo a Gesù”.

Paolo, infatti, prima ha incontrato il Cristo (quale entità spirituale) e poi ha riconosciuto Gesù (quale personalità storica).

 

Anche noi, dunque, per riconoscere Gesù, dovremmo incontrare prima il Cristo. Ma come? A questo interrogativo, Steiner risponde non solo con il ciclo di conferenze dal titolo: Come ritrovare il Cristo? (13), ma con tutto il suo insegnamento.

Mi limiterò perciò a fare due brevissime considerazioni.

• La prima è questa: sappiamo che ogni animale è “un esemplare della specie” (di un Io collettivo che risiede nel mondo astrale), mentre “ogni uomo è una specie a sé” (un Io individuale) (14), i cui esemplari sono le diverse personalità storiche in cui s’incarna nel corso delle sue ripetute vite terrene.

Ma sappiamo anche che la “specie” è subordinata al “genere”,

e che dobbiamo perciò porre, “al di sopra” di ogni uomo (quale “specie a sé”), il “genere umano”.

Bene, e chi è questo “genere umano” quel genere ch’è “immutato – come osserva Hegel – nelle sue specie”, giacché “le specie non son diverse dall’universale, ma soltanto fra loro” (15)? E’ il Cristo, il Logos o l’”l’Io sono”, che Steiner chiama, proprio per questo, il “Rappresentante dell’umanità”.

 

Ciò vuol dire che,

• in virtù della presenza dell’Io, ci è dato avere (sul piano fisico-corporeo)

coscienza (rappresentativa) di noi stessi quali “ego”,

• mentre in virtù della presenza del Cristo (nell’Io),

ci è dato avere coscienza (intuitiva) di noi stessi quali “Io spirituali”: ossia quali realmente siamo,

e quali continueremo coscientemente a essere dopo la morte

(spiega infatti Steiner: “Possiamo avere questa sensazione solo se varchiamo nel modo giusto la soglia della morte, accompagnati cioè dal sentimento: “Siamo morti nel Cristo” [in Christo morimur]. Questo essere collegati al Cristo ci dà la possibilità di guardare nel mondo spirituale, in un certo senso, anche con l’occhio animico del Cristo, di vedere noi stessi come un essere-io tra gli altri esseri spirituali”) (16).

 

Come vedete, meditando sulla natura dell’autocoscienza spirituale, tanto da arrivare a scovarne la radice (ossia l’Essere che ci fa in questo caso da “specchio”), si scopre la presenza (in noi) del Cristo (dell’”Io sono” divino), e si riconosce allora, al pari di Paolo (ma sul piano dell’anima cosciente), la realtà di Gesù.

 

• La seconda è questa: abbiamo visto che la scienza comincia con l’essere scienza del mondo inorganico. Ma che cosa c’è nell’uomo di così vivo da permettergli di conoscere ciò ch’è morto? Se fossimo morti, se fossimo cioè solo opera compiuta, come lo è il mondo inorganico, tale conoscenza ci sarebbe ovviamente impossibile. Evidentemente c’è qualcosa, in noi, ch’è al di sopra di questo livello.

Che cosa insegna, infatti, il cosiddetto “principio pedagogico fondamentale” indicato da Steiner? Che per agire sul corpo fisico si deve muovere dal corpo eterico; che per agire sul corpo eterico si deve muovere dal corpo astrale; che per agire sul corpo astrale si deve muovere dall’Io.

 

• Per conoscere il mondo fisico (morto), dobbiamo quindi muovere dal mondo eterico (vivo),

ossia da quel mondo che, essendo stato ri-vivificato dal Cristo (dal Cristo eterico),

ci dà la facoltà (mediante lo Spirito Santo) d’illuminare con la luce del pensiero le tenebre della percezione (sensibile).

 

Voglio aggiungere ancora una cosa. Ho cominciato a leggere, in questi giorni, Economia spirituale e reincarnazione di Steiner (17). Sapete che cosa vi si dice? Che il nostro tempo ricorda, in qualche modo, quello dell’ultimo periodo dell’Atlantide, quello precedente, cioè, il cosiddetto “diluvio universale”.

