Via Lattea e zodiaco

O.O. 323 – Rapporto delle diverse scienze con l’astronomia – 15.01.1921


 

Sommario: I numeri incommensurabili mostrano la difficoltà di afferrare i fenomeni celesti. La metamorfosi di singole parti umane, nell’esempio di ossa lunghe e ossa craniche. Sfera e raggio. Quando si esce dallo spazio. Due rami della curva di Cassini, variabilità di secondo ordine. Il controspazio. Via Lattea e zodiaco. Il dissolversi delle tre dimensioni nell’organismo umano. Processo visivo e secrezione renale. Lo spazio dei pianeti interni e il controspazio degli esterni. Effetti verso l’interno e l’esterno. Il controspazio all’infinito e al centro, applicato alla Luna e al mondo stellare. Condizioni cosmiche nella secrezione renale e negli occhi.

 

Oggi cercherò di trasformare alcuni dei concetti trattati sinora e di difficile comprensione in immagini, le quali mostreranno che in effetti non si possono capire i fenomeni del cosmo servendosi di idee pigre. Spianeremo così alcune delle difficoltà già incontrate. Abbiamo già studiato i fenomeni cosmici in relazione con l’uomo in varie direzioni. Abbiamo mostrato come esista una relazione tra la forma umana e i fenomeni cosmici, seguendo sia il sistema copernicano, sia quello tolemaico. I sistemi vanno riferiti all’uomo in modi diversi, e in una vera scienza non si può evitare di riconoscere l’esistenza di una tale relazione.

 

Si presentano ora notevoli difficoltà che ho già fatto notare. In queste conferenze abbiamo già parlato delle difficoltà che ci si presentano quando cerchiamo di studiare i tempi orbitali dei pianeti del nostro sistema: arriviamo a numeri incommensurabili e siamo in un certo senso costretti ad abbandonare i calcoli. Dove infatti vi sono numeri incommensurabili non esiste un’unità definibile. Vediamo quindi che proprio il modo e il metodo del pensiero matematico, col quale vorremmo capire i fenomeni dello spazio cosmico, ci fanno uscire dalla realtà a causa dei fenomeni stessi.

Non possiamo sperare di spiegarci in alcun modo quei fenomeni mediante il rigido spazio tridimensionale che è alla base della nostra geometria. Proprio ieri in particolare ci si è presentata una difficoltà: siamo stati posti nella necessità di ipotizzare una relazione tra Sole, Luna e Terra che si esprime in qualche modo nella struttura dell’uomo e che vorremmo comprendere. Nel momento in cui si manifesta quella triplice azione congiunta, si trovano notevoli difficoltà per il calcolo dello spazio. Avevo indicato tutto questo, ma ora possiamo forse trovare un sostegno per farci una rappresentazione geometrica, in qualche modo elevata, al fine di superare le difficoltà di calcolo che sono alla base dei rapporti spaziali tra i fenomeni celesti.

 

Tornando ora ai vari tentativi fatti per conoscere davvero la struttura umana proviamo, come è giusto, ad esaminare più a fondo l’articolazione dell’uomo, della quale abbiamo spesso parlato in queste conferenze. Possiamo dire che l’organizzazione della testa, centrata nel sistema nervoso, è piuttosto indipendente, come lo sono il sistema ritmico (con tutto ciò che ne fa parte) e lo stesso sistema del ricambio e degli arti. Possiamo dunque distinguere l’organizzazione dell’uomo in tre sistemi indipendenti. Basandoci ora in modo ragionevole sul principio della metamorfosi, che dunque va preso come fondamento della natura, possiamo rappresentarci quale sia il rapporto reciproco fra le tre parti dell’organizzazione umana.

 

Occorre comprendere bene che per ora vogliamo farci almeno un’immagine delle relazioni reciproche delle tre parti dell’organizzazione umana. Può sembrare difficile a prima vista. Sarà difficile riconoscere chiaramente nelle parti della testa le metamorfosi di organi che sono nel sistema del ricambio e degli arti. Approfondendo in questo modo la morfologia umana, come ho indicato, si arriva in certo modo a giustificare il pensiero che vi sia uno scambio fra le ossa lunghe e quelle del cranio, con un completo rovesciamento della superficie interna dell’osso verso l’esterno, secondo il modo col quale si rivolta un guanto, avendo in pari tempo un cambiamento dei rapporti di forza.

