Storia celeste. Storia mitologica. Storia terrena. Mistero del Golgota – Massime 140-143

Commento di Lucio Russo


 

Affronteremo stasera una nuova lettera, dal titolo: Storia celeste. Storia mitologica. Storia terrena.

Mistero del Golgota (4 gennaio 1925).

 

Due parole, prima di cominciare.

E’ senz’altro importante aver acquisito una coscienza “storica” o “storicistica”, ma sarebbe altrettanto importante realizzare che per ora è limitata.

Ho già fatto notare, ad esempio, che quando si scrive la biografia di qualcuno si tiene conto dei suoi soli periodi di veglia, quasi che lo svolgimento della vita fosse discreto ed escludesse il sonno e i sogni.

Ma non è così. La vita è un continuum, e non è raro che esperienze fatte durante la notte, vuoi nello stato d’incoscienza del sonno senza sogni, vuoi in quello della coscienza di sogno, determinino scelte diurne.

 

Io stesso posso dire che la mia vita è stata segnata da un sogno fatto nel 1971, poco prima dell’incontro con Massimo Scaligero (1); chi omettesse di considerarlo, non potrebbe comprenderla.

Ma proprio questo fanno quegli storici che, basandosi unicamente sui documenti o sulle testimonianze scritte, riescono tutt’al più a risalire alla cultura sumerica (grosso modo, al 4000 a.C.).

 

Prima della storia c’è stata però una preistoria:  • una “storia terrena” precedente l’uso della scrittura,

 • una “storia mitologica”  •  e una “storia celeste”.

 

(“Per la scienza dello spirito il più importante punto di connessione fra l’epoca storica e quella preistorica, dopo la cosiddetta catastrofe atlantica, è costituito da quella che viene abitualmente chiamata l’epoca glaciale, la più recente delle glaciazioni. In quell’epoca [circa 10.000 anni fa] si compì anche l’ultimo atto della sommersione del continente atlantico, che oggi forma il fondo dell’Oceano Atlantico” [2].)

Fatto sta che il divenire della storia, lo abbiamo detto, non è che il divenire dell’anima umana.

 

Sappiamo che, parlando

• di anima senziente (mitologica),  • di anima razionale-affettiva (filosofica)  • e di anima cosciente (scientifica),

parliamo di fasi evolutive della durata di circa 2160 anni ciascuna, così come sappiamo che

 • l’evoluzione dell’anima senziente è stata preceduta da quelle del corpo senziente (supporto dell’anima senziente),

 • del corpo eterico (supporto dell’anima razionale-affettiva)  •  e del corpo fisico (supporto dell’anima cosciente).

(Ricordiamo che per “corpo astrale” s’intende, come si spiega in Teosofia, l’insieme di “corpo senziente” e “anima senziente”.)

 

Sappiamo, insomma, che

 • prima dell’evoluzione “terrena” dell’anima, ossia di quella del rapporto mediato col mondo spirituale,

 • c’è stata l’evoluzione “celeste” (antico-saturnia, antico-solare e antico-lunare) del corpo,

ossia quella del rapporto immediato col mondo spirituale.

 

Cominciamo adesso a leggere.

 

 

Nel cosmo spaziale si stanno di fronte le immensità del firmamento e il centro della terra.

Nelle immensità del firmamento sono in certo modo “disseminate” le stelle.

Dal centro della terra irradiano forze in ogni direzione dello spazio cosmico.

Dato il modo in cui l’uomo, nella presente epoca cosmica, è situato nel mondo,

il risplendere delle stelle e l’azione delle forze terrestri possono apparirgli soltanto quale opera compiuta complessiva

degli esseri divino-spirituali con i quali è collegato nella sua interiorità” (p. 146).

 

 

Abbiamo visto, a suo tempo, che dire opera compiuta significa dire “cosa divenuta o fatta”.

Pensate ad esempio al Buddha. Sappiamo, grazie alle rivelazioni di Steiner, che attualmente vive e opera nel mondo spirituale, al servizio del Cristo. Ebbene, chi ne è vero discepolo? Chi segue il suo antico insegnamento (ch’è opera compiuta), o chi segue quello che impartisce oggi dalla sfera di Marte? Si può dunque tradire il Buddha vivente seguendo il Buddha storico, mentre gli si può rimanere fedeli seguendo il Cristo vivente.

 

Dice Steiner che quella che abbiamo di fronte, quale opera compiuta, è ciò che gli esseri divino-spirituali hanno creato.

E dove sono adesso tali creatori? Sono nel creato, o altrove? E se sono altrove, che cosa stanno facendo?

 

 

Ma vi fu un’epoca cosmica in cui il risplendere delle stelle e le forze terrestri

erano ancora immediata manifestazione spirituale degli esseri divino-spirituali.

Nella sua ottusa coscienza, l’uomo sentiva gli esseri divino-spirituali attivi nella sua entità.

Seguì poi un’altra epoca. Il firmamento si staccò, quale ente corporeo, dall’azione divino-spirituale.

Ne nacque ciò che si può chiamare spirito del mondo e corpo del mondo.

Lo spirito del mondo è una pluralità di entità divino-spirituali.

Nell’epoca più antica esse agiscono sulla terra dalle loro sedi stellari.

Ciò che risplendeva negli spazi, ciò che irradiava come forze dal centro della terra,

era in realtà intelligenza e volontà delle entità divino-spirituali intente a creare la terra e l’umanità terrestre” (p. 146).

 

 

Dobbiamo ricordare quanto abbiamo detto a commento della lettera, intitolata: Le esperienze e le vicende di Michele durante il compimento della sua missione cosmica (26 ottobre 1924).

• L’”epoca cosmica in cui il risplendere delle stelle e le forze terrestri erano ancora immediata manifestazione spirituale degli esseri divino-spirituali”, è quella in cui l’Entità divino-spirituale (l’essere di Hegel) era ancora nella sua manifestazione (nell’essenza, sempre di Hegel), mentre l’epoca seguente è quella in cui la prima si divide dalla seconda.

Dissi allora, riprendendo le parole di Steiner, che

l’Entità divina, nel corso di questa seconda epoca, depone od oggettiva la manifestazione divina,

distaccandosene e percorrendo “dietro” di essa “il periodo successivo della sua propria evoluzione”.

 

 

Nell’epoca cosmica posteriore – dopo l’evoluzione di Saturno e del Sole – l’attività dell’intelligenza

e della volontà degli esseri divino-spirituali diventò sempre più spiritualmente interiore.

Ciò in cui esse erano in origine attivamente presenti diventò “corpo del mondo”,

ordinamento armonico delle stelle negli spazi universali.

Possiamo dire, guardando indietro a queste cose con una concezione del mondo conforme allo spirito:

dal primordiale corpo-spirito degli esseri creatori dei mondi, nacquero lo spirito del mondo e il corpo del mondo.

E il corpo del mondo, nell’ordinamento e nel movimento delle stelle,

palesa quale fosse un tempo l’azione intelligente e volitiva degli dèi.

Ma per il presente cosmico, ciò che prima erano libera e mobile intelligenza divina e volontà divina nelle stelle,

in esse divenne fisso, secondo date leggi” (pp. 146-147).

 

 

Fate attenzione: l’“epoca cosmica posteriore” di cui qui si parla

• è quella costituita dall’evoluzione antico-lunare e da quella terrestre

che per l’appunto “seguì” quella costituita dall’evoluzione antico-saturnia e da quella antico-solare.

 

E’ in quest’”epoca cosmica posteriore”

che l’unità primordiale (“corpo-spirito”) si scinde, generando un dualismo,

e che si viene di conseguenza a creare una “soglia”

• tra l’animico-spirituale del mondo, che s’interiorizza,  • e il “corpo” del mondo, che si esteriorizza.

