Ereditarietà.

O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 08.04.1920


 

Sommario: Ereditarietà. I ruoli dell’elemento maschile e di quello femminile. Diabete mellito e malattia mentale. Emofilia. Antimonio. L’antimonio come effetto planetario. Coagulabilità del sangue e formazione dell’albumina. Gli effetti dell’antimonio. Il guscio dell’ostrica. L’ostrica come alimento. Il tifo addominale. La belladonna.

 

In queste due ultime conferenze cercherò di esporre la maggior quantità possibile di dati. Un corso come questo non può che offrire un primo impulso alla conoscenza scientifico-spirituale delle vie che le sostanze extraumane prendono nell’organismo umano e delle reazioni che vi provocano. Una completa conoscenza del modo di agire di ima data sostanza apre infatti la via al suo uso come farmaco, e consente inoltre di giudicare di persona in proposito: cosa assai preferibile al conformarsi a semplici prescrizioni che esprimano perentoriamente le indicazioni di questa o quella sostanza. Anche oggi prenderò le mosse da un punto in partenza lontano, per giungere poi a qualcosa di molto vicino. Fra i problemi che sempre di nuovo mi vengono sottoposti ve n’è uno che senza dubbio interessa tutti voi: è quello della ereditarietà, della trasmissione ereditaria. Essa occupa un posto di primaria importanza nella valutazione delle condizioni sia dell’uomo sano (o almeno relativamente sano), sia di quello ammalato.

 

Bisogna dire che l’ereditarietà viene studiata dalla scienza materialistica moderna in modo molto astratto, viene cioè studiata in un modo che non risulta molto utile per la vita sul piano pratico. Se però si affronta con serietà lo studio di un problema come quello dell’ereditarietà, si scopre qualcosa che risulta molto sorprendente per chi considera le cose in modo esteriore, mentre per chi le considera esotericamente il fatto costituisce una legge evidente. Si tratta che per tutto ciò che è importante per l’uomo di apprendere sulle grandi connessioni universali, vi è un punto nel quale il nòcciolo della questione si manifesta direttamente. C’è sempre qualcosa che, tramite un fatto esteriore, manifesta quali forze nascoste, ma assai attive nell’uomo, siano presenti nella natura. A tali forze bisogna attenersi, soprattutto nello studio dell’ereditarietà, perché d’altro lato tutto ciò che vi è connesso viene di continuo disturbato, velato da illusioni, in modo da impedirne una corretta valutazione. Può darsi che ci si sia formati un certo giudizio sull’ereditarietà, e che poi alcuni fenomeni non si accordino con quel giudizio. Questo dipende dal fatto che, proprio in materia di ereditarietà, i fatti si presentano molto annebbiati da illusioni, e precisamente per la ragione che in essi sono coinvolti l’elemento maschile e quello femminile, secondo leggi precise, con difficoltà regolabili. I fatti avvengono secondo certe leggi, ma il carattere di tali leggi non consente sempre una loro evidente regolazione. I fenomeni dell’ereditarietà sono cioè soggetti a leggi, ma difficilmente regolabili. La posizione orizzontale dèi giogo della bilancia è sottoposta a leggi ben precise; se però si aggiungono via via sempre nuovi pesi sull’uno o sull’altro piatto, si avrà sempre una nuova oscillazione da una parte o dall’altra, e con difficoltà si riuscirà a realizzare la posizione orizzontale conforme alla legge. Press’a poco analogo si presenta il caso dei fenomeni ereditari: anche qui vige una legge, simile a quella che porta il giogo della bilancia in posizione orizzontale. La legge si manifesta però con una forte variabilità derivante dal fatto che nell’ereditarietà sono sempre impegnati l’elemento maschile e quello femminile. Ora, nel processo ereditario l’elemento maschile trasmette sempre ciò di cui l’uomo è debitore all’esistenza terrena, alle forze terrestri; l’organismo femminile invece è orientato piuttosto a trasmettere quanto proviene dal cosmo extraterrestre. Si potrebbe dire che la Terra vanta sempre certi suoi diritti sul maschio, lo organizza con le sue forze; la Terra è del resto la causa della sessualità maschile. Sulla donna vanta invece per così dire sempre 1 suoi diritti il cielo, determinandone di continuo la configurazione, avendo il sopravvento in tutti i processi organizzativi interni che ad essa si riferiscono. Questo fatto richiama qualcosa di cui ho già parlato, e ne deriva quanto segue. Supponiamo che la concezione dia origine a un essere femminile: questo tenderà a inserirsi sempre più nei processi di provenienza extraterrestre; tenderà (se così mi è lecito esprimermi) ad essere sempre più accolto dalle forze del cielo. Quando invece si sviluppa un essere maschile esso tende sempre più ad essere impegnato dalla Terra. Cielo e Terra collaborano dunque effettivamente.

