Che cosa si manifesta volgendo lo sguardo alle precedenti vite fra morte e nuova nascita – Parte II – Massime 150-152

Commento di Lucio Russo


 

Parte II

 

Affronteremo stasera la seconda parte (25 gennaio 1925) della lettera intitolata:

Che cosa si manifesta volgendo lo sguardo alle precedenti vite fra morte e nuova nascita.

 

Nella prima parte, abbiamo parlato soprattutto del rapporto tra le Archài e il germe dell’essere umano nel corso della “storia celeste”.

In questa, ci occuperemo invece di ciò che accade nel corso della “storia mitologica”: cioè nel corso di quello stadio in cui l’uomo è, sì, fuoriuscito dal grembo delle entità divino-spirituali, ma dipende in toto dalla loro volontà.

 

 

In un secondo periodo l’uomo passa dal dominio delle archai a quello degli arcangeli.

Con gli arcangeli egli non è però legato così corporalmente-spiritualmente come lo era prima con le archai.

Il suo collegamento con gli arcangeli è più spirituale. Esso è nondimeno così intimo

che per questo periodo non si può ancora parlare di un distacco dell’uomo dal mondo divino-spirituale” (p. 165).

 

 

In questo periodo (in quello, ripeto, della “storia mitologica”) l’uomo passa dunque dalla tutela “universale” delle Archài (degli Spiriti della personalità, cioè a dire della qualità) a quella “particolare” degli Arcangeli (degli Spiriti di popolo), così come passerà poi, da questa, a quella “individuale” degli Angeli (dell’Angelo custode).

Questo • “collegamento con gli arcangeli – dice Steiner – è più spirituale. Esso è nondimeno così intimo che per questo periodo non si può ancora parlare di un distacco dell’uomo dal mondo divino-spirituale”: già sappiamo, infatti, che tale distacco avverrà durante il terzo periodo, quello della “storia terrena”.

 

 

La gerarchia degli arcangeli dà all’uomo per il suo corpo eterico

ciò che in esso corrisponde alla forma del corpo fisico, che egli deve alle archai.

Come il corpo fisico, per mezzo della sua forma, è adattato alla terra per esservi il portatore dell’autocoscienza,

così il corpo eterico è adattato alle condizioni delle forze cosmiche extraterrene.

Nel corpo fisico vive la terra, e nel corpo eterico vive il mondo stellare.

L’uomo deve alla creazione degli arcangeli nel suo corpo eterico le forze interiori che egli porta in sé,

per poter essere sulla terra tale da potersene in pari tempo strappare mediante portamento, movimento e gesto” (p. 165).

 

 

• Le Archài adattano dunque il corpo fisico alle condizioni della Terra,

così che possa divenire, “per mezzo della sua forma”, il “portatore dell’autocoscienza”,

• mentre gli Arcangeli adattano il corpo eterico al corpo fisico:

quel corpo eterico che, essendo “adattato alle condizioni delle forze cosmiche extraterrene”,

si oppone alla gravità, consentendo appunto “portamento, movimento e gesto”.

 

 

Come nel corpo fisico, attraverso la sua forma, possono vivere le forze terrene,

così nel corpo eterico vivono le forze che affluiscono da ogni parte sulla terra dal cosmo circostante” (p. 165).

 

 

Parlando del corpo fisico, parliamo in primo luogo della sua struttura, figura o forma.

Abbiamo visto, infatti (a proposito della polarità Sole-Luna), che

• una cosa è la “struttura”,    •  altra la “funzione”

o, se preferite, che

• un conto è l’anatomia (correlata alla “fissità” spaziale-stellare),

• altro la fisiologia (correlata alla “mobilità” temporale-planetaria).

 

Potremmo anche dire, perciò, che

• l’anatomia è maggiormente legata all’azione delle Archài,

• mentre la fisiologia è maggiormente legata a quella degli Arcangeli.

 

Penso sappiate, ad esempio, che Steiner, in campo artistico,

mette in rapporto l’architettura con l’anatomia (fisica) e la scultura con la fisiologia (eterico-fisica):

• la prima, infatti, ha soprattutto a che fare con la statica,

• mentre la seconda ha soprattutto a che fare con la dinamica (con l’espressività della postura e del gesto).

 

 

Le forze terrestri viventi nella forma che appare fisicamente sono tali da rendere questa forma relativamente solida e conclusa.

I contorni della figura umana, salvo una metamorfosi secondaria, rimangono stabili durante la vita terrena;

le facoltà di movimento si fissano in abitudini e così via. Nel corpo eterico regna una mobilità incessante

che è un’immagine riflessa delle costellazioni che mutano durante la vita terrena dell’uomo.

Il corpo eterico si configura già a seconda dei mutamenti del cielo fra giorno e notte,

ed anche a seconda dei mutamenti che avvengono fra la nascita e la morte dell’uomo” (pp. 165-166).

 

 

Da quando Jacques Monod ha pubblicato Il caso e la necessità (1), molti si sentono in dovere di fare del “caso” il deus ex machina dell’evoluzione umana e terrena.

Tuttavia, sia la lettera che abbiamo finito la volta scorsa, sia questa, mostrano che dove si pone il “caso”, si dovrebbe invece porre il sapiente lavoro delle Gerarchie. Il caso, infatti, non è che una sorta di “buco nero” o di “scotoma” generato dallo stato di nescienza o d’incoscienza di quanti lo teorizzano (“Abbiamo portato con noi dalla nostra incarnazione precedente la volontà tesa alla casualità di questa vita”) (2).

