18 – Compito e significato di una concezione spirituale del mondo per la vita tra morte e nuova nascita

O.O. 140 – Ricerche occulte sulla vita fra morte e nuova nascita – 13.05.1913


 

DICIOTTESIMA CONFERENZA

 

L’intero significato e compito della concezione spirituale del mondo ci si fa incontro, quando prendiamo in considerazione la vita dell’uomo nel periodo fra morte e nuova nascita.

Ci sono persone, ce ne sono molte di simili specialmente nella nostra epoca materialistica, che dicono: “Perché poi l’uomo dovrebbe curarsi della vita tra morte e nuova nascita, ovvero della vita – se non volete parlare di ripetute vite terrene – che sta dopo la morte? Possiamo infatti attendere finché la morte sia giunta, e vedremo allora che cosa segua ad essa”.

Al presente parlano in questo modo le persone che non hanno ancora perso del tutto la sensibilità nei confronti del mondo spirituale, ma che non hanno sufficiente forza d’animo per riuscire a procurarsi concetti e sentimenti del mondo soprasensibile. Persone siffatte dicono: “Facciamo il nostro dovere qui sulla Terra, poi potremo sperimentare in modo opportuno quel che dopo la morte ci aspetta”.

Un rapporto reale con la vita tra morte e nuova nascita ci mostra tuttavia bene come un’opinione del genere sia sbagliata, e come sia importante per l’uomo avere già in questa vita, nell’esistenza fisica sensibile, un qualche rapporto con le forme di vita che egli deve attraversare tra morte e nuova nascita.

È molto difficile parlare di tale vita con parole tratte dal nostro linguaggio usuale, perché queste parole son fatte appunto per quel mondo che decorre tra nascita e morte, e si riferiscono alle cose di questo mondo. Perciò di norma possiamo solo accennare più o meno indirettamente a quanto si svolge tra morte e nuova nascita, e nella sua essenza è veramente molto diverso da tutto quello che possiamo sperimentare quaggiù tra nascita e morte.

Ci si deve immaginare che tutto quanto l’uomo percepisce qui nel mondo sensibile, ciò che in un certo senso è il suo mondo, dopo la morte non può esserlo altrettanto, perché allora gli mancano gli organi dell’esistenza fisico-sensibile. Anche l’intelletto, che è legato al cervello dell’uomo, con la morte vien meno.

Solo con timore per così dire, possiamo osare avvicinarci a illustrare una vita che è tanto differente da quella qui sulla Terra, e le parole della vita ordinaria sono da usare in un certo senso solo a mo’ di paragone. La scienza dello spirito però ci insegna a riferire le parole anche alla realtà spirituale e, insieme alle parole, si assume qualcosa che può riversarsi sulla comprensione del mondo soprasensibile.

Qui nel mondo fisico indichiamo come uomo quella realtà fisica che sta chiusa entro la pelle; il resto lo consideriamo come nostro ambiente. Quel che l’uomo sperimenta dipende dalle funzioni degli organi sensori, anche dal cuore, dai polmoni e così via; ma tutto ciò svanisce, sulla via che percorriamo tra morte e nuova nascita.

Durante la vita terrena la nostra componente animico-spirituale

è come inclusa nel nostro corpo fisico ed essa vive dell’attività degli organi suddetti.

Dopo la morte, quel che abbandona il corpo fisico e il corpo eterico si ingrandisce sempre più, e giunge un periodo nel quale ciò che altrimenti è vincolato al limite della nostra pelle si dilata tanto da riempire tutta la regione circoscritta dall’orbita lunare.

Poi l’animico-spirituale cresce estendendosi gradualmente fino alla sfera di Mercurio, alla sfera di Venere, poi alle sfere di Marte, Giove, Saturno e persino oltre, entro lo spazio cosmico.

Si contrae quindi di nuovo e, come piccolo germe spirituale, si congiunge alla corrente delle forze ereditarie che gli approntano il corpo fisico tramite il padre e la madre. Questa descrizione concorda con quanto è scritto in “Teosofia”.

Con la sfera di Marte comincia il regno spirituale.

Da quanto detto già segue che tutti gli uomini, nel passare attraverso la porta della morte, si espandono entro lo stesso spazio cosmico, sicché dopo la morte siamo tutti “inseriti” gli uni dentro gli altri. Tuttavia i defunti non sono tutti insieme, perché dopo la morte lo stare insieme dipende da qualcosa di molto diverso rispetto a qui sulla Terra. Nel mondo spirituale ci troviamo sì tutti spazialmente l’uno accanto all’altro, ma possiamo davvero stare insieme solo se con gli altri uomini abbiamo relazioni spirituali.