 

Al di sopra di tale soglia, si hanno dunque

le realtà dell’antico-Saturno (dell’Entità divino-spirituale) e dell’antico-Sole (della manifestazione);

al di sotto, si hanno invece quelle dell’antica-Luna (dell’effetto operante) e della Terra (dell’opera compiuta).

 

Ma che cosa nasce insieme all’opera compiuta? Non è difficile: la necessità.

• Un tempo si dava infatti l’imprevedibile e incalcolabile libertà delle entità creatrici (Spiritus ubi vult spirat),

• mentre adesso, nell’opera compiuta, si dà la prevedibile e calcolabile necessità del creato (delle leggi che lo governano),

che “palesa quale fosse un tempo l’azione intelligente e volitiva degli dèi”.

 

 

Dunque ciò che dai mondi stellari risplende oggi sull’uomo terrestre non è espressione immediata della volontà divina,

dell’intelligenza divina; è invece un segno fissato di ciò che volontà e intelligenza divine furono un tempo nelle stelle.

Nella conformazione dei cieli stellati, che suscita l’ammirazione dell’anima umana, è dunque visibile

una manifestazione divina passata, non già la manifestazione presente.

Ma quello che così, nello splendore delle stelle, è “passato”, è invece “presente” nel mondo dello spirito.

E l’uomo, col suo essere, vive in questo “presente” spirito del mondo” (p. 147).

 

 

Poco fa, ci siamo domandati:

“Dove sono adesso i creatori? Sono nel creato, o altrove? E se sono altrove, che cosa stanno facendo?”

Ed ecco qui la risposta: “Quello che così, nello splendore delle stelle, è “passato”, è invece “presente”

nel mondo dello spirito. E l’uomo, col suo essere, vive in questo “presente” spirito del mondo”.

 

• Com’è pertanto possibile, osservando il creato (la natura in noi e fuori di noi)

ritrovare il Dio-Padre creatore (ex Deo nascimur),

• così è possibile, osservando l’uomo (il suo animico-spirituale) ritrovare,

• sia il Dio-Figlio, in cui il creato (l’opera compiuta) muore (in Christo morimur),

• sia il Dio-Spirito Santo, in cui il creato viene ri-creato (per Spiritum Sanctum reviviscimus).

 

L’“ottavo giorno” della creazione, è dunque il “giorno” dell’uomo.

(Scrive Paolo: “La creazione attende con gran desiderio la glorificazione dei figli di Dio. La creazione infatti, è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria inclinazione, ma per volontà di Colui che ve l’ha assoggettata, con la speranza che la creazione stessa un giorno sarà liberata dalla servitù della corruzione, per aver parte alla libertà della gloria dei figli di Dio” – Rm 8, 18-21.)

 

 

Nella formazione dell’universo dobbiamo guardare indietro a un’epoca cosmica antica,

in cui lo spirito del mondo e il corpo del mondo operano come un’unità.

Dobbiamo guardare ad un’epoca di mezzo, in cui essi si svolgono come dualità.

E dobbiamo pensare, nell’avvenire, ad una terza epoca, in cui lo spirito del mondo

riprenderà il corpo del mondo nell’àmbito della propria azione.

Durante l’epoca antica le costellazioni e il corso delle stelle non avrebbero potuto venir “calcolati”,

poiché erano espressione dell’intelligenza libera, della libera volontà di esseri divino-spirituali.

In avvenire saranno nuovamente tali da non poter essere calcolati” (pp. 147-148).

 

 

L’idea che, un giorno, “le costellazioni e il corso delle stelle” saranno “nuovamente tali da non poter essere calcolati”, potrebbe rallegrare gli isterici e intimorire i nevrastenici.

Quel giorno, però, non ci saranno più né isterici né nevrastenici, ma ci saranno solo degli spiriti autocoscienti, liberi e creatori.

 

Ha detto Jung che “gli Dèi sono diventati malattie”; per far sì che tornino a essere “salute”, dobbiamo trovare dunque il coraggio di porre fine, come dice Hillman, alla nostra “vana fuga dagli Dèi” (3), riconoscendo la loro piena e viva realtà spirituale, dal momento che la psicologistica “ricerca degli Dèi” di Jung e di Hillman non è meno “vana” della “fuga” dei materialisti.

 

Teniamo presenti, al riguardo, queste due importanti affermazioni di Steiner:

1) “Se l’uomo non stabilisce nella sua anima un rapporto cosciente col mondo divino, tale rapporto si stabilisce nel suo inconscio, anche se nulla egli ne sa”;

2) non si tratta di andare alla “ricerca di ricordi vaganti”, ma “di vedere come il paziente sia in connessione con un vero mondo obiettivo di processi spirituali che egli registra soltanto in modo abnorme” [4].

 

L’ordinaria coscienza rappresentativa

si sente ad esempio sicura (“in salute”) solo quando sta con i piedi per terra,

• mentre la coscienza immaginativa ci chiede d’imparare a camminare sulle acque,

e di conquistare, così, una nuova e più profonda sicurezza.

 

Ricordate queste parole di Hegel? “Alla coscienza sembra come se, col toglierle il modo della rappresentazione, le sia tolto il terreno, che era suo fermo e abituale sostegno. Quando è trasportata nella pura regione dei concetti, non sa più in qual mondo si sia” (massima 34).

 

 

Il “calcolo” ha valore soltanto per l’epoca cosmica di mezzo” (p. 148).

 

 

Chissà, talvolta mi domando, se non è per questo che abbiamo inventato i computer, ossia i “calcolatori”? Non sarà che stiamo inconsciamente delegando a queste macchine quella parte dell’attività intellettuale di cui non avremo più bisogno quando avremo sviluppato i gradi di coscienza superiori?

Non insegna infatti La scienza occulta che gli animali, le piante e i minerali che oggi ci circondano sono stati espulsi dall’uomo?

 

Ricordo che Scaligero mi consigliò, tra gli altri, un libro di Herbert Fritsche dedicato all’uomo e intitolato appunto: Il primogenito (5).

Non credo sia quindi azzardato ipotizzare che in futuro, agli animali, alle piante e ai minerali, possano aggiungersi degli esseri (sub-naturali) delegati (dall’uomo) a far di conto o a pensare in modo combinatorio o meccanico.

 

 

E come per le costellazioni e il corso delle stelle,

ciò vale anche per l’attività delle forze irraggianti dal centro della terra negli spazi.

Anche quello che agisce “dalle profondità” diventa calcolabile. Ma tutto tende, nell’epoca cosmica più antica,

verso quella di mezzo nella quale ciò che è spaziale e temporale diventa “calcolabile”,

e il divino-spirituale, come manifestazione di intelligenza e di volontà, deve venir cercato “dietro” al “calcolabile”” (p. 148).

 

 

Eccoci di nuovo al cospetto della “soglia” che divide

• la sfera superiore animico-spirituale (dell’essere)    • dalla sfera inferiore eterico-fisica (dell’esistere).

Quest’ultima la definiamo “spazio-temporale”, ma è più spaziale (opera compiuta) che temporale (effetto operante),

dal momento che il tempo ci limitiamo a calcolarlo o misurarlo, spazializzandolo.

Non conosciamo infatti il tempo, ma solo la sua manifestazione quale successione di eventi nello spazio.

 

 

Soltanto in quest’epoca di mezzo sono date le condizioni in cui l’umanità può progredire da una coscienza ottusa

ad un’autocoscienza chiara e libera, ad una libera intelligenza e ad una libera volontà sue proprie” (p. 148).

 

 

Per tutto il tempo in cui l’animico-spirituale e l’eterico-fisico sono stati uniti, non si sono dati né un “oggetto” da osservare né un “soggetto” osservatore.

• “Le condizioni in cui l’umanità può progredire da una coscienza ottusa ad un’autocoscienza chiara e libera, ad una libera intelligenza e ad una libera volontà sue proprie” si sono venute a creare soltanto quando l’animico-spirituale si è diviso dall’eterico-fisico, rendendolo in tal modo oggetto della propria osservazione.

