L’entità di Jahvè e il suo significato nel divenire del mondo e dell’umanità / La conoscenza di Jahvè

L’aurora della rivelazione


 

Nell’esposizione precedente si è cercato di mostrare come l’entità di Jahvè abbia portato la Croce cosmica,

sulla quale il Cristo fu poi crocifisso.

Prima che il Cristo divenisse lo spirito della Terra, lo era stato Jahvè-Elohim.

 

Fu egli ad agire nell’elemento terrestre al tempo in cui la Luna era ancora una parte della Terra – prima cioè che, per il bene della Terra stessa, ne venisse separata. Per questo nei tempi antichi si parlava di sette sfere planetarie: Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna. La Terra non era annoverata tra esse, ma non dobbiamo perciò credere che fosse considerata l’ottava sfera; la ragione per cui non era annoverata come una sfera a sé stante, era che la Luna aveva preso il suo posto.

 

La sfera della Luna, che si estende dalla Terra fino all’orbita lunare,

non è nient’altro che il corpo eterico della Terra.

 

Per questo, quando si voleva indicare la parte sovrasensibile della Terra, non si parlava di ‘Terra’, ma di ‘Luna’. La Luna era considerata, a ragione, la coscienza morale [Gewuissen] della Terra. La coscienza della Terra era infatti rappresentata dall’entità di Jahvè, che aveva eretto il baluardo della Luna a difesa della Terra contro l’influenza dell’ottava sfera.

 

Per conoscere l’entità di Jahvè, non era dunque necessario abbandonare la parte fisico-eterica, veicolo nell’uomo della coscienza diurna, per innalzarsi alle parti superiori, ossia al corpo astrale e all’Io. La si poteva trovare, destandosi con l’Io in quella parte dell’organizzazione fisico-eterica dell’uomo, posta al limite tra il corpo fisico e il corpo eterico.

Il sangue è la sostanza che fa da confine tra il fisico e l’eterico: gli basta poco per diventare eterico; tuttavia anche le parti più rigide del corpo fisico sono da esso alimentate.

 

Jahvè-Elohim operava nella parte eterica del sangue: qui la coscienza umana lo poteva incontrare.

• Ma il sangue è l’organo fisico dell’Io umano,

• come il sistema nervoso è l’organo del corpo astrale,

• e quello ghiandolare del corpo eterico.

La coscienza del sangue è dunque la coscienza dell’Io.

 

L’impulso del sangue umano è la capacità di amare immessa da Jahvè, di cui si è parlato nel paragrafo precedente.

Possiamo così comprendere l’intera storia dei rapporti dell’uomo con Jahvè, quale sono descritti nella Bibbia, se li intendiamo come il decorrere di due linee parallele lungo tutto l’Antico Testamento:

• quella dell’azione dell’impulso di Jahvè sul sangue, che si svolgeva nel subconscio,

• e quella della conoscenza di Jahvè nell’Io, che si attuava sul piano della coscienza.

 

Nella prima linea Jahvè si manifesta come ‘saggezza del sangue’, nella seconda come saggezza dell’Io’.

• Le figure di Tamar e Rut , ad esempio, appartengono alla prima linea,

  quella dell’intuizione di Jahvè mediante il sangue.

I profeti appartengono alla seconda, quella dell’ispirazione di Jahvè mediante l’Io.

Nella prima linea Jahvè agiva come guida della comunità nazionale d’Israele;

nella seconda, invece, parlava tramite i profeti.

 

Vita e conoscenza: attraverso queste due porte l’uomo incontrava l’entità di Jahvè.

Ci si dovrebbe rappresentare questo duplice rapporto con Jahvè nel modo più concreto possibile. Jahvè significava infatti la vita per i membri della comunità d’Israele. Le parole della moglie di Giobbe: “Rinnega Dio e muori” contendono una verità testuale. Il rinnegamento di Jahvè comportava Infatti la morte: in conseguenza di esso, le forze eteriche vitali del sangue venivano meno. Quale entità della seconda Gerarchia, Jahvè aveva potere sulle forze della vita, il che è espresso nelle parole della moglie di Giobbe.

Il popolo ebreo, dunque, era legato a Jahvè mediante le forze vitali, ma altresì mediante la coscienza. L’intera vita spirituale d’Israele, fin nella civiltà esteriore, era infatti radicata nella rivelazione di Jahvè. Non solo la Legge, ma tutti i dettagli riguardanti la spartizione del territorio, i compiti specifici delle diverse città, la costruzione del tempio di Gerusalemme, e così via, erano basati su un rapporto cosciente con l’entità di Jahvè.

Jahvè era la fonte di tutta la conoscenza, l’arte e la legislazione in Israele.

 

Vi era ancora un altro aspetto di questo radicamento di Israele nell’entità di Jahvè.

Esso riguarda il rapporto con la morte, proprio dei personaggi dell’Antico Testamento. Questi rifuggivano la morte. L’esistenza dopo la morte era estranea alla cerchia dei loro interessi, come anche delle loro speranze e aspirazioni. Sarebbe tuttavia erroneo considerare un simile atteggiamento verso la morte come un’espressione di materialismo. Nel materialismo, infatti, si afferma la realtà materiale e si nega quella spirituale. Ciò non avviene nei personaggi dell’Antico Testamento.