 

Vuoi la lettera della volta scorsa, dedicata alla vita tra nascita e morte, vuoi questa, dedicata alla vita tra morte e nuova nascita, si riferiscono a un processo evolutivo in cui si possono distinguere, come abbiamo visto, tre fasi:

• una prima, che abbiamo chiamato di “gestazione” poiché l’essere umano la vive nel grembo degli Dèi;

• una seconda, che abbiamo chiamato “infantile-adolescenziale”

poiché l’essere umano, ormai partorito, la vive guidato ed educato dagli Dèi;

• una terza (la nostra), che abbiamo chiamato “adulta”,

e che raggiunge la propria maturità con l’avvento dell’anima cosciente.

Dati i tempi dell’evoluzione, il raggiungimento di questo stadio è relativamente recente (1413 d.C.).

 

• Abbiamo visto pure che, nel corso di queste tre fasi,

è in primo luogo attiva la terza Gerarchia, cioè quella delle Archài, degli Arcangeli e degli Angeli.

 

L’altra volta, ci siamo occupati in specie dell’attività delle Archài, giacché sono queste entità ad occuparsi del corpo fisico. Dobbiamo però pensare, lo abbiamo sottolineato, al corpo fisico-spirituale (extrasensibile), cioè all’idea, all’immagine o al progetto del corpo fisico, e non al corpo fisico-minerale (sensibile).

A quest’attività delle Archài, seguono, come stiamo vedendo, prima quella degli Arcangeli, che si occupano del corpo eterico, e poi quella degli Angeli, che si occupano del corpo astrale.

 

Vi ricordo che possiamo parlare

• del corpo fisico anche in termini di “costituzione” (morfologica),

• del corpo eterico anche in termini di “temperamento” (dinamico)

• e del corpo astrale anche in termini di “carattere” (di qualità).

 

• Dal momento che stiamo trattando dell’attività degli Arcangeli, relativa al corpo eterico, sarà anche opportuno ricordare che non è affatto facile, in specie negli adulti, operare una corretta diagnosi del temperamento. Con il temperamento individuale (dominante), possono infatti interferire, a prescindere da altri fattori, tanto quello dell’età, quanto quello del popolo cui si appartiene (legato appunto agli Arcangeli).

 

 

Questo adattamento del corpo eterico alle forze celesti non contraddice al graduale distacco del firmamento

dalle potenze divino-spirituali del quale abbiamo parlato nelle considerazioni precedenti.

È vero che in tempi antichissimi viveva nelle stelle volontà divina e intelligenza divina.

In tempi posteriori esse sono passate nel “calcolabile”” (p. 166).

 

 

• La volontà e l’intelligenza divina, passando nel “calcolabile”,

passano nella sfera dello spazio, della necessità o dell’opera compiuta.

• Solo lo spazio è infatti calcolabile; già il tempo (l’effetto operante) non lo è più;

per questo ci si arrangia a calcolarlo spazializzandolo: riducendolo, cioè, a opera compiuta.

 

 

Gli dèi non agiscono più sull’uomo per mezzo di ciò che è diventata la loro opera compiuta.

Ma a poco a poco l’uomo, per mezzo del suo corpo eterico, si mette in un rapporto suo proprio con le stelle,

come per mezzo del suo corpo fisico si mette in rapporto con la gravità della terra.

Quello che l’uomo si incorpora quando discende dal mondo dello spirito per venire a nascere sulla terra,

cioè il suo corpo eterico che accoglie in sé le forze cosmiche extraterrestri,

viene creato in questo secondo periodo dalla gerarchia degli arcangeli.

Un elemento essenziale che l’uomo riceve da questa gerarchia è l’appartenenza ad un dato gruppo di uomini sulla terra

(p. 166).

 

Nasciamo quali individualità o Io,

ma dobbiamo al tempo stesso inserirci in arti che, partendo da quello del carattere (astrale)

e arrivando, atraverso quello del temperamento (eterico), a quello della costituzione (fisica),

sono sempre meno individuali (tant’è che si sono tentate, nel tempo, delle classificazioni del carattere,

del temperamento e della costituzione, ma mai, non a caso, dell’Io).

 

Ciò vuol dire che siamo chiamati (quali Io) a misurarci con queste realtà, per poterle dominare, e non esserne dominati. Cominceremo naturalmente a misurarci con il carattere, nella speranza di poter poi passare al temperamento.

Non possiamo invece sperare di misurarci con la costituzione sensibile (oltretutto ereditaria), dal momento che, pur facendo appello alle forze più elevate, ci è consentito soltanto di agire su quella ideale o extrasensibile (in vista di una successiva vita terrena).

Non facciamoci dunque illusioni. Per come vanno oggi le cose, è già molto se ci riesce di agire, quali Io, sul carattere. Imprimere o trasferire, attraversando dall’alto in basso la soglia, quanto abbiamo realizzato sul piano astrale nel corpo eterico è già infatti un compito iniziatico.

 

 

Gli uomini si differenziano sulla superficie terrestre. Nel guardare indietro a questo secondo periodo non si ha davanti a sé

la distinzione odierna in razze e popoli, ma una differenziazione alquanto diversa, più spirituale.

Una differenziazione derivante dal fatto che, nei diversi luoghi della terra,

le forze stellari esercitano un’influenza attraverso costellazioni diverse.

Sulla terra il cielo stellato vive infatti nella distribuzione delle acque e della terraferma, nel clima, nella vegetazione

e in altro ancora. In quanto l’uomo deve adattarsi a queste condizioni, che sono le condizioni celesti sulla terra,

tale adattamento è parte del corpo eterico, e la relativa conformazione è una creazione del coro degli arcangeli. Appunto

durante questo secondo periodo le forze luciferiche ed arimaniche si introducono in un modo speciale nella vita umana;

e ciò è necessario, sebbene a tutta prima appaia come un abbassamento dell’uomo al di sotto del suo essere.

