Abramo, Isacco e Giacobbe / Il pensiero del Padre in Abramo e il sacrificio del Figlio in Isacco

L’aurora della rivelazione


 

Se ora ci chiediamo: perché vi furono tre personalità all’inizio della storia di Israele?

Perché non bastò un patriarca a trasmettere l’impulso fondamentale per la storia di questo popolo?

Perché la Bibbia parla del “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”?

 

A tali domande siamo ora in grado di rispondere.

Il motivo per cui vi furono tre personalità all’inizio della storia di Israele è che, se ve ne fosse stata una sola, l’intero corso dell’evoluzione di Israele sarebbe stato inevitabilmente esposto a uno dei tre pericoli della vita spirituale di cui si è detto:

l’egoismo spirituale, il materialismo e il fatalismo.

 

La Trinità è infatti un’unità: se la si priva di uno solo dei suoi aspetti, si imbocca una delle tre vie false. Affinché ciò non accadesse a Israele, furono tre le personalità, tramite cui i tre impulsi fondamentali della sua storia fluirono nella sua corrente di eredità e di destino.

Per preservare l’evoluzione di Israele dal fatalismo, dal materialismo e dall’egoismo spirituale, agirono fin dall’inizio tre impulsi. Essa, infatti, avrebbe assunto inevitabilmente una tendenza fatalistica, se fosse stato solo Abramo a trasmetterle l’impulso originario.

 

Se l’obbedienza di Abramo alla volontà del Padre fosse stata il solo fondamento della vita spirituale di Israele, ne sarebbe risultato un popolo fatalista.

Fu invece necessaria, come contrappeso, la caparbietà di Giacobbe, capace di spingersi fino a intraprendere una lotta contro Dio.

La mentalità di Israele, tuttavia, avrebbe risentito di un’astrattezza sul piano dell’anima, se si fosse radicata solo in Abramo e in Giacobbe. Si sarebbe espressa nella dualità della legge e della forza, ma sarebbe mancato l’amore capace di armonizzarle.

Senza l’impulso trasmesso da Isacco, la vita spirituale di Israele sarebbe rimasta priva delle qualità del cuore: come infatti Abramo incarnò il pensiero di Israele, e Giacobbe la sua volontà, così Isacco incarnò la vita di Israele.

 

• Israele ricevette la propria destinazione da Abramo;

• in Isacco essa divenne vita;

• con Giacobbe, infine, gli fu conferita la forza per attuarla.

 

La missione di Israele non avrebbe mai potuto afferrare il corpo eterico, se avesse agito soltanto l’impulso di Abramo. Essa si sarebbe espressa solo nel corpo astrale. Grazie all’impulso di Isacco discese fin nel corpo eterico. Non avrebbe d’altra parte potuto permeare il corpo fisico, se non fosse sopravvenuto l’impulso di Giacobbe. Solo grazie al cooperare dei tre impulsi, l’intera natura umana potè essere posta al servizio della missione di Israele.

 

Con Abramo, Isacco e Giacobbe ebbe infatti inizio

la triplice corrente ereditaria destinata a fluire attraverso le generazioni di Israele:

l’eredità del pensiero di Israele nel subconscio del corpo astrale,

del sacrificio di Israele nel subconscio del corpo eterico,

e della vittoria di Israele nel subconscio del corpo fisico.

 

Furono il pensiero del Padre, il sacrificio del Figlio, e la vittoria dello Spirito, a rispecchiarsi in tal modo nella storia.

L’intera storia dell’epoca veterotestamentaria non è infatti altro che:

• la realizzazione del pensiero del Padre

• e la preparazione del sacrificio del Figlio,

• in vista della futura vittoria dello Spirito.

 

Potremmo così anche dire, che:

l’Antico Testamento è soprattutto il libro del pensiero di Abramo,

il Nuovo Testamento è il libro del compimento del sacrificio di Isacco,

e l’Apocalisse, infine, è il libro della futura vittoria di Giacobbe.

 

L’Antico Testamento è infatti il libro del pensiero del Padre, il Nuovo Testamento quello del sacrificio del Figlio, e l’Apocalisse il libro della futura vittoria dello Spirito.

Non si può dunque comprendere la Bibbia nella sua interezza, senza comprendere l’Antico Testamento. E’ infatti l’Antico Testamento a rivelare il pensiero che ispira il tutto.

Questo fatto getta luce anche sui pericoli legati al rifiuto, oggi sempre più diffuso, dell’Antico Testamento. Di più ancora: esso discopre le vere ragioni di tale rifiuto. Queste si risolvono infatti nell’intento – celato dietro a svariate maschere – di estirpare dalla coscienza umana il pensiero della Bibbia, ossia la conoscenza dell’impulso del Cristo.

 

Il lettore prenda ciò come un monito: qualunque tendenza spirituale che smembri la Bibbia, e dichiari una delle sue tre parti di scarso valore, opera in accordo con il male celato nel mondo; il danno che si arreca in tal modo all’umanità, supera infatti tutto ciò che di nobile e vero una tale tendenza può anche apportare.

La vita di Abramo va perciò considerata come una rivelazione del pensiero di Israele.

Ciò non va inteso nel senso che i pensieri di Abramo fossero il pensiero di Israele, ma piuttosto che il destino di Abramo incarnasse tale pensiero.

 

E’ qui opportuno prendere atto di un’importante verità: il profetismo non consiste solo nell’annunciare il futuro mediante la parola, bensì anche mediante il destino.