 

Non è infatti lecito interpretare quello che ho detto adesso come se avessi detto che il cielo agisce sulla donna e la Terra sull’uomo. No: entrambi agiscono sia sull’uno che sull’altra; ma nella donna l’equilibrio si sposta in direzione del cielo, nell’uomo verso le forze della Terra. Si tratta di un sistema di leggi rigorose, però vi giuocano fattori variabili; da questo deriva una certa conseguenza. Grazie a ciò che la donna racchiude nel proprio organismo, in essa viene di continuo contrastato ciò che è terrestre. Vi è però questa circostanza singolare: l’elemento terrestre viene contrastato soltanto nell’organismo femminile stesso, ma non nel germe che da esso scaturisce. La lotta fra il cielo e la Terra entro l’organismo femminile si limita dunque a tutti i processi organici che stanno al di fuori della formazione dell’ovulo, a tutti, esclusa la sfera della riproduzione; la donna si sottrae dunque di continuo nella sua organizzazione alle forze inerenti al processo riproduttivo. Essa vi si sottrae con l’intera sua organizzazione, eccettuata la sfera riproduttiva. Si può affermare che la tendenza a trasmettere certi caratteri per via ereditaria si trovi nel maschio. Nella donna invece c’è la tendenza a sottrarre se stessa all’ereditarietà; in compenso, essa possiede la maggiore tendenza ereditaria nelle sue forze formative dell’ovulo.

 

Si potrà porre la questione: in che modo la società umana saprà opporsi alle forze nocive dell’ereditarietà? Che le forze ereditarie non si arrestino né davanti al cosiddetto spirituale, né davanti al cosiddetto fisico, risulta dal fatto che nelle famiglie in cui si hanno casi di malattie mentali, nel corso delle generazioni si verificano facilmente anche dei casi di diabete. Si ha dunque la metamorfosi da un campo all’altro. È perciò veramente importante chiedersi in che modo si possano sottrarre gli uomini a certi dannosi effetti dell’ereditarietà. Contro di essi si può agire solamente in un modo: avendo cura di mantenere nelle migliori possibili condizioni di salute il mondo femminile, attraverso il quale penetra nel nostro processo terrestre l’influsso cosmico, extraterrestre; si otterrà così che, partendo dall’organismo femminile, vengano continuamente combattuti i processi che trasmettono ai discendenti i danni dovuti all’ereditarietà. Una società che abbia seriamente cura della salute delle donne, lotta dunque contro l’influsso dannoso che le forze terrestri esercitano tramite l’ereditarietà; si fa appello all’efficacia delle forze equilibratrici, provenienti dalla sfera extraterrestre, forze che possiedono il loro « accumulatore » terrestre solo nell’organizzazione femminile. Ecco dunque un insieme di cognizioni di grande importanza da tenere presenti.

 

Quello che ho detto ora vale per tutte le forze terrestri ed extraterrestri; è qualcosa di molto universale, ma si manifesta con particolare evidenza nel caso della emofilìa, una delle malattie emorragiche. Bisogna proprio far rilevare die non è lecito parlare in modo vago e generico dei fenomeni ereditari, ma che al contrario occorre studiare in modo preciso i fatti concreti, là dove essi mettono in evidenza l’ereditarietà. Si provi dunque a studiare i fenomeni legati all’ereditarietà negli emofilìaci. Si riscontra il fatto singolare e ben noto che rappresenta l’espressione esteriore delle considerazioni da me fatte prima: la tendenza alle emorragie si manifesta, in seno alla famiglia, solo nei discendenti maschi, ma viene trasmessa solo dalle femmine. Una donna, figlia di un maschio ammalato di emofilìa, può trasmettere la malattia ai suoi discendenti maschi, senza esserne lei stessa affetta. La donna ha ereditato dalla sua famiglia la capacità di trasmettere il carattere ereditario; i maschi invece sono quelli che ammalano della malattia conclamata, ma non la trasmettono alla loro prole, se non sposano donne provenienti da una famiglia emofilìaci.