Essi aderivano alla realtà spirituale quale poteva essere sperimentata dall’uomo totale, ossia dall’uomo consistente di corpo, anima e spirito. L’uomo disincarnato era per loro un uomo incompleto, ed essi credevano che un’umanità più completa sarebbe stata partecipe di una più completa rivelazione dello spirito. Conoscevano per esperienza il rapporto con la realtà spirituale sulla terra, e la morte era per loro una penosa interruzione di tale rapporto. Apprezzavano la vita terrena, non per amore delle cose materiali, ma per amore dello spirito che si manifesta nella realtà terrena. Il sublime spirito che essi conoscevano, Jahvè-Elohim, si manifestava infatti solo nella vita terrena. La morte significava separazione da Jahvè-Elohim, cui si sentivano legati con tutte le fibre del proprio essere.

 

Era un’illusione un tale sentimento? Per rispondere a questa domanda, si deve considerare l’entità cosmica di Jahvè-Elohim ancora sotto un altro aspetto.

Jahvè, quando lasciò il Sole, per discendere dalla sfera del Sole a quella della Luna, cessò di essere un dio diurno – come lo sono gli altri sei Elohim -, e divenne un dio notturno.

Sotto l’aspetto cosmico Jahvè rinunciò all’ambito della luce per immergersi in quello dell’oscurità. In tal modo egli portò luce nell’oscurità, diventando un dio luminoso della notte. Così appare l’azione di Jahvè da un punto di vista cosmico.

 

Da un punto di vista terrestre, invece, è vero l’opposto.

Rinunciando a esercitare la sua attività dal Sole spirituale – il quale brilla più luminoso quando per la Terra è mezzanotte, o è Natale, il momento più oscuro dell’anno -, egli divenne, sul piano terrestre, un dio diurno, ossia una di quelle entità percepibili nella coscienza diurna dell’uomo terrestre. Lo si poteva incontrare, permanendo nel corpo fisico ed eterico, ossia in stato di veglia. Ma il giorno terrestre è notte rispetto al cosmo. Jahvè divenne quindi un dio della notte, che si rivelava ad Abramo in pieno giorno.

 

Nel mondo della luce spirituale, nella sfera del Sole, verso cui ascendono le anime dei defunti dopo il periodo della purificazione, non si può trovare Jahvè-Elohim. Egli ha infatti lasciato questa sfera, ed è passato alla sfera della Luna, che l’uomo sperimenta appunto, sul piano soggettivo, come kamaloka dopo la morte.

Qui l’uomo ha a che fare col proprio destino, sicché il suo sguardo non è libero per poter contemplare la natura di Jahvè-Elohim.

Vediamo dunque che il sentire, da parte dei personaggi biblici, la morte come una separazione da Jahvè non si basava su un’illusione. È infatti vero che con la morte l’uomo si separava da Jahvè. Tale era l’aspetto tragico dell’esperienza della morte per le guide di Israele. Non era un modo materialistico di pensare, come spesso si ritiene superficialmente.

 

Nessuno, forse, ha sentito la tragedia della separazione da Jahvè con maggior profondità dell’autore dei Salmi.

Nel Salmo 6, ad esempio, si dice:

Volgiti, o Signore, e libera l’anima mia, salvami per la tua misericordia.

Nella morte nessuno si ricorda di te.

Chi tra i morti canterà la tua lode? (Sai 6:5-6)

 

La stessa nota tragica è percepibile nel profeta Isaia:

Poiché gli inferi non ti lodano, né la morte ti canta inni;

quanti scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà.

Il vivente, il vivente ti rende grazie come faccio io in questo giorno. (Is 38:18-19)

 

Dopo la morte il rapporto con Jahvè cessa. Solo chi è vivo può conoscere Jahvè.

La conoscenza di Jahvè è una conoscenza per i vivi: lo si incontra nella condizione tra la nascita e la morte,

non in quella tra la morte e la nascita.

Jahvè-Elohim è infatti il dio della notte cosmica: egli risplende nelle tenebre.

 

La vita tra la nascita e la morte è notte per l’anima.

In questa notte l’anima scorge però una luce, che per lei è vita.

Questa luce nelle tenebre è la luce di Cristo quale vive in Jahvè-Elohim,

la luce lunare riflessa del Sole spirituale del mondo.

 

• Abbiamo così elaborato i concetti essenziali per orientarci nella Bibbia.

La Bibbia quale libro di occultismo eugenetico,

il popolo eletto quale corrente karmica,

Jahvè-Elohim quale portatore della Croce nel cosmo:

sono questi i concetti, che nel corso delle considerazioni seguenti saranno di grande aiuto,

in quanto risuonino nell’anima del lettore, destandovi conoscenze.

 

Questi pensieri risuoneranno silenziosamente nelle profondità dell’anima, e per molti ciò susciterà una comprensione intima di verità, che passerebbero altrimenti inosservate.

Nel prossimo capitolo si tratterà di intendere l’impulso fondamentale dell’Antico Testamento, quale compare all’inizio della storia di Israele. Tale impulso si manifesta nelle vicende di tre personaggi dell’Antico Testamento: Abramo, Isacco e Giacobbe.

 

Il prossimo capitolo sarà dunque dedicato a queste tre figure, costituenti un importante capitolo dell’occultismo eugenetico.