Il futuro può essere anche vissuto in anticipo.

Non ci sono solo parole profetiche, ma anche vite profetiche, le quali equivalgono, come tali, a profezie oggettive. Queste vite hanno importanza solo per la conoscenza: esse sono germi di destino immessi nell’organismo sovrasensibile della Terra, e destinati a svilupparsi nel corso della storia umana.

Ci si dovrebbe raffigurare la vita di Abramo come un esplicarsi di linee di forza nell’organismo astrale della Terra, le quali rappresentano le direzioni fondamentali del destino futuro della comunità nazionale di Israele. Sono l’archetipo astrale del destino di Israele. Nella vita di Abramo, colta in immagine, si racchiude l’intera storia di Israele.

 

Si prendano ad esempio i territori che furono teatro di questa storia: Palestina, Egitto, Mesopotamia. Nell’ambito di queste tre regioni si svolse la vicenda storica di Israele – dai primordi fino al Mistero del Golgota. Il territorio in cui si svolse tale vicenda è lo stesso in cui Abramo compì le sue peregrinazioni. Mesopotamia, Canaan, Egitto sono appunto le regioni in cui la piccola tribù capeggiata da Abramo soggiornò durante il suo peregrinare. I confini del territorio entro cui si mosse Abramo, determinarono i confini del territorio che sarebbe stato poi teatro della storia di Israele. Che questo non sia un caso, ma un provvedimento finalizzato al futuro, lo si può desumere dal seguente passo della Bibbia, in cui Jahvè dice ad Abramo:

Tutto il paese che vedi, io lo darò a te, e alla tua discendenza, per sempre.

[…] Alzati, percorri il paese in lungo e in largo; perché io lo darò a te. (Gen 13:15-17)

 

In altre parole, viene detto ad Abramo di camminare per delimitare il territorio che sarebbe appartenuto ai suoi discendenti. Le sue peregrinazioni assumono perciò il significato di una presa di possesso per il futuro. Abramo deve vedere con i suoi occhi la regione che sarà destinata a Israele. Egli deve assumerla nella propria coscienza. Il suo corpo astrale deve aver cooperato al configurarsi dell’aura di questa regione: solo allora egli ne ha preso possesso. La vera, non esteriore, presa di possesso di una regione avviene infatti per gradi. Dapprima è necessario che un certo contenuto astrale si imprima nell’astralità della regione.

Questa impronta astrale deve quindi discendere nelle forze eteriche della regione stessa, per manifestarsi infine sul piano fisico. Solo dopo questo terzo momento, si ha un territorio sul quale una comunità umana legata a un destino può compiere indisturbata la propria missione, ossia entrare in possesso di una ‘terra promessa’.

 

In tal modo determinati luoghi e regioni vengono predisposte dalle entità spirituali per determinate missioni. Dapprima vien formato in un certo luogo un involucro astrale, che diviene poi eterico, per essere infine riempito da uomini fisici. Così sorgono i centri spirituali nella storia dell’umanità. Non si deve però confondere il centro con coloro che lo occupano. Non si dovrebbe mai dimenticare che è il luogo ad essere consacrato, e non gli uomini che vi si radunano. Il dovere degli uomini è di operare in accordo con le intenzioni del luogo consacrato. Che adempiano o meno questo dovere, ciò dipende dalla libera volontà umana.

 

Una severa legge vige per altro in modo oggettivo in un luogo consacrato: esso si vendica su coloro che mancano di fedeltà al suo spirito. In un tempo relativamente breve, infatti, il dogmatismo coltivato in un luogo prescelto per la vita spirituale, produce una marcescenza sul piano astrale; lo spirito di compromesso, invece, attira su coloro che vi accondiscendono colpi del destino, i quali impediscono loro di continuare ad operare in quel luogo. Il luogo sacro distrugge o scaccia tutto ciò che non ne è degno.

Così le rovine del Tempio di Gerusalemme attendevano la venuta di successori più degni di quelli deportati in cattività a Babilonia. Allo stesso modo coloro che, nel deserto, si erano ribellati alla guida divina rappresentata da Mosè, dovettero morire tutti, prima che il popolo di Israele, sotto la guida di Giosuè, potesse entrare nella ‘terra promessa’. D’altra parte in Palestina esistevano, accanto al culto di Jahvè, solo culti infimi di una spiritualità decadente.

 

Dal concetto generale di ‘karma’ non si ricava gran che. Solo se si intende il karma come un intessersi di molte leggi vigenti in molti ambiti dell’esistenza, si entra nel vivo della realtà. La summenzionata legge dei luoghi consacrati fa parte delle leggi della realtà racchiuse nel concetto di karma.

A partire da Abramo la Palestina fu sotto questa legge. Il peregrinare di Abramo nel territorio palestinese, aveva appunto lo scopo di fare di esso una terra sacra. Migliaia di anni prima, essa fu prescelta per costituire il suolo destinato ad essere calpestato dai piedi del Cristo Gesù.

 

Non solo mediante il peregrinare fu impresso nella terra di Palestina il germe del futuro. Abramo scavò inoltre pozzi (Gen 26:18), costruì altari (Gen 12:7; 13:18), piantò alberi e “ivi invocò il nome del Signore, Dio dell’eternità” (Gen 21:33). In altre parole, durante il suo peregrinare Abramo fondò centri per la ‘ dottrina e il culto di Jahvè. Le sue peregrinazioni promossero, nei luoghi in cui si svolsero, la diffusione di una nuova corrente di misteri: quella di Jahvè.