 

Analizzando questi dati, vi si può riscontrare la chiara conferma di quello che ho detto prima; i fenomeni che si riscontrano nell’emofilìa mostrano assai meglio dei recenti esperimenti di Weismann come vadano i fatti relativi all’ereditarietà. Una tale valutazione dei fatti risulta poi importante per la conoscenza dell’organizzazione umana complessiva, e di quest’ultima bisogna appunto conoscere i fattori che la influenzano.

 

In che cosa consiste in fondo la malattia emorragica? Lo si vede anche con un’osservazione superficiale. Manca la capacità di coagulazione del sangue, sì che le più modeste lesioni (come quelle che dànno luogo a una epistassi, o una comune operazione dentaria) possono condurre il soggetto al dissanguamento, mentre di norma avviene la coagulazione del sangue a ogni piccola lesione o ferita. Dunque l’essenziale perché si manifesti la malattia è l’assenza della normale capacità di coagulazione. Il sangue deve cioè avere in sé qualcosa che si contrappone alla coagulabilità; e se quel fattore agisce in modo eccessivo, esso non può venire neutralizzato dalle forze provenienti dall’esterno che di solito cominciano ad agire quando appunto il sangue si coagula. Nella coagulazione del sangue abbiamo a che fare con forze che agiscono da fuori. Se nel sangue è presente qualcosa che a quelle forze si oppone, si verifica un’eccessiva fluidificazione del sangue, un’eccessiva tendenza alla Sua fluidificazione.

 

Ora, questa forte tendenza alla fluidificazione del sangue sta in rapporto con l’intera organizzazione dell’io umano. Non si tratta però di una connessione superficiale con la formazione dell’io umano. Quel fenomeno è connesso con quanto nell’io umano opera come volontà, e non con quanto in esso opera come rappresentazione. Dunque l’organizzazione che provoca nel sangue quella eccessiva fluidificazione è connessa con ciò che nell’uomo rafforza oppure indebolisce la volontà. C’è un episodio storico che dimostra come, interpretando le cose al modo giusto, si scoprano certi segreti della natura. Dunque non solo la natura, ma perfino la storia ci mostra il celebre caso delle fanciulle dell’Engadina, del quale alcuni di voi avranno sentito riferire. Quelle due fanciulle engadinesi hanno realmente dato un esempio che può gettare viva luce sopra un modo di conoscere l’essere umano, del quale la scienza medica ha bisogno. Quelle fanciulle engadinesi erano nate da famiglie di emofilìaci: esse presero l’ardua decisione di non sposarsi, impegnandosi in tal modo personalmente nella lotta contro la trasmissione dell’emofilìa.

 

Di un caso come questo bisogna però cogliere il punto essenziale. Non è certo una peculiarità di tutte le fanciulle nate da famiglie emofilìache il sottrarsi in quel modo all’istinto di riproduzione. Per una decisione di quel genere occorre l’esplicazione di una forte volontà soggettiva, quale opera nell’io e non nel corpo astrale. Una tale volontà deve dunque essere stata presente in quelle due donne. Vale a dire che nel loro io, nella loro volontà, operava qualcosa di connesso con le forze che sono in certo senso attive proprio nei malati di emofilìa. Se tali forze vengono rafforzate coscientemente, un tale rafforzamento può verificarsi più facilmente che in altri soggetti, non emofilìaci. Se si riconosce questo fatto nel modo giusto, si potranno almeno in parte conoscere le forze che sono proprie del sangue e che si esplicano in un’azione reciproca con il mondo extraumano. Osservando in tal modo le forze del sangue connesse con la volontà cosciente, si giunge a scoprire la relazione generale esistente fra la volontà umana e le forze extraumane. Ora, certe forze extraumane possiedono con le forze della volontà umana un’affinità interna, dovuta al fatto che nel corso dell’evoluzione fu da ultimo espulso nel regno della natura proprio ciò che ha a che fare con la volontà umana cosciente, con la volontà umana in genere.