Se nella vita terrena deve sviluppare l’autocoscienza, l’uomo deve distaccarsi dal mondo divino-spirituale, da cui ha origine,

in misura maggiore di quanto potrebbe staccarsi per opera di questo mondo stesso.

Ciò avviene nel periodo in cui sull’uomo agiscono gli arcangeli, perché allora il collegamento col mondo spirituale

non è più così saldo come esso era durante l’azione delle archai sull’uomo. Lucifero e Arimane sono meglio in grado

di affrontare le forze più spirituali emananti dagli arcangeli, che non quelle più poderose delle archai” (pp. 166-167).

 

 

Allentatosi il collegamento dell’essere umano con le Archài, “le forze luciferiche ed arimaniche si introducono in un modo speciale nella vita umana”, poiché si accorgono di poter sostenere il confronto con le forze degli Arcangeli e degli Angeli.

Tanto l’agire di Lucifero quanto quello di Arimane operano nella sfera eterica:

• l’agire del primo muove però dalla sfera astrale,  • mentre quello del secondo muove dalla sfera fisica.

“Ciò è necessario, – dice Steiner – sebbene a tutta prima appaia come un abbassamento dell’uomo al di sotto del suo essere”.

Ricordate ciò che risponde Mefistofele a Faust, quando gli chiede chi egli sia? Sono “parte di quella forza che vuole costantemente il male e opera costantemente il bene” (3).

 

E quale bene, pur volendo il male, operano Lucifero e Arimane? Lo sappiamo: quello della libertà.

“Se nella vita terrena – dice appunto Steiner – deve sviluppare l’autocoscienza, l’uomo deve distaccarsi dal mondo divino-spirituale, da cui ha origine, in misura maggiore di quanto potrebbe staccarsi per opera di questo mondo stesso”.

 

Lo abbiamo detto: gli esseri naturali sono innocenti

perché non hanno alcuna possibilità di opporsi al volere della loro Dèa (Proserpina/Persefone).

• Solo l’uomo può dire No al mondo spirituale che lo ha creato.

 

Ascoltate questo passo di Bertrando Spaventa: “Quanto all’Essere, poi, io non posso dire né cos’è, né perché è. E’ perché è: ecco tutto. – Adunque perché il No? Il Non essere, la negazione? e dopo, e non ostante il Sì, l’essere, l’affermazione? Perché non è solo il Sì? Perché tutto non è Essere? Questo è lo stesso problema del mondo, lo stesso enigma della vita, nella sua massima semplicità logica” (4).

Che cosa possiamo rispondere? Ch’è perché ci sia la libertà che non c’è solo il , che c’è il No, che c’è la negazione, e che non tutto è Essere.

 

Abbiamo distinto, a più riprese,    • la libertà “da” o libertà negativa    •  dalla libertà “per” o libertà positiva.

 • E’ la prima, ovviamente, a fondarsi sul No (“Io sono lo Spirito che sempre nega”, dice Mefistofele, nel Faust),

 • ed è la seconda a fondarsi sul : su di un che non è più, però, quello incosciente e necessario

tacitamente pronunciato dagli esseri naturali,

bensì quello cosciente e libero apertamente pronunciato dagli spiriti (dagli Io) umani.

Si tratta di un totalmente nuovo, in quanto dettato unicamente dall’amore.

 

E’ a questo fine che viene permesso alle entità luciferiche e arimaniche d’intervenire.

Solo queste hanno infatti il potere di distaccare l’uomo dal mondo spirituale che lo ha generato (“l’uomo deve distaccarsi dal mondo divino-spirituale, da cui ha origine, in misura maggiore di quanto potrebbe staccarsi per opera di questo mondo stesso”), affinché sia autonomo, cammini con le proprie gambe, e affronti con dignità e coraggio le prove della solitudine, del dolore e del male.

 

Ascoltate queste parole di Steiner:

“Prego di non cadere nell’illusione di dover evitare tutto ciò ch’è luciferico e tutto ciò ch’è arimanico. Questa sarebbe la via migliore per cadere in balìa delle forze luciferiche e arimaniche. Chi vive con l’umanità deve appunto sapere che Lucifero e Arimane sono per così dire ammessi. Se non potessero verificarsi delle deviazioni, l’uomo non potrebbe mai pervenire alla libertà (…) Non bisogna abbandonarsi al lamento: “Questo è luciferico, quindi va evitato, e quest’altro è arimanico, quindi va evitato!”. Dobbiamo contrapporci nel modo giusto alle forze reali; dobbiamo sapere che non basta evitare le forze di Lucifero, ma che occorre conquistarle, mettendole al servizio della civiltà umana progressiva; non basta evitare le forze di Arimane, ma occorre conquistare anche queste, a favore del progresso normale: dobbiamo inserirle nel modo giusto” (5).

 

Domanda: Le entità delle Gerarchie sono libere?

Risposta: Mi sembra di averlo già detto:

 • gli esseri naturali vivono al di qua della libertà;

 • gli esseri umani vivono nella libertà;

 • le entità delle Gerarchie vivono al di là della libertà, nell’amore.

 

Domanda: Hai detto che la libertà è una creazione: è una creazione dell’uomo o degli Dèi?

Risposta: Pensa a un pittore. I colori di cui dispone sono quello che sono: il rosso è rosso; il giallo è giallo; il blu è blu. Il pittore però li prende, li unisce, li mescola, e così facendo crea una cosa che nessun colore, da solo, avrebbe potuto creare.