Così crebbe la ‘tribù’ che aveva per guida Abramo. Intorno a lui si radunarono uomini di molte tribù e nazioni, i quali avevano tutti una sola cosa in comune: la comprensione per la nuova, rivelazione. L’insegnamento di Abramo costituì il fondamento per la formazione del nuovo popolo. Il mistero di Jahvè fu il magnete capace di attrarre coloro che erano chiamati a formare il nucleo di un nuovo popolo.

 

Tramite la parola, dunque, Abramo collegò gli uomini della terra di Palestina alla missione futura. L’insegnamento non fu però l’unica opera svolta da Abramo in preparazione del futuro. Egli compì anche azioni riguardanti i tre regni della natura di quella regione. Gli altari che costruì erano infatti destinati al sacrificio degli animali.

Gli alberi che piantò e i pozzi che scavò, rappresentavano invece azioni, i cui effetti si estendevano al regno vegetale e a quello minerale (acqua).

 

Durante le sue peregrinazioni Abramo aveva predisposto la missione futura in quattro modi:

• insegnando,      • compiendo sacrifici,     • piantando alberi     • e scavando pozzi.

Questi quattro mezzi stavano in rapporto con i quattro regni – umano, animale, vegetale e minerale –

della ‘terra promessa’.

 

Le azioni di tal genere compiute da Abramo non vanno pensate come meri cerimoniali esteriori, ma piuttosto come atti misterici. Si comprende il loro significato se si considera che il mondo spirituale opera nel mondo fisico per mezzo del karma.

 

Le forze del mondo spirituale possono operare sul piano fisico solo se la volontà umana offre loro un accesso.

Le azioni umane compiute in piena coscienza, sono porte d’accesso per l’operare degli dèi sulla terra.

 

Così, ad esempio, scavare un pozzo nel luogo in cui si era ricevuta un’ispirazione spirituale, era un atto misterico che prolungava nel tempo la presenza della forza ispiratrice. Non dobbiamo pensare che il colloquio tra il Cristo Gesù e la donna samaritana si sia svolto per caso presso il pozzo scavato un tempo da Giacobbe. La donna che stava attingendo l’acqua al pozzo fu in grado di percepire Cristo sul piano dell’anima, in quanto il colloquio avveniva presso quel pozzo che, in un lontano passato, era stato scavato per motivi connessi con la pratica dei misteri.

Non si potrà, d’altra parte, sottovalutare il significato del piantare alberi, se si tiene presente la spiegazione data da Rudolf Steiner nelle conferenze su Cristo e il mondo spirituale, del fatto che Paolo abbia potuto operare solo nelle zone in cui cresceva l’ulivo.

 

Considerando ora la vita di Abramo, troviamo in essa quattro eventi di speciale importanza:

 

• l’incontro con Melchisedek,

• l’incontro nella valle di Mamre,

• la nascita di Isacco

• e il sacrificio di Isacco.

 

Sono questi gli eventi di maggior spicco nella vita di Abramo. Il loro significato esula dall’ambito strettamente personale, e i valore oggettivo, quale fattore determinante per il futuro.

 

Riguardo all’incontro con Melchisedek, e all’entità misteriosa cui allude la Bibbia con questo nome, Rudolf Steiner ha indicato l’essenziale nel ciclo di conferenze sul Vangelo di Matteo. Vi è però un ulteriore punto di vista da cui possiamo considerare questo incontro, quello cioè dell’inizio della tradizione profetica in Israele, la quale iniziò appunto con Abramo e si concluse con Malachia. Questa tradizione iniziò infatti nel momento in cui Melchisedek benedisse Abramo. Egli gli conferì quella facoltà che, mediante benedizione e unzione, si sarebbe da allora in poi trasmessa durante tutto il corso della storia di Israele. Così Isacco benedisse Giacobbe, Mosè benedisse Giosuè, Samuele consacrò Davide e benedisse Natan, e via di seguito. L’incontro tra Abramo e Melchisedek è dunque il prototipo della tradizione spirituale del profetismo ebraico.

 

L’ ‘ufficio di Melchisedek’ era un dovere cui ogni profeta si sentiva obbligato nei confronti del proprio successore. Con l’incontro tra Abramo e Melchisedek iniziò storicamente l’esercizio di tale ‘ufficio’, ossia la storia di Israele nel vero senso della parola. La storia di Israele è infatti il cammino che conduce dalla cena profetica di Melchisedek a quella reale del Cristo Gesù.

All’inizio della storia di Israele l’alto iniziato solare offrì pane e vino; alla fine di quella storia offrì pane e vino l’Entità stessa del Sole. Dalla cena della saggezza alla cena dell’amore: tale è la storia di Israele.

 

In che cosa consisteva il dono della profezia trasmesso nella maniera indicata?

Nel rapporto col mondo spirituale, la conoscenza si distingue dalla rivelazione, come nel mondo fisico l’esperienza propria si distingue da una notizia appresa. Come nel mondo fisico si può, ad esempio, compiere un viaggio in prima persona, o ascoltare resoconti di viaggi altrui, così nel mondo spirituale, si può indagare da sé, o ricevere rivelazioni da parte delle entità spirituali. Nel primo caso conta soprattutto lo sforzo dell’uomo; nel secondo, invece, opera la grazia delle entità spirituali.

 

Nella conoscenza è l’uomo che indaga; nella rivelazione è il mondo spirituale che parla.