C’erano allora le sedi dei misteri, ch’erano insieme scuole e luoghi di culto, e le “figure oracolari”, così le chiama Steiner, dei grandi maestri. Queste, in quanto dotate di un elevato grado di veggenza, venivano riconosciute e onorate come “guide”, mentre poco o niente venivano considerati quelli che non solo non possedevano quasi più la veggenza, ma cominciavano anche a sviluppare l’intellettualità.

Ma che cosa successe quando ci fu la catastrofe atlantica? Che la grande guida dell’”Oracolo solare” (dell’Oracolo del Cristo), detta il “Manu”, per fondare la prima civiltà post-atlantica, scelse e portò con sé i secondi, e non i primi.

(“I compagni dell’iniziato del Cristo erano uomini d’intelletto molto sviluppato, ma che avevano meno esperienza nel campo soprasensibile di tutti gli altri uomini di quel periodo. L’iniziato che li guidava emigrò con essi dall’occidente all’oriente, in una contrada dell’interno dell’Asia. Egli voleva per quanto possibile preservarli dal contatto con gli uomini meno progrediti nello sviluppo della coscienza” [18].)

 

Ebbene, al posto delle sedi dei misteri, abbiamo oggi le Università, al posto delle “figure oracolari” abbiamo gli intellettuali o i maìtres à penser, e al posto dei “paria” abbiamo coloro che cercano, come noi, di muovere verso il futuro (verso l’umano), cominciando con lo sviluppare, al di là di quella intellettuale, la coscienza immaginativa.

Mi disse una volta Scaligero: “In tempi di diluvio, bisogna costruire l’arca”; si riferiva ovviamente a un’arca interiore: ossia a un’arca animica atta a custodire i germi di un mondo futuro.

Non preoccupiamoci, dunque, delle critiche o delle beffe degli odierni “Soloni”; cerchiamo piuttosto di farci forti della nostra persuasione e della nostra esperienza, ch’è esperienza non solo della testa, ma anche dell’anima e del cuore.

 

Ascoltate queste parole di Steiner: “ Non si rinunci al dramma della conoscenza / in favore di una grammatica della conoscenza; / né sia d’ostacolo il timore di precipitare nell’abisso / dell’isolamento individuale, poiché da questo abisso / si riemerge in compagnia di numerosi spiriti / con i quali si sente d’essere apparentati; / …” (19).

Abbiatevi a “pigliare questa generalità” (così si esprime il “Frate” ne La Mandragola di Machiavelli): oggigiorno si parla e si discute di tutto, ma non si è persuasi di niente.

La “persuasione” (così come l’intendeva ad esempio Michelstaedter) (20) è forte quanto la “fede”, ma viene raggiunta attraverso la conoscenza.

Riprendiamo la lettura.

 

 

E l’inizio di questa comprensione [del Mistero del Golgota] sta nell’afferrare con amore il significato del sacro Natale universale che ogni anno viene solennemente ricordato. Il rafforzamento dell’anima cosciente avviene infatti in modo che essa, mentre dapprima accoglie l’intellettualità, faccia entrare il caldo amore in questo freddissimo elemento dell’anima; quel caldo amore che scorre più sublime che mai quando si rivolge al Bambino Gesù che nella sacra notte del Natale universale compare sulla terra. Con ciò l’uomo fa agire sulla propria anima il più sublime fatto spirituale terreno, che è insieme fatto fisico; egli si mette sulla via di accogliere in sé il Cristo” (p. 144).

 

 

L’anima cosciente, come dirà tra poco Steiner, non è “per sua natura” fredda.

E’ solo nel corso della sua prima fase di sviluppo (scientifico-naturale) ch’è necessario che lo sia (in forma matematica e geometrica). E perché? Perché i nervi che le fanno da supporto in questa fase verrebbero altrimenti investiti dal calore luciferico e “ipnoinducente” del sangue (flamma urens).

Si tratta dunque di una freddezza temporanea che mira a un preciso scopo: a quello, come abbiamo visto, e come mi pare di aver già detto una sera, di operare una de-luciferizzazione.

Una volta raggiunto questo scopo, l’anima cosciente è però chiamata a superare la freddezza, ritrovando un nuovo calore (quello del sangue del Cristo, flamma non urens).