Ebbene, il pittore e i colori sono creati dagli Dèi, mentre il quadro è creato dall’uomo (dal pittore).

(Scrive Scaligero: “L’amore umano è il miracolo che può sorgere dall’uomo terrestre, che esiste in quanto egoicamente nega l’amore: il miracolo della libertà, preparato dagli Dei, ma possibile solo all’uomo” [6].)

 

In altri termini,

 • gli Dèi creano le condizioni necessarie per la nascita di quella libertà negativa o libertà “da”,

ch’è per l’appunto indipendenza “dalla natura”, “dagli Dèi” o “dal” mondo spirituale.

 • Sta all’uomo, invece, creare la libertà positiva o libertà “per” (che altro non è, in definitiva, che amore),

trasformando quella negativa (centripeta) in virtù del potere del Logos che inabita l’Io.

 

Mi torna in mente un libro che lessi tanti anni fa: L’abbandono alla divina provvidenza di Jean-Pierre de Caussade (7).

Si può davvero “abbandonare”, però, soltanto colui che davvero si possiede, giacché il vero abbandono (alla divina provvidenza) è il più alto conseguimento della libera volontà umana.

La prova della libertà è insomma la prova umana. Come sappiamo, anche gli odierni Angeli, Arcangeli e Archài l’hanno un tempo attraversata, sebbene in condizioni del tutto diverse dalle nostre.

 

Domanda: Le entità che hanno attraversato il grado umano prima di noi, sono spiriti della libertà e dell’amore?

Risposta: Non proprio. Attraverso la libertà si raggiunge l’amore, ma una volta che lo si sia raggiunto si è uno spirito dell’amore e basta. Lo si esplicherà poi in modo diverso a seconda del grado gerarchico che si riveste.

I Serafini, ad esempio, in quanto entità che contemplano direttamente la Santissima Trinità, ardono d’amore (o sono, per meglio dire, “amore ardente”).

L’amore è infatti un fuoco che aumenta d’intensità man mano che si sale da un grado gerarchico all’altro.

Tieni presente, però, che una cosa sono i “gradi gerarchici”, altra le “individualità” che di volta in volta li rivestono. Il grado di Angelo, ad esempio, rivestito oggi dall’individualità A, potrebbe essere rivestito domani dall’individualità B, e la prima potrebbe essersi nel frattempo elevata al grado di Arcangelo.

 

 

Le potenze luciferiche compenetrano la struttura eterica e le conferiscono un’inclinazione per il mondo stellare

più accentuata di quella che essa avrebbe,

se operassero soltanto le potenze divino-spirituali collegate originariamente con l’uomo.

E le potenze arimaniche irretiscono la struttura fisica dentro la gravità terrestre più di quanto accadrebbe senza la loro azione.

In tal modo viene posto nell’uomo il germe della piena autocoscienza e della libera volontà.

Sebbene le potenze arimaniche abbiano in odio la volontà libera, tuttavia, strappando l’uomo dal suo mondo divino-spirituale,

esse determinano in lui il primo germe della libera volontà” (p. 167).

 

 

L’equilibrio propriamente umano tra le forze celesti e quelle terrestri viene alterato, come sappiamo,

in un senso da Lucifero e nell’altro da Arimane.

• La forza di Lucifero ci trascina verso la periferia del cosmo, strappandoci alla Terra,

• mentre quella di Arimane ci trascina verso il centro della Terra, strappandoci al cosmo.

 

“Sebbene le potenze arimaniche – dice Steiner – abbiano in odio la volontà libera, tuttavia,

strappando l’uomo dal suo mondo divino-spirituale, esse determinano in lui il primo germe della libera volontà”.

 

• Eccoci di nuovo al cospetto di quella forza “che vuole costantemente il male e opera costantemente il bene”.

“Del resto, – osserva Steiner – questo è il destino di Lucifero e di Arimane: di agire con le loro forze nell’evoluzione terrestre e di fare continui sforzi immani per arrestare il progresso evolutivo e fondare un loro regno, rimanendo però sempre delusi in queste loro aspettative” (8).

 

 

A tutta prima però, in questo secondo periodo [quello degli Arcangeli], l’azione esercitata sull’uomo dalle diverse gerarchie,

dai serafini fino agli arcangeli, viene impressa più profondamente nel corpo fisico ed in quello eterico,

di quanto non potrebbe avvenire senza l’influsso luciferico ed arimanico.

Senza questo influsso, l’azione delle gerarchie rimarrebbe più nel corpo astrale e nell’io. Di conseguenza

non sorge il raggruppamento più spirituale dell’umanità sulla superficie della terra, a cui tendevano gli arcangeli.

Imprimendosi così nel corpo fisico e nel corpo eterico, le forze spirituali vengono trasformate nel loro contrario.

Invece della differenziazione più spirituale, avviene quella in razze e in popoli” (pp. 167-168).

 

 

Le differenze di ordine etnico o razziale dell’umanità

sono dunque il risultato di una trasposizione sul piano eterico-fisico

di ciò che avrebbe altrimenti operato, al di là della soglia, sul piano animico-spirituale.

 

Sapete che cosa significa questo?

Significa che il processo dal quale derivano tali differenze è analogo a quello ch’è all’origine di molte malattie.

Ne abbiamo spesso parlato, facendo l’esempio del fegato e del polmone: com’è infatti patologico che si trasponga nel fegato la temperatura ordinaria del polmone, così è patologico che si verifichi il contrario.

 

• Quando un qualsiasi processo non si svolge laddove dovrebbe svolgersi, ma si sposta o si dis-loca,

• ciò ch’è fisiologico diventa patologico,      • e ciò ch’è un bene diventa un male.

