Il senso di queste conferenze

O.O. 323 – Rapporto delle diverse scienze con l’astronomia – 16.01.1921


 

Sommario: Il senso di queste conferenze. Critica alla formulazione affrettata di teorie. Differenza fra moti assoluti e relativi. Moti sferici e radiali e il principio di Doppler. L’uomo sviluppato è emancipato dal cosmo, ma non l’embrione che acquisisce le forze cosmiche per la vita che lo aspetta. Posizione orizzontale nel sonno e verticale nei movimenti volontari. Diverso ricambio nelle due posizioni. La stanchezza. Scienza sociale. Movimenti volontari e morte sono diversi nell’uomo e nell’animale. I fenomeni vanno spiegati con altri fenomeni. I compiti dell’istituto di ricerca. Costituzione del Sole e processi inversi in Sole e Terra. Le macchie solari. Il confronto tra geometria analitica e geometria sintetica è un buon avvio verso la matematica qualitativa.

Come abbiamo visto, si tratta ora di riunire gli elementi che ci permettano di determinare le forme dei moti dei corpi celesti, ascrivendo poi a quelle le posizioni reciproche di questi. Otteniamo infatti una conoscenza del nostro sistema cosmico solo se siamo in grado di definire dapprima le forme delle curve nel loro aspetto (sempreché si vogliano chiamare “curve” le forme dei moti), e poi i centri di osservazione. Questo è il compito del nostro studio; questa volta lo ho disposto così per ragioni ben determinate.

 

Il più grande errore che si fa nella vita scientifica è di voler costruire un sistema prima di averne ben stabilite le premesse. Si tende a formulare teorie, il che significa chiudersi in un orizzonte ristretto. In un certo senso non si riesce ad attendere che ci siano le condizioni per formulare teorie. Nella vita scientifica dobbiamo acquisire il senso del non tentare di rispondere a certe domande prima di aver ben stabilito le condizioni per le risposte. So bene che a certa gente (i presenti sono naturalmente esclusi) piace trovare curve già pronte per i moti planetari e simili, perché così si ha già una risposta alla domanda: come si comportano le cose più diverse rispetto alla somma dei concetti esistenti? Ma se non si può rispondere a domande mal poste con concetti preesistenti, tutti i discorsi teorici non hanno senso, e si arriva a conclusioni apparenti e illusorie. Di conseguenza ho strutturato in questo modo le nostre conferenze, ossia in una prospettiva scientifica e pedagogica.

 

Dai risultati ottenuti sinora abbiamo visto che nello studio delle curve dei moti dobbiamo distinguere con attenzione, ad esempio, la forma del nodo nell’orbita di Venere in congiunzione da quella del nodo nell’orbita di Marte in opposizione, almeno per quanto riguarda i moti apparenti. Pensiamo inoltre che si debba con cura distinguere fra le varie forme delle curve che si presentano nell’organizzazione umana, da un lato per l’organizzazione della testa e dall’altro per quella del sistema del ricambio e degli arti; fra queste due forme esiste una certa relazione che appunto si deve cercare non nel rigido spazio euclideo, ma al di là dello spazio.

 

Occorre ora trovare un passaggio da quel che si scopre nell’organismo umano a quel che è fuori nel cosmo, che appare solo come un rigido spazio euclideo. Per farcene un’idea dobbiamo continuare col nostro metodo e cercare la relazione tra quel che avviene in noi e ciò che avviene nel moto dei corpi celesti nello spazio. Non si può che porre la domanda: quali relazioni conoscitive esistono tra movimenti che possono essere intesi in senso relativo, e movimenti che assolutamente non possono essere intesi in senso relativo? Ci è ormai chiaro che nelle forze strutturali del nostro organismo ve ne sono alcune che hanno azione radiale, e altre che dobbiamo pensare come attive nella sfera (fig. 1). Il punto sarà di vedere come, per la nostra conoscenza di un moto esterno, si manifesti ciò che si svolge solo nella sfera e ciò che si svolge solo in senso radiale.