Il dono della profezia consisteva principalmente nella facoltà di ricevere rivelazioni.

I profeti in senso stretto non svolgevano indagini nel mondo spirituale, ma parlavano in nome di quel mondo. Per questo motivo, ad esempio, la legge generale della reincarnazione era sconosciuta alla scuola dei profeti. Essa non fu loro rivelata. Si sapeva soltanto che singoli profeti sarebbero rinati. Che questa, però, fosse una legge valevole per ogni uomo, era cosa ignota.

 

Peraltro, non tutte le personalità dell’Antico Testamento considerate ora come profeti, lo furono in senso proprio. Daniele, ad esempio, non fu un profeta nel senso usuale del termine, egli era un iniziato che indagava nel mondo spirituale con le proprie forze. Era in grado di leggere nel mondo spirituale, prendendo le mosse da interrogativi propri. Per questo motivo le stesse entità del mondo spirituale gli diedero l’appellativo di “uomo della volontà”.

Neanche il re Davide fu un profeta. Egli doveva le proprie esperienze sovrasensibili ad uno sforzo personale.

Lo stesso vale per Giuseppe, il figlio di Giacobbe, nato con la facoltà karmica di ‘interpretare i sogni’, ossia di leggere la scrittura del mondo spirituale.

 

Quelli che furono ‘benedetti’ divennero invece profeti. Tale benedizione non va intesa come una mera espressione di benevolenza, bensì come un’azione capace di mettere in movimento un determinato organo del corpo eterico, un ‘fiore di loto’. Tramite quest’organo, il mondo spirituale poteva allora parlare.

Un organo del corpo eterico di Abramo, il quale ha anche un’espressione fisica, fu attivato dalla benedizione di Melchisedek. Abramo divenne così il primo profeta di Israele, nonché il fondatore della tradizione profetica.

Non si deve da ciò trarre la conclusione, che i profeti avessero meno importanza degli indagatori spirituali. In realtà non è così. Le rivelazioni trasmesse all’umanità mediante i profeti furono, in molti casi, più importanti per l’umanità stessa, di quanto non lo fossero i risultati delle indagini di singoli iniziati. Di più ancora: talvolta gli iniziati rinunciavano alla propria indagine, per poter trasmettere all’umanità rivelazioni di natura superiore. Essi mettevano da parte il proprio sapere, affinché il mondo spirituale potesse parlare tramite loro.

 

L’umanità deve, ad esempio, le rivelazioni trasmessegli da Isaia ad una tale rinuncia. Nel caso di Isaia abbiamo a che fare con uno dei più alti iniziati degli antichi misteri, il quale comparve in Israele come profeta. Rudolf Steiner mise in luce il fatto significativo che alcuni iniziati dei misteri comparvero in Israele come profeti. Isaia era uno di essi.

Non si deve d’altra parte ritenere che la conoscenza acquisita e la rivelazione si escludano a vicenda nell’arco di una vita. In realtà avveniva che, in una singola vita, periodi di rivelazione si alternassero a periodi di conoscenza. Possono esserci anche casi di interazione ancor più complessa dei due tipi di rapporto con il mondo spirituale. Un esame di essi ci condurrebbe però troppo lontano dallo scopo che ci siamo prefissi. In generale è vero che i profeti, nel senso sopra caratterizzato, erano essenzialmente intermediari di rivelazioni.

 

Con l’incontro tra Abramo e Melchisedek inizia dunque la linea della rivelazione nel destino di Israele. Era questa una linea autonoma di rapporto con il mondo spirituale, che si differenziava profondamente da quella degli antichi misteri.

 

• Nei misteri d’Egitto, ad esempio, si trattava di svincolare l’uomo dal legame col proprio corpo fisico, durante i tre giorni del sonno nel tempio.

In Israele, invece, si trattava di far discendere le entità spirituali fin nel corpo fisico.

 

Nei misteri, durante il sonno nel tempio, era il corpo astrale,

che trasmetteva al corpo eterico svincolato dal corpo fisico le proprie impressioni sovrasensibili.

• Al contrario, nella corrente spirituale ebraica,

era il corpo eterico a trasmettere le impressioni sovrasensibili all’Io presente nel corpo fisico.

 

La tradizione ebraica ebbe inizio allorché Melchisedek, che recava in sé il corpo eterico di Sem, porse pane e vino ad Abramo e lo benedisse, ossia immise un potente impulso nel suo corpo eterico. Similmente Mosè aveva assunto il corpo eterico del grande Zarathustra, per far sì che nuove, possenti rivelazioni potessero fluire nella vita spirituale di Israele.

 

• La conoscenza resa possibile per mezzo del corpo astrale era chiamata ‘aria’ o ‘spirito’,

onde l’iniziazione dei misteri fu detta “rinascita dallo spirito o dall’aria”.

• Per la conoscenza, invece, resa possibile in Israele tramite il corpo eterico,

si parlava di un “conoscere per mezzo dell’acqua”,

e la nuova coscienza così destata, era detta perciò un “nascere dall’acqua”.

 

La linea dell’iniziazione degli antichi misteri, che avveniva nell’oscurità del tempio, si è conclusa con la resurrezione di Lazzaro, operata da Cristo nella chiara luce del giorno. Cristo si presentò quindi come il sommo iniziatore della corrente della conoscenza tramite l’aria.

