Che cosa si manifesta volgendo lo sguardo alle precedenti vite fra morte e nuova nascita – Parte prima – Massime 147-149

Commento di Lucio Russo


 

Parte prima

Cominceremo stasera una lettera divisa in due parti (una del 18 e l’altra del 25 gennaio 1925), entrambe intitolate: Che cosa si manifesta volgendo lo sguardo alle precedenti vite fra morte e nuova nascita.

In questa lettera, lo sguardo è volto alle “precedenti vite fra morte e nuova nascita”, mentre in quella che abbiamo letto la volta scorsa era volto alle “ripetute vite terrene”.

Parlando di queste, abbiamo individuato tre stadi “filogenetici” (quelli della “storia celeste”, della “storia mitologica” e della “storia terrena”) che abbiamo paragonato a quelli “ontogenetici”, rispettivamente, della vita intrauterina, nella quale siamo ancora nel grembo delle entità divino-spirituali, dell’età evolutiva, nella quale siamo guidati da tali entità, e dell’età adulta, nella quale ci rendiamo indipendenti. E abbiamo anche visto che possiamo farci un’idea del primo stadio grazie alla nostra vita di pensiero: in questa sfera, infatti, siamo ancor oggi nel grembo delle entità divino-spirituali, in quanto siamo nel grembo degli universali, cioè dei concetti o delle idee.

 

Tre stadi “filogenetici” Tre stadi “ontogenetici”
• “Storia Celeste” • Vita intrauterina
• “Storia Mitologica” • Età evolutiva
• “Storia Terrena” • Età adulta

 

Ascoltate quanto dice Sant’Agostino ne Le confessioni: • “La memoria contiene altresì i rapporti e le numerosissime leggi dell’aritmetica e della geometria, nessuna delle quali è stata impressa dai sensi esterni, non essendo affatto colorate o sonore, o odorose, non sapide, non tangibili. Quando se ne discute, percepisco il suono delle parole che le esprimono, ma il suono è una cosa, il concetto che è espresso un’altra. Il suono differisce se parlo in greco o in latino, ma i concetti non sono greci né latini, né di qualsiasi altra lingua” (1).

 

I concetti non sono greci né latini, ma i greci e i latini potevano intendersi perché ciò che i primi esprimevano in un modo e i secondi in un altro era una stessa realtà (appunto, un “universale”).

Cominciamo dunque a leggere la prima parte (18 gennaio 1925).

 

 

Nella lettera precedente abbiamo esaminato il complesso della vita umana

in modo da volgere lo sguardo dell’anima al succedersi delle vite terrene.

Un altro punto di vista, atto ad illuminare ancora più chiaramente ciò che il primo ci ha manifestato,

sarà di considerare le vite successive fra la morte e una nuova nascita” (p. 160).

 

 

Passando da una fase all’altra della nostra storia,

cambia il nostro livello di coscienza e, di conseguenza, la nostra esperienza del post mortem.

Vediamo, dunque, come si presenta tale esperienza.

 

 

Anche qui ci si mostra che il contenuto di queste vite, nella sua forma attuale,

risale soltanto fino ad un dato punto dell’evoluzione della terra.

Tale contenuto attuale è invero determinato dal fatto che l’uomo trasferisce attraverso la porta della morte

la forza interiore dell’autocoscienza conquistata nella vita sulla terra.

Grazie a ciò l’uomo viene a trovarsi come un individualità completa

anche di fronte agli esseri divino-spirituali nella cui cerchia egli entra” (p. 160).

 

 

Allo stadio attuale (quello della “storia terrena”), l’Io, dopo la morte,

è un Io autocosciente che si presenta come tale (in grazia del Cristo) anche di fronte agli Io più evoluti:

anche a quelli, cioè, delle Gerarchie.

 

“Come nel periodo tra nascita e morte

al mattino ci immergiamo nel nostro corpo per raggiungere uno stato di coscienza,

così anche con la morte dobbiamo immergerci in qualcosa per ottenere coscienza e questo qualcosa è il Cristo” (2).

 

 

Così non era in un periodo precedente. Allora l’uomo non era ancora avanzato nello sviluppo della sua autocoscienza.

La forza conseguita sulla terra non bastava ad effettuare il distacco dal mondo divino-spirituale

fino al punto da conferirgli un’esistenza individuale fra la morte e una nuova nascita.

Allora l’uomo non viveva più nel seno degli esseri divino-spirituali, ma era tuttavia inserito nell’orbita della loro attività

in modo che il suo volere era essenzialmente il loro volere, non il suo” (p. 160).