 

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Oggi si è già cominciato a distinguere tali movimenti nello spazio anche sperimentalmente. Si può seguire con gli occhi il moto di un corpo cosmico nella sfera, e con l’analisi spettrale oggi si possono seguire anche movimenti in senso radiale che si avvicinano e si allontanano. Si sa anche che lo studio di questo problema ci ha dato i risultati più interessanti con le stelle doppie che si muovono una intorno all’altra. Questo movimento è stato scoperto grazie al principio di Doppler.

 

Ora in tutto questo processo, che inserisce l’uomo nell’intera struttura cosmica, si tratta di vedere – mi esprimo con la massima prudenza – se il movimento può essere solo apparente oppure reale, e che cosa ci fa pensare che sia reale. Ho già detto che bisogna distinguere tra i moti che possono essere relativi e gli altri (a forbice, rotanti, deformanti) che non possono essere considerati relativi. Dobbiamo dunque cercare un criterio per il moto reale. Lo si può trovare solo tenendo presenti i rapporti relativi interni di ciò che è mosso. Non possiamo certo limitarci a considerare solo le condizioni esterne del luogo.

 

Spesso cito l’esempio di due persone che vedo l’una accanto all’altra alle nove del mattino e di nuovo l’una accanto all’altra alle tre del pomeriggio. Però una delle due è rimasta nello stesso posto, mentre l’altra, dopo la mia partenza e prima del mio ritorno, ha fatto un giro che l’ha occupata per sei ore e poi è tornata al posto di prima. La semplice osservazione di quel posto non mi dà notizie su che cosa sia avvenuto. Mi accorgerò del movimento avvenuto dalla stanchezza di una delle due persone, cioè da un fatto interno. Il punto è di vedere che cosa è avvenuto col movimento, quando lo si voglia caratterizzare. Occorre anche qualcos’altro, che tratteremo domani.

 

Dobbiamo allora partire da un punto di vista del tutto diverso. Se oggi consideriamo la struttura dell’organismo umano, possiamo a tutta prima avere soltanto una sorta di relazione visiva con ciò che vi è nel cosmo. Tutto infatti mostra che l’uomo è in gran parte indipendente dai movimenti del cosmo ed è per così dire indipendente nelle sue esperienze dirette. Si è emancipato dai fenomeni del cosmo; possiamo però risalire a periodi in cui l’anima umana è più dipendente dall’universo che nella vita normale, dopo la nascita; lo è per esempio nel periodo embrionale, in cui la formazione avviene in pieno accordo con le forze cosmiche. Quel che resta del periodo embrionale, in certo modo, si conserva ancora entro l’organismo umano. Non si può parlare di ereditarietà in senso usuale, perché nulla si “eredita”; si deve tuttavia pensare un processo analogo in questo rimanere indietro di certe entità da un’epoca evolutiva precedente.

 

Il punto è dunque sapere se nella vita corrente postnatale, quando siamo giunti alla piena coscienza, vi siano tracce di relazioni con le forze cosmiche. Osservando l’alternarsi di veglia e sonno, troviamo che per l’uomo attuale l’alternarsi è necessario, ma, benché sia meglio per la sua salute farlo corrispondere con l’alternarsi del giorno e della notte, è oggi indipendente dal corso della natura. Nelle città corrisponde meno, nelle campagne di più; i contadini hanno una costituzione animica particolare, perché devono dormire di notte e vegliare di giorno. Dormono di meno quando si allungano le giornate, e di più quando si allungano le notti. Questi però sono fatti che consentono solo qualche vago paragone e non portano a idee chiare. Dobbiamo cercare qualcosa d’altro per avvicinare le condizioni del cosmo a quelle soggettive umane, e così ritrovare nell’interiorità umana i moti assoluti del cosmo.

 