• Allo stesso modo fu Cristo a concludere la linea della conoscenza tramite l’acqua, iniziando nel profondo della notte Nicodemo, mentre questi si trovava fuori del proprio corpo fisico. Risonarono allora le parole riguardanti la necessità di unire entrambi gli impulsi: l’uomo deve rinascere dall’acqua e dall’aria.

 

• Come Cristo portò l’iniziazione dei misteri dall’oscurità notturna alla luce del giorno,

• così egli guidò l’iniziazione ebraica dalla luce del giorno alla coscienza notturna.

 

Abramo e Nicodemo: sono questi i nomi che delimitano nel tempo la linea dell’iniziazione ebraica.

Nicodemo è però al tempo stesso un iniziato della nuova iniziazione notturna

derivata dall’antica iniziazione diurna,

• così come Lazzaro-Giovanni fu al tempo stesso un iniziato della nuova iniziazione diurna

derivata dall’antica iniziazione notturna.

 

Il metodo chiamato ‘ufficio di Melchisedek’ ebbe termine con il colloquio sovrasensibile di Cristo con Nicodemo. Qui tale metodo raggiunse il proprio scopo: quello cioè di condurre a Cristo. Quanto è inteso con il termine astratto di ‘metodo’, è in realtà destino, il destino di Israele inaugurato da Abramo.

 

Come la linea della rivelazione di Israele conduceva a Cristo, così il suo contenuto era la promessa della nascita del Figlio.

La promessa della nascita di un figlio in età avanzata fu invero il fatto caratterizzante del secondo grande evento della vita di Abramo, l’incontro nella valle di Mamre. Sul significato di questo incontro si è già parlato nel primo capitolo, in rapporto al fatto della ininterrotta collaborazione dei tre iniziati. Qui si tratterà soltanto di dare rilievo al fatto che Abramo e Sara ricevettero la promessa di un figlio.

 

È difficile parlare di queste cose in concetti dai contorni definiti. È tuttavia intento dell’autore parlarne in tal modo, poiché ciò è richiesto dal nostro tempo. Vi sono d’altra parte temi per i quali la difficoltà è tale, che il discorso rischia di apparire vago. In questo caso la vaghezza non è propria dei pensieri, ma è dovuta all’imperfezione dello strumento che li esprime.

Riguardo al tema in questione si tratta di mostrare in modo chiaro, come la promessa del figlio fatta ad Abramo includesse al tempo stesso la promessa della nascita del Figlio eterno. Il figlio di Abramo rappresentava per lui – e sul piano oggettivo per tutta l’umanità – non solo un evento personale della sua vita, bensì una rivelazione per mezzo di un evento reale. La nascita di Isacco fu propriamente una rivelazione, che destò nell’anima di Abramo una comprensione del mistero relativo al rapporto tra il Padre eterno e il Figlio eterno. Come fu possibile ciò?

 

La discesa dell’anima verso la nascita terrena avviene per gradi. La coscienza ordinaria sperimenta in realtà solo l’ultimo gradino di questa discesa. Essa viene semplicemente posta di fronte al fatto della nascita sul piano fisico. Questo fatto è però solo l’ultimo anello della catena di eventi in cui consiste il processo della nascita.

 

Prima che l’anima raggiunga il mondo dei fatti,

discende attraverso i mondi dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione.

• In passato questa discesa non era sempre celata alla coscienza dei genitori, e tale non resterà sempre in futuro.

In passato il processo della nascita poteva essere sperimentato in modo cosciente,

prima che si concludesse nel mondo fisico.

• L’essere che discendeva veniva riconosciuto nel mondo sovrasensibile.

Si era perciò in grado di dare al nuovo ospite della terra un nome rispondente al suo essere.

Il nome esprimeva la conoscenza di ciò che si era rivelato nel mondo sovrasensibile tramite l’essere che discendeva.

 

In futuro questa facoltà riapparirà, specialmente in Oriente.

L’occultismo eugenetico si diffonderà sotto la forma di una facoltà, da parte di un numero crescente di uomini, di percepire, del processo della nascita, non solo le ultime fasi, ma anche quelle anteriori, che si svolgono nel sovrasensibile. Non si saprà soltanto che qualcuno sta per nascere, ma anche perché egli nasca. Si percepirà la missione, la parola interiore dell’anima che discende e si cercheranno nuovamente i nomi che corrispondano a quella parola. Sarà una forma di conoscenza del karma.

 

Il karma però ha due aspetti.

• Da un lato è un’espiazione della colpa passata: tale è il karma terreno, iniziatosi con il peccato originale.

• Vi è però anche un karma celeste, un karma eterno, che rappresenta l’idea originaria di ogni singola anima umano.

 

Ogni anima è infatti un pensiero del Padre, che splende attraverso tutte le incarnazioni come una stella eterna. Il fine dell’esistenza terrena consiste appunto in questo: che il karma temporale, terreno, si ricongiunga al karma eterno, celeste.

Se la nascita di un’anima sulla terra è attesa coscientemente, l’anima stessa può rivelarsi nel proprio pensiero eterno mediante l’intuizione e l’ispirazione, prima che si riveli come caratteri, temperamento e figura fisica. Così Abramo riconobbe, tramite l’Io di Isacco, il pensiero del sacrificio del Figlio.

 

Nella nascita di Isacco,

Abramo fu in grado di riconoscere il mistero della nascita del Figlio eterno sulla terra e il suo sacrificio.

Questa rivelazione divenne il motivo centrale dell’intera storia di Israele.

 

• Si parla spesso di un’analogia tra la morte e l’iniziazione.