 

 

• “Così non era in un periodo precedente” (quello della “storia mitologica”),

giacché c’era l’Io, ma non ancora la coscienza dell’Io.

 

Sentite ciò che dice Christine Mohrmann nella sua introduzione a Le confessioni di Sant’Agostino: “L’autobiografia, nel pieno senso della parola, cioè il racconto regolare di esperienze personali, esterne e interne, è un fenomeno, nel mondo antico, assai raro (…) I Romani s’interessano in generale più dei Greci all’elemento individuale ed evolutivo; e, nel dominio dell’arte figurativa, hanno doti particolari per riuscire nel ritratto. Ciò nonostante, l’autobiografia nel pieno senso della parola è stata pochissimo praticata dai Romani (…) Gli autobiografi romani, rarissimi del resto, preferiscono al racconto personale uno stile impersonale, anzi protocollare, e per di più in terza persona” (3).

Per quale ragione? Per l’ovvia ragione che solo un’autocoscienza matura può avvertire il desiderio o il bisogno di redigere un’autobiografia (cioè a dire, una storia dell’ego).

 

Dice Steiner: “Allora l’uomo non viveva più nel seno degli esseri divino-spirituali, ma era tuttavia inserito nell’orbita della loro attività in modo che il suo volere era essenzialmente il loro volere, non il suo”.

Non siamo ancora, dunque, al punto di rottura (quello della “storia terrena”): lo saremo solo quando l’uomo dirà: fiat voluntas mea.

 

 

Questo periodo è stato preceduto da un altro nel quale, guardando indietro,

non incontriamo affatto l’uomo nella sua presente costituzione animico-spirituale,

ma troviamo il mondo degli esseri divino-spirituali in seno ai quali vi è l’uomo quale germe.

Quegli esseri sono i principati (archai)” ( p. 161).

 

 

Scrive Sant’Agostino: • “Proprio Signore io mi snervo in tali questioni, mi snervo in me stesso”.

Ebbene, anch’io, nel mio piccolo, anzi piccolissimo, mi sono “snervato in me stesso” cercando di mostrare, nell’articolo intitolato: La logica hegeliana e le Gerarchie spirituali (7 dicembre 2003), come sia possibile fare quel “passo” (così lo chiama Steiner) che permette di ascendere dalla luminosa, ma astratta logica di Hegel alla realtà delle entità divino-spirituali.

Abbiamo detto e ripetuto che la storia celeste è tuttora presente nella sfera del pensiero, e abbiamo visto che in questa sfera sono presenti gli Angeli, gli Arcangeli e le Archài: cioè a dire, quelle entità della terza Gerarchia che, a suo tempo, abbiamo messo rispettivamente in rapporto con l’immagine precosciente, con l’attività del giudicare e con i concetti.

 

 

E nel riandare a ritroso la vita di un uomo, non incontriamo solo un essere divino-spirituale,

ma tutti gli esseri appartenenti a quella gerarchia.

In quegli esseri divino-spirituali vive la volontà che l’uomo divenga.

La volontà di tutti partecipa al divenire di ogni singolo uomo.

La loro collaborazione corale ha per mèta universale la creazione della figura umana

perché l’uomo vive nel mondo divino-spirituale, ancora non formato” (p. 161).

 

 

Nel “riandare a ritroso”, nel riandare cioè dalla storia terrena a quella mitologica e dalla storia mitologica a quella celeste, non incontriamo solo l’Angelo custode (“solo un essere divino-spirituale”), ma una molteplicità o un “coro” di entità divino-spirituali (“appartenenti a quella Gerarchia”: ossia, alla terza).

In questi • “esseri divino-spirituali – dice Steiner – vive la volontà che l’uomo divenga. La volontà di tutti partecipa al divenire di ogni singolo uomo”.

Questa volontà è in primo luogo quella (creatrice) delle Archài, ma è ovvio che alle spalle della loro volontà, c’è quella della seconda e della prima Gerarchia (nonché, s’intende, quella della Trinità).

 

Che cosa abbiamo visto, infatti, quando ci siamo occupati de La scienza occulta? Che durante la fase evolutiva dell’antico-Saturno (in cui fecero la loro esperienza umana le odierne Archài) operarono i Troni, appartenenti alla prima Gerarchia, mentre durante quelle dell’antico-Sole (in cui fecero la loro esperienza umana gli odierni Arcangeli), dell’antica-Luna (in cui fecero la loro esperienza umana gli odierni Angeli) e della Terra (in cui siamo noi a fare la nostra esperienza umana) operarono, nell’ordine, gli Spiriti della saggezza, gli Spiriti del movimento e gli Spiriti della forma, appartenenti alla seconda Gerarchia.