 

Osservando e pensando l’eterico-fisico,

l’animico-spirituale non fa però che osservare e pensare il proprio passato o la propria storia.

Di che cosa ci parla infatti l’eterico-fisico?

Dello spirito che è stato, e non di quello che è, poiché è lo spirito che è a conoscere quello che è stato.

 

Ripensiamo alla res extensa e alla res cogitans di Cartesio.

Che fa la res cogitans? E’ ovvio: cogita la res extensa.

Se fosse tutt’una con questa, se non l’avesse cioè di fronte a sé quale oggetto, non potrebbe osservarla né pensarla.

 

Afferma Solov’ëv: “Nella conoscenza filosofica, l’idealità o libertà di coscienza si manifesta in quanto tale; in essa si riconosce allora che il soggetto che conosce il processo naturale dell’evoluzione universale è proprio lo stesso soggetto che ha portato a compimento questo processo, egli conosce soltanto qui la propria attività come oggettività (sub specie objecti)” (6).

 

 

Doveva una volta venire il tempo in cui Copernico e Keplero “calcolassero” il corpo del mondo,

perché dalle forze cosmiche che sono connesse col realizzarsi di quel momento doveva formarsi l’autocoscienza umana.

In tempi più antichi tale autocoscienza era stata predisposta;

poi venne il tempo in cui essa divenne capace di “calcolare” gli spazi cosmici” (p. 148).

 

 

Come si vede, scopo ultimo del processo di caduta e di “oggettivazione” (Solov’ëv)

è il raggiungimento dell’autocoscienza, cioè di un Io che sia cosciente di sé quale Io (individuale).

 

• “La vicenda umana – scrive Scaligero – si svolse da allora secondo una continua perdita di livello, rispetto alla condizione primordiale. Da allora l’unico valore di cui è legittimo parlare è il sorgere di un Io consapevole di sé, non mediante gli esaurentesi impulsi tradizionali, bensì mediante pensiero ed esperienza esigenti il sovrasensibile come attività individuale rivolta al sensibile” (7).

 

 

Sulla terra si svolge la “storia”.  Ad essa non si sarebbe mai giunti

se gli spazi dell’universo non fossero diventati costellazioni “stabili” e corsi “fissi” di stelle” (p. 148).

 

 

La storia (ch’è in primo luogo, lo abbiamo detto e ripetuto, storia dell’anima) è una creazione umana,

e non c’è nulla di più terribile del modo in cui viene di solito insegnata: come una mera successione di date e di fatti.

 

Sappiamo invece che i fatti, dal punto di vista della scienza dello spirito, sono sintomi

(ricordate, ce ne siamo occupati anni fa, Lo studio dei sintomi storici?) (8),

e che questi sono tanto più importanti quanto più rivelano o svelano ciò che agisce nel profondo.

E che cosa agisce nel profondo?

La realtà degli impulsi che sgorgano dallo spirito e sfociano nelle anime umane.

 

Detto questo, domandiamoci: disponiamo oggi di una cultura che ci dia modo di scendere nel profondo, e di risalire così, come fanno i medici, dai sintomi alla malattia?

Purtroppo no. La cultura attuale, l’ho detto, è superficiale e vanesia.

Osservava già Nietzsche: • “Noi siamo senza cultura, ancor più, noi siamo guastati rispetto alla vita, al giusto e semplice vedere e udire, al felice cogliere ciò che è prossimo e naturale, e finora non abbiamo ancora neanche il fondamento di una cultura, perché noi stessi non siamo convinti di avere in noi una vita verace” (9).

 

Con pazienza, umiltà e amore, ma anche con quella stessa ansia e con quello stesso dolore che prova, come abbiamo visto, Michele, dobbiamo quindi portare avanti la nostra battaglia, cominciando col realizzare, come dice ancora Nietzsche, “che la cultura può essere ancora qualcosa d’altro che decorazione della vita, cioè in fondo unicamente dissimulazione e velame, poiché ogni ornamento nasconde la cosa ornata” (10).

Questo, piaccia o meno, è l’impegno più urgente, e non è perciò il caso di sprecare altrimenti le nostre energie (né di sottoporre l’ego a un lifting proponendogli al posto di un nuovo e vivo pensare, una pletora di pensati “un sacco belli”).

 

Pensate a quanto è successo nel Novecento, e a quanto ancora succede, per il fatto che la cultura, essendosi inaridita, disseccata e involgarita, non ci fornisce mezzi atti ad accogliere, consapevolmente, nuove immaginazioni, ispirazioni e intuizioni.

Avrete senz’altro notato che tutto si va facendo sempre più piccolo e meschino o, in una parola, “minimalista” (diceva Karl Kraus: “Quando il sole della cultura è basso sull’orizzonte, anche i nani gettano lunghe ombre”).

 

Ricordate che cosa dissi di Arimane? Ch’è per l’appunto un “micromane”, un essere che rimpicciolisce l’anima, che la rende povera, meschina o egoistica (il termine sanscrito mahatma significa, di contro, “grande anima”, in un senso ben più elevato e profondo del nostro “magnanimo” o “longanime”).

E come fa a rimpicciolirla? E’ semplice: portandola a identificarsi col corpo (fisico), e quindi con uno spazio limitato o finito.

Una volta costretta l’anima, vasta per sua natura quanto il cosmo, nella camicia di forza del corpo, Arimane trasforma la sofferenza (cronica) che le deriva da tale prigionia in avversione, rabbia e odio.

 

Dice Steiner: • “Sulla terra si svolge la “storia”.

Ad essa non si sarebbe mai giunti

se gli spazi dell’universo non fossero diventati costellazioni “stabili” e corsi “fissi” di stelle”.

 

Se questo non si fosse verificato, la storia dell’uomo sarebbe stata la storia del cosmo, la storia del cosmo sarebbe stata la storia dell’uomo, e sarebbe stato allora impossibile distinguere il cosmo, che, in quanto fissato, non ha più storia, dall’uomo, che crea invece la propria storia, per potersi riunire un giorno al cosmo, riportandolo in vita.

 

 

Nel “divenire storico” sulla terra

abbiamo un’immagine – ma assolutamente trasformata – di ciò che un tempo fu “storia celeste”.

I popoli più antichi conservavano ancora nella loro coscienza questa “storia celeste”

e guardavano assai più a questa che alla “storia terrena”.

Nella “storia terrena” vivono intelligenza e volontà degli uomini,

dapprima connesse con l’intelligenza e la volontà divine, poi indipendenti.

Nella “storia celeste” vivevano l’intelligenza e la volontà degli esseri divino-spirituali connessi con l’umanità.

Se si guarda indietro alla vita spirituale dei popoli, si trova che, in un remotissimo passato, esisteva negli uomini

la coscienza di una comunanza di essere e di volere con le entità divino-spirituali; sicché la storia degli uomini è storia celeste.

Quando l’uomo narrava delle “origini”, egli parlava di processi non terreni, ma cosmici.

Anzi, anche per il suo presente, i fatti del mondo terreno che lo circondavano gli apparivano così poco importanti,

in confronto ai processi cosmici, che egli teneva conto soltanto di questi e non di quelli.

Vi fu un tempo in cui l’umanità aveva una coscienza con la quale poteva contemplare la storia celeste in grandiose impressioni;

in esse gli esseri divino-spirituali stessi stavano davanti all’anima dell’uomo.

Essi parlavano; e l’uomo ne udiva il linguaggio in un’ispirazione di sogno;

essi rivelavano le loro figure; e l’uomo le vedeva in un’immagine di sogno” (pp. 148-149).