Un’umanità minimamente differenziata sul piano eterico-fisico, ma massimamente differenziata sul piano animico-spirituale, sarebbe un’umanità in cui le qualità degli uni si accorderebbero o armonizzerebbero con quelle degli altri.

Oggi possiamo soltanto immaginarla. Si sappia, però, che, in futuro, o ci sarà questa umanità, o non ci sarà umanità.

 

 

Senza l’influsso luciferico ed arimanico, gli uomini sulla terra si vedrebbero differenziati dal cielo.

I vari gruppi, nella loro vita, si comporterebbero tra loro come esseri che con buona volontà e con amore

si scambiano l’un l’altro i doni dello spirito.

Nelle razze e nei popoli, attraverso il corpo umano, si manifesta la gravità terrestre;

nel raggruppamento spirituale si sarebbe manifestata un’immagine riflessa del mondo divino-spirituale” (p. 168).

 

 

Le differenze di razza e di popolo sono dunque differenze terrene

che, non avendo nulla a che fare con lo spirito umano (con l’Io),

non hanno nulla a che fare col Cristo (con l’”Io sono”), in quanto Dio,

non di un popolo, di un’etnia o di una razza, ma dell’uomo in quanto uomo.

 

(Scrive Steiner: • “L’umanità è partita dall’unità; ma l’evoluzione terrestre finora svoltasi ha condotto alla differenziazione. Nel Cristo è dato un ideale che si oppone a qualsiasi differenziazione, poiché nell’uomo che porta il nome del Cristo vivono anche le forze del sublime essere solare, nelle quali ogni io umano trova la propria origine” [9].)

 

Pensate a quante guerre sono state scatenate perché il Dio o gli Dèi degli uni erano diversi dal Dio o dagli Dèi degli altri (dice Steiner [siamo nel 1916]: • “Ogni odio fra i popoli è al tempo stesso una lotta contro lo spirito. Proprio perché il nostro tempo tende talmente a lottare contro lo spirito, esso possiede anche tanto talento per l’odio fra i popoli. Questo è uno dei più profondi segreti della nostra attuale cultura spirituale”) (10).

Questo non accadrebbe se si comprendesse (vale a dire: si pensasse, si sentisse e si volesse) che il Cristo vive in ciascun essere umano in quanto essere umano (Io), e non in quanto cristiano, ebreo, islamico, buddhista, induista, ecc..

Sarà questa, un giorno, la “comunità di Filadelfia” o degli “spiriti liberi”: ossia, la comunità della sesta epoca post-atlantica.

 

Me lo avete sentito già dire: gli spiriti liberi non amano né comandare, né obbedire;

amano incontrare altri spiriti liberi con i quali condividere il loro amore,

sia per la verità, per la bellezza e per il bene, sia per la libertà, per l’uguaglianza e per la fraternità.

 

Stiamo attenti, però, perché gli spiriti liberi possono essere compresi soltanto da altri spiriti liberi,

non dal “conscio collettivo”, né, tantomeno, dal moralismo.

Emblematico, al riguardo, è il caso di Richard Wagner.

 

E’ passato a tal punto alla storia come un uomo affetto da “immense tare morali” (Massimo Mila), che viene spontaneo domandarsi come abbia fatto un individuo del genere a creare il Tannhäuser, il Lohengrin o il Parsifal.

Non sto qui a farla lunga, ma vi invito a leggere un libro di Teodoro Celli, intitolato: Il Dio Wagner e altri Dei della musica (11). Vi troverete un saggio dedicato appunto alle (presunte) “immense tare morali” dell’autore del Ring.

 

 

Con tutto questo si è dovuto predisporre già prima nell’evoluzione umana la piena autocoscienza avvenire.

D’altra parte, ciò esigeva che si conservasse in una certa forma, sebbene mitigata, l’antichissima differenziazione dell’umanità

che esisteva nell’epoca in cui l’uomo passò dalla gerarchia degli exusiai [degli Spiriti della forma] a quella delle archai.

L’uomo visse questo stadio del suo sviluppo, come in una scuola cosmica, attraverso il sentimento e la veggenza.

Non lo riconosceva ancora come una preparazione essenziale per la sua futura autocoscienza.

Ma allora quella veggenza senziente delle sue forze evolutive

fu tuttavia importante per la penetrazione dell’autocoscienza nel corpo astrale e nell’Io.

In rapporto al pensare, avvenne allora il fatto che le potenze luciferiche diedero all’uomo l’inclinazione

a continuare ad immergersi nelle antiche forme dello spirito, e a non adattarsi a quelle nuove.

Lucifero ha infatti sempre la tendenza a conservare per l’uomo forme anteriori di vita” (p. 168).

 

 

Lucifero, lo abbiamo detto, è un conservatore, un tradizionalista e un nostalgico.

Ci costringe a guardare sempre indietro,

illudendoci che così facendo riusciremo a risolvere i problemi che ci pone la modernità.

 

Prendete la cosiddetta “tecnoscienza”. Ma davvero si crede di poterne contrastare o arginare l’odierno strapotere riesumando o rispolverando l’anima razionale-affettiva o l’astratta cultura filosofica e umanistica? A detta di Emanuele Severino, Giovanni Reale e Giovanni Paolo II dovremmo ad esempio tornare, rispettivamente, a Parmenide, a Platone e a San Tommaso.

Di queste cose Arimane ride e Michele piange.

Ci si ostina infatti a non capire ch’è soltanto il potere della scienza spirituale a poter contrastare quello della scienza materialistica e a rimetterlo nelle mani dell’uomo.