 

Se rivolto come un guanto un osso lungo, se metto cioè l’interno verso l’esterno, naturalmente ho un altro osso lungo. Se però premetto che l’osso lungo, come già avevo detto, si configura come tale perché, disposto in senso radiale, richiede appunto che l’ordine della sua materia sia radiale, quando lo rovescio in modo che l’interno sia all’esterno e quindi che il suo ordine radiale sia ora sferoide, ottengo allora quanto è indicato nella fig. 1.

 

C:\Users\FERRUC~1\AppData\Local\Temp\FineReader11.00\media\image29.png

 

Ciò che prima era all’esterno è ora all’interno e viceversa. Tenendo presente il caso estremo della trasformazione delle ossa lunghe in ossa craniche, si potrà dire che i due estremi dell’organizzazione umana, il sistema degli arti e quello del cranio, per così dire costituiscono due poli; non però nel senso di essere semplicemente contrapposti in senso lineare, ma in modo tale che, passando da un polo all’altro, presentino una transizione da raggio a superficie sferica e viceversa. Senza l’aiuto di rappresentazioni tanto complesse è assolutamente impossibile arrivare a capire in modo adeguato l’organismo umano.

 

Il centro, la parte centrale dell’organizzazione umana, ossia ciò che è correlato all’organismo ritmico, è come la transizione fra la struttura radiale e quella sferoide. In base a questo principio va compresa tutta l’organizzazione umana. Ci deve essere chiaro che quando nell’organizzazione del ricambio abbiamo un organo, ad esempio il fegato o un altro organo che in prevalenza sia parte del ricambio (si può solo dire “in prevalenza”, perché le cose interferiscono sempre fra loro), quando dunque abbiamo un organo e cerchiamo il suo corrispondente nell’organizzazione della testa, appunto modificato e rovesciato, troveremo naturalmente che l’organo corrispondente è molto deformato, se guardiamo solo alla forma.

Di conseguenza è difficile seguire il processo mediante la matematica. Eppure a nulla si arriva senza la matematica. Se si pensa che nella comprensione della figura umana vi è qualcosa che si riferisce al moto dei corpi celesti (la si prenda come un’immagine), allora, volendo comprendere quel che si manifesta nei moti dei corpi celesti bisognerà concepirlo in modo analogo, anziché procedere come se alle cose ci si possa avvicinare solo con la geometria, la quale in effetti si limita a considerare lo spazio consueto e perciò esclude qualsiasi rovesciamento. Appena si parla di rovesciamento, come ho fatto io, non si è più nello spazio consueto. Quest’ultimo vale se ho contenuti volumetrici nel senso usuale. Quando però devo portare l’interno all’esterno, termina la possibilità di continuare mediante le rappresentazioni che ho nello spazio consueto.

 

Se però per rappresentarmi la figura umana mi è necessario far ricorso al rovesciamento, devo anche ritenere che lo stesso valga per rappresentarmi il moto dei corpi celesti. Non posso quindi procedere come fa l’astronomia abituale, che utilizza solo il consueto spazio rigido per comprendere i fenomeni celesti. Studiando l’organizzazione della testa e quella del ricambio, per passare dall’una all’altra dobbiamo pensare a dei rovesciamenti, con in più la variazione delle forme. Vediamo ora come immaginarlo.

 

Ci siamo già preparati a ciò studiando la curva di Cassini, e anche quella concezione secondo cui il cerchio non è solo una linea della quale ogni punto è equidistante dal centro, ma una linea di cui ogni punto dista dai due punti fissi in modo che il quoziente delle distanze sia costante. Abbiamo in tal modo un cerchio costruito secondo un altro punto di vista. Abbiamo visto che la curva di Cassini ha in sostanza tre forme: una è ellissoidale e si ha quando le costanti sono tra loro in un rapporto determinato, come abbiamo detto; la seconda forma è la lemniscata; la terza forma è tale che non appare come un’unità, pur essendolo dal punto di vista analitico e concettuale. I due rami di questa curva di Cassini sono un’unica curva, ma per tracciarla usciamo dallo spazio e vi rientriamo di nuovo per disegnare l’altro ramo. Concettualmente facciamo un unico gesto con la mano, quando tracciamo i due rami separati. Non possiamo tracciarli nello spazio consueto, ma concettualmente la parte di sopra e la parte di sotto formano un’unica linea (fig. 2).