 

Si tratta dunque di studiare qualcosa che si trova nella natura esterna, come una specie di eliminazione del processo di formazione dell’uomo, e che con tale processo dimostra una connessione grazie alle proprie qualità. Questo quid è stato studiato nella natura per lungo tempo, ma oggi è molto difficile il riconoscerlo, perché è così arduo ridestare nell’uomo intellettuale d’oggi le forze che erano rimaste conservate nella medicina tradizionale fino al secolo diciottesimo. L’oggetto degli antichi studi ai quali sto qui accennando è l’antimonio e tutto quello che vi si riconnette.

 

L’antimonio è infatti una sostanza molto singolare: ecco perché esso fu studiato tanto a fondo da molti, fra i quali il leggendario Basilio Valentino. Basta osservare alcune delle qualità dell’antimonio per riconoscere il modo strano in cui questa sostanza SÌ trova inserita nel processo complessivo della natura. Anzitutto l’antimonio possiede la caratteristica di avere una straordinaria affinità con altri metalli e con sostanze diverse: si combina cioè con molte sostanze, fra cui soprattutto con lo zolfo e i suoi composti. Lo zolfo possiede in natura una sua azione specifica della quale abbiamo già parlato, almeno per accenni. La tendenza dell’antimonio a combinarsi con i composti solforati di altre sostanze mostra come esso è inserito nel processo della naturale ancora meglio lo dimostra un’altra sua proprietà. Si tratta della sua tendenza a mostrarsi, appena possibile, cristallizzato sotto forma di fasci, di ciuffi, cioè in forma lineare e tendente a sfuggire alla Terra. Un ammasso di cristalli lineari di antimonio consente di vedere a occhio nudo le forze di cristallizzazione provenienti dal cosmo verso la Terra. Infatti, nelle formazioni aghiformi e a fasci dell’antimonio agiscono le stesse forze di cristallizzazione che di solito si manifestano in forme più regolari. La sostanza dell’antimonio rivela dunque il modo in cui essa è inserita nell’intero processo della natura. Anche quello che accade nel processo di raffinazione (cosiddetto metodo Saiger) indica molto decisamente come l’antimonio sia addirittura la spia delle forze di cristallizzazione. Infatti con il processo di raffinazione si ricava l’antimonio sotto forma di fibre sottili.

 

Un’altra qualità dell’antimonio è quella di ossidarsi, di bruciare in un certo modo, quando venga surriscaldato. Il fumo bianco che allora si forma evidenzia una certa affinità per i corpi freddi ai quali aderisce, formando i famosi fiori di antimonio: un altro fenomeno, questo, nel quale la forza di cristallizzazione per così dire si scarica, appoggiandosi ad altri corpi.

 

L’aspetto più singolare è però la strana forza posseduta dall’antimonio di opporsi alle forze che, nel corso di queste conferenze, ho definite come sotterranee: quelle che si esplicano nell’elettricità e nel magnetismo. Trattando l’antimonio con l’elettrolisi, facendolo migrare al catodo, e toccando poi con una punta metallica il precipitato antimoniale al catodo, l’antimonio dà luogo a piccole esplosioni. Questa opposizione dell’antimonio all’elettricità, purché la si favorisca leggermente, è molto caratteristica per il suo comportamento. Qui, nel caso dell’antimonio, possiamo realmente intravvedere il modo in cui una certa sostanza si trova inserita nel processo naturale. Altre sostanze non lo rivelano in modo altrettanto evidente.

 

Quel che si osserva qui in modo tanto evidente può venire compreso solo partendo dalla premessa che le forze presenti in natura operano dappertutto; quando però certe sostanze le rivelano con particolare intensità, vuol dire che in esse quelle forze sono particolarmente concentrate, localizzate. Ciò che agisce nell’antimonio è però in fondo presente dappertutto. Dappertutto agisce, se mi è permesso coniare questa espressione, una forza « antimonizzante ». La forza propria dell’antimonio opera anche nell’uomo, regolarizzandone certe funzioni; in condizioni normali egli la riceve dalla sfera extraterrestre, ricava per così dire dall’extraterrestre ciò che produce in modo concentrato l’antimonio. In condizioni normali l’uomo non si rivolge alla forza antimonizzante entro la sfera terrestre, né a ciò che si ritrova concentrato nell’antimonio, ma alla forza esterna, extraterrestre dell’antimonio. A questo punto nasce naturale la domanda: che cos’è nella sfera extraterrestre questa forza antimonizzante?