 

La nostra avventura comincia dunque come    • avventura “celeste” (corporea),

diventa poi    • avventura “mitologica” (animica)    e infine    • avventura “terrena” (spirituale).

 

“La loro collaborazione corale – dice Steiner – ha per mèta universale la creazione della figura umana perché l’uomo vive nel mondo divino-spirituale, ancora non formato”.

 

Teniamo ben presente, a questo proposito, che

• una cosa è la “figura” (la forma) umana,

• altra la sostanza (minerale) di cui si riempie sulla Terra (e che si rinnova ogni sette-otto anni),

e che tale figura è, di fatto, “una e trina” (testa, petto, addome-arti).

 

Va rilevata, al riguardo, la singolare contraddizione in cui cadono quanti affermano (come ad esempio i cattolici)

che l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio (del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo),

negando, al contempo, che sia uno e trino: che sia cioè costituito di corpo, anima e spirito.

 

 

Può forse sembrare strano che per un solo uomo operi tutto il coro degli esseri divino-spirituali.

Ma già prima avevano spiegato così la loro azione creativa, attraverso le evoluzioni della Luna, del Sole e di Saturno,

le gerarchie di exusiai [Spiriti della forma], dynameis [Spiriti del movimento], kyriotetes [Spiriti della saggezza],

troni, cherubini e serafini, affinché l’uomo divenisse” (p. 161).

 

 

“Può forse sembrare strano – dice Steiner – che per un solo uomo operi tutto il coro degli esseri divino-spirituali”: vale a dire, l’intero macrocosmo.

 

Ci sembrerà però meno strano se ci sforzeremo d’immaginare che il macrocosmo si sia contratto fino a ridursi a un “punto” (a uomo), per potersi poi ri-espandere, a partire da questo stesso punto (in virtù dell’incarnazione del Logos), così da arrivare a creare un nuovo macrocosmo (una nuova “sfera”).

E’ un pensiero da meditare:

il macrocosmo diviene microcosmo

perché il microcosmo divenga un nuovo macrocosmo.

 

Il che vuol dire che

il macrocosmo, per potersi rinnovare (cristificare), deve passare attraverso l’uomo.

 

Dirà tra breve Steiner: • “L’uomo è l’ideale degli Dèi, la meta degli Dèi”.

(Scrive Hella Wiesberger: “Possiamo ricavare dalle indicazioni di Rudolf Steiner come ci si possa avvicinare all’uomo soltanto se si può comprendere “in modo molto intimo” che un cerchio è un punto e un punto è un cerchio, e come anche le tendenze formative che stanno alla base della figura umana possano essere riconosciute partendo dalla dinamica della polarità punto-sfera; infatti, “il punto-io del capo diviene cerchio nell’uomo del ricambio, che naturalmente ha la sua configurazione”” [4].)

 

 

Quella specie di precursore dell’uomo che si formò prima su Saturno, Sole e Luna, non aveva ancora una figura unitaria.

In alcuni di quegli esseri pre-umani prevaleva il sistema delle membra, in altri il sistema del torace,

in altri ancora il sistema della testa. Erano beninteso veri uomini; qui vengono chiamati esseri pre-umani

solo per distinguerli dallo stadio successivo in cui il confluire equilibrato di tutti i sistemi appare nella figura umana.

In quegli esseri pre-umani la differenziazione va anche più oltre:

si può parlare di uomini in cui prevalgono o il cuore, o i polmoni, o altro.

La gerarchia delle archai considera suo compito l’introdurre nella figura umana generale tutti quegli esseri pre-umani,

la cui vita animica pure corrispondeva a quella loro struttura unilaterale” (p. 161).

 

 

Non so se sapete che esistono, riguardo alla eziologia delle “malattie mentali” (delle nevrosi e delle psicosi), due principali orientamenti: quello “organicista” (che sarebbe più appropriato definire “meccanicista”), che le considera “somatogene”, generate cioè da malformazioni o disfunzioni fisiche; quello “psicodinamico”, che le considera invece “psicogene”, generate cioè da fissazioni o regressioni psichiche o psico-sessuali.

Ebbene, quanti seguono quest’ultimo orientamento rimarrebbero di sicuro sconcertati ove apprendessero, dai testi di medicina antroposofica, che tali disturbi possono essere generati da malformazioni o disfunzioni dei cosiddetti organi “cardinali”: vale a dire, del cuore, dei reni, del fegato o dei polmoni.