Effettivamente è facile riconoscere che le sfere percorse dall’uomo dopo la morte,

sono le stesse in cui egli penetra mediante l’iniziazione.

Ma che la nascita possa essere anch’essa processo di iniziazione, è cosa più rara da intendersi.

 

Nondimeno è vero:

• come per l’uomo i gradi ascendenti della via di conoscenza corrispondono ai gradi della sua ascesa dopo la morte,

• così i gradi della discesa della rivelazione del mondo spirituale

corrispondono ai gradi della sua discesa verso la nascita.

 

• Poiché la tradizione dei profeti si basava sulla rivelazione, questa veniva sperimentata non nella morte, ma nella nascita. La morte non aveva grande importanza per la vita spirituale di Israele: solo attraverso la porta della nascita splendeva la luce del mondo spirituale. Invano si cercherebbe nella Bibbia quel tipo di saggezza che splende attraverso la porta della morte.

D’altra parte in nessun altro documento dell’umanità, la rivelazione del mondo spirituale attraverso la porta della nascita risplende con sì pura luce come nella Bibbia.

 

Mediante la nascita di Isacco si rivelò dunque ad Abramo il mistero del Figlio.

Essa rappresentò per lui un processo di iniziazione determinante per l’intera storia di Israele.

 

• Di significato profetico ancor maggiore nella vita di Abramo fu quel momento, in cui egli si accinse a sacrificare il proprio figlio sull’altare. In questa scena si compendia profeticamente l’idea di Israele. È un’espressione immaginativa sul piano storico esteriore di tale idea. Le generazioni successive avrebbero guardato all’immagine del padre che sacrifica il proprio figlio, preparando così le loro anime ad accogliere il mistero del Golgota.

 

Per comprendere questo evento – non solo nel suo significato profetico, ma anche come azione umana – dobbiamo considerare ancora una volta la divina Trinità, e precisamente nel suo rapporto con la libertà umana .

 

Per l’occultismo concreto la Trinità non è un ‘concetto’ o un ‘principio’,

bensì un agire concorde di tre sfere cosmiche.

In alto agisce la sfera del Padre, nella quale avviene la generazione del pensiero originario;

nell’ambito mediano agisce la sfera del Figlio, nella quale viene insufflata la vita entro i pensieri che discendono dalla sfera del Padre: è dunque la sfera della vita originaria.

Al di sotto di essa agisce la sfera dello Spirito, nella quale i pensieri vivificati del Padre,

provenienti dalla sfera del Figlio, ricevono una forma, ossia divengono archetipi o figure originarie [Urbilder].

 

Si può dunque parlare

• di una sfera dei pensieri originari,

• di una sfera della vita originaria

• e di una sfera degli archetipi.

 

Il processo conoscitivo umano si svolge però in modo opposto a quello della creazione divina.

• E’ dunque la forza del pensare a dischiudere all’uomo la sfera dello Spirito,

• mentre il sentire può elevarsi alla sfera del Figlio,

• e solo il volere è in grado di penetrare, per mezzo dell’intuizione, nella sfera del Padre.

 

• Alla Visione concreta, la sfera dello Spirito appare come un cerchio splendente in tutti i colori dell’arcobaleno –

l’arcobaleno è invero un’immaginazione della sfera dello Spirito discesa sul piano della percezione sensibile.

La sfera del Figlio può essere immaginata come una formazione di nuvole bianche sullo sfondo celeste.

Questa sfera non contiene infatti forme: è una natura simile a quella delle nubi, echeggiante di suoni

[tònende Wolkenhaftigkelt].

Gli uomini dell’antica civiltà indiana attinsero con la conoscenza alla sfera del Figlio, che è la sfera della realtà informale, della morte delle forme; essi non poterono tuttavia ascendere fino alla sfera del Padre, ossia alla sfera della resurrezione. Questo fu possibile solo nel cristianesimo, dopo che Cristo, passando per la morte, andò al Padre, affinché “dove è Lui, vi siano anche Uomini”.

 

• Il rapporto della coscienza umana con ciascuna di queste tre sfere varia a seconda delle epoche. Ad esempio, nella terza epoca postatlantica la libertà era possibile solo nella sfera dello Spirito. L’uomo poteva essere libero solo nel pensiero. Al contrario la sfera del Padre e quella del Figlio erano precluse alla libertà Umana.

Solo nell’epoca del Nuovo Testamento, ossia dopo il Mistero del Golgota, si è dischiusa alla libertà umana anche la sfera del Figlio, per il fatto che Cristo è divenuto il Signore del karma. In futuro ciò avverrà anche per la sfera del Padre. All’epoca dell’Antico Testamento, invece, la libertà umana riguardava solo la sfera dello Spirito.

 

Abramo, tuttavia, fu una personalità capace di elevarsi fino all’intuizione della sfera del Padre.

Questo avvenne nel momento significativo in cui si recò con Isacco sul monte, per compiere il sacrificio richiesto da Dio. Abramo si trovava in uno stato di coscienza, in cui l’intuizione della volontà dominava il suo intero essere. Egli agiva coscientemente in accordo con la sfera del Padre. Quando alzò la propria mano per sacrificare Isacco, non fu egli ad alzare la mano, ma il Fondamento eterno del mondo, il Padre. Nella sfera del Padre non vi era infatti alcuna libertà, alcuna scelta.

 

• Come Abramo, quando alzò la mano per compiere il sacrificio, rappresentava l’eterno Padre,

• così Isacco in quel momento rappresentava l’eterno Figlio.