Vorrei ora far notare qualcosa che si può facilmente rilevare allargando il proprio campo di osservazione: l’uomo si è emancipato dal dormire e dallo star sveglio, in relazione all’alternarsi del giorno e della notte, ma non può emanciparsi dalla propria postura. Anche coloro che fanno di notte quel che altri fanno di giorno e viceversa — anche fra noi vi sono di questi prodotti della civiltà! — tutti, per dormire, devono assumere una posizione che non è quella verticale della veglia. Devono portare la loro colonna vertebrale nella linea orizzontale che è la stessa degli animali. Proprio approfondendo questi problemi e ricordando, ad esempio, che alcuni malati non possono dormire in posizione orizzontale ma devono stare seduti, pure con queste eccezioni si vede la relazione tra sonno e posizione orizzontale. Proprio la presenza di eccezioni, di malattie più o meno evidenti, come ad esempio l’asma, rende evidente la regola in questo campo. Tenendo presenti tutti i fatti, possiamo dire che l’uomo per dormire deve lasciar scorrere la vita in un certo senso come gli animali. Osservando bene alcuni animali che non hanno la colonna vertebrale del tutto parallela alla superficie terrestre, se ne ha un’ulteriore conferma. Sono tutte indicazioni che do per qualcosa che dovrà diventare oggetto di studio della scienza, perché finora l’argomento non è stato esaurito. Ogni tanto qualcuno vi ha fatto qualche accenno, ma l’argomento non è stato esaurito, né sono state fatte le ricerche scientifiche necessarie.

 

Questo è un fatto, ma ce n’è un altro. Quella che di solito si chiama stanchezza è una serie complessa di fatti che possono presentarsi quando ci moviamo di nostra volontà. Per farlo, spostiamo il nostro baricentro in direzione parallela al suolo. Per così dire ci muoviamo su un piano che è parallelo alla superficie terrestre. Su di esso si svolge il processo che accompagna i nostri movimenti volontari, e in esso possiamo trovare molte cose fra loro connesse: da un lato il movimento parallelo alla superficie terrestre e il divenir stanchi; possiamo procedere e dire: dal movimento parallelo alla superficie terrestre, che produce come sintomo la stanchezza, deriva un processo di consumo del sistema del ricambio. Nel moto orizzontale vi è qualcosa che possiamo considerare come un processo interno dell’organismo umano.

Anzitutto risulta che l’uomo non può fare a meno di quel movimento, naturalmente con i fenomeni concomitanti del ricambio; non può farne assolutamente a meno per la sua stessa organizzazione. Per il portalettere è il suo stesso mestiere a farlo muovere in senso orizzontale; chi non è portalettere fa passeggiate. Il moto umano è importante sia per l’economia, quando ci si muove per lavoro, sia per le attività extra economiche come lo sport, il gioco e altre simili. I fatti fisiologici confluiscono con quelli economici. Parlo spesso di queste cose nella critica del concetto di lavoro e dico anche che non si può parlare di economia nazionale, se non si cerca la connessione tra scienza sociale e fisiologia. Per ora è importante seguire i processi paralleli: moto su una superfìcie orizzontale e un certo processo del ricambio.

 

Il processo del ricambio si svolge anche altrove: nell’alternarsi di sonno e veglia e anche nei movimenti volontari, nel qual caso è in pari tempo un processo esterno, prescindendo da tutto ciò che avviene nell’interno dell’uomo. Direi che allora succede qualcosa che non dipende solo dal limite dato dalla superficie esterna. Si ha una trasformazione di sostanze, ma tale che il ricambio avviene in certo modo nell’assoluto (naturalmente nell’assoluto “relativo”), tanto che non possiamo dire che ciò abbia un unico significato per l’organizzazione interna umana.

 

Comunque la stanchezza, che è la manifestazione sintomatica del movimento con il metabolismo del ricambio, si presenta anche alle fine di una giornata passata senza far nulla. Ciò significa che le stesse entità che agiscono nel movimento volontario operano anche nella vita quotidiana attraverso l’organizzazione interna. Il metabolismo si ha anche senza averlo voluto provocare, poiché interviene il processo della stanchezza. Ci mettiamo in posizione orizzontale per sollecitare il metabolismo, che però avviene anche senza la nostra azione volontaria, solo per il tempo che passa, se così posso esprimermi. Durante il sonno ci mettiamo in posizione orizzontale per lasciare che il nostro corpo esegua qualcosa che esso esegue anche durante i movimenti volontari. Da ciò si vede che la posizione orizzontale è qualcosa di importante: non è indifferente se noi assumiamo la posizione orizzontale, e noi dobbiamo assumerla se vogliamo che il nostro organismo svolga qualcosa senza che lo si faccia noi. Durante il sonno ci mettiamo in una posizione in cui avviene qualcosa nel nostro organismo che altrimenti avviene quando ci moviamo.