 

C:\Users\FERRUC~1\AppData\Local\Temp\FineReader11.00\media\image30.png

Fig. 2

 

Ho anche detto che questa linea può anche essere rappresentata in altro modo, chiedendosi: quale percorso deve fare un punto, illuminato dal punto fisso A, per apparire ugualmente luminoso nell’altro punto fisso B? In tal caso ho la curva di Cassini come luogo geometrico di tutti i punti che deve percorrere il punto illuminato dal punto fisso A in modo da avere sempre la stessa luminosità nell’altro punto fisso B.

 

Non sarà difficile pensare che se qualcosa splende da A verso C e poi per riflesso splende di nuovo verso B, darà la stessa luminosità da A verso D e così via. Non sarà certo tanto diffìcile pensarlo. Sarà già più difficile pensarlo riferendolo alla lemniscata. Non sarà così facile cavarsela col comune compasso nei riguardi delle leggi di riflessione e così via. Sarà ancora più difficile rappresentarsi che dal punto B si debba osservare nel ramo della curva di Cassini [che circonda B] sempre la stessa intensità di luce prodotta dal punto A. Si dovrebbe pensare che nel passaggio da un ramo all’altro il raggio di luce esca dallo spazio e poi vi rientri. Si troverebbe la stessa difficoltà che avrei se pretendessi di disegnare i due rami con un solo tratto della mano. Senza formulare questi pensieri a nulla si arriva, se si ricerca il mutamento di forze o la relazione tra le forme di un organo della testa e quelle di un organo del sistema del ricambio. Per trovare quella relazione si deve per forza uscire dallo spazio. Per quanto sia paradossale, in altre parole per comprendere la forma della testa rispetto alle forme del sistema del ricambio, non si può rimanere nello spazio, se ne deve uscire. Si deve uscire da se stessi e cercare qualcosa che non è nello spazio, come non lo è il passaggio dal ramo A al ramo B della curva di Cassini.

È semplicemente un modo diverso di rappresentarsi la metamorfosi come un completo rovesciamento.

 

Pensando il rapporto tra il ramo superiore e quello inferiore della curva discontinua di Cassini, abbiamo vere costanti, invariabili, rigide costanti. Se però, come abbiamo già detto, rendiamo variabili le costanti, ci è data la possibilità, per costanti variabili, cioè con equazioni doppiamente variabili, di pensare i due rami come sono nella fig. 3. Vedremo poi come il ramo superiore si configuri in qualche modo. Se dunque si trasforma la curva di Cassini, mettendo variabili al posto delle costanti, ossia funzioni invece di costanti fisse, avremo due rami diversi; potrà darsi il caso di un ramo che provenga dall’infinito e ritorni all’infinito.

Ritroviamo questo comportamento in certe formazioni interne alla testa, se le presentiamo in linee e le riferiamo a certe relazioni tra organi del sistema del ricambio, anch’esse riassunte in linee. Qui troviamo tutta la complessità della struttura umana; né la cosa diventa più semplice pensando una linea con tendenze verso l’esterno e l’altra con tendenze verso l’interno (fig. 4).

 

2014-06-23_143549

 

Si potrebbe dire — ma spero che non lo si prenda troppo sul serio — che l’organizzazione umana è tanto complicata che si perde quasi la voglia di capirla. Per quanto convenzionali, sarebbero quasi preferibili gli insegnamenti attuali di anatomia e fisiologia. Almeno non si devono seguire idee che appaiono e scompaiono, che si rovesciano e altro ancora. Però in quel modo non si arriva a comprendere l’organizzazione umana, e ci si abbandona soltanto a illusioni.

 

Dobbiamo invece osservare l’organizzazione umana e dire che essa ha elementi che escono dallo spazio, che ci portano a pensare che abbiamo sistemi di linee spazialmente separati fra loro, da collegare secondo un principio diverso da quello offerto dallo spazio tridimensionale. Se si è in grado di rappresentarsi questo, si può passare anche all’idea che ora presenterò, premesso che nessuno potrà contestare quel che sto per dire, dato che si tratta solo di arrivare a concetti come si fa anche in matematica. Nessuno potrà quindi dire che non è dimostrabile o simili. Si tratta solo di arrivare a un concetto in sé definito.

 

Ipotizziamo dunque di aver a che fare non solo con lo spazio consueto, con lo spazio tridimensionale, ma anche con un contro-spazio. Lo chiamo “contro-spazio”, e per il nostro pensiero lo faccio nascere così: ci si rappresenti che nel solito spazio tridimensionale rigido si formi la prima dimensione, poi la seconda e la terza (fig. 5). Avendo formato le tre dimensioni, in un certo senso ho creato ciò che mi offre il solito spazio tridimensionale.