 

 

Ascoltate quanto scrive Graziano Arrighetti nella sua introduzione alla Teogonia di Esiodo: • “L’interesse della Teogonia nei confronti dell’uomo sembra assai scarso (…) come uno degli oggetti su cui si esercitano varie competenze divine compare anche l’uomo, considerato a seconda delle sue attività oppure a seconda degli atti che compie e dei differenti momenti della sua vita (…) l’uomo nella Teogonia è troppo assorbito nel mondo divino, e il suo esistere non è in genere sufficientemente autonomo da quello” (11).

Non è questa una testimonianza del fatto che “quando l’uomo narrava delle “origini”, egli parlava di processi non terreni, ma cosmici”?

Non dimentichiamo che tali processi li abbiamo sperimentati anche noi, giacché siamo stati sempre presenti (“Padre che fosti, che sei, e sarai nella nostra più intima essenza”): a prescindere dalle previe evoluzioni del corpo fisico, del corpo eterico e del corpo senziente, siamo stati presenti l’altro ieri, nel corso dell’evoluzione dell’anima senziente, lo siamo stati ieri, nel corso dell’evoluzione dell’anima razionale-affettiva, e lo siamo oggi, nel corso dell’evoluzione dell’anima cosciente.

 

Si potrebbe anche dire, volendo, che

• quella “celeste” è la storia del corpo fisico, del corpo eterico e del corpo senziente:

cioè la storia dei corpi, e non ancora dell’anima.

• Quando comincia infatti la storia dell’anima? Quando si passa

• dall’evoluzione del corpo senziente a quella dell’anima senziente, e quindi dalla storia “celeste” a quella “mitologica”.

 

• E’ dunque con l’evoluzione dell’anima senziente che comincia l’evoluzione della coscienza:

della coscienza appunto “senziente” o “mitologica”, che si differenzia a seconda dei popoli.

• Una stessa entità spirituale (o una stessa pluralità di entità) può infatti presentarsi a un popolo in una forma

e a un altro popolo in un’altra, poiché lo specchio (immaginativo) in cui si riflette non è il medesimo.

 

Dice Steiner: gli esseri divino-spirituali“parlavano; e l’uomo ne udiva il linguaggio in un’ispirazione di sogno; essi rivelavano le loro figure; e l’uomo le vedeva in un’immagine di sogno”.

Vedete: “in un’ispirazione di sogno” (astrale) che si traduceva “in un’immagine di sogno” (eterica), e per ciò stesso in un’immagine mitologica o mitica.

 

 

Questa storia celeste, che per lunghe epoche riempì le anime umane, fu seguita dalla “storia mitica” che oggi è in genere ritenuta poesia antica. Essa collega eventi celesti con eventi terreni [giacché sta in mezzo, tra la storia “celeste” e quella “terrena”]. Vi compaiono per esempio degli “eroi”, degli esseri sovrumani. Sono esseri che nella loro evoluzione stanno al di sopra dell’uomo. Gli uomini, per esempio in una data epoca, hanno sviluppato le parti costitutive del loro essere soltanto fino all’anima senziente. L’”eroe” ha invece già sviluppato quello che un giorno apparirà nell’uomo come sé spirituale. L’”eroe” non può incarnarsi direttamente nelle condizioni terrestri; ma lo può immergendosi nel corpo di un uomo e rendendosi così atto a svolgere la sua attività come uomo fra gli uomini. Negli “iniziati” dei tempi antichi dobbiamo vedere esseri siffatti.

I fatti del divenire del mondo si svolgono dunque in modo che nelle diverse epoche l’umanità non si è “rappresentata” gli eventi in una data maniera, ma che realmente è avvenuta una trasformazione in ciò che si svolgeva tra il mondo spirituale che era “incalcolabile” ed il mondo corporeo “calcolabile”. Solo che, molto tempo dopo che le condizioni del mondo si erano già mutate, la coscienza umana dell’uno o dell’altro popolo si atteneva ancora ad una “concezione del mondo” corrispondente ad una realtà molto più antica. In un primo tempo questo si verifica in modo che la coscienza umana, la quale non va di pari passo con gli eventi cosmici, vede ancora realmente l’antico. Poi segue un’epoca in cui la veggenza impallidisce, e l’antico viene ancora conservato per tradizione” (pp. 149-150).

 

Ascoltate quanto dice Erodoto: • “Furono gli Egiziani, essi dicevano, che usarono per primi i nomi caratteristici dei dodici dèi e da loro li appresero i Greci; i primi che assegnarono agli dèi altari, statue, templi; i primi che scolpirono figure d’animali nelle pietre; e per lo più, mi davano con i fatti la prova che così era avvenuto. Mi dicevano pure che il primo re d’Egitto, che fosse uomo, era stato Mina [Menes], e che ai suoi tempi tutto l’Egitto, eccetto la regione di Tebe, era una palude e nulla emergeva da quei territori che ora sono a valle del lago Meri, al quale si giunge dal mare, risalendo la corrente del fiume, con sette giorni di navigazione” (12).

Vedete, “il primo re d’Egitto, che fosse uomo, era stato Mina”, proprio perché prima di lui avevano regnato gli Dèi, i Semidèi e gli Eroi.

 

Spiega Ernst Uehli: • “Risalendo nel passato, vediamo che il periodo storico dell’umanità va a perdersi in quello mitologico e viceversa, quest’ultimo sfocia nel primo. Primo compito dello storico è quello di determinare dove il periodo storico s’inizia. C’è però, naturalmente, un momento di transizione che contiene gli elementi e dell’uno e dell’altro periodo. Tale momento storico è il campo della leggenda. La leggenda scende molto addentro nel periodo storico. Il mito descrive soprattutto le condizioni del mondo fino ai primordi. La leggenda narra invece le grandi gesta compiute dagli eroi. Nel mito, al centro dell’azione, stanno il Dio e il Semidio; nella leggenda sta al centro l’Eroe (…) Poi, a misura che l’uomo diventa storico, scompaiono anche gli eroi, e in seno all’umanità divenuta storica sorge un tipo nuovo: l’uomo spiritualizzato il quale, come l’eroe chiudeva l’umanità verso il passato, la riapre verso l’avvenire” (13).

 

Dice Steiner: • “molto tempo dopo che le condizioni del mondo si erano già mutate, la coscienza umana dell’uno o dell’altro popolo si atteneva ancora ad una “concezione del mondo” corrispondente ad una realtà molto più antica. In un primo tempo questo si verifica in modo che la coscienza umana, la quale non va di pari passo con gli eventi cosmici, vede ancora realmente l’antico. Poi segue un’epoca in cui la veggenza impallidisce, e l’antico viene ancora conservato per tradizione”.

 

Ecco come nasce la Tradizione: ossia quella sapienza (trasmessa prima oralmente e poi mediante la scrittura) che, avendo occhi solo per il passato, è cieca nei confronti del presente e del futuro.

Intendiamoci, la Tradizione va riscoperta e rivalutata, ma può davvero riscoprirla e rivalutarla solo chi disponga di quella forza viva dello spirito che la tradizione non veicola più (“Tradizione – ha detto Gustav Mahler – significa custodire il fuoco, non adorare le ceneri”).

 

Per poter riscoprire il valore spirituale del passato, bisogna dunque scoprire lo spirito del presente (che solo può illuminarlo). Non si tratta, ad esempio, di basarsi sull’autorità delle Sacre Scritture, ma di riscoprire, alla luce dello spirito che vive oggi in noi (del “sovrasensibile – dice Scaligero – come attività individuale rivolta al sensibile”), la loro profondità, la loro saggezza e la loro sacralità.

Ove ciò non avvenga, è inevitabile che la Tradizione si formalizzi e si irrigidisca, finendo così col diventare dogmatica e intollerante.

Pensate ad esempio al “modernismo”: cioè a dire, a quella corrente del Cattolicesimo, principalmente rappresentata (in Italia) da Ernesto Bonaiuti (1881-1946), che fu condannata prima dal Sant’Uffizio e poi da Pio X con l’enciclica Pascendi Dominici Gregis (1907).