 

Nel nostro organismo avviene dunque un movimento che non produciamo volontariamente. Se osserviamo solo un poco i fatti, arriviamo al seguente risultato (tralascio i passaggi intermedi per mancanza di tempo). Il ricambio avviene a seguito di movimenti, e in questi ha importanza la trasformazione chimica e fisica che non è limitata dalla pelle; avviene in noi perché partecipiamo alla vita del cosmo, ma lo stesso ricambio si ha anche durante il sonno e ha grande importanza per l’organismo umano. Ciò che si trasforma durante il movimento, si trasforma anche durante il sonno; il risultato è però trasferito da una parte dell’organismo all’altra. Durante il sonno alimentiamo la testa. Compiamo, o meglio facciamo compiere dal nostro organismo un metabolismo interno; qui la pelle è una barriera, e il risultato finale di questo ricambio ha importanza per l’interno dell’organismo umano.

 

Possiamo dunque dire: ci moviamo volontariamente, e avviene un ricambio di sostanze; siamo mossi dal cosmo, e avviene un ricambio di sostanze. Quest’ultimo presenta un risultato che si manifesta nella testa, mentre il primo si svolge più all’esterno; ritorna su di sé, non va avanti, ma perché ritorni su di sé, perché si produca, dobbiamo metterci in posizione orizzontale. Dobbiamo dunque studiare le relazioni fra i processi che si svolgono quando l’organismo è in moto volontario e quelli che hanno luogo durante il sonno. A questo punto delle nostre considerazioni si vede quanto sia importante quel che dico in generale nelle conferenze antroposofìche, cioè che la nostra volontà è collegata al ricambio e che quest’ultimo ha con la vita dei pensieri una relazione analoga a quella del sonno con la veglia. Ripeto sempre che dormiamo di continuo, per quanto riguarda l’attuazione della volontà.

Ora abbiamo qui la determinazione esatta della cosa, abbiamo cioè che l’uomo si muove volontariamente sul piano orizzontale e in ciò agisce come nel sonno, dunque dorme nella volontà. Dormire e muoversi volontariamente stanno in questa relazione. Dormiamo in posizione orizzontale, con il risultato che ciò che nel mondo esterno rimane senza effetto a seguito del nostro movimento, viene accolto e ulteriormente elaborato dalla nostra organizzazione della testa.

 

Abbiamo dunque due ben distinti decorsi: dispersione dei processi del ricambio a seguito del movimento volontario, elaborazione interna del prodotto del ricambio nella testa durante il sonno. Se riferiamo tutto ciò all’animale, vediamo quanto sia importante riconoscere il fatto che l’animale vive soprattutto in posizione orizzontale.

 

Questa inversione del ricambio con la testa dev’essere organizzata in modo del tutto diverso nell’animale, e ciò significa che nell’animale il movimento volontario deve avere un significato totalmente diverso che nell’uomo. La scienza attuale non tiene abbastanza conto di tutto ciò; parla solo di quel che appare all’esterno e non considera che lo stesso processo esterno possa avere significati diversi in esseri diversi. Prescindendo ora da ogni aspetto religioso, dico solo: l’uomo muore, l’animale muore, e dal punto di vista psicologico non è necessariamente la stessa cosa. Chi crede che sia la stessa cosa e si regola di conseguenza per studiarla, fa come quello che trova un rasoio e dice che è un coltello, ovvero che ha la medesima funzione di un coltello, e quindi se ne serve per tagliare gli gnocchi. Rispetto a un caso così banale diciamo che nessuno agirebbe con tanta superficialità; se però non si sta attenti, cose simili accadono anche nelle ricerche più avanzate.

 

Osserviamo dunque che nei nostri movimenti volontari si ritrova il processo che si palesa in una linea che corre parallela alla superficie terrestre: siamo spinti in quella direzione. E su che cosa basiamo ciò? Su un processo che si presenta in noi da un lato come qualcosa che ci viene dato nel sonno, e dall’altro in forma attiva durante la veglia; abbiamo così la possibilità di influenzare l’altro stato. Possiamo allora considerare quel che avviene nel nostro organismo durante il sonno per effetto dello spazio cosmico come ciò che va definito, ciò che noi dobbiamo conoscere, mentre quel che facciamo esteriormente e che conosciamo per via della sua posizione lo possiamo considerare come il termine generico di ciò che va definito.