 

Teniamo comunque presente, per tornare a Lucifero, ch’è assolutamente necessario imparare a distinguere il suo impulso spiritualistico, mistico o misticheggiante da quello scientifico-spirituale di Michele.

A questa decisiva differenza, dobbiamo fare non solo occhio, ma anche orecchio, naso e bocca.

 

 

Così il pensare dell’uomo si formò in modo che a poco a poco, nelle vite fra morte e nuova nascita,

egli sviluppasse quella facoltà che in epoche remotissime creava in lui i pensieri.

Benché fosse come è attualmente la mera percezione sensoria, allora questa facoltà poteva vedere lo spirituale,

perché allora il fisico portava alla sua superficie lo spirituale.

Ora invece la facoltà del pensare, conservatasi da allora, può agire soltanto come percezione dei sensi” (pp. 168-169).

 

 

Riflettiamo su questa affermazione:

“Ora invece la facoltà del pensare, conservatasi da allora, può agire soltanto come percezione dei sensi”.

Che cosa significa?

Significa che la facoltà del pensare, dotata un tempo di forma e di forza,

si è ora ridotta a mera forma (a mera luce),

• poiché la sua forza (il suo calore) “può agire soltanto come percezione dei sensi”.

 

Ricordate il mio vecchio esempio? Avanziamo con gli occhi chiusi in una stanza e, a un certo punto, tocchiamo qualcosa. Questo ci consente di affermare: “Qui e ora (Hic et nunc) qualcosa è”. In virtù della percezione, in virtù cioè del vivo incontro del nostro essere con l’essere dell’oggetto, abbiamo dunque la certezza che qualcosa è, ma non sappiamo ancora qual è la cosa che è. Per saperlo, dobbiamo infatti aprire gli occhi: dobbiamo ossia pensare, poiché è solo grazie al concetto ch’è possibile determinare o qualificare l’oggetto percepito.

 

Ma che cosa succede? Succede che, per il modo (dualistico) in cui si dà l’esperienza,

siamo invece indotti a credere (con Kant)

• che il contenuto che abbiamo percepito (il percetto) sia altro da quello che abbiamo pensato (dal concetto):

• che il primo sia cioè un essere che sta nella realtà, mentre il secondo sia un non-essere che sta nella nostra testa.

• Nel momento in cui lo percepiamo (sensibilmente)

non ci rendiamo infatti conto che tale contenuto è frutto di una intuizione;

• nel momento in cui lo pensiamo (idealmente) non ci rendiamo invece conto che è frutto di una percezione.

 

Rileggiamo: •“Ora invece la facoltà del pensare, conservatasi da allora, può agire soltanto come percezione dei sensi”.

• Un tempo il pensare percepiva gli Dèi, e questa percezione era appunto un’intuizione (sintesi di forma e di forza).

• In seguito, non è stato più così. Gli Dèi sono diventati ispirazioni, poi immaginazioni e infine rappresentazioni,

e quindi, per quanto possa sembrare strano, contenuti sensibili, oggetti o cose.

 

Possiamo anche dire:

• quelle che erano, per l’anima senziente, entità spirituali,

• sono diventate, per l’anima razionale-affettiva, concetti e, per l’anima cosciente, cose.

 

Il pensare delle origini può essere però ritrovato

• ove si riesca a restituire alla forma del pensare la forza del percepire,

• realizzando così che il concetto e il percetto sono una stessa realtà

• che si dà, al pensare, come un concetto determinato,    •  e al percepire come un percetto indeterminato

(scrive Goethe, in Epirrema: “… / niente è dentro e niente è fuori: / poiché ciò che è dentro è fuori.

/ Dunque afferrate senza indugio / il divino, palese mistero”) (12).

 

 

La facoltà di elevarsi, pensando, allo spirito, venne man mano diminuendo. Ciò si manifestò pienamente

solo quando, nell’epoca dell’anima cosciente, il mondo spirituale fu avvolto per l’uomo in un’oscurità completa.

Fu così che nel secolo diciannovesimo i migliori fra gli scienziati, che non potevano diventare materialisti, dissero:

“Non ci rimane altro che limitarci ad investigare quello che è possibile secondo misura, numero e peso, e mediante i sensi;

ma non abbiamo il diritto di negare un mondo spirituale nascosto dietro a quello sensibile”.

Essi accennavano così alla possibilità che esistesse un mondo chiaro e luminoso, sconosciuto all’uomo,

là dove il suo sguardo non vede che tenebre” (p. 169).

 

 

Non è facile, oggigiorno, incontrare degli scienziati che affermino: • “Non ci rimane altro che limitarci ad investigare quello che è possibile secondo misura, numero e peso, e mediante i sensi; ma non abbiamo il diritto di negare un mondo spirituale nascosto dietro a quello sensibile”.

Nel secolo diciannovesimo, i “migliori” invece lo dicevano, poiché erano ancora consapevoli che, essendo il materialismo “metafisica” e non “scienza”, se fossero diventati materialisti, non sarebbero stati più scienziati (e avrebbero magari intitolato un loro libro, come ha fatto di recente Piergiorgio Odifreddi: Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)) (13).

 

 

Come Lucifero spostò nell’uomo il pensare, così Arimane ne spostò il volere.

Questo ebbe la tendenza ad una specie di libertà alla quale l’uomo sarebbe dovuto accedere solo più tardi.

Tale libertà non è la vera, ma solo l’illusione della libertà” (p. 169) .

 

 

Lucifero sposta il pensare all’indietro,

• mentre Arimane sposta il volere in avanti, così che si allarghi la forbice che normalmente li divide.