Ma gli “organi” di cui parla la medicina antroposofica non sono gli stessi di cui parlano gli organicisti (meccanicisti), giacché questi ne considerano soltanto la parte fisico-chimica, mentre quella ne considera anche la parte animico-spirituale.

 

Che cosa è infatti un “organo”?

E’ un essere, un’entità o un Io che ha

• un corpo astrale (una legge),    • un corpo eterico (una fisiologia)    • e un corpo fisico (un’anatomia).

 

Come si vede, siamo in presenza di due opposti riduzionismi: di quello degli organicisti (meccanicisti), che non sanno vedere (arimanicamentre) l’animico-spirituale negli organi fisici (e che per di più osservano il solo cervello o il solo sistema neurosensoriale), e di quello degli psicodinamici, che non sanno vedere (lucifericamente) gli organi fisici nell’animico-spirituale.

Sia il riduzionismo degli uni, sia quello degli altri impediscono perciò di realizzare ch’è l’animico-spirituale degli organi (cioè, l’”organizzazione incosciente dell’Io”) a invadere, straripando (istericamente), quello del soggetto (cioè, l’”organizzazione cosciente dell’Io”) (5), infirmandone così l’equilibrio.

 

Chi se ne fosse guadagnata la capacità potrebbe infatti distinguere, per dirne solo una, le alterazioni “epatiche” del giudicare (i deliri epatici) da quelle “renali” (dai deliri renali), giacché le immaginazioni legate alla vita del fegato (di Giove) sono diverse da quelle legate alla vita del rene (di Venere).

(Teniamo presente che può anche accadere il contrario: ossia, che l’animico-spirituale del soggetto venga imprigionato [coattivamente] in quello degli organi, provocando magari delle convulsioni. Chi voglia saperne di più, riguardo in specie all’infanzia, legga di Steiner: Corso di pedagogia curativa [6]. Chi voglia farsi invece un’idea delle relazioni tra le immaginazioni e gli organi del corpo umano, legga, sempre di Steiner: Miti e misteri dell’Egitto [7].)

 

Dice Steiner: • “Quella specie di precursore dell’uomo che si formò prima su Saturno, Sole e Luna, non aveva ancora una figura unitaria. In alcuni di quegli esseri pre-umani prevaleva il sistema delle membra, in altri il sistema del torace, in altri ancora il sistema della testa”.

 

La figura (la forma) degli esseri “pre-umani”, in quanto determinata dal prevalere di uno di tali sistemi (e dei relativi organi), non era ancora “unitaria”, poiché è solo l’Io (in quanto sovraordinato ai sistemi e agli organi) a poterla rendere tale.

Pensate, ad esempio, alla flora e alla fauna che vivono nel nostro intestino. Non è l’Io a tenerle normalmente a bada, impedendo loro di venir meno (per eccesso o per difetto) alla funzione che sono deputate a svolgere? E che dire, poi, di quelle cellule che proprio per il fatto di aver preso a vivere la propria vita, senza più curarsi di quella dell’organismo (dell’Io) di cui fanno parte, generano i tumori?

 

(Del periodo “embrionale” dell’ontogenesi, che segue il periodo “germinale” e precede quello “fetale”, ricapitolanti nel loro insieme la filogenesi, così scrive Karl König: “In principio compare una colonna vertebrale semplice e primitiva. Viene seguita da indicazioni del cervello e del midollo spinale. Allo stesso tempo si sviluppa l’intestino, si forma il cuore, il fegato e i polmoni iniziano a crescere. E’ come se da diversi angoli sorgessero improvvisamente i vari organi. Inizia un infinito modellare e dar forma: compaiono occhi e orecchie, si formano le narici e le labbra. Si sviluppano la laringe e i reni, ma tutto ciò è ancora lontano dall’aver forma e ordine. Per esempio la testa è enorme in confronto al resto del corpo. La massa del fegato è schiacciante, mentre braccia e gambe sono come minuscole gemme, appena visibili. Il viso non ha ancora una fisionomia umana in questa fase; […] solo verso la fine del secondo mese, nel corso della settima e dell’ottava settimana l’embrione assume gradualmente una sembianza umana […] Poi segue il periodo fetale. E’ una successiva crescita e completamento. I vari organi iniziano a funzionare e si mettono in relazione gli uni con gli altri” [8].)

 

Insomma: gli organi del corpo eterico-fisico stanno agli orchestrali come l’Io sta a colui che li dirige.