Come caso estremo consideriamo un uomo che sulla Terra abbia interamente rinnegato il mondo spirituale, tanto nei suoi pensieri quanto anche nei sentimenti. Ora, ci sono molti materialisti teorici che negano il mondo spirituale, eppure coi loro sentimenti vi sono in qualche modo collegati. Difficilmente dunque esistono persone che rinnegano del tutto il mondo spirituale, e la terribile realtà che deve venir ora descritta non si avvera perciò mai completamente.

Supponiamo che muoiano due persone del genere, che qui sulla Terra si siano conosciute bene. Dopo la morte si troveranno nello stesso spazio ma non sapranno nulla l’una dell’altra, perché per il mondo del dopo morte il sentimento dello spirituale corrisponde a quello che quaggiù sono, ad esempio, gli occhi.

Niente luce, senza occhi, e niente percezione del mondo spirituale senza sensibilità per lo spirituale. Una sorte persino più terribile del non percepire il mondo spirituale attenderebbe uomini siffatti perché, essendo le anime che passano per la porta della morte esse stesse di natura spirituale, un’anima simile non riuscirebbe a percepire nulla delle altre anime umane. Intorno a quelle anime umane si spalancherebbe come un abisso.

Si potrebbe chiedere cosa percepisca allora, dopo la morte, un uomo del genere.

Non riesce a percepire neppure se stesso, perché gli manca la chiara autocoscienza. Quello che ancora gli rimane, ci risulterà da quanto segue.

Qui sulla Terra noi ci troviamo in un punto, per così dire, della superficie terrestre e abbiamo i nostri organi dentro di noi, mentre al di fuori di noi abbiamo i corpi celesti. Dopo la morte è esattamente il contrario. L’uomo si accresce allora a una grandezza cosmica. Quando è cresciuto fino alla sfera lunare, la Luna – lo spirituale che appartiene alla Luna – diviene in lui un organo e, dopo la morte, diviene per lui la stessa cosa che qui sulla Terra è per noi, come uomini fisici, il cervello.

Altrettanto, ogni corpo planetario diviene per noi un organo, dopo la morte, conformemente al nostro accrescerci ad esso. Il Sole diviene il cuore per noi.

Come quaggiù portiamo in noi il cuore fisico, così in seguito portiamo in noi la parte spirituale del Sole. La differenza sta solamente nel fatto che qui siamo completi solo quando, come uomini fisici dopo lo sviluppo embrionale, abbiamo già formato tutti quanti i nostri organi; sono presenti tutti contemporaneamente, per così dire. Dopo la morte riceviamo questi organi poco per volta, uno dopo l’altro. Guardati esteriormente, sotto questo aspetto siamo allora molto simili a un essere vegetale, che forma anch’esso i propri organi uno dopo l’altro. Ad esempio, un organo che è paragonabile ai nostri polmoni e alla nostra laringe lo riceviamo su Marte, e così via.

Dopo la morte dunque cresciamo entro ciò di cui quaggiù abbiamo deposto la parte fisica, e in noi c’è allora la parte spirituale degli organi cosmici.

Cos’è in tal caso per noi il “mondo esterno”?

Ciò che adesso è il nostro mondo interno, quanto sperimentiamo con l’aiuto dei nostri organi che ci rendono uomini fisici terreni, e ciò che abbiamo fatto grazie a questi organi.

Allora, prendiamo di nuovo quel caso estremo dell’uomo che non abbia allacciato nessunissima relazione con il mondo spirituale. Per lui, dopo la morte, il suo mondo esterno è quello che ha sperimentato sulla Terra per mezzo dei suoi organi fisici. Per un simile ateo radicale, il mondo dopo la morte resta completamente privo di anime umane, ed egli deve allora riguardare alla propria vita terrena, a quello che fu il suo mondo, a quello che abbracciò con le sue azioni ed esperienze. Questo è dunque il suo mondo esterno: nient’altro che ciò che gli rimane come ricordo della vita tra nascita e morte – e questo mondo non basta affatto per le esperienze di cui l’uomo ha bisogno nella vita tra morte e nuova nascita.

In quella vita, quando l’uomo è fuori dalla propria pelle, la vita tra nascita e morte ha infatti tutt’altro aspetto. Qui sulla Terra, per esempio, noi stiamo di fronte a un uomo per il quale proviamo antipatia, col quale abbiamo litigato, cui abbiamo causato offese e sofferenze. Riguardo a questa persona siamo emotivamente coinvolti; non agiremmo così se, in un certo senso, non ci sentissimo anche bene nel farlo.

Forse si prova un po’ di pentimento per questo, poi si torna a scordarsene.

Dopo la morte si incontra nuovamente quest’essere umano, ma allora si riceve dall’esperienza l’opposto della soddisfazione. In tal caso si sente: se non avessimo agito così, saremmo stati uomini più perfetti, pertanto la nostra anima in questo punto è manchevole. Questa imperfezione è rimasta all’anima e deve rimanerle finché l’azione non verrà pareggiata. Guardiamo meno all’azione che non alla pecca dell’anima: va cancellata questa. Sentiamo ciò come una forza dentro di noi, che ci guida a cercare un’occasione per tornare a pareggiare l’azione.