 

Sappiamo però anche che, in generale, non solo si può continuare ad aumentare una data intensità, ma anche sottrarre e continuare a sottrarre fino alla negazione. Sappiamo che non esistono solo crediti, ma anche debiti. Posso far sorgere le tre dimensioni, ma posso anche farle sparire. Posso pensare i processi del nascere e dello sparire come reali, come qualcosa di esistente.

 

2014-06-23_143808

 

Posso anche pensare lo spazio in due dimensioni, ma non è questo che intendo, bensì che se ho solo due dimensioni, non è perché non ne abbia mai avuta una terza, ma perché l’ho avuta e poi è sparita. Le due dimensioni sono il risultato della scomparsa della terza, prima esistente. Ho dunque uno spazio che esteriormente presenta solo due dimensioni, ma che devo pensare come avente interiormente due terze dimensioni, una positiva e una negativa; la dimensione negativa proviene da qualcosa che non può più essere nel mio spazio tridimensionale, che non posso pensare come quarta dimensione nel senso solito, ma come qualcosa che, rispetto alla terza dimensione, si comporta come il negativo rispetto al positivo (fig. 6).

 

Se ora io volessi aggiungere qualcosa a quel che abbiamo già elaborato, qualcosa di realmente esistente, ma così come sono quasi sempre le cose nella realtà, esso imiterebbe in modo approssimativo, non identico né pedante, quel che ho disegnato (fig. 7). Non ci si dovrebbe meravigliare, perché nella realtà sensibile le figure matematiche si ritrovano riprodotte solo in modo approssimativo. Per cui non si può esigere che per questa immagine io cerchi una realtà che non sia approssimativa. Se dunque volessi disegnare una realtà che in qualche modo corrispondesse a quel che ho detto, non dovrei farlo in modo rifinito, ma un po’ appiattito.

 

 

Ciò che voglio abbozzare è che qui esisteva qualcosa che poi è scomparso, in modo che dal tratteggio più marcato mi risulti con la “densità” di un effetto che prima esisteva e poi si è indebolito (fig. 8). Abbiamo così una sfera con una parte più densa all’interno. Paragoniamo ora a questo disegno anzitutto il reale sistema cosmico, quale si presenta allo sguardo: la sfera con le sue stelle più rade e il sistema di stelle più fitte che si chiama di solito via lattea. Osserviamo anche le usuali carte celesti. Si vedrà che questa immagine (considerata solo come tale) altro non presenta che ciò che di solito è indicato come il corso del Sole o della Terra attraverso lo zodiaco, mentre qui (in alto e in basso) abbiamo il polo nord e il polo sud. Come si vede, questa immagine non è poi tanto lontana dalla realtà esterna. Nelle prossime conferenze troveremo i rapporti reali.

 

Però, per comprendere ciò che abbiamo poco prima ricordato per l’uomo, non basta quel che abbiamo detto sino ad ora e dobbiamo quindi proseguire. Diciamo allora: facciamo scomparire anche la seconda dimensione, in modo che ci rimanga una sola dimensione, una retta; dunque non una retta tracciata nello spazio tridimensionale, ma una retta rimasta dopo aver fatto sparire la terza e la seconda dimensione. Se poi togliamo anche l’ultima dimensione ci resta solo il punto. Teniamo ben presente che il punto è stato ottenuto perché le tre dimensioni sono sparite; supponiamo allora che il punto ci si presenti nella realtà come qualcosa di esistente in sé. Ma se è qualcosa di attivo, come dovremmo rappresentarci la sua azione? Non possiamo metterla in alcun rapporto con un qualsiasi punto che nello spazio si trovi sull’asse delle ascisse, perché questo non esiste, è sparito. Non lo possiamo nemmeno mettere in rapporto con qualcosa che aveva coordinate x e y, perché anch’esse sono sparite dallo spazio; né lo possiamo mettere in rapporto con la terza dimensione dello spazio. Dobbiamo quindi dire che la sua attività si riferisce a qualcosa che è fuori dello spazio tridimensionale; dopo questo processo di pensieri ci è impossibile riferirlo a qualcosa all’interno dello spazio tridimensionale. Non possiamo metterlo in rapporto con le tre dimensioni: x,y,z, tutte cancellate, bensì con ciò che le ha cancellate e che non è nello spazio tridimensionale.