Guardiamoci intorno: non è forse curioso, per non dire grottesco, che oggi, in barba a una scienza che predica dalla mattina alla sera il determinismo, non ci sia quasi più nessuno che non rivendichi a gran voce la propria libertà?

Questo succede perché, tanto quelli che la negano, quanto quelli che la rivendicano non conoscono “la scienza della libertà” (cioè la prima parte de La filosofia della libertà), e non sanno, perciò, che

la libertà del volere, ossia l’Io che vuole,

è l’altra faccia della verità del pensare, ossia dell’Io che pensa.

 

Ogni libertà che non sia il risvolto della verità è pertanto un’illusione (dell’ego);

e non c’è peggior schiavitù dell’illusione della libertà.

Dice appunto Goethe: ”Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo” (14).

 

 

L’umanità visse a lungo in una simile illusione di libertà.

Ciò le precluse la possibilità di sviluppare l’idea della libertà secondo lo spirito” (p. 169).

 

 

Chi conosce il celebre Per una filosofia della libertà di John Stuart Mill (1806-1873) (15), sa che vi si tratta della libertà in termini politici: vale a dire, in rapporto agli altri, allo Stato o al potere.

Il che è caratteristico della vocazione giuridica di quel liberalismo cui dobbiamo la nostra emancipazione politica o giuridica (afferma Steiner: “Sino alla metà del secolo XIX si afferma in occidente ciò che vien comunemente chiamato “liberalismo”, o atteggiamento liberale o progressista, o come meglio lo si voglia definire; quello, in ogni caso, che si formò con la massima precisione nel secolo XVIII come teoria politica, per affermarsi poi come corrente politica nel corso del secolo XIX, ed infine per scomparire lentamente e morire [soffocato] nell’ultimo terzo dello stesso secolo”) (16).

 

Ma che ne è della nostra emancipazione animico-spirituale (dalla natura o dall’ego)?

Ricordate? “Tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura”.

Che ne è, cioè, dell’”idea della libertà secondo lo spirito” (secondo l’Io), e non secondo la legge?

(Vi segnalo, in proposito, Stato società e storia [17] di Wilhelm von Humboldt (1767-1835), autore molto apprezzato da Steiner.)

 

Croce (1866-1952), pensatore liberale, è arrivato a parlare, come si sa, di una “religione della libertà” (18), ma è rimasto ben lontano dalla consapevolezza ch’è impossibile affrontare il problema della libertà rispetto a se stessi (“liberaci dal male”) se si prescinde, in ragione di un’astratta e insufficiente conoscenza dell’essere umano, dalle realtà del conscio e dell’inconscio o, per meglio dire, da quella dei diversi livelli di coscienza.

 

Solo l’indagine scientifico-spirituale ci consente infatti di riconoscere che l’anima,

• stando tra il corpo (fisico), rappresentante il massimo della necessità,

• e lo spirito o l’Io, rappresentante la massima libertà,

quanto più si lega al corpo tanto più si lega alla necessità, vanificando o perdendo così la sua libertà.

 

E’ inevitabile dunque che l’anima, ove si leghi più del necessario (arimanicamente) al corpo, finisca col convincersi che la libertà non esiste.

Liberi infatti non si nasce, ma si diventa (Nietzsche: “Come si diventa ciò che si è”).

 

 

Fu un continuo oscillare tra l’opinione che l’uomo sia libero, e quella che egli sia imprigionato in una rigida necessità.

E allorché, con l’avvento dell’epoca dell’anima cosciente, venne la libertà vera, non si fu capaci di riconoscerla

perché troppo a lungo la conoscenza si era sviluppata nell’illusione della libertà. Tutto quello che è stato immerso

nell’essere dell’uomo in questo secondo stadio dell’evoluzione delle vite fra morte e nuova nascita,

egli lo trasportò, come ricordo cosmico, nel terzo stadio nel quale vive ancora nel presente.

In questo stadio egli si trova, nei confronti della gerarchia degli angeli,

in una relazione analoga a quella in cui stava nel secondo stadio nei confronti della gerarchia degli arcangeli.

Ma la relazione con gli angeli è tale che, grazie ad essi, viene ad esistenza la piena individualità indipendente.

Infatti gli angeli – ora non più in coro, ma un angelo per ogni uomo –

si limitano ad ottenere la giusta relazione delle vite fra morte e nuova nascita, e delle vite terrene.

Un fatto a tutta prima rimarchevole è che nel secondo stadio dell’evoluzione delle vite fra morte e nuova nascita,

per ogni singolo uomo opera l’intera gerarchia degli arcangeli.

Più tardi a questa gerarchia viene assegnata la direzione dei popoli.

Per ogni popolo sia ha allora un arcangelo come spirito del popolo. Nelle razze rimangono attive le archai.

Anche qui per ogni razza agisce un solo essere della gerarchia delle archai, come spirito della razza. Così l’uomo attuale

contiene anche nella vita fra morte e nuova nascita il ricordo cosmico di stadi precedenti di queste esperienze.

E questo ricordo si palesa chiaramente anche dove, nel mondo fisico, noi vediamo svolgersi vicende guidate dallo spirito,

come nelle razze e nei popoli” (pp. 169-170).

 

 

A che cosa si riferisce Steiner, dicendo che “fu un continuo oscillare tra l’opinione che l’uomo sia libero, e quella che egli sia imprigionato in una rigida necessità. E allorché, con l’avvento dell’epoca dell’anima cosciente, venne la libertà vera, non si fu capaci di riconoscerla perché troppo a lungo la conoscenza si era sviluppata nell’illusione della libertà”?