(A Ernesto Buonaiuti, direttore della collezione “Vitai Lampas” delle Edizioni di Religio, si deve la pubblicazione, nel 1939, del ciclo di conferenze di Rudolf Steiner, intitolato: Antroposofia–Psicosofia–Pneumatosofia.)

 

Ascoltate, in proposito, quanto scrive Luigi Paggiaro: • “Nient’altro, in fondo, ha voluto dichiarare in sugli inizi questo movimento, che si era detto cattolico, se non la urgenza di ravvivare la Chiesa e il suo insegnamento mettendolo a contatto con la scienza moderna allo scopo, cioè, che il Cristianesimo si risentisse capace, come lo era stato alle sue origini, di comprendere, di amare, e di salvare nuovamente il mondo. Il quale, bene o male, a ragione o a torto, senza una dichiarata intenzione, aveva camminato e si era, perciò, svolto, fuori dal binario religioso, indipendentemente dalla tradizione teologica e dalla dogmatica della Chiesa” (14).

 

Giovanni Semeria (1867-1931), altro noto modernista, sottolineava il fatto che la Chiesa, sempre tollerante riguardo ai peccati della carne, è stata di contro sempre intollerante riguardo a quelli (giudicati da essa) del pensiero.

Ci sono i tradizionalisti cattolici, ma ci sono anche quelli non cattolici. Julius Evola, ad esempio, è stato un tradizionalista “pagano”, vagheggiante la restaurazione del Sacro Romano Impero, mentre René Guenon ha sposato il Sufismo ed è diventato islamico.

Significativo, tuttavia, è che la libera ricerca spirituale (nel nome dello Spirito Santo) venga condannata sia dagli uni che dagli altri: i tradizionalisti cattolici la tacciano di “eresia”, in quanto, come usano dire, religione “fai da te”; i tradizionalisti esoterici la tacciano invece di “autoiniziazione”, in quanto iniziazione “fai da te”, e non quindi sancita e certificata da una qualche autorevole “Loggia”.

Sia i primi che i secondi non si rendono dunque conto, come osserva Scaligero, che l’intelletto con cui pensano la Tradizione non è tradizionale, bensì modernissimo, e ch’è solo muovendo da questo modernissimo pensare e risalendone il movimento che si può oggi ritrovare lo spirito vivente.

 

 

(…) E nel mondo terreno i popoli si evolvono

in modo da conservare per periodi di varia durata l’una o l’altra concezione del mondo;

coesistono così l’una accanto all’altra delle concezioni del mondo che, secondo la loro natura, sarebbero susseguenti.

Tuttavia le diverse concezioni del mondo dei popoli non dipendono solo da questo,

ma anche dal fatto che, a seconda delle loro disposizioni, i diversi popoli vedevano fatti diversi” (p. 150).

 

 

Non è forse questa la tomba del cosiddetto “relativismo culturale”?

Facciamo un banale esempio, servendoci, per comodità, delle famose fasi evolutive della libido, così come le ha indicate Freud, che ha distinto una fase “orale”, una fase “anale” e una “genitale”.

Nello spazio tali fasi possono coesistere (orizzontalmente), così che un individuo (popolo), che so, “orale” può vivere (a pieno diritto) accanto a un altro individuo (popolo) magari “genitale”. Nel tempo emerge però (verticalmente) la diversità dei loro livelli evolutivi (che dovrebbe comportare il dovere, da parte del più evoluto, di porsi al servizio del meno evoluto, come indicato dall’evangelica “lavanda dei piedi”).

Ma quale “scherzo” fa l’ordinaria coscienza spaziale e quantitativa? Pretende che la coesistenza spaziale offuschi o cancelli ogni differenza qualitativa e, soprattutto, gerarchica.

 

Dice Steiner che • “le diverse concezioni del mondo dei popoli” dipendono “anche dal fatto che, a seconda delle loro disposizioni, i diversi popoli vedevano fatti diversi”.

 

Abbiamo infatti detto, poc’anzi, che una stessa entità spirituale (o una stessa pluralità di entità) può presentarsi in un popolo in una forma e in un altro popolo in un’altra, perché lo specchio (immaginativo) in cui si riflette non è lo stesso.

Sappiamo, infatti, che l’intuizione e l’ispirazione stanno al di sopra della soglia, mentre l’immaginazione e la rappresentazione ne stanno al di sotto: cioè al livello della natura, e quindi di una realtà karmicamente signata.

E’ per questo, dunque, che una stessa entità (o una stessa pluralità di entità), riflessa nello specchio A, prende la forma A, riflessa nello specchio B, prende la forma B.

(Chi volesse farsi un’idea delle possibili variazioni di uno stesso “tema archetipico” consulti: L’eroe dai mille volti di Joseph Campbell [15] o il Trattato di storia delle religioni di Mircea Eliade [16].)

 

 

(…) All’antica “storia celeste” propriamente detta, che durò un lunghissimo periodo di tempo, segue la “storia mitologica”,

più breve, ma tuttavia ben lunga in confronto alla “storia” vera e propria che le tenne dietro.

Come ho già detto, gli uomini abbandonano a fatica nella loro coscienza le concezioni antiche nelle cui rappresentazioni

gli dèi e gli uomini collaborano insieme. – Così, mentre già da un pezzo esiste la vera e propria “storia terrena”

– dallo sviluppo dell’anima razionale o affettiva in poi – l’uomo tuttavia “pensa” alla stregua di ciò che è stato.

Solo quando si sviluppano i primi germi dell’anima cosciente, si comincia a rivolgere lo sguardo alla “storia vera e propria”.

E in ciò che, staccato dal divino-spirituale, quale spiritualità umana diviene “storia”,

può venir sperimentata dall’uomo la libera intelligenza e la libera volontà” (pp. 150-151).

 

 

Pensate, ad esempio, a La scienza nuova (17) di Giambattista Vico (1668-1744). Qual è questa “scienza nuova”?

E’ per l’appunto la “storia”, quale creazione dell’uomo (e, attraverso l’uomo, della terza Gerarchia), e non della natura.

 

Certo, Vico dice:

“La verità è nello stesso fare” (“Verum ipsum factum”),

• mentre noi, guardando alla seconda fase di sviluppo dell’anima cosciente (quella scientifico-spirituale)

e memori dell’insegnamento de La filosofia della libertà, dovremmo dire:

“La verità è nello stesso pensare da cui discende il fare”.

 

• Quanti si rivolgono alla natura si rivolgono dunque alla necessità, cioè all’opera compiuta

o, al massimo (come nel caso di Goethe), all’effetto operante,

• mentre quanti si rivolgono alla storia si rivolgono, o dovrebbero rivolgersi, all’animico-spirituale:

laddove operano, cioè, “la libera intelligenza e la libera volontà” dell’uomo.

 

 

Così il divenire del mondo, in cui l’uomo è intessuto, trascorre

tra ciò che è pienamente “calcolabile” e l’azione della libera intelligenza e della libera volontà.

E il divenire del mondo si manifesta in tutte le sfumature intermedie della reciproca azione delle due correnti” (p. 151).

 

 

• La “reciproca azione” del “calcolabile” e dell’”incalcolabile” potrebbe essere messa in rapporto

• con quella della “tecnica morale” e della “fantasia morale”, di cui parla La filosofia della libertà.

Quando s’intende modificare il creato,

ci si deve infatti inserire, grazie alla tecnica morale, in ciò che già esiste (nel “calcolabile”),

per poterne così orientare lo sviluppo nella direzione suggerita dalla fantasia morale (dall’“incalcolabile”).

• Ciò che “già esiste” è la necessità,

• mentre ciò che l’orienta verso ciò che “vorrebbe esistere” o che “esisterà” è la libertà.