 

Sin qui abbiamo a tutta prima costruito una rappresentazione formale, che però è molto reale. Diventa molto, molto reale, se non ci si accontenta dei comodi pensieri scientifici attuali, con i quali oggi si vorrebbero dominare le cose, ma ci si addentra più a fondo in esse. Con la ferma intenzione di capire qualcosa del processo visivo, relativo all’organizzazione dell’occhio, osserviamo come esso si presenti. Per averlo già detto in altre conferenze, ricordo che non si deve intendere l’occhio come una formazione che vada solo dall’interno verso l’esterno, ma come qualcosa che è organizzato dall’esterno verso l’interno. Si può seguire filogeneticamente questa formazione negli animali inferiori e poi passare al processo visivo. Studiando questo processo, si cerchi di intendere come esso sia sollecitato dall’esterno, come l’organo sia progettato per essere sollecitato da fuori e come il processo agisca verso l’interno lungo il nervo ottico, per passare poi a tutta l’organizzazione ed esserne in certo modo assorbito. Naturalmente si possono trovare i terminali dei nervi ottici, ma – esprimendosi in modo approssimativo – quando si arriva all’organizzazione più sottile si può anche dire che tutto scompare in essa. Paragonando ora questo processo visivo (e i suoi relativi organi) ad esempio all’escrezione renale, si deve mettere quest’ultimo processo in relazione con ciò che avviene in direzione opposta, dall’esterno all’interno, nel passaggio dall’occhio al nervo visivo.

 

Volendo mettere in relazione queste due cose in modo da comprendere le manifestazioni di ognuno dei due processi, ci si deve servire di pensieri come quelli cui ho accennato prima. Quando si cerca nello spazio tridimensionale l’immagine del processo visivo e il suo corrispondente nell’escrezione renale (li si può quasi scambiare fra loro) se ne devono cercare gli effetti uscendo dallo spazio tridimensionale. Occorre seguire col pensiero un processo proprio uguale a quello che ho mostrato con l’annullamento delle dimensioni, altrimenti non si arriva a niente.

 

Si deve agire in modo analogo per comprendere le curve che risultano studiando le orbite e i nodi di Venere e Mercurio, e poi di Marte e di Giove, visibili a occhio nudo. In un sistema di coordinate polari, si può prendere nello spazio tridimensionale il nodo di Venere come origine. Lo si può fare, ma non si arriva a nulla, se per esempio si vuol capire la linea del nodo di Marte secondo lo stesso principio. Occorre premettere che qui i punti di origine di un sistema di coordinate sono al di fuori dello spazio tridimensionale. È necessario configurare le coordinate sempre in modo che in un caso, diciamo per l’orbita di Venere col suo nodo, escano dal polo delle coordinate e siano come nella figura 9.

 

C:\Users\FERRUC~1\AppData\Local\Temp\FineReader11.00\media\image34.png

Fig. 9

 

Nell’altro caso, per le orbite di Giove o di Marte con i nodi, si hanno buoni risultati se come origine del sistema di coordinate non prendo questo punto, dove devo sempre aggiungere un pezzo per avere le coordinate polari, ma la sfera, cioè tutto ciò che li dentro è indeterminato (fig. 10); si ottengono così le coordinate che nel disegno sono linee tratteggiate, dove occorre sempre tralasciare un pezzo. Ottengo poi la linea che ha una specie di centro nelle sfere incommensurabili. Potrebbe essere necessario, per seguire le orbite dei pianeti interni, servirsi dell’immagine secondo cui le orbite hanno il loro centro nello spazio consueto, ma per pensare i centri delle orbite di Giove e di Marte si deve uscire dallo spazio consueto. Si vede che qui siamo costretti a superare lo spazio.

 

È proprio necessario. Continuando con coscienza a comprendere questi fenomeni, si vedrà che non bastano i pensieri dello spazio tridimensionale. Si deve arrivare a comprendere la cooperazione tra lo spazio che ha le tre dimensioni consuete, immaginabile come irradiantesi da un punto centrale, e un altro spazio che annienta continuamente lo spazio tridimensionale e che ora non può essere pensato come originato da un punto, bensì come derivante da una sfera posta a distanza illimitata. Questo punto avrà una volta la superficie uguale a zero, e un’altra la superficie di una sfera infinitamente grande. Dobbiamo dunque distinguere tra due punti: uno a superficie nulla, rivolto verso l’esterno, e un altro che si rivolge verso l’interno e che ha una grande superficie sferica incommensurabile. Per la geometria è sufficiente pensare il punto astratto, ma nella realtà non basta. A nulla arriviamo immaginando solo il punto astratto. Dobbiamo sempre chiederci se il punto che immaginiamo sia curvato verso l’interno o verso l’esterno, perché da questo si orienta il suo campo d’azione.