 

Esprimendoci in termini planetari, si può dire che essa è la cooperazione dei pianeti Mercurio, Venere e della Luna. Quando questi tre corpi agiscono non isolatamente, ma in collaborazione, essi non operano secondo le loro rispettive qualità (affini al mercurio, al rame e all’argento), ma agiscono come nella Terra agisce l’antimonio. Per studiare queste correlazioni, occorre ricercare l’effetto sull’uomo di quei tre corpi celesti, quando le rispettive forze della Luna, di Mercurio e di Venere si neutralizzano a vicenda, a causa delle posizioni del momento (opposizione, quadratura). Quando le forze dei tre corpi celesti agiscono l’una sull’altra in modo da neutralizzarsi, si realizza la stessa interazione che è connessa con l’azione dell’antimonio sulla Terra. In tutto ciò che sulla Terra è antimonio agisce, partendo appunto dalla Terra, la stessa forza che da quei tre corpi planetari opera verso la Terra dalla sfera extraterrestre.

 

Qui devo menzionare un altro fatto. La costituzione della Terra è tale che in fondo è errato, parlando di un metallo come l’antimonio, tenere d’occhio solo il frammento che si tiene in mano. Tutto l’antimonio presente nell’organizzazione della Terra costituisce un’unità, come un’unità costituiscono tutto l’oro o tutto l’argento presenti nella Terra. Il singolo frammento ha poca importanza; estraendo dalla Terra un singolo pezzo di antimonio, non si fa che frugare nel corpo antimoniale complessivo, incorporato nella Terra.

 

Il singolo pezzo fa parte della totalità dell’antimonio terrestre. Abbiamo così descritto tutto quel che in certo modo si rivela mediante l’azione dell’antimonio. Senonché in natura ad ogni azione si contrappongono delle reazioni; i corpi configurati hanno origine proprio dal continuo alterno giuoco di azione e reazione.

 

Dobbiamo quindi adesso andare alla ricerca delle forze contrastanti. Esse ci si rivelano, se siamo capaci di riconoscere che le forze antimoniali agiscono sull’uomo quando qualcosa, che all’interno dell’organismo umano è giustamente regolato, si espande all’esterno. Sono infatti proprio le forze antimoniali ad operare nella coagulazione del sangue: lì opera il principio antimonizzante. Ovunque il sangue presenti la tendenza a coagularsi entro la sua composizione, entro la sua corrente, è presente la forza antimonizzante. Ovunque invece il sangue voglia sottrarsi alla forza coagulante, sono in azione le forze contrarie. Negli emofilìaci ci si presentano dunque* stranamente, le forze anti-antimonizzanti. Queste però sono identiche alle forze che (se mi è consentito) vorrei chiamare « albuminizzanti », « proteinizzanti », favorevoli cioè alla formazione delle sostanze proteiche. Infatti sono le forze favorevoli alla formazione delle proteine quelle che impediscono al sangue di coagularsi.

 

Perveniamo in tal modo a conoscere i rapporti tra le forze antimonizzanti e le forze albuminizzanti in seno all’organismo umano. Sono convinto che lo studio del giuoco reciproco fra questi due tipi di forze porterebbe a un approfondimento notevole delle conoscenze sui processi patologici e sui processi terapeutici. Che cosa sono infatti i processi di tipo albuminizzante? Sono processi mediante i quali vengono introdotte nell’organismo umano (e anche in quello animale), ai fini della formazione della sostanza corporea stessa, tutte le forze plastiche, configuratrici. Le forze anti-monizzanti sono quelle che rappresentano per così dire l’artista che dal di fuori conferisce le forme alle sostanze che formano gli organi. Così le forze dell’antimonio hanno una certa relazione con le forze organizzatrici interne degli organi.