 

Ricordate l’ultimo verso de La Divina Commedia? “L’amor che move il sole e l’altre stelle”. Anche i materialisti riconoscono ch’è bello! Ma sarebbero disposti a riconoscere ch’è anche vero? Non credo.

Direbbero forse: “E’ bello, magari fosse vero!”; ma difficilmente: “E’ bello, perché è vero!”. Arimane impedisce loro di riconoscere ch’è vero, mentre Lucifero permette loro di godere della bellezza, ma avulsa dalla verità.

Vedete, dietro la brama c’è la volontà, e l’essenza della volontà è amore. Dobbiamo perciò superare la brama per ritrovare la volontà, e, ritrovando la volontà, ritrovare l’amore: l’amore che non solo “move il sole e l’altre stelle”, ma anche i nostri corpi (checché ne pensino quanti parlano di “nervi motori”).

Ringraziamo dunque Dio di averci dato una “mente fredda”, senza la quale saremmo solo delle “teste calde” in preda ai più svariati capricci.

 

Dobbiamo anche ringraziarlo, però, di averci dato la possibilità, muovendo proprio dalla “mente fredda”, di ritrovare un calore che non è più quello della natura, ma quello dello spirito o, per l’appunto, dell’amore (“L’amore – scrive Scaligero – è l’essere dello spirito”) (21).

Già l’esperienza del pensiero michaelita (vivente o immaginativo) è un’esperienza calda. Michele è infatti il “fiammeggiante” e non l’“algido” principe del pensiero. Il suo fuoco è soprattutto il fuoco della volontà (del volere nel pensare): ossia il fuoco di quel coraggio che anima ogni combattimento spirituale.

Il Cristo (come usava ricordare Scaligero) vince invece senza combattere.

 

Steiner, illustrando il gruppo ligneo di Dornach, dedicato al “Rappresentante dell’umanità”, fa appunto notare che Lucifero (in alto) perde le ali e che Arimane (in basso) si paralizza perché il Cristo è presente e non perché lotti con loro.

Al potere di questa sua mite e santa presenza apre il varco la lotta di Michele, in qualità di “principe delle milizie celesti”.

Tra Michele che vince combattendo e il Cristo che vince senza combattere c’è la Vergine-Sophia.

 

Ho più volte ricordato, per quanto riguarda Michele, il famoso dipinto di Guido Reni, e ho testé menzionato, per quanto riguarda il Cristo, il gruppo ligneo scolpito da Steiner. Che cosa potrei indicare, per quanto riguarda invece la Vergine-Sophia? E’ presto detto: l’orientale Icona della Madre di Dio della tenerezza o l’occidentale Madonna Sistina.

“Contemplando la Madonna Sistina – dice Vasilij Grossman – manteniamo la nostra fede nel fatto che vita e libertà siano inscindibili e non vi sia nulla di più alto dell’umanità dell’uomo. Questa umanità sopravviverà in eterno, e vincerà” (22); e Scaligero afferma: “La Vergine sorge come gioia della presenza del Logos. Tecnicamente questa gioia è necessaria come addolcimento e attitudine di recezione graduale di una Forza troppo forte, che, se avesse presa diretta, distruggerebbe l’umano ancora incapace di sopportarne la perfezione” (23).

 

Conoscete tutti questa meditazione: “Cristo-Sole / Luce divina / Illumina le nostre menti / Riscalda i nostri cuori”.

Vedete, il calore e la luce devono agire insieme (“Il Signore è con te”), se non si vuole

• che Arimane illumini la mente, ma non riscaldi il cuore,

• e che Lucifero riscaldi il cuore, ma non illumini la mente.

 

 

La natura deve essere riconosciuta in modo che essa riveli in Proserpina, o nell’entità

alla quale ancora si guardava nell’alto medioevo quando si parlava della “natura”,

la primordiale ed eterna forza divino-spirituale dal cui grembo la natura stessa è nata

e nasce di continuo, quale base fondamentale dell’esistenza umana.

Il mondo umano deve essere riconosciuto in modo che esso riveli in Cristo il logos primordiale ed eterno

che, nella sfera dell’entità divino-spirituale inizialmente legata con l’uomo,

lavora all’evoluzione dell’entità spirituale umana” (p. 144).