 

In una scienza reale si deve tendere a definire i fenomeni mediante altri fenomeni e non mediante concetti astratti. Naturalmente è necessario prima comprendere realmente i fenomeni, per poter definire gli uni mediante gli altri. A questo tende la scienza antroposofica dello spirito: arrivare a un reale fenomenismo, ovvero a spiegare i fenomeni mediante altri fenomeni, e non a fabbricare concetti astratti con i quali spiegare i fenomeni, né a presentare i fenomeni così come sono nella loro casuale condizione empirica, perché in tal caso possono stare gli uni accanto agli altri senza potersi spiegare gli uni con gli altri.

 

Da qui vorrei passare a qualcosa che mostrerà la portata di questa tendenza fenomenologica. Si può dire che oggi si abbia già una sovrabbondanza di materiale empirico tale da permetterci di arrivare ad adeguate idee. Quel che ci manca non è il materiale empirico, ma la possibilità di confronti e sintesi che ci diano modo di spiegare un fenomeno con l’altro. Occorre comprendere i fenomeni prima di spiegarli gli uni con gli altri. Si deve però avere la volontà di procedere come facciamo qui, sviluppando anzitutto la disposizione a conoscere il fenomeno realmente e a fondo. Oggi non si ha questa disposizione.

 

Di conseguenza nel nostro Istituto di ricerche non si continuano i vecchi indirizzi di sperimentazione, per i quali esiste materiale in abbondanza, né si studia la tecnica, ma si cercano le reali connessioni. Non si continuano gli esperimenti secondo le tendenze esistenti ma, come già dissi nel corso sul calore dell’inverno scorso, si fanno gli esperimenti secondo un ordine diverso. Non solo ci serviamo di strumenti che si possono comprare dagli ottici e simili, ma ne costruiamo altri da noi per poter fare esperimenti secondo un ordine diverso e poter presentare i fenomeni in modo tale che si spieghino l’uno con l’altro. Si deve lavorare alle basi.

 

Avremo così una profusione di elementi che ci potranno dare prospettive illuminanti. Gli elementi esistenti permettono già di fare molto, e gli scienziati attuali, pur nella loro unilateralità, sono molto abili nell’usarli. Occorrono però esperimenti di nuovo ordine, perché con i vecchi non si risolvono certe questioni. Dall’altro lato non si deve neppure continuare a speculare ciecamente sulla base dei risultati ottenuti con i vecchi esperimenti, ma i risultati sperimentali dovranno sempre di nuovo offrirci, per quanto possibile, il modo di riportarci ai fatti, ogni volta che ci se ne è allontanati. Appena si è giunti a un certo punto della ricerca, non dobbiamo escogitare teorie, ma saper trovare la possibilità di passare subito ad altra osservazione che diventi così una spiegazione. Altrimenti non si superano certi limiti, per altro momentanei, della scienza contemporanea. Ora cito un limite che è da tutti considerato superabile, ma che sarà in effetti superato solo passando ad altri tipi di ricerche. Parlo della costituzione del Sole.

 

Prima di tutto, da osservazioni molto accurate e coscienziose eseguite con tutti i mezzi disponibili, si è riconosciuto di dover distinguere nel centro del Sole qualcosa che però nessuno è in grado di spiegare. Semplicemente si parla del nucleo del Sole, anche se nessuno è in grado di dire che cosa sia, né ci si arrivi con i metodi attuali della ricerca. Non critico e non rimprovero; la situazione è ammessa da tutti. Il nucleo sarebbe circondato da fotosfera, atmosfera, cromosfera e corona. È appena ora possibile farsi qualche idea della fotosfera, e ci si può anche rappresentare l’atmosfera e la cromosfera. Mettiamo di voler studiare la comparsa delle macchie solari. Si nota che questi singolari fenomeni non si presentano del tutto a caso, ma secondo un ritmo di circa undici anni, fra un massimo e un minimo; le macchie vanno inoltre messe in relazione con processi estranei al nucleo. Si suppongono determinati fenomeni e si parla di esplosioni o fenomeni simili. Così si parte sempre da premesse ricavate da fenomeni terrestri. Né si può fare diversamente, se prima non si tenta di elaborare e allargare il campo dei concetti, come noi abbiamo fatto pensando curve che escono dallo spazio; se non si fa qualcosa per autoeducarsi. Altrimenti si continua a spiegare i fenomeni dei corpi extraterrestri mediante i fenomeni terrestri.