 

Si distinguono ora i due tipi di processi in un dato organo, per esempio nell’esofago, e si tratta di una distinzione importante. L’esofago possiede naturalmente un? sua struttura che noi possiamo seguire, anche senza occuparci per adesso del processo che si svolge al suo interno, cioè di come vi fluisca il cibo. Oltre alla sua struttura, si può prendere in considerazione la cooperazione dell’esofago con quanto penetra da fuori nell’organismo umano. In astratto noi possiamo dunque distinguere i processi che si svolgono all’interno dell’organo da quel che vi accade, quando esso colla- bora con ciò che proviene dall’esterno. Si tratta di due processi diversi. All’interno dell’organo agisce la forza antimonizzante dell’uomo. L’uomo è in realtà antimonio, ove si prescinda da tutto quello che in lui viene introdotto dall’esterno. È proprio antimonio egli stesso! Quello che importa è che nella vita normale non si deve sovraccaricare di questa forza antimonizzante la forza interiore di formazione degli organi. La forza antimonizzante non deve essere apportata al processo vitale normale, altrimenti si avvelena l’organismo, lo si stimola eccessivamente. Quando però è necessario stimolarlo di più, allora bisogna fornirgli ciò che di norma non deve essere introdotto. Qui arriviamo all’azione terapeutica dell’antimonio la quale (proprio per le peculiarità di tale sostanza) è specificamente diversa, a seconda che l’antimonio venga somministrato per via esterna o per via interna. Somministrandolo per via interna, bisogna tentare di prepararne una diluizione talmente alta, da farlo penetrare nell’uomo superiore. Se ciò riesce, l’antimonio sarà molto stimolante in caso di disturbi della formazione degli organi, di processi organici alterati. L’antimonio finemente dinamizzato potrà certo svolgere una parte molto importante in talune forme di tifo addominale.

 

È invece diverso l’effetto che si può conseguire con l’antimonio con potenze meno elevate, somministrandolo per via esterna, sotto formi di pomate o simili. Naturalmente può darsi che in certi casi anche per via esterna convenga far ricorso alla forza dell’antimonio dinamizzato. In generale però l’efficacia per via esterna viene ottenuta con l’uso di potenze meno elevate.

 

Ne risulta che questo rimedio tanto utile si inserisce nelle connessioni da me descritte, cioè in un comportamento retto da una sua legge, ma al tempo stesso sottoposto sempre alle proprie oscillazioni. Perciò ci si atterrà alla regola di usare di preferenza l’antimonio per via interna quando si tratti di soggetti dotati di molta forza di volontà; lo si userà invece per via esterna in soggetti con volontà meno forte. Queste distinzioni vanno proprio fatte. Fra le sostanze del regno minerale l’antimonio presenta una intrinseca affinità con la volontà umana, nel senso che quanto più questa è cosciente, tanto più si sente indotta a reagire all’azione dell’antimonio. La volontà dell’uomo agisce distruttivamente su tutte le forze, da me prima descritte, che costituiscono il peculiare comportamento dell’antimonio. Invece vengono favoriti dalle forze dell’antimonio, all’interno dell’uomo, gli impulsi organizzativi influenzati dalle forze del pensiero, e soprattutto dalle forze inconsce di pensiero, come quelle che agiscono nel bambino; l’antimonio collabora con tutte queste forze. Quando dunque si introduce nell’organismo umano l’antimonio in un modo qualsiasi, consentendogli di agire con energia secondo le sue qualità, nell’uomo si forma un robusto « fantasma ». Vengono subito stimolate le forze interne degli organi che non possono più collaborare nel senso prima accennato con le sostanze introdotte nell’organismo umano; ne conseguono vomito e diarrea, proprio perché l’azione dell’antimonio si ripercuote sugli organi e non si estende alle loro vicinanze. Anche nella reazione che ne consegue risulta lo stesso fenomeno.

 

Se si è organizzati in modo favorevole, si potrà combattere l’effetto dannoso dell’antimonio con una sostanza alla quale ricorrono volentieri, per un certo loro istinto, molte persone che provano piacere a mantenere sotto controllo tutte le loro funzioni circolatorie, e più in generale i loro processi ritmici. Su tali processi ritmici esercita un’azione equilibratrice il caffè. Naturalmente non sto dando consigli a nessuno; mi limito a descrivere i fatti. Sotto altri aspetti può riuscire infatti molto dannoso il sottrarre all’io la regolazione dei processi ritmici; ma di questo adesso non parlo, bensì solo di certi fatti. Quando l’uomo non è abbastanza forte per regolarli da sé, l’uso del caffè impone una certa regolazione ai processi ritmici. Ecco perché nell’avvelenamento da antimonio il caffè rappresenta un antidoto, in quanto ristabilisce il ritmo fra l’azione degli organi interni e quella delle sostanze esterne. Anche il rapporto fra queste due azioni è regolato da un certo ritmo. In fondo, si fa uso del caffè perché abbia luogo di continuo una ritmizzazione fra i nostri organi interni e ciò che accade degli alimenti introdotti, nelle vicinanze degli organi.