 

 

Dunque:

• coscienza del corpo della natura (di Proserpina/Persefone), scienza naturale;

• coscienza della vita della natura, scienza immaginativa;

• coscienza dell’anima della natura, scienza ispirata;

• coscienza dello spirito della natura, scienza intuitiva.

(Per quanto riguarda la vita e l’anima della natura, potete consultare Il linguaggio delle forme vegetali,

di Ernst Michael Kranich [24] e A new zoology, di Hermann Poppelbaum [25].)

 

Come si vede, il movimento (d’amore o cristico) cominciato dalla scienza naturale non va rinnegato, bensì portato avanti.

Dice appunto Steiner: “L’antroposofia parte in effetti dai bisogni della stessa scienza, quale si è andata formando nella nostra epoca, dopo aver conseguito negli ultimi tre o quattro secoli quelle che possiamo ben chiamare le sue grandi e poderose vittorie. L’antroposofia deriva da quella scientificità, avendo in pari tempo cercato di occuparsi di ciò che la concezione goethiana del mondo poteva fornire per poter fecondare lo spirito scientifico del presente” (26).

 

 

Dirigere con amore il cuore umano a questi grandi nessi cosmici è il vero contenuto di quella festa del ricordo

che annualmente si ripresenta all’uomo in occasione del sacro Natale universale.

Se un amore siffatto vive nei cuori umani, esso accende del suo fuoco la fredda luce dell’anima cosciente.

Se questa dovesse rimanere priva di tale fuoco, l’uomo non arriverebbe mai a permearla di spirito.

Egli morrebbe nel gelo della coscienza intellettuale, oppure dovrebbe rimanere in una vita spirituale

che non arriverebbe allo sviluppo dell’anima cosciente. Si arresterebbe allora allo sviluppo dell’anima razionale o affettiva.

Per sua natura l’anima cosciente non è però fredda. Appare tale soltanto agli inizi del suo sviluppo,

perché allora può manifestare solo la luce del proprio contenuto, non ancora il calore cosmico da cui pure ha origine

(p. 144-145).

 

 

L’abbiamo appena detto: il pensiero della scienza naturale è un pensiero d’amore, in quanto va a tal punto incontro al corpo morto del mondo, da arrivare, come abbiamo visto studiando La filosofia della libertà, a dimenticare se stesso.

Dimenticando se stesso, o non avendo più coscienza di se stesso, dimentica o non ha più coscienza di essere una forza d’amore volta a incontrare, al di là del corpo del mondo, l’essere del mondo.

• “L’amore – scrive infatti Scaligero – è lo spirito che vuole lo spirito nell’altro: senza ancora saperlo. Vuole se stesso nell’altro, da prima identificandolo con il suo apparire” (27): ossia, appunto, con il suo corpo.

 

Se l’anima cosciente, dice Steiner, “dovesse rimanere priva di tale fuoco [del fuoco dell’amore], l’uomo non arriverebbe mai a permearla di spirito. Egli morrebbe nel gelo della coscienza intellettuale, oppure dovrebbe rimanere in una vita spirituale che non arriverebbe allo sviluppo dell’anima cosciente”: nel primo caso, “morrebbe” infatti nel regno di Arimane; nel secondo, si arresterebbe invece (fissandovisi o regredendovi) in quello di Lucifero o dell’anima razionale-affettiva.

“Per sua natura – dice ancora – l’anima cosciente non è però fredda. Appare tale soltanto agli inizi del suo sviluppo, perché allora può manifestare solo la luce del proprio contenuto, non ancora il calore cosmico da cui pure ha origine”.

 

• Nella prima fase del suo sviluppo, l’anima cosciente manifesta “solo la luce del suo proprio contenuto”,

perché pensa e conosce un mondo che, in quanto inorganico o morto, non ha bisogno del suo calore.

• Ne avranno bisogno, invece, i mondi della vita, dell’anima e dello spirito, che penserà e conoscerà,

allorché passerà dalla sua fase di sviluppo scientifico-naturale a quella scientifico-spirituale.