Dice ancora Steiner: • “La Gerarchia delle archài (degli Spiriti della personalità) considera suo compito di introdurre nella figura umana generale tutti quegli esseri pre-umani, la cui vita animica pure corrispondeva a quella loro struttura unilaterale”.

 

• La vita animica del cuore, del rene, del fegato e dei polmoni devono dunque coesistere:

per poterlo fare, devono però stare al servizio dell’Io che le subordina.

• Stiamo parlando ovviamente del corpo astrale:

ossia di quel corpo che, come sappiamo, è una sorta di Pantheon, in cui vivono e convivono gli Dèi.

 

 

Le archai ricevono l’uomo dalle mani degli exusiai.

Questi, nel pensiero, avevano già creato un’unità dalla pluralità umana.

Ma per gli exusiai tale unità era ancora una figura ideale, una figura di pensiero universale.

Le archai ne formarono la figura eterica, ma in modo che essa contenesse già le forze atte a produrre la figura fisica

(pp. 161-162).

 

 

Gli Exusiai (gli Spiriti della forma) sono le entità immediatamente superiori alle Archài (agli Spiriti della personalità).

Il passaggio di consegne di cui parla qui Steiner è dunque quello dalle entità più basse della seconda Gerarchia a quelle più alte della terza.

Dire che gli Exusiai “avevano già creato un’unità dalla pluralità umana” equivale a dire che avevano già creato l’Io.

Che cosa abbiamo infatti appreso da La scienza occulta?

Che siamo degli Io grazie appunto agli Spiriti della Forma o Elohim, che uno degli Elohim è Jahvè, e che proprio a Jahvè si deve la nascita del “monoteismo”: ossia, di una religione dell’Io che si contrappone, significativamente, a quelle pagane e “politeistiche” del corpo astrale.

 

 

Un quadro possente ci si rivela contemplando quei processi. L’uomo è l’ideale degli dèi, la mèta degli dèi.

Ma il riconoscerlo non può essere per l’uomo fonte di orgoglio o presunzione, perché a lui è lecito attribuirsi,

come generato da sé, solamente ciò che nelle sue vite terrene egli ha fatto di sé con la sua autocoscienza.

E questo, espresso in proporzioni cosmiche, è ben poca cosa di fronte a ciò che, come base del suo proprio essere,

gli dèi, dal macrocosmo che sono gli dèi stessi, hanno creato come microcosmo, vale a dire l’uomo stesso.

Gli esseri divino-spirituali stanno nel cosmo gli uni di fronte agli altri.

Di ciò è espressione visibile la configurazione del cielo stellato.

Essi vollero creare in una unità, come uomo, ciò che essi sono, in quanto così riuniti” (p. 162).

 

 

• Riconoscere che “l’uomo è l’ideale degli dèi, la mèta degli dèi” deve accrescere il nostro senso di responsabilità

(essere uomo, dice Steiner, significa “un impegno nei confronti dello spirito”) (9), e non inorgoglirci o esaltarci.

 

Abbiamo detto che il macrocosmo si contrae nel microcosmo, affinché il microcosmo possa poi ri-espandersi in un nuovo macrocosmo. Ma questo secondo movimento (reso possibile dall’incarnazione del Logos) rappresenta un compito che noi, in quanto liberi, possiamo accettare (per amore) o rifiutare (per paura), rimanendo arroccati nell’ego.

 

Ho fatto notare, una sera, che se si mettesse su un piatto della bilancia tutto quello che Steiner ha detto del passato e sull’altro tutto quello che ha detto del futuro, ci si accorgerebbe che il peso che grava sul primo supera di gran lunga quello che grava sul secondo.

E perché? L’abbiamo detto: perché se sappiamo da dove veniamo, sappiamo pure dove dobbiamo andare. Per sapere da dove veniamo, dobbiamo però far riemergere dall’inconscio il ricordo della nostra vera storia

(ripensiamo di nuovo a questi passi della preghiera per i defunti:

“Alle origini era la forza del ricordo, / la forza del ricordo deve diventare divina, / un essere divino /…

/ Le tenebre di oggi possano afferrare la luce / del ricordo diventato divino!”).

 

E’ noto, ad esempio, che gli psicoanalisti (soprattutto freudiani), per capire il presente, risalgono all’infanzia.

C’è però un’infanzia dell’individuo e c’è un’infanzia dell’umanità,

ed è impossibile capire davvero il presente se non si risale anche a questa.

Solo conoscendo il nostro vero passato o la nostra vera storia ci sarà possibile infatti capire

qual è il nostro compito attuale o la nostra presente responsabilità.