 

Tutto ciò riporta la nostra attenzione verso un altro ambito: quello dei processi albuminizzanti. Vengono cioè rafforzati tutti i processi che si trovano per così dire dall’altro lato: cioè là dove non si esplica l’attività organizzativa intrinseca di ogni organo, bensì la loro attività esterna, per esempio quella digestiva. Tutto quel che accade nei movimenti meccanici degli intestini e negli altri processi legati alla digestione, tutto ciò è strettamente connesso con le forze albuminizzanti, con le forze formatrici delle proteine, che sono al tempo stesso le antagoniste delle forze antimonizzanti.

 

Come ho già avuto occasione di accennare, l’ostrica e il suo guscio rappresentano un oggetto di studio molto istruttivo. In misura minore, lo stesso fenomeno è già presente nella formazione calcarea del guscio delle uova. Che cosa ne sta a base? che cos’è in realtà un guscio come quello dell’ostrica, o come il comune guscio d’uovo? È un prodotto del quale la sostanza dell’uovo, o l’ostrica, si deve sbarazzare, che deve espellere, perché se lo trattenesse dentro di sé ne verrebbe uccisa. La formazione di un tale guscio ha semplicemente la funzione di salvare l’attività vitale. Quando si mangiano delle ostriche si ingerisce dunque anche, per così dire, il processo vitale che esteriormente si manifesta nella formazione del guscio. Permettetemi di esprimermi così davanti a voi; naturalmente, se dovessi parlare in modo gradito alla scienza moderna, dovrei usare espressioni più forbite. Si mangia cioè al tempo stesso questo processo vitale: cioè un processo albuminizzante, contrapposto al processo antimonizzante. Con ciò si favorisce nell’uomo tutto ciò che conduce ai fenomeni propri del tifo addominale. Il mangiare ostriche è un processo veramente interessante che favorisce la forza configuratrice, la forza albuminizzante nell’addome. In tal modo la testa viene liberata da certi gravami, da certe forze: quando si mangiano ostriche d si sente meno appesantiti dalle forze che vorrebbero operare nella testa. Il capo ne risulta per così dire svuotato. Le forze albuminizzanti devono essere di continuò prodotte, perché non si può lasciare la testa eccessivamente gravata dalle forze configuratrici. Chi si nutre di ostriche porta però all’estremo tale processo, aspirando con tutte le sue forze ad avere… la testa vuota. Con dò egli fa aumentare anche la possibilità della irruzione negli organi addominali di certe forze delle quali ho parlato ieri, favorisce cioè la tendenza ad ammalare di tifo. Potete quindi comprendere che in presenza di una tale tendenza si sia veramente indotti a usare il trattamento antimoniale. Si otterrebbero dei buoni risultati nella lotta contro la tendenza al tifo, ricorrendo all’uso contemporaneo dell’antimonio per via interna ed esterna, sotto forma soprattutto di frizioni con pomate antimoniali e con la somministrazione di alte potenze di antimonio per bocca. Per reazione si avrebbe un effetto regolatore sulla tendenza ad ammalare di tifo, perché le due forme di applicazione si regolerebbero a vicenda.

 

Vedete come con questi criteri si cerchi sempre di porre l’uomo entro l’intero suo ambiente universale. L’importanza di procedere in questo modo si rivela indagando il rapporto dell’uomo con certi fenomeni naturali, dovuti al fatto che qualcosa reagisce in certo qual modo contro le forze terrestri dirette. Le piante talora si difendono contro le forze terrestri dirette: in questo caso esse risparmiano molte delle loro forze formative per il tempo della fioritura e della fruttificazione. La comune struttura vegetale che sta a base delle piante commestibili si fonda appunto sul fatto che una ben precisa somma di forze terrestri viene usata per formare la pianta. Se la pianta si oppone a tali forze terrestri, essa si espone alle forze extraterrestri quando si giunge al momento della formazione del seme, del frutto; allora diventa una di quelle piante che in fondo vorrebbero guardare il mondo alla maniera degli esseri appartenenti ai regni superiori al regno vegetale. La pianta mostra cioè allora una specie di bramosìa di percepire: non ha però un’organizzazione adatta a percepire, è rimasta pianta, ma vorrebbe sviluppare qualcosa di simile all’occhio umano. Non può però sviluppare un occhio, perché possiede un corpo di pianta, non quello di un animale o dell’uomo. Perciò diventa una pianta di belladonna, di Atropa belladonna.