 

 

Sentire e sperimentare il Natale in questo modo può rendere presente all’anima come si annunci all’uomo la gloria

degli esseri divino-spirituali che nelle loro immagini si rivelano negli spazi stellari, e come entro la sede terrena

avvenga la liberazione dell’uomo dalle potenze che vogliono allontanarlo dalla sua origine primordiale” (p. 145).

 

 

Domanda: Se l’anima cosciente è l’anima dell’Io, e quindi dello spirito, perché Steiner afferma che, se dovesse rimanere priva del fuoco dell’amore, l’uomo non arriverebbe mai a permearla di spirito?

Risposta: Perché nella sua prima fase fredda è permeata dallo spirito morto (dal nervo), vale a dire dal pensiero intellettuale o rappresentativo, ma non ancora dallo spirito vivente o dal pensiero immaginativo, ispirato e intuitivo.

 

Leggiamo adesso le massime.

Massime 137/138/139 (28 dicembre 1924)

 

 

137 –  “L’attività che si effettua nell’evoluzione del mondo e dell’umanità,

per mezzo delle forze di Michele, si ripete ritmicamente, seppure in forma tramutata e progrediente,

prima e dopo il mistero del Golgota”.

 

138 –  “Il mistero del Golgota è il massimo,  u n i c o  evento nell’evoluzione dell’umanità.

Qui non si può parlare di una ripetizione ritmica,

perché anche se l’evoluzione dell’umanità è inserita in un grandioso ritmo universale,

non è tuttavia che un dilatato elemento in questo ritmo.

Prima di diventare questo singolo elemento, l’umanità era qualcosa di essenzialmente diverso;

dopo, sarà di nuovo qualcos’altro.

Durante l’evoluzione dell’umanità si verificano dunque molti eventi di Michele,

ma soltanto un evento del Golgota”.

 

 

Capita, anche nel nostro ambiente, di sentir dire che l’insegnamento di Steiner, essendo trascorso un secolo, ha ormai perso, in tutto o in parte, la sua validità.

Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.

Che cosa sono infatti cento anni rispetto ai circa duemilacentosessanta della fase evolutiva dell’anima cosciente (1413-3573)?

 

Non solo, ma che cosa sono cento anni se si tiene conto, come illustrato ad esempio nel ciclo su L’Apocalisse (28), che per passare da uno “stato di coscienza” all’altro, devono trascorrere sette “stati di vita”; che per passare da uno stato di vita all’altro, devono trascorrere sette “stati di forma”; che per passare da uno stato di forma all’altro, devono trascorrere sette “epoche” (delle quali la nostra, “postatlantica”, è la quinta); e che per passare infine da un’epoca all’altra, devono trascorrere sette “periodi di civiltà” (dei quali il nostro è il quinto)?

Non badiamo dunque a queste sciocchezze, ma concentriamoci sui compiti del nostro particolare “periodo di civiltà”, avendo al contempo presente che l’evento del Golgota, “unico” nell’evoluzione dell’umanità, riguarda l’intera evoluzione, e non soltanto quella del nostro particolare “periodo”.

 

Voglio leggervi, a proposito di “compiti”, queste parole di Steiner: • “Oh, un dolore profondo può gravare sull’anima di colui che contempla il nostro tempo, e vede i compiti ch’esso avrebbe, e la poca comprensione che di questi compiti hanno, in generale, gli uomini. Chi vede come si giudica appunto oggi nel mondo, come si pensa e sente, e come questo pensare e sentire siano generatori di eventi, e dagli eventi gli uomini poco o nulla imparino, chi vede tutto ciò sente un dolore immenso e significativo gravare sull’anima” (29).

 

 

139 – “Nella rapida ripetizione ritmica di un anno, l’essere divino-spirituale [Proserpina/Persefone],

che è disceso nelle profondità della terra per compenetrare di spiritualità il processo naturale,

adempie questo processo.

Rappresenta la compenetrazione animica della natura con le forze eterne e primordiali che devono restare attive,

come il Cristo disceso rappresenta la compenetrazione animica dell’umanità col logos eterno e primordiale

che, per la salvezza dell’umanità, non deve mai desistere dalla sua attività”.