 

Secondo la mentalità attuale, che c’è di più logico dell’idea che i fenomeni del Sole siano analoghi a quelli della Terra, magari modificati? Così si creano però ostacoli relativamente insormontabili. La costituzione fisica del Sole non può essere spiegata con i rilievi fatti sulla Terra. Il punto è invece seguire in modo giusto i fenomeni risultanti dalle osservazioni in questo campo. Si dovrà accettare ciò che caratterizzo così: se abbiamo un certo rapporto esterno che è chiarito da una verità geometrica, diremo che quel che abbiamo così costruito con la geometria è chiarissimo, che la verità è quella. Quando ritroviamo quel che prima abbiamo costruito, ci sentiamo collegati alla verità esterna. La soddisfazione per questi risultati non deve però essere portata troppo avanti, perché può dare alla testa. Chi ne rimane vittima crede sempre che le teorie che ha formulate corrispondano ai fatti. Tuttavia c’è qualcosa di valido in tutto ciò.

 

Ora facciamo l’esperimento di rappresentarci un processo che sulla Terra decorra dal punto centrale verso l’esterno, ossia in direzione radiale. Pensiamo ad esempio a un’eruzione vulcanica o a una deformazione del suolo prodotta da un terremoto. Osserviamo dunque sulla Terra i processi che si svolgono secondo una linea che va dal centro all’esterno.

Ora, possiamo anche immaginare che il cosiddetto interno del Sole sia costituito in modo che i suoi fenomeni non avvengano dal centro verso l’esterno, ma decorrano dall’esterno verso l’interno, attraverso corona, cromosfera, atmosfera e fotosfera (fig. 2). Attraverso i quattro strati i processi tenderebbero verso il punto centrale nel quale si perderebbero, così come le manifestazioni della Terra che vanno verso l’esterno si perdono alla sua superficie.

 

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Fig. 2

 

In tal modo si ottiene un quadro d’insieme che permette di riunire i risultati empirici. In concreto si dirà: sulla Terra esistono condizioni per cui un’eruzione avviene dall’interno verso l’esterno, mentre sul Sole l’insieme delle cause fa sì che un fenomeno simile all’eruzione avvenga dall’esterno verso l’interno; così questi fenomeni si svolgono verso l’esterno, per la Terra, e si concentrano verso l’interno, per il Sole.

Occorre prima comprendere i fenomeni, compenetrarli, per poterli spiegare gli uni con gli altri. Si progredisce solo se ci si interessa in questo modo all’elemento qualitativo delle cose, se si cerca di trovare una sorta di matematica qualitativa.

 

Oggi vorrei far presente che proprio i matematici hanno la possibilità di trovare passaggi a una matematica qualitativa, a osservazioni qualitative. Tale possibilità si presenta molto netta ai nostri giorni semplicemente studiando la geometria analitica e confrontandola con la geometria sintetica, con l’interiore esperienza della geometria proiettiva. E solo un inizio, ma un inizio molto buono. Chi ha cominciato a studiare queste cose e si è reso conto che mai una linea ha due punti infinitamente lontani, uno da un lato e uno dall’altro, ma solo un punto lontano all’infinito, trova anche concetti più reali in questo campo e arriva a una matematica qualitativa; grazie alla quale non penserà più quel che appare polare come semplicemente opposto, ma lo penserà unidirezionato; per la qualità non ha la stessa direzione. I fenomeni di catodo e anodo non hanno lo stesso senso, ma dietro vi è dell’altro. Per comprendere la differenza c’è una via: non si deve pensare una linea reale con due punti finali. Una linea reale nella sua totalità va pensata con un solo punto finale, mentre l’altro, attraverso rapporti reali, deve continuare da qualche parte.

 

Teniamo ben presente la portata di questa esposizione che ci porta al fondo di molti enigmi della natura, enigmi che non potranno mai essere chiariti senza preparazione; senza di essa appunto il pensiero non compenetrerà mai i fenomeni.