 

Ho cercato di esporvi in modo un po’ immaginoso il processo che conduce alla formazione di questa pianta, della belladonna. Già nelle sue radici sono presenti le forze che la porteranno a produrre le sue bacche scure. Lo sviluppo della belladonna è affine alle forze che nell’organismo umano favoriscono la configurazione; favorisce ciò che può realizzarsi solo nella sfera dei sensi, sollevando dunque per così dire l’uomo dalla sfera della sua organizzazione in quella dei suoi sensi. Il processo legato all’introduzione di piccole quantità dinamizzate di belladonna è straordinariamente interessante, e molto simile a quel che accade in un risveglio accompagnato da sogni. In tale condizione il processo si svolge per così dire su basi normali. Nell’uomo si ha una specie di effetto-belladonna ogni qualvolta, al risveglio, non si è ancora in grado di percepire con i sensi, e le percezioni sensoriali sono ancora fortemente commiste con la coscienza dei sogni. L’avvelenamento da belladonna consiste nel fatto che lo stesso processo che ha luogo nel normale risveglio commisto a sogni, viene provocato dal veleno della belladonna; in questo caso però l’alterazione diventa durevole, quei fenomeni di trapasso della coscienza permangono, e la coscienza normale non riprende il sopravvento. È interessante constatare che i processi provocati anche dagli avvelenamenti sono analoghi a quelli che, quando hanno luogo nei giusti intervalli di tempo, fanno parte della normale organizzazione umana.

 

Come ho già detto, la belladonna tende, per così dire pazzamente, a diventare un essere umano. Si potrebbe dire che il processo del risveglio dell’uomo ha in sé qualcosa della formazione della belladonna: è simile a questa formazione, ma in misura attenuata, misurata, limitata appunto al momento del risveglio. Volendo perciò alleggerire il corpo dai processi interni di proteinizzazione, volendone attenuare gli eccessivi processi di albuminizzazione, deviandone l’azione dalla sfera corporea a quella animica, sì da provocare allucinazioni invece di fenomeni corporei, si può somministrare belladonna dinamizzata. Così facendo, si carica sull’anima qualcosa di cui si vuole alleggerire il corpo. Questo è ciò che ci si presenta anche nel noto effetto tossico della belladonna, sia pure in modo confuso e commisto ad allucinazioni. Naturalmente, se si agisce su una persona impedendole di passare dalla condizione del risveglio a quella della veglia, costringendola a permanere nello stato di dormiveglia, la si uccide. L’uomo è sempre in pericolo di vita durante il risveglio, ma il risveglio avviene tanto rapidamente da fargli superare quel pericolo. Ecco le interessanti connessioni fra quello che è per così dire normale, e che viene ricondotto alla giusta misura, e ciò che è contrario alla normalità quando si estende oltre la giusta misura.

 

Questi sono i processi che, a mio parere, i medici antichi si sforzavano di seguire sempre di nuovo. Se i medici antichi parlavano della creazione dell’omuncolo, in fondo questo vuol dire che con la loro residua chiaroveggenza essi scorgevano qualcosa di simile al « fantasma » dell’antimonio. Nel processo formativo materiale che essi realizzavano nel loro laboratorio, quando l’antimonio sviluppava le sue forze, apparivano loro, proiettate dal loro proprio essere, le forze albuminizzanti avverse alle forze dell’antimonio; proprio queste forze si rivelavano loro. Essi proiettavano fuori di sé quello che di norma rimane racchiuso nell’organismo umano; allora appariva loro l’omuncolo, mentre si svolgeva il processo nel quale l’antimonio assume le sue diverse forme. Essi scorgevano come omuncolo ciò che si manifestava in quel processo di rispecchiamento.