 

 

Ascoltate, in proposito, che cosa dice qui Steiner: “Ciò che l’universo manifesta nel corso del tempo, corrisponde nell’essere umano ad un moto pendolare che non si svolge nell’elemento del tempo. L’uomo può peraltro sentire la propria entità, dedita ai sensi e alle percezioni sensoriali, come corrispondente alla natura dell’estate, intessuta di luce e calore. Mentre il fondarsi in se stesso ed il vivere nel mondo del proprio pensiero e della propria volontà, egli può sentirli come esistenza invernale. Così ciò che nella natura si presenta in alterna vicenda temporale come estate e come inverno, si trasforma dentro di lui in ritmo di vita esteriore e di vita interiore. Se però egli mette adeguatamente in rapporto il proprio ritmo atemporale di percezione e di pensiero con il ritmo temporale della natura, grandi segreti dell’esistenza possono dischiuderglisi. In questo modo l’anno diventa l’archetipo dell’attività dell’anima umana e quindi una feconda fonte di vera autoconoscenza” (30).

 

Note:

  1. R.Steiner: L’impulso-Cristo nel Faust di Goethe – Antroposofica, Milano 2008, p. 17;
  2. R.Steiner: Linee fondamentali di una gnoseologia della concezione goethiana del mondo in Saggi filosofici – Antroposofica, Milano 1974, p. 102;
  3. Lao-Tze: Il libro del Principio e della sua azione – Mediterranee, Roma 1972, p. 131;
  4. Miti e personaggi del mondo classico. Dizionario di storia, letteratura, arte, musica – Bruno Mondadori, Milano 1997, p. 585;
  5. cfr. R.Steiner: Miti e misteri dell’Egitto – Antroposofica, Milano 2000;
  6. cfr. R.Steiner: Leggende e misteri antichi, nella loro occulta verità – Antroposofica, Milano 2008;
  7. R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca – Antroposofica, Milano 1970, p. 226;
  8. R.Steiner: Antropologia scientifico-spirituale – Antroposofica, Milano 2009, vol. II, p. 163;
  9. J.W.Goethe: Faust – Urfaust – UTET, Torino, 1975, pp. 63-64;
  10. cfr. A. Solženicyn: Vivere senza menzogna – La casa di Matriona, Milano 2010;
  11. R.Steiner: Il quinto Vangelo – Antroposofica, Milano 1989, p. 92;
  12. cfr. R.Steiner: Da Gesù a Cristo – Antroposofica, Milano 1972;
  13. cfr. R.Steiner: Come ritrovare il Cristo? – Antroposofica, Milano 1988;
  14. R.Steiner: Teosofia – Antroposofica, Milano 1957, p. 50;
  15. G.W.F.Hegel: Scienza della logica – Laterza, Roma-Bari 1974, vol. II, p. 686;
  16. R.Steiner: Il legame fra i vivi e i morti – Antroposofica, Milano 2010, p. 201;
  17. cfr. R.Steiner: Economia spirituale e reincarnazione – Antroposofica, Milano 2008;
  18. R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, p. 221;
  19. R.Steiner: Aforismi e dediche – Antroposofica, Milano 2012, p. 39;
  20. cfr. C.Michelstaedter: La persuasione e la retorica – Adelphi, Milano 1982;
  21. M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982, p. 11;
  22. V.Grossman: La Madonna a Treblinka – Medusa, Milano 2007, p. 39;
  23. M.Scaligero: Iside-Sophia – La Dea ignota – Mediterranee, Roma 1980, p. 50;
  24. cfr. E.M. Kranich,: Il linguaggio delle forme vegetali – Antroposofica, Milano 1988;
  25. cfr. H.Poppelbaum: A new zoology – Philosophic-Anthroposophic Press, Dornach / Switzerland 1961;
  26. R.Steiner: Cultura e antroposofia – Antroposofica, Milano 1996, p. 7;
  27. M.Scaligero: Dell’amore immortale, p. 23;
  28. R.Steiner: L’Apocalisse – Antroposofica, Milano 1963, p. 198;
  29. R.Steiner: L’impulso-Cristo nel Faust di Goethe, p.73;
  30. R.Steiner: Calendario dell’anima (prefazione alla prima edizione del 1912-13) – Antroposofica, Milano 1987, p. 5.