 

Dice Steiner: • “Gli esseri divino-spirituali stanno nel cosmo gli uni di fronte agli altri. Di ciò è espressione visibile la configurazione del cielo stellato. Essi vollero creare in una unità, come uomo, ciò che essi sono, in quanto così riuniti”.

 

Torniamo, ancora una volta, all’esempio del ritmo di espansione-contrazione, e immaginiamo, pensando al cuore, che la diastole sia la manifestazione di un essere in grado solo di espandersi, e che la sistole sia la manifestazione di un essere in grado solo di contrarsi, sicché, se fosse per il primo, non si darebbero mai contrazioni, mentre, se fosse per il secondo, non si darebbero mai espansioni.

 

Come si fa, dunque, a “far nascere” l’uomo (e a fare quindi del molteplice un uno)?

E’ presto detto: si prende l’essere dell’espansione, si prende l’essere della contrazione,

e li si collega in modo tale da costringere l’uno a limitare l’azione dell’altro, e viceversa.

Nasce così un terzo essere (“umano”) in cui si svolge un’attività (ritmica) che non obbedisce

né all’essere (alla legge) della sola espansione, né all’essere (alla legge) della sola contrazione.

 

Sentite, in proposito, quanto scrive Pico della Mirandola (1463-1494) nel suo celebre Discorso sulla dignità dell’uomo: • “Stabilì finalmente l’ottimo artefice [Dio] che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l’uomo come opera di natura indefinita e postolo nel cuore del mondo così gli parlò: “Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu, non costretto da nessuna barriera, la determinerai secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine”” (10).

 

“Gli esseri divino-spirituali – dice Steiner – stanno nel cosmo gli uni di fronte agli altri. Di ciò è espressione visibile la configurazione del cielo stellato”: nello Zodiaco, infatti, l’Ariete sta di fronte alla Bilancia, i Pesci alla Vergine, l’Acquario al Leone, il Capricorno al Cancro, il Sagittario ai Gemelli e lo Scorpione al Toro.

(Le relazioni tra queste regioni zodiacali e le Gerarchie vengono brevemente illustrate da Prokofieff ne Le dodici notti sante e le Gerarchie Spirituali [11].)

 

Sono queste entità

• che “vollero creare in una unità, come uomo, ciò che essi sono, in quanto così riuniti”,

• e che vorrebbero convivere nell’uomo (nell’homo zodiacalis) in piena armonia,

così come in piena armonia vivono nel cosmo (“come in cielo, così in terra”).

 

Riguardo alla figura umana e all’homo zodiacalis, si consulti, in particolare, L’uomo alla luce di occultismo, teosofia e filosofia. Vi si troverà, tra l’altro, questa importante considerazione:

“Se si prende come punto di partenza l’uomo interiore, vi è una certa insicurezza: non si è certi di liberarsi senza dubbio dalle forze luciferiche e arimaniche e di non rimanere impigliati in ciò che da esse può penetrare nelle nostre visioni occulte. Perché è molto, moltissimo, quello che può penetrare e amalgamarsi nell’anima, senza che ce ne accorgiamo, per influsso delle forze luciferiche e arimaniche. In realtà, di molte cose crediamo che siano contenuti straordinariamente buoni per l’anima, mentre invece non lo sono affatto, perché in realtà sono intrisi delle forze esercitate sull’uomo da Arimane e da Lucifero. Per questo, in assoluto, il fondarsi sulla figura umana resta il punto di partenza più sicuro per il discepolo dell’occultismo. Essa è ciò su cui ha avuto meno presa l’influsso di ciò che chiamiamo forze luciferiche e arimaniche. Anche se vi prego di notare la parola “meno”, perché la figura umana ha subito a sua volta tali influenze, ma appunto nel minimo grado” [12].

 

 

Per ben comprendere ciò che la gerarchia delle archai compiè quando creò coralmente la figura umana,

si deve considerare che esiste una differenza considerevole fra questa figura e il corpo fisico dell’uomo.

Corpo fisico è ciò che si svolge nell’essere umano fisicamente e chimicamente.

Questo avviene per l’uomo attuale entro la figura umana.

Ma questa, per sé stessa, è in tutto e per tutto spirituale” (p. 162).

 

 

Lo abbiamo detto e ripetuto: una cosa è la figura umana spirituale, altra la sostanza che la riempie.

• La prima (il phantòma) è infatti, “per sé stessa”, un’idea, un’ispirazione e un’immaginazione degli Dèi

(“Le archai ricevono l’uomo dalle mani degli exusiai.

Questi, nel pensiero, avevano già creato un’unità dalla pluralità umana”).