 

 

L’uomo compie la sua vita fra nascita e morte

in modo che nel “calcolabile” [nel quantitativo] gli viene creata la base corporea

per lo sviluppo dell’interiore libero elemento animico-spirituale “incalcolabile” [qualitativo-essenziale].

Egli trascorre la sua vita fra morte e nuova nascita nell’”incalcolabile”,

ma in modo che ivi, come nell’”intimo” dell’essere animico-spirituale, ciò che è “calcolabile” gli si dispiega in forma di pensiero.

Partendo da questo elemento calcolabile, egli diventa così il costruttore della sua futura vita terrena.

Nella “storia” vive e si svolge sulla terra l’”incalcolabile” nel quale però si insinua il calcolabile, anche se debolmente.

Gli esseri luciferici e arimanici si oppongono all’ordine stabilito fra incalcolabile e calcolabile dagli esseri divino-spirituali,

collegati con l’uomo sin dai suoi primordi; si oppongono all’armonizzazione del cosmo mediante “peso, numero e misura”

(p. 151).

 

 

Ricordate ciò che dissi quando parlammo dell’inspirazione e dell’espirazione (nonché della sistole e della diastole)? Dissi che, se dipendesse dall’inspirazione, non espireremmo mai, così come, se dipendesse dall’espirazione, non inspireremmo mai.

Lo dissi per mettere in evidenza l’esistenza di una terza e superiore realtà che costringe l’espirazione e l’inspirazione ad alternarsi secondo un dato ritmo.

Ebbene, con Lucifero e Arimane dovremmo fare la stessa cosa: dovremmo cioè, quali terzi (quali Io inabitati dal Cristo) imporre loro un’alternanza, così che Lucifero limiti le pretese di Arimane, e Arimane limiti le pretese di Lucifero.

 

Steiner parla qui del “calcolabile” e dell’”incalcolabile”,

ma ben sappiamo che il primo è il regno di Arimane e il secondo quello di Lucifero.

Arimane, se potesse, calcolerebbe sempre (come certi nevrastenici),

• mentre Lucifero, se potesse, non calcolerebbe mai (come certi isterici).

 

 

Con la natura che ha assunto, Lucifero non può conciliare nulla che sia calcolabile” (p. 151).

 

 

Lucifero è per l’appunto un aristocrate, un’esteta o un megalomane

che, disdegnando il “calcolabile”, “non bada – come si usa dire – a spese”.

 

Molti anni fa, ad esempio, mi capitò di conoscere, a Napoli, un alto dirigente bancario che, essendo stato epurato dopo la caduta del fascismo, e non avendo più trovato lavoro, era ridotto in miseria.

Ebbene, quando qualche amico gli prestava, che so, mille lire, era capace di sedersi al bar, di consumare qualcosa, e poi di andarsene lasciandone cinquecento di mancia al cameriere.

 

 

Il suo ideale è: incondizionata azione cosmica dell’intelligenza e della volontà.

Questa tendenza luciferica è conforme all’ordine dell’universo nei campi in cui deve regnare libertà d’azione.

E qui Lucifero è il giustificato aiuto spirituale dello sviluppo dell’umanità.

Senza il suo aiuto, nell’essere spirituale-animico dell’uomo che si erige sulla base dell’elemento corporeo calcolabile,

non potrebbe entrare la libertà. Ma Lucifero vorrebbe estendere questa tendenza a tutto il cosmo.

E così la sua attività diventa lotta contro l’ordine divino-spirituale a cui l’uomo appartiene in origine” (pp.151-152).

 

 

Ho detto, una sera, che un conto sono i “pensatori liberi” (dai sensi), altro i sedicenti “liberi pensatori” (pieni di vanità e di orgoglio).

Una cosa, infatti, è la libertà dell’Io (dello spirito), altra la rivendicazione della libertà (della licenza o dell’arbitrio) da parte delle brame (canta Violetta, ne la Traviata: “Sempre libera degg’io / Trasvolar di gioia in gioia, / Perché ignoto al viver mio / Nulla passi del piacer”).

 

La libertà dell’Io non teme e non fugge la necessità, ma l’affronta;

quella delle brame invece la rigetta, perché teme di rimanerne vittima.

Insomma, Arimane ha paura della libertà (dell’“incalcolabile”),

mentre Lucifero ha paura della necessità (del “calcolabile”).

 

“Nei campi in cui deve regnare libertà d’azione”, Lucifero è perciò “il giustificato aiuto spirituale dello sviluppo dell’umanità. Senza il suo aiuto, nell’essere spirituale-animico dell’uomo che si erige sulla base dell’elemento corporeo calcolabile, non potrebbe entrare la libertà”.

 

Se non avesse patito la seduzione luciferica (quella del “ribelle” per antonomasia), “l’essere spirituale-animico dell’uomo” sarebbe rimasto dunque vincolato (al pari dell’”elemento corporeo”) all’opera compiuta: ossia al calcolabile o alla necessità.

Dobbiamo perciò essergli grati, poiché, col separarci dalla sfera della necessità e col differenziarci in tal modo dagli animali, dai vegetali e dai minerali, ha aperto le porte a quella “soggettività” (a quell’opinare o a quel “così è se vi pare”) che dà invece ai nervi ad Arimane, paladino della fredda, impersonale e rigorosa ”oggettività” (materiale).

 

Pensate, tanto per dirne una, al famoso libro di Erich Fromm Fuga dalla libertà (18). Non è significativo che né a lui né ad altri sia venuto in mente (per quanto ne so) di scriverne un altro, intitolato: Fuga dalla necessità?

Sarebbe stato comunque inutile, giacché

l’arte (umana) non sta nel fuggire la libertà (luciferica) o la necessità (arimanica),

bensì, muovendo dall’Io (inabitato dal Logos), nel servirsi della libertà per trasformare la necessità.

 

Allorché vorrebbe • “estendere questa tendenza a tutto il cosmo”, dice Steiner, l’azione di Lucifero non è più però conforme all’ordine dell’universo nei campi in cui deve regnare libertà d’azione”, bensì “diventa lotta contro l’ordine divino-spirituale a cui l’uomo appartiene in origine”.

 

Anche Lucifero (come Arimane) diventa dunque un “ostacolatore”

solo quando gli viene permesso (dalla nostra incoscienza) di fare più di quel che dovrebbe,

e di impedirci così di passare dalla ribelle libertà “da” (quella dell’”uomo in rivolta” di Albert Camus) (19)

alla amante libertà “per”.

 

E’ per questa ragione, non dimentichiamolo, che La filosofia della libertà è divisa in due parti:

• la prima dedicata alla “scienza della libertà”;  • la seconda alla “realtà della libertà”.

Non si può infatti passare dalla libertà “da” (luciferica) alla libertà “per” (cristica) se non si sa che cos’è o, per meglio dire,

chi è la libertà, e si continua perciò a confonderla con il capriccio, con la licenza o con l’arbitrio.

 

Sentite che cosa dice Croce: • “Ché se alla libertà si toglie la sua anima morale, se la si distacca dal passato e dalla sua veneranda tradizione; se alla continua creazione di nuove forme che essa richiede si toglie il valore oggettivo di tale creazione; se alle lotte che essa accetta e alle guerre altresì e al sacrificio e all’eroismo si toglie la purezza del fine; se alla disciplina interna alla quale essa si sottomette spontanea si sostituisce quella dell’esterna guida e del comando, non rimane se non il fare per il fare, il distruggere per il distruggere, l’innovare per l’innovare, la lotta per la lotta, e la guerra e le stragi e il dare e ricevere morte come cose da ricercare e volere per sé stesse, e l’ubbidire anche, ma l’ubbidire che si usa nelle guerre; e ne vien fuori l’”attivismo”. Il quale è, dunque, in questa traduzione e riduzione e triste parodia che in termini materialistici compie di un ideale etico, sostanzialmente una perversione dell’amore per la libertà, un culto del diavolo messo al posto di Dio, e che pure è un culto, la celebrazione di una messa nera, ma che pure è una messa; e, se odia il liberalismo, è perché il diavolo è simia Dei, e se tuttavia serba una qualche attraenza, è simile a quella dell’angelo indemoniato o, per parlare in modo meno immaginoso, è come quella che alla malignitas attribuisce Tacito, alla quale “falsa species libertatis est”” (20).