Nel caso di un’anima contraria alla spiritualità, a ciò si aggiungerebbe il sentire: sono separata dall’anima alla quale ho fatto torto; per pulire la macchia devo attendere, finché un giorno la incontrerò di nuovo. Lo sguardo retrospettivo sulla vita precedente si presenta come sentimento del karma necessario. L’immagine dell’altra anima ci sta davanti ammonitrice nella cronaca dell’akasha. Allora noi viviamo solo in simili immagini della cronaca dell’akasha. Ma casi estremi di questo genere in realtà non ci sono.

Il veggente che entra in rapporto con le anime dei defunti può fare la seguente esperienza. Trova un’anima a lui nota, che è passata attraverso la morte uscendo da un corpo maschile e ha lasciato indietro la moglie e i figli. L’anima gli dice: “Ho lasciato moglie e figli, insieme ai quali vivevo. Ora ho solo le immagini di ciò che abbiamo vissuto insieme. I miei sono sulla Terra, dove però non riesco a vederli. Mi sento disgiunto da loro; anzi, forse uno di loro è già morto e non posso trovare neppure lui”. Questo è lo strazio dell’anima che ha vissuto in un ambiente che non coltivava alcun rapporto con la vita spirituale. Queste anime [dei parenti NdT] rimangono perciò nell’oscurità in riferimento al mondo spirituale, e a partire da esso non possono venir scorte.

Al contrario, quando il veggente visita anime che ne hanno lasciato nel mondo fisico altre che qui, sulla Terra, hanno cura della vita spirituale – ad esempio della scienza dello spirito – trova che dopo la morte quelle anime percepiscono le altre anime siffatte, e nella vita dopo la morte possono avere relazioni con esse.

I cosiddetti morti hanno bisogno dei vivi, perché altrimenti sulla Terra non potrebbero vedere nient’altro che se stessi, vale a dire la loro vita trascorsa. Su ciò si fonda il beneficio che possiamo recare alle anime defunte leggendo per loro spiritualmente – non ad alta voce, ma nei pensieri, avendo al contempo i defunti davanti a noi nel pensiero. In questo modo possiamo leggere contemporaneamente a vari defunti, con o senza libro, e così recar loro grande beneficio. I pensieri, però, devono essere in relazione con qualcosa di spirituale, altro non ha significato per i defunti. Con questi pensieri creiamo al defunto un mondo esterno, qualcosa che egli percepisce. Pensare a leggi chimiche e via dicendo non ha senso, perché queste leggi non hanno alcun significato per il mondo spirituale.

Nel mondo spirituale, dopo la morte, non si può più nemmeno apprendere la scienza dello spirito, come magari si potrebbe credere dal momento che essa pur contiene pensieri spirituali. Ad anime che qui hanno già ascoltato qualcosa di scienza dello spirito possiamo rendere grandi servigi leggendo loro dei cicli. Anime simili sono senz’altro in grado di percepire un mondo spirituale, ma non per questo possono formare i concetti e le idee che si possono conseguire solo quaggiù.

Prendiamo un esempio. Ci sono entità che si chiamano bodhisattva, entità umane elevate, progredite, che si reincarnano sempre di nuovo sulla Terra, finché non sono ascese all’esistenza di Budda.

Fintanto che è nel suo corpo fisico, un bodhisattva vive come uomo tra gli uomini, come benefattore spirituale degli esseri umani. Ma già qui sulla Terra egli ha un compito speciale: insegnare non solo a quelli che vivono entro il corpo, ma anche ai defunti. Anzi, persino ad entità delle Gerarchie superiori.

Ciò deriva dal fatto che il contenuto della teosofia terrena può venir acquisito solo sulla Terra, in un corpo fisico, e poi può venir impiegato nel mondo spirituale – va però conseguita in un corpo fisico.

Solo in via eccezionale i bodhisattva possono far progredire altri esseri, che già quaggiù abbiano accolto la scintilla della vita spirituale. Per mezzo del mondo spirituale stesso la teosofia non sorge; essa viene ad essere solo sulla Terra e allora può venir portata dagli uomini su nel mondo spirituale.

Questo si deve capire, quando si pensa ad esempio che

gli animali, sulla Terra, vedono tutto al pari degli esseri umani, ma non sanno capirlo.

Allo stesso modo gli esseri soprasensibili

possono solo guardare il mondo soprasensibile, ma non capirlo.

I concetti e le idee del mondo soprasensibile possono sorgere soltanto sulla Terra

e, da là, irraggiano come una luce sul mondo spirituale.

Da ciò si comprende bene il significato della Terra.

La Terra non è semplicemente un gradino di passaggio o una valle di lacrime.

Esiste invece affinché possa venir qui sviluppata una conoscenza spirituale,

che possa poi venir portata su nei mondi spirituali.