(Per il phantòma, si consulti, di Steiner, Da Gesù a Cristo [13].)

 

 

Dovrebbe compenetrarci di solennità lo scorgere, nel mondo fisico e con sensi fisici, un ente spirituale come figura umana.

Chi è dotato di veggenza spirituale vede nella figura dell’uomo una vera immaginazione che è discesa nel mondo fisico.

Per vedere delle immaginazioni, occorre passare dal mondo fisico nel mondo spirituale più vicino.

Così facendo ci si accorge come la figura umana sia affine a quelle immaginazioni” (p. 162).

 

 

La Pietà di Michelangelo o il David di Donatello sono creazioni umane,

mentre la figura umana è una creazione divina (il “tempio di Dio”).

Può però vederla così (e compenetrarsi perciò “di solennità”) solo chi abbia riunito, in sé,

l’elemento conoscitivo e l’elemento artistico: solo chi abbia sviluppato, cioè, il senso immaginativo.

 

 

Lo sguardo animico dell’uomo, se osserva retrospettivamente la vita fra morte e nuova nascita,

come primo periodo trova questo sorgere della figura umana.

E insieme scopre allora quale profonda relazione esista fra l’uomo e la gerarchia delle archai.

In questo periodo si può già parlare di un accenno di differenziazione

fra la vita sulla terra e la vita tra la morte e una nuova nascita.

La gerarchia delle archai lavora infatti al divenire della figura umana in periodi ritmici.

In un dato periodo dirige più verso il cosmo extraterrestre i pensieri che guidano le volontà del singolo.

In un altro periodo guarda giù verso la terra.

E dalla collaborazione fra quello che viene stimolato dal cosmo extraterrestre e dalla terra, viene a formarsi la figura umana;

essa è così l’espressione del fatto che l’uomo è insieme essere della terra ed essere del cosmo extraterrestre.

La figura umana, quale è qui descritta come creazione della gerarchia delle archai,

non comprende però soltanto i contorni esteriori dell’uomo e la conformazione della superficie delimitata dalla sua pelle,

ma comprende anche la configurazione delle forze inerenti al suo portamento, alla sua facoltà di movimento

adattata alle condizioni terrestri, e alla facoltà di adoperare il suo corpo come mezzo di espressione per la sua interiorità.

Che l’uomo possa inserirsi in posizione eretta nelle condizioni dovute alla gravità della terra,

che in quelle condizioni egli possa mantenersi in equilibrio muovendosi liberamente,

che egli possa strappare alle forze di gravità braccia e mani, adoperandole in libertà,

questo ed altro ancora che è sì all’interno, ma pure dipende dalla conformazione,

tutto questo l’uomo deve alla creazione della gerarchia delle archai.

Tutto questo viene preparato nella vita che anche per il detto periodo possiamo chiamare fra morte e nuova nascita.

E vi viene preparato in modo che nel terzo periodo, nell’epoca presente, l’uomo abbia egli stesso la facoltà di lavorare

a questa sua conformazione per la vita terrena, durante la sua vita fra morte e nuova nascita” (pp. 162-163).

 

 

Il “primo periodo” in cui “lo sguardo animico dell’uomo”, osservando “la vita fra morte e nuova nascita”

trova il “sorgere della figura umana” è quello della “storia celeste”.

 

• E’ in questo periodo che la Gerarchia delle Archài,

ora dirigendo “verso il cosmo extraterrestre i pensieri che guidano le volontà del singolo”,

ora guardando “giù verso la terra”, forma,

“dalla collaborazione fra quello che viene stimolato dal cosmo extraterrestre e dalla terra”, la figura umana.

 

• Tutto viene predisposto affinché l’uomo stesso, nel corso della “storia terrena”

(“nel terzo periodo, nell’epoca presente”), abbia “la facoltà

di lavorare a questa sua conformazione per la vita terrena, durante la sua vita fra morte e nuova nascita”.

 

Come i figli imparano quello che hanno visto fare dai genitori,

così noi impariamo quello che abbiamo visto fare dalle Archài o Spiriti della personalità.

Siamo dunque qui perché altri hanno lavorato per noi, ma siamo noi, adesso, a dover lavorare per gli altri.

 

Pensate, ad esempio, all’Angelo Custode: quando ci saremo un giorno portati al suo livello

(a quello del “Sé spirituale”),

lo libereremo dal compito di custodirci, dandogli così modo di portare avanti la sua evoluzione.

Possiamo quindi, progredendo, liberarlo, ma possiamo pure, regredendo, portarlo con noi alla rovina.

 

Leggiamo adesso le massime.