Si riferisce alle astratte dispute (tipiche dell’anima razionale-affettiva) tra i seguaci del “determinismo” e quelli del “libero arbitrio”: tra quanti cioè muovevano (e muovono) dal presupposto (più o meno cosciente) che l’uomo sia costituito soltanto di corpo e di anima o, per meglio dire, di psiche.

 

Lasciate che vi legga, al riguardo, questo passo del mio commento a La filosofia della libertà: • “Coloro che negano in questo modo la libertà, credono di negare la libertà umana, mentre non fanno che negare, senza rendersene conto, la libertà della parte animale che vive nell’uomo. E in questo hanno ragione; hanno perlomeno più ragione di tutti quelli che, pur muovendo dal medesimo presupposto, vorrebbero affermare la libertà. Ma così affermata la libertà è davvero un’illusione”.

E’ “davvero un’illusione” perché la libertà o è dell’Io (dello spirito) o non è.

In tanto Steiner può dire, infatti, che “con l’avvento dell’epoca dell’anima cosciente, venne la libertà vera”, in quanto

è solo in virtù dell’avvento dello “spirito scientifico” che si accende, nell’essere umano,

la coscienza dell’Io (seppure nella forma embrionale dell’ego).

 

Leggiamo adesso le massime.

Massime 150/151/152 (25 gennaio 1925)

 

 

150 –  “In un secondo periodo dello svolgimento delle vite fra la morte e una nuova nascita

l’uomo entra nel dominio degli arcangeli.

Durante questo periodo viene posto nell’anima il germe per la futura autocoscienza,

dopo che esso era stato predisposto nella formazione della figura umana durante il primo periodo”.

 

 

Al concetto di “autocoscienza”, martoriato dalla dialettica e dai vaniloqui d’infiniti gruppi e gruppetti,

va restituito il suo vero valore.

Non è infatti straordinario che tra tutti gli esseri che popolano la Terra,

solo uno sia in grado di dire a se stesso: “Io sono” (un essere)?

 

Abbiamo visto, però, che la coscienza ordinaria o rappresentativa dell’Io non è all’altezza della realtà spirituale dell’Io.

Grazie al corpo fisico, cominciamo infatti a conoscere l’Io come ego: ossia come un soggetto che non solo vive nello spazio, ma che è esso stesso spazio (appunto “corpo fisico”).

• Alla conoscenza dell’Io come spazio, dovremmo perciò aggiungere, come sappiamo,

• prima la conoscenza dell’Io come tempo,    • poi dell’Io come anima,    •  e infine dell’Io come spirito.

 

Ogni livello precedente quello dell’Io come spirito (dell’Io come realmente è) può diventare però una trappola.

• Arimane, infatti, tenta costantemente di congelare l’autocoscienza al suo primo livello (fisico),

presentandocelo non come il livello iniziale, ma come l’unico e il solo (come il primo e l’ultimo),

• mentre Lucifero, disdegnando questo (basso) livello, tenta costantemente di sciogliere l’autocoscienza

mettendola, per così dire, “a bagno” nel mare magnum (eterico) delle fantasie,

o di rarefarla e dissolverla nell’atmosfera (astrale) delle illusorie o allucinate ispirazioni.

 

 

151 –  “In questo secondo periodo [cioè nel periodo che è sotto il segno degli Arcangeli]

l’uomo viene immerso nel fisico, da parte degli influssi luciferici ed arimanici,

più a fondo di quanto non sarebbe avvenuto senza tali influssi”.

 

152 –  “Nel terzo periodo l’uomo giunge nel dominio degli angeli

che però esercitano il loro influsso soltanto nel corpo astrale e nell’io.

Questo è il periodo attuale.

Ciò che è avvenuto nei primi due periodi sussiste nell’evoluzione dell’umanità,

e spiega il fatto che nell’epoca dell’anima cosciente (nel secolo diciannovesimo)

l’uomo guarda nel mondo spirituale come in un’oscurità completa”.

 

 

“Guarda nel mondo spirituale come in un’oscurità completa”, giacché ha appunto rimosso e precipitato nell’inconscio la realtà dello spirito.

 

Note:

  1. cfr. J.Monod: Il caso e la necessità – Mondadori, Milano 2003;
  2. R.Steiner: Il Cristianesimo esoterico e la guida spirituale dell’umanità –Antroposofica, Milano 2010, p. 136;
  3. W.Goethe: Faust – Einaudi, Torino 1967, p. 40;
  4. B.Spaventa: Le prime categorie della logica di Hegel in Opere – Sansoni, Firenze 1972, vol. I, p. 399;
  5. R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità. Goethe e la crisi del secolo diciannovesimo – Antroposofica, Milano 1976, pp. 104-105;
  6. M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982, p. 276;
  7. cfr. J.-P. de Caussade: L’abbandono alla divina provvidenza – SAN PAOLO – Cinisello Balsamo (Mi) 1986;
  8. R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità…, p. 87;
  9. R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, p. 239;
  10. R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità…, p. 83;
  11. cfr. T.Celli: Il Dio Wagner e altri Dei della musica – Rusconi, Milano 1980;
  12. J.W.Goethe: Cento poesie – Einaudi, Torino 2011, p. 247;
  13. cfr. P.Odifreddi: Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) – TEA, Milano 2011;
  14. J.W.Goethe: Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p. 38;
  15. cfr. J.Stuart-Mill: Per una filosofia della libertà – Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1999;
  16. R.Steiner: Lo studio dei sintomi storici – Antroposofica, Milano 1961, p. 45;
  17. cfr. W.von Humboldt: Stato società e storia – Editori Riuniti, Roma 1974;
  18. cfr. B.Croce: La religione della libertà – SUGARCo, Milano 1986.