 

 

Qui interviene Michele. Egli sta col proprio essere nell’incalcolabile; ma stabilisce il pareggio

fra l’incalcolabile e il calcolabile che porta in sé come pensiero cosmico che ha ricevuto dai suoi dèi” (p. 152).

 

 

Ho detto, una sera, che al mondo c’è posto per tutto, ma che tutto deve stare al suo posto. C’è posto per l’opera compiuta, c’è posto per l’effetto operante, c’è posto per la manifestazione e c’è posto per l’Entità divino-spirituale: si tratta però di realtà che si trovano su piani diversi e che costituiscono una gerarchia.

 

Fra l’elemento incalcolabile e quello calcolabile è possibile dunque un accordo o un “pareggio”.

Quando l’incalcolabile (la libertà) evita invece di misurarsi col calcolabile (con la necessità) nasce allora il velleitarismo:

ossia, quella caricatura della volontà che cento ne pensa, e neanche una ne fa.

In tempi “cefalocentrici” e “computazionali” come i nostri, è comunque più facile incontrare (soprattutto nei luoghi del “potere”) degli apatici, dei cinici o dei depressi, presi ossessivamente (arimanicamente) dal calcolabile, che non dei velleitari, degli utopisti o dei maniaci, presi istericamente (lucifericamente) dall’incalcolabile (se non tra coloro che contestano i primi).

 

 

Diversamente sono situate nel mondo le potenze arimaniche.

Esse sono la perfetta antitesi degli esseri divino-spirituali con i quali l’uomo è collegato dalla sua origine.

Questi ultimi sono attualmente potenze puramente spirituali

che portano in sé perfetta intelligenza libera e perfetta libera volontà,

ma che tuttavia, in questa intelligenza e in questa volontà, creano la saggia comprensione per la necessità

di ciò che è calcolabile e non libero, quale pensiero cosmico dal cui grembo l’uomo deve svilupparsi come essere libero.

E con tutto il calcolabile, col pensiero dell’universo, essi sono uniti nel cosmo con amore.

Questo amore irradia da loro e pervade l’universo” (p. 152).

 

 

Che gli “esseri divino-spirituali con i quali l’uomo è collegato dalla sua origine”

siano “uniti nel cosmo con amore” con tutto il calcolabile, quale “pensiero dell’universo”,

dovrebbe far meditare quanti credono che per diventare spirituali occorra disdegnare le necessità del quotidiano.

 

Chi procede correttamente lungo la “via del pensiero” mai patirà invece il calcolabile,

perché non ne sarà servo, ma se ne servirà.

 

 

In piena antitesi con questo, nell’avida cupidigia delle potenze arimaniche

vive il gelido odio contro tutto ciò che si evolve in libertà” (p. 152).

 

 

Permettetemi di dire che può conoscere questo “gelido odio” solo chi lo abbia provato sulla propria pelle.

Dice il Cristo-Gesù: “Mi odiarono senza ragione” (Gv 15,25). Ma una ragione c’era, dal momento che il Cristo era (ed è) l’”Io sono”, e l’”Io sono” era (ed è) non solo “la via, la verità e la vita”, ma anche la libertà.

Ed è proprio ciò che vive in libertà a suscitare il “gelido odio” delle potenze arimaniche: un odio nutrito di menzogne, di calunnie e di paure.

 

 

L’intento di Arimane è di fare una macchina cosmica di quanto egli emana dalla terra negli spazi universali.

Il suo ideale è unicamente: “Misura, numero, peso”. Egli fu chiamato ad inserirsi nel cosmo che serve all’evoluzione dell’umanità,

perché occorreva svilupparvi il suo campo d’azione, e cioè “misura, numero e peso”” (p. 152).

 

 

 

• Il campo d’azione della “misura”, del “numero” e del “peso” è il campo dell’opera compiuta.

Ebbene, l’opera compiuta sta all’uomo come il piedistallo sta alla statua.

L’opera compiuta è infatti la base sulla quale cominciamo a costruire l’autocoscienza,

e che tanto più nobilitiamo (e redimiamo) quanto più, in virtù dell’impulso del Cristo, vi edifichiamo sopra l’homo.

 

Potremmo quindi dire, tornando agli ostacolatori, che

Arimane vorrebbe ridurci piedistalli senza statua,  • Lucifero statue senza piedistallo.

 

E’ in ragione dell’equilibrio che dovrebbe invece regnare tra ciò che sta al di sopra della soglia (la statua) e ciò che ne sta al di sotto (il piedistallo) che Michele viene a volte rappresentato, come forse sapete, con in mano una bilancia, anziché una spada.

 

 

Solo chi, dovunque, comprende l’universo quale spirito e corpo, lo comprende realmente.

Di questo va tenuto conto fin dentro alla natura, sia in relazione alle potenze divino-spirituali operanti per amore,

sia in relazione a quelle arimaniche operanti per odio.

Dobbiamo scorgere nel calore universale naturale, che inizia a primavera e agisce verso l’estate,

l’amore naturale degli esseri divino-spirituali;

dobbiamo invece scorgere l’azione di Arimane nel gelido soffio invernale” (pp. 152-153).

 

 

Abbiamo visto che Lucifero e Arimane diventano ostacolatori solo quando varcano il limite assegnato loro dalle forze creatrici, e che lo varcano perché l’uomo non ha ancora sviluppato le forze necessarie a contenerli.

(Scrive Scaligero: non “si deve credere che i produttori del male siano Lucifero o Ahrimane; in tal senso essi sono davvero innocenti. L’autentico produttore del male è l’uomo, per il fatto che inconsciamente fa un uso errato delle forze di Lucifero e di Ahrimane, non distinguendo da esse la propria inalterabile forza: quella insita nell’Io” [21].)

 

Abbiamo qui l’esempio delle stagioni. Durante la primavera e l’autunno, attraverso il tepore e la frescura, agiscono le entità spirituali regolari, mentre durante l’estate e l’inverno, attraverso gli opposti eccessi del solleone e del gelo, agiscono Lucifero e Arimane.

Dire che “non ci sono più le mezze stagioni” è diventato un luogo comune. Resta comunque un brutto segno. Il passare sempre più rapidamente dall’estate all’inverno, e viceversa, significa infatti passare sempre più rapidamente dalla sfera ipotecata da Lucifero a quella ipotecata da Arimane, trattenendosi perciò sempre meno in quelle “temperate”, più propriamente umane.

 

 

Nel culmine dell’estate la forza di Lucifero si intesse nell’amore naturale, nel calore.

Nell’epoca natalizia la forza degli esseri divino-spirituali con cui l’uomo è collegato sin dai primordi

si rivolge contro il gelido odio di Arimane.

E verso la primavera l’amore naturale divino mitiga continuamente l’odio naturale di Arimane.

L’apparire di questo amore divino che sorge annualmente è il momento che ricorda

come col Cristo entrò, nel calcolabile elemento terrestre, il libero elemento divino.

Cristo opera in piena libertà nel calcolabile, e rende così innocuo l’elemento arimanico che solo brama il calcolabile” (p. 153).

 

 

Anni fa, andai ad Assisi per assistere alla messa di Natale nell’eremo delle carceri, sul monte Subasio. A mezzanotte in punto, i frati, reggendo ciascuno un lume, portarono in processione il bambinello sino all’altare.