Massime 147/148/149 (18 gennaio 1925)

 

 

147 –  “Anche le vite fra la morte e una nuova nascita palesano tre periodi.

In un primo periodo l’uomo vive del tutto nella gerarchia delle archai.

Da queste viene preparata la sua successiva figura umana per il mondo fisico”.

 

 

• Lo abbiamo detto e ripetuto: i “tre periodi” palesati dalle vite “fra la morte e una nuova nascita”

vanno collegati a quelli della “storia celeste”, della “storia mitologica” e della “storia terrena”.

 

 

148 –  “Le archai preparano così l’essere umano ad esplicare più tardi la libera autocoscienza,

perché quest’ultima può svilupparsi soltanto in esseri

i quali possono manifestarla per un intimo impulso dell’anima, attraverso la figura che vien creata qui”.

 

 

L’Io (dono degli Spiriti della forma) conferisce carattere unitario alla forma umana,

• e la forma umana (dono delle Archài) conferisce carattere unitario alla coscienza dell’Io (all’autocoscienza).

 

Ricordate come comincia la “santa orazione” di Bernardo di Chiaravalle? “Vergine Madre, figlia del tuo figlio”.

Perché “figlia del tuo figlio”? Rileggiamo, prima di rispondere, questo passo de La filosofia della libertà: “Non si può naturalmente far nascere il pensare, prima di aver fatto sorgere la coscienza. Ma per il filosofo non si tratta di creare il mondo, bensì di comprenderlo. Egli deve perciò cercare i punti di partenza non per la creazione, ma per la comprensione del mondo (…) Il creatore del mondo doveva anzitutto sapere come trovare un portatore per il pensiero, ma il filosofo deve cercare un fondamento sicuro su cui appoggiarsi per comprendere ciò che già esiste” (14).

Ebbene, ciò che qui viene detto del rapporto tra il pensare e la coscienza vale anche per il rapporto tra la coscienza e l’Io.

 

• Dal punto di vista creativo (che va, per così dire, dall’alto in basso),

l’esistenza della coscienza dell’Io (della “figlia”) presuppone infatti quella dell’Io (della “madre”),

• mentre, dal punto di vista conoscitivo (che va, di contro, dal basso in alto)

l’esistenza dell’Io (del “figlio”) presuppone quella della coscienza dell’Io (della “madre”).

 

Recita l’Ave Maria: “Et benedictus fructus ventris tui, Iesus; e Steiner dice:

“Per l’io non è indifferente quel che il pensiero puro fa, perché il pensiero puro è il creatore dell’io” (15).

 

 

149 –  “Così si vede come i germi delle qualità e delle forze dell’umanità,

che si rivelano nella nostra epoca, vengano predisposti in epoche da gran tempo trascorse,

e come il microcosmo germogli dal macrocosmo”.

 

 

Note:

  1. Sant’Agostino: Le confessioni – Rizzoli, Milano 1996, p. 273;
  2. R.Steiner: Lezioni esoteriche – Antroposofia – Rivista di Scienza dello Spirito, anno LXV, n° 5, p.5;
  3. Sant’Agostino: Le confessioni, pp. 21, 22-23;
  4. H. Wiesberger: Postfazione a R.Steiner: Storia e contenuti della prima sezione della scuola esoterica 1904-1914 – Antroposofica, Milano 2013, pp. 230-231;
  5. R.Steiner: Una fisiologia occulta – Antroposofica, Milano 1981, p. 131;
  6. cfr. R.Steiner: Corso di pedagogia curativa – Antroposofica, Milano 2007;
  7. cfr. R.Steiner: Miti e misteri dell’antico Egitto – Antroposofica, Milano 2000;
  8. K.König: Eterna infanzia – Aedel, Torino 2011, p. 40;
  9. cit. in H.Hahn: Pedagogia e religione – Antroposofica, Milano 2000, p. 178;
  10. G.Pico della Mirandola: Discorso sulla dignità dell’uomo – La Scuola, Brescia 1987, pp. 5-7;
  11. cfr. S.Prokofieff: Le dodici notti sante e le Gerarchie Spirituali – Arcobaleno, Oriago di Mira (Ve) 1990;
  12. R.Steiner: L’uomo alla luce di occultismo, teosofia e filosofia – Antroposofica, Milano 2011, p. 149;
  13. cfr. R.Steiner: Da Gesù a Cristo – Antroposofica, Milano 1972;
  14. R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966, p. 43;
  15. R.Steiner: Filosofia e antroposofia – Antroposofica, Milano 1980, p. 32.