Egli non si rifiutò di essere sacrificato, poiché era ricolmo dell’ispirazione del Figlio.

La sua coscienza era nella sfera del Figlio, nella quale allora non vi era parimenti alcuna libertà.

 

Possiamo dunque dire:

il sacrificio di Isacco da parte di Abramo non fu un atto meramente simbolico e profetico.

In esso erano realmente presenti

il pensiero del Padre nella volontà di Abramo,

• e il sacrificio del Figlio, che offre eternamente la propria; vita, nel sentire di Isacco.

In quel momento il Padre e il Figlio erano dunque realmente presenti sul piano fisico

– come una profezia reale della Passione e della Resurrezione.

 

Nel sacrificio di Isacco il processo del volere e del sentire non allude solo alla realtà futura della Passione,

ma anche a quello della Resurrezione.

In conseguenza del fatto che il sacrificio non fu accettato

Abramo sperimentò interiormente la resurrezione del proprio figlio.

Nel proprio volere, infatti, Abramo aveva già sacrifica Isacco:

il fatto che questi gli fosse tuttavia risparmiato, fu per lui un miracolo di resurrezione.

 

Il sacrificio di Isacco è l’evento centrale della vita di Abramo. In esso, il pensiero del Padre rappresentato da Abramo e il sacrificio del Figlio rappresentato da Isacco appaiono in forma sensibile-morale [sinnlich-sittlich]. La missione profetica di Abramo si è così compiuta.

 

Se consideriamo ora la vita di Isacco, troviamo che questi aspirò ad una cosa in particolare:

a ripristinare l’opera di suo padre, là dove essa era andata distrutta.

 

Egli dunque peregrinò, e riprese a scavare i pozzi che aveva scavato Abramo, e che nel frattempo erano stati riempiti di terra. Egli riempì nuovamente d’acqua i pozzi del padre. Questa è un’immagine che ci permette di comprendere a fondo la natura di Isacco.

 

Possiamo infatti dire: come il Figlio insuffla la vita nei pensieri del Padre divino,

così Isacco rimette in vita i pozzi di Abramo.

 

Isacco tornò a scavare i pozzi d’acqua, che avevano scavato i servi di suo padre Abramo, e che i Filistei avevano turati dopo la morte di Abramo, e li chiamò come li aveva chiamati suo padre. I servi di Isacco scavarono poi nella valle, e vi trovarono un pozzo d’acqua viva. (Gen 26:18-19)

 

Questo ”pozzo d’acqua viva”

è un’immagine significativa e profonda dell’opera cui Isacco consacrò la propria vita.

Il compito dl Isacco era infatti quello di vivere ciò che Abramo aveva conosciuto.

La sua vocazione era quella di accogliere nel proprio corpo vitale l’impulso già presente nel corpo astrale di Abramo.

 

E siccome il corpo vitale è il portatore della memoria, Isacco creò la tradizione vivente

– l’“acqua viva” alla quale si sarebbero abbeverate le generazioni venture.

 

Isacco diede ai pozzi di suo padre da lui ripristinati, i vecchi nomi, conservando quindi il passato. Il suo compito non si ridusse però a questo: egli scoprì in più il pozzo d’acqua viva. Tale era infatti il senso della vera tradizione: non solo riportare in luce ciò che era stato sepolto, ma anche scavare a nuovo, per scoprire ‘pozzi d’acqua viva’.

La vita spirituale di Israele non consisteva solo nel conservare la rivelazione ricevuta da Abramo, tramandandola di generazione in generazione, bensì anche nel far posto alla comparsa di profeti, capaci di scoprire in ogni tempo i ‘pozzi d’acqua viva’ dell’ispirazione.

 

La verità è infatti un flusso vivente: dalla fonte deve sgorgare sempre nuova acqua, altrimenti questa diventa stagnante, e quindi non più viva. Ciò si verificò nella corrente della vita spirituale ebraica rappresentata dagli scribi e dai farisei. Gli scribi e i farisei furono appunto uomini che, alla verità viva e fluente, sostituirono una tradizione morta. La loro vocazione karmica fu quella di erigere la Croce su cui Cristo sarebbe stato crocifisso. Ciò essi fecero, congelando la verità che fluisce nel tempo, e circoscrivendo lo spazio per la fantasia morale entro i limiti di una giustizia esteriore.

 

La Croce di legno sul Golgota fu solo l’espressione esteriore del fatto spirituale,

che Israele da tempo aveva preparato una Croce per il Messia –

nella forma di una conoscenza e di una morale irrigidite.

 

Se confrontiamo tra loro la vita di Abramo e quella di Isacco, troviamo una caratteristica comune ad entrambe:

sia Abramo che Isacco furono obbedienti in alto grado al mondo spirituale.

Essi non furono araldi della libertà: la qualità che immisero nel mondo fu quella dell’obbedienza.

Ciò è comprensibile se teniamo presente che, nel senso di quanto sopra esposto,

essi erano i rappresentanti del Padre e del Figlio.

In quanto tali non potevano, ai tempi della terza epoca postatlantica, essere liberi.

 

Diverso era il caso di Giacobbe. A differenza di Abramo e Isacco,

Giacobbe fu colui che recò alla storia di Israele l’impulso della libertà.

Egli rappresentava infatti lo Spirito, in cui soltanto era possibile la libertà.

 

Il rapporto di Abramo con il mondo spirituale si svolgeva in modo opposto a quello di Giacobbe. In Abramo era il volere a ricevere impulso dalla sfera del Padre. Da qui la corrente della rivelazione fluiva nel suo pensare.