Ebbene, tanto mi colpì il contrasto tra la luce e il lieve tepore che circondavano e accompagnavano il bambinello e il gelido buio della notte invernale, che non solo pensai al “Sole di mezzanotte”, ma mi tornò anche alla mente questa piccola poesia di Rinaldo Küfferle (su un motivo di Angelo Silesio) (22):

 

E’ sceso in terra il sole nel buio dicembrino: raggiando, in una greppia sorride un bel bambino.

La terra, non più sola, guarda al domani in festa: per volontà d’amore, con lei quel bimbo resta.

E’ nato in una greppia il nostro Salvatore, congiunto s’è alla terra per volontà d’amore.

Ma il cuor tuo stesso, o uomo, fa che una greppia sia, se vuoi che in te rinasca il frutto di Maria!

 

E’ nel culmine dell’inverno, che si accende dunque il Sole (cristico) di mezzanotte,

mentre è nel culmine dell’estate che si accende il Sole (luciferico) di mezzogiorno.

 

 

L’evento del Golgota è la libera azione cosmica dell’amore nella storia della terra;

può essere compreso soltanto dall’amore che l’uomo è capace di sviluppare in sé al fine di comprenderlo” (p.153).

 

 

Il sacrificio del Golgota è stato un atto d’amore, e quindi un atto libero, e non necessario (determinato cioè da una causa).

Il Verbo si è fatto carne solo per amore, solo perché ha avuto profonda pietà della sofferenza umana.

 

Mi avete sentito dire, altre volte, che chi ama davvero la realtà non può non arrivare, prima o poi, all’antroposofia, e non può non amare l’antroposofia tanto quanto ama la realtà: anche il suo semplice studio richiede infatti dedizione, abnegazione o dono di sé.

 

Fatto si è che

amore è il pensare, amore è il sentire e amore è il volere,

• che l’amore quale pensare è lo Spirito Santo, • che l’amore quale sentire è il Figlio, • che l’amore quale volere è il Padre,

• e che come il pensare, il sentire e il volere sono “uno” nell’Io (nell’”Io sono umano”, goccia del mare divino),

• così lo Spirito Santo, il Figlio e il Padre sono “Uno” in Dio (nell’”Io sono” divino).

 

Questo amore (l’”amore-azione” e non l’”amore-passione”, direbbe Denis de Rougemont) (23) è naturalmente inviso,

sia alle entità arimaniche, che lo sentono troppo caldo, sia a quelle luciferiche, che lo sentono troppo freddo.

 

Potremmo anche dire, servendoci ancora della distinzione fatta da Scaligero tra la flamma urens (la passione) e la flamma non-urens (l’amore), che la flamma non-urens è invisa ad Arimane perché è flamma, a Lucifero perché è non-urens (dice Parsifal a Kundry: “Te pur con me poss’io salvar / se vincer sai l’impuro ardor. / La pace che al tuo mal ti tolga / da quell’ardor venir non può; / la tua salvezza aspetti invano / se vivo ancor fiammeggia in te”).

 

Leggiamo adesso le massime.

Massime 140/141/142/143 (4 gennaio 1925)

 

 

140 – “Il processo cosmico, nel quale è intessuta l’evoluzione dell’umanità

e che si rispecchia nella coscienza umana come “storia” in senso lato,

si divide nella lunga storia celeste, nella storia mitologica, più breve, e nella storia terrena,

relativamente brevissima”.

 

 

Potremmo paragonare (con ovvia approssimazione)

• la storia celeste alla nostra vita intrauterina,

• la storia mitologica alla nostra vita infantile-adolescenziale (quella della cosiddetta “età evolutiva”),

• e la storia terrena alla nostra vita adulta.

 

Tutti noi riviviamo infatti (ontogeneticamente) queste fasi (filogenetiche), non avendo memoria della storia celeste dell’umanità nella stessa misura in cui non abbiamo memoria non solo della storia della nostra vita intrauterina, ma anche di quella della nostra prima infanzia.

 

 

141 –  “Questo processo cosmico si scinde oggi nell’attività “non calcolabile” di esseri divino-spirituali

che operano in libertà d’intelligenza e di volere, e nel processo “calcolabile” del corpo del mondo”.

 

 

• In termini cartesiani, l’attività “non calcolabile” di tali esseri è quella della res cogitans,

• mentre il “processo “calcolabile” del corpo del mondo” è quello della res extensa.

 

 

142 –  “Al calcolabile del corpo del mondo si oppongono le potenze luciferiche;

a quanto opera in libertà d’intelligenza e di volere, le arimaniche”.

 

143 –  “L’evento del Golgota è un’azione cosmica libera che scaturisce dall’amore universale

e può essere compresa soltanto dall’amore umano”.

 

 

Non possiamo capire l’amore se non amiamo, e non possiamo amare se non pensiamo.

Ascoltate quanto scrive Scaligero: • “L’autocoscienza è il varco all’amore nella scena del mondo. La coscienza, attingendo la sua intima vita, s’illumina di pensiero d’amore, la sostanza indialettica del pensiero essendo amore. Il moto primo del pensiero è amore. Percepito nel suo scaturire, il pensiero conduce a quella sorgente incorporea d’onde l’amore scorre come idea creatrice. In verità ogni pensiero è in sé, nel suo moto sorgivo, pensiero d’amore” (24).

 

Note:

  1. cfr. Intelletto d’amore, 20 giugno 2004;
  2. R.Steiner: La storia alla luce dell’antroposofia – Antroposofica, Milano 1982, p. 38;
  3. cfr. J.Hillman: La vana fuga dagli Dèi – Adelphi, Milano 1994;
  4. R.Steiner: L’antroposofia e le scienze – Antroposofica, Milano 1995, pp. 136, 132;
  5. cfr. H.Fritsche: Il primogenito – Bompiani, Milano 1946;
  6. V. Solov’ëv: La crisi della filosofia occidentale – La Casa di Matriona, Milano 1986, pp. 84-85;
  7. M.Scaligero: Graal – Tilopa, Roma 1982, p. 28;
  8. cfr. R.Steiner: Lo studio dei sintomi storici – Antroposofica, Milano 1961;
  9. F.Nietzsche: Sull’utilità e il danno della storia per la vita – Adelphi, Milano 2009, pp. 93-94;
  10. ibid., p. 99;
  11. Esiodo: Teogonia – Rizzoli, Milano 2010, pp. 36, 37, 39;
  12. Erodoto: Storie – Mondadori, Milano 2000, vol. I, pp. 263-265;
  13. E.Uehli: La nascita dell’individualità dal mito – Bocca, Milano 1939, pp. 76, 60;
  14. L.Paggiaro: Il Modernismo a cinquanta anni dalla sua condanna – Quaderni del clero n° 9-10 – Presbyterium, Padova – Roma – Napoli 1957, pp. 19-20;
  15. cfr. J.Campbell: L’eroe dai mille volti – Guanda, Milano 2008;
  16. cfr. M.Eliade: Trattato di storia delle religioni – Bollati-Boringhieri, Milano 2008;
  17. cfr. G.Vico: La scienza nuova – Rizzoli, Milano 1994;
  18. cfr. E.Fromm: Fuga dalla libertà – Mondadori, Milano 2001;
  19. cfr. A.Camus: L’uomo in rivolta – Bompiani, Milano 2002;
  20. B.Croce: Storia d’Europa nel secolo decimo nono – Laterza, Roma-Bari 1981, p. 300;
  21. M.Scaligero: Dallo Yoga alla Rosacroce – Perseo, Roma 1972, p. 185;
  22. AntroposofiaRivista mensile di scienza dello spirito, anno XII, n°12, dicembre 1957, p. 368;
  23. cfr. D. de Rougemont: L’amore e l’Occidente – Rizzoli, Milano 1993;
  24. M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982, p. 20.