 

2014-06-23_144219

 

Dobbiamo tener presente anche qualcosa d’altro. Possiamo immaginare di avere in qualche luogo un punto che è una sfera (fig. 11 – cerchio a linea continua). Non è necessario pensare in a il punto a distanza incommensurabile; possiamo anche pensarlo più in fuori, in b o in c. Si può pensare ogni punto fuori, lasciando comunque libera la sfera interna (cerchio interno). Essa infatti va per così dire trascurata, è il cerchio rovesciato, o se si vuole la sfera rovesciata.

Immaginiamo però che ciò che è fuori del cerchio astratto (tratto continuo nel disegno) e che ha la curvatura verso l’interno (tutto lo spazio che è all’esterno del cerchio a linea continua ha in effetti una curvatura che tende verso l’interno) sia in qualche modo limitato. La realtà allora sarebbe che, per quanto si andasse lontano, si incontrerebbe comunque in qualche punto un limite di tutt’altra natura (cerchio tratteggiato). Quali ne sarebbero le conseguenze?

 

2014-06-23_144419

 

Ne deriverebbe che qui in P dovrebbe apparire qualcosa che è in relazione a quanto è fuori; dentro dovrebbe esservi una piccola sfera che rispecchia ciò che è fuori. Si dovrebbe dunque dire: al di fuori della sfera vi è qualcosa, ma lo si vede guardando il punto P. Infatti ciò che si presenta è la continuazione di quel che è fuori; quel che io cerco nelle lontananze infinite mi viene incontro dal centro.

Occorre costruirsi rappresentazioni del genere in modo sufficiente; esse danno pur sempre l’impressione di qualcosa che già formalmente è del tutto giustificato. In pari tempo si potrà anche cercare con tali rappresentazioni di penetrare in ciò che è esteriormente reale. Prendiamo in considerazione una manifestazione dello spazio celeste, ad esempio la Luna.

 

Tale manifestazione non la si dovrebbe considerare in modo da poter solo dire: la Luna è un corpo che ha il suo centro e noi la studiamo appunto quale corpo. Scusate l’eufemismo, ma questo modo di pensare non corrisponde alla realtà; dovrei invece dire: quando nel mio universo partendo da un punto vado sempre più avanti, a un certo momento arrivo a non trovare più altri corpi celesti e per cercare la realtà non trovo neppure lo spazio vuoto euclideo, ma invece qualcosa che, per la sua stessa realtà, mi obbliga a pensare la sua continuazione in P. Sarei allora obbligato a pensare il contenuto spaziale della Luna come una parte dell’intero universo, ad eccezione degli astri e simili che sono all’esterno della Luna. Dovrei dunque pensare di avere da un lato tutte le stelle nello spazio cosmico (a, b, c, nella fig. 11), dovrei trattarle come un tutt’uno (questa è una premessa).

Invece l’interno della Luna, il suo contenuto spaziale, non lo potrei trattare allo stesso modo, ma dovrei dirmi: da un lato mi posso allontanare; devo però premettere che in qualche luogo vi sia la sfera, e devo pensare che alla sua base vi sia qualcosa di effettivo anche se è una sfera apparente. E ciò che è all’interno della superficie sferica della Luna nulla ha a che fare con ciò che mi si dà nelle lontananze spaziali, ma piuttosto con ciò che comincia quando finiscono gli astri. E qualcosa che stranamente non appartiene al nostro mondo, ma a un mondo del quale le altre stelle non sono parte. Quando si trova qualcosa del genere inserita in un mondo, sì ha a che fare con qualcosa che è di natura del tutto diversa, che ha qualità interne del tutto diverse da ciò che lo circonda. Possiamo allora paragonare la relazione fra la Luna e il cielo che la circonda con la relazione esistente, ad esempio, fra le secrezioni renali e l’organismo che ne sta alla base, con l’organismo degli occhi. Da qui partiremo domani.

 

Formare pensieri complessi sulla struttura dell’universo non è un capriccio, ma dipende dal fatto che con pensieri diversi da questi si arriva a qualcosa di giusto solo dicendosi: con i pensieri usuali si comprendono i fenomeni fino a un certo limite, poi non si va avanti. Non è un capriccio formare pensieri speciali per arrivare a capire la struttura dell’universo; lo esige la realtà.