 

• Dalla volontà al pensiero – tale è il percorso della rivelazione ricevuta da Abramo.

• Con Giacobbe era invece il pensare a discendere nella sfera del volere.

 

Poiché – per ragioni di cui parleremo ancora – la libertà nel pensare era possibile, anche il volere suscitato in Giacobbe da un tale pensare, era libero.

 

Il cammino di Abramo conduceva dallo Spirito al Padre. Gli adempì alla propria vocazione,

allorché si affidò interamente al Padre. Fu questo il punto culminante della sua vita.

Il cammino di Giacobbe, al contrario, conduceva dal Padre allo Spirito.

 

Il momento culminante della sua vita coincise con il più alto grado di libertà da lui raggiunto, quando cioè,

dopo aver lottato per un’intera notte con il messaggero di Dio, diede, come vincitore, una svolta al proprio destino.

La libertà nello Spirito, tale fu l’apporto peculiare di Giacobbe alla storia di Israele.

 

Ciò risulta comprensibile dal fatto che Giacobbe aveva accolto fortemente in sé l’impulso luciferico. Non che egli ne sia rimasto vittima: al contrario egli lo ha assunto e poi trasformato. La lotta spirituale di Giacobbe con il messaggero di Dio fu dapprima una resistenza, una ribellione. Come si concluse però questa lotta? “Non ti lascerò andare, finché non mi avrai benedetto” (Gen 32:27). Queste parole rappresentano l’ultima fase della lotta. Il messaggero di Dio benedisse Giacobbe, ossia riconobbe il fatto che egli aveva trasformato interiormente l’elemento luciferico. La lotta delle Gerarchie contro l’elemento luciferico non consiste infatti nel combatterlo con la forza, ma nel far sì che esso si trasformi interiormente. Gli esseri delle Gerarchie spirituali compiono atti di abnegazione che conquistano l’amore ammirato di Lucifero.

L’elemento luciferico viene ‘combattuto’ con l’esempio dell’abnegazione.

 

Esso si trasforma interiormente grazie all’amore che tale esempio può suscitare. “Non ti lascerò andare, finché non mi avrai benedetto”: queste parole vengono dall’elemento luciferico trasformato. L’amore per lo Spirito che non si arrende finché lo Spirito stesso non lo accetti, tale è l’essenza dell’elemento luciferico trasformato.

Dopo la notte fatidica del combattimento spirituale presso il guado di Jabbok, Giacobbe – non costretto da alcuna necessità interiore o esteriore, ma per un atto di libertà – seguì lo Spirito. Da quel momento egli fu in grado di seguire lo Spirito per amore. Per questa ragione fu chiamato Israele, e il suo nome divenne il nome, ossia il destino, del popolo in cui sarebbe dovuto nascere Gesù.

 

L’amore per lo Spirito nascente dalla libertà era infatti il fine cui mirava la storia di questo popolo,

il frutto venturo dell’albero della Legge.

 

Fu questo amore libero per lo Spirito a rendere le anime sensibili alla presenza di Cristo sulla terra.

Proprio in virtù della libertà di Giacobbe-Israele alcuni pescatori intenti al lavoro sulle rive del lago di Genèzaret, abbandonarono le proprie barche e le proprie reti, per seguire Colui che avevano riconosciuto, non in base alle Scritture o alla testimonianza dei profeti, ma grazie all’amore che urgeva nei loro cuori. Non gli chiesero infatti da dove venisse, e di chi fosse figlio: per amore scelsero la Sua via, poiché erano figli di Israele.

 

• In Israele-Giacobbe si manifestò, come libertà nello Spirito,

la sintesi del pensiero del Padre espresso da Abramo, e del sacrificio del Figlio espresso da Isacco.

In lui l’idea e la vita di Israele ricevettero la forza che solo la libertà può dare.

• Non è la tensione interiore la forza atta a dischiudere il mondo spirituale,

bensì la volontà che opera in libertà.

 

Non si pensi tuttavia che questa caratteristica di Giacobbe sia in contraddizione con quello che si è detto all’inizio del secondo paragrafo di questo capitolo. Si tenga presente che Giacobbe era figlio di Isacco – che dunque la sua libertà era figlia dell’obbedienza all’amore divino che dalle sue altezze si chinò su Isacco. Solo in quanto figlio di Isacco, Giacobbe potè accendere in sé quell’amore personale per lo Spirito, di cui abbiamo appena parlato.

 

Se Abramo e Isacco non avessero preceduto Giacobbe, la sua libertà sarebbe stata pura ribellione.

Se egli fosse stato figlio di Abramo, e non di Isacco, sarebbe diventato un fanatico della Legge.

Solo come terzo, potè diventare ciò che effettivamente fu.

Il pensiero di Abramo e l’amore di Isacco divennero in lui prerogative di una personalità libera.

 

• Come primo, Giacobbe sarebbe stato un’incarnazione dell’indomita caparbietà;

• come secondo, sarebbe stato un fanatico della Legge;

• come terzo, divenne il portatore della forza spirituale, ossia della libertà nello Spirito.

 

Perciò Israele-Giacobbe appare all’inizio della storia di Israele come la figura che, non senza ragione,

ha dato il proprio nome al popolo il cui destino costituisce il tema dell’Antico Testamento.

Per questo motivo il prossimo capitolo sarà dedicato a Israele- Giacobbe.