19° Incontro Gli stati di coscienza di veglia, sogno e sonno.

Arte dell’educazione 1° – Antropologia – O.O.293

Commento di Lucio Russo


 

Cominciamo subito a leggere.

 

 

“Ora possiamo chiederci: come si comporta il vero centro dell’uomo, l’io, di fronte a questi diversi stati (di veglia, di sogno e di sonno – nda)?

Per intenderlo più facilmente, partiamo dalla premessa, indiscutibile, che quel che chiamiamo “mondo”, o “cosmo”, è una somma di attività.

Queste attività si esprimono per noi nei diversi campi della vita elementare.

Sappiamo che nella vita elementare dominano certe forze, per esempio la forza vitale che regna tutt’intorno a noi.

Poi, intessuto tra le forze elementari e la forza vitale, v’è tutto ciò che produce il fuoco, il calore (…)

Vi sono però anche forze superiori al calore, ed anche di queste è pervaso il nostro ambiente; noi passiamo attraverso ad esse quando, come uomini fisici, andiamo pel mondo.

Il nostro corpo fisico, sebbene non lo sappiamo nella nostra coscienza ordinaria, è in grado di sopportare ciò.

Invece col nostro io, che è la creazione più recente della nostra evoluzione, non potremmo andare e venire in mezzo a tali forze, se esso dovesse avere, nei riguardi di esse, una dedizione immediata.

Il nostro io deve ancora venir preservato dall’immergersi nelle forze cosmiche che da ogni lato lo circondano.

Un giorno sarà abbastanza evoluto da esserne capace; per ora non lo è.

Perciò occorre che, per quanto riguarda il nostro io pienamente sveglio, noi non veniamo immersi nel vero mondo che ci attornia, ma solo nell’immagine di esso” (pp. 94-95).

 

 

La miglior prova che la nostra coscienza ordinaria viene sovrastata dalle forze cosmiche (che pervadono il nostro ambiente) è costituita dal fatto che quando apriamo loro le porte cadiamo nel sonno e nel sogno. Dovrebbe essere chiaro, perciò, che l’unica cosa che possiamo fare è sviluppare la nostra coscienza così che, aprendosi a tali forze, non debba rinunciare a se stessa.

Teniamo comunque presente che, cadendo nel sonno e nel sogno, perdiamo la coscienza dell’Io, ma non l’Io. L’Io, che durante la veglia ci dà l’immagine o la forma (pensante) di sé, stando, per così dire, “fermo” di fronte allo specchio cerebrale, quando dormiamo o sogniamo si mette invece in movimento per agire inconsciamente e subconsciamente come una forza.

 

Ciò può spiegare il perché alcuni (come ad esempio Nietzsche), patendo il vuoto di forza, di vita o di realtà dell’ordinario pensiero intellettuale, si lascino andare irrazionalmente (misticamente o vitalisticamente) ai moti del sentire e del volere.

Ma lasciarsi andare a tali moti, che non sono quelli del sentire e del volere nel pensare, significa mettersi nelle mani di forze (“misologiche”, direbbe Hegel) che fanno regredire a stati di coscienza che, nell’epoca dell’anima cosciente, veicolano non più il Logos, ma entità a Lui avverse.

Non è dunque evitando il Calvario o il Golgota dell’intelletto che si può ritrovare la vita umana, bensì morendo e risorgendo, in grazia appunto del Logos.

Sarà bene rammentare, al riguardo, che le entità luciferiche inducono a evitare, paventandola, la morte, mentre quelle arimaniche inducono a evitare, paventandola, la resurrezione.

 

 

“Gli psicologi si affaticano per cercare di constatare i rapporti tra il corpo e l’anima.

Parlano di “reciproca azione” tra i due, di parallelismo psico-fisico, e di molte altre cose ancora le quali, in sostanza, sono concetti puerili.

Il processo reale in questione è infatti il seguente: quando il mattino l’io passa allo stato di veglia, esso penetra nel corpo; non però nei processi fisici di questo, bensì nel mondo d’immagini che dei processi esteriori il corpo produce, fin nelle sue profondità più recondite.

Da ciò viene trasmessa all’io la conoscenza pensante” (p. 95).

 

 

Ogni mattina, al momento del risveglio, l’Io comincia a guardare nello specchio corticale e a vedervi riflesse, tanto l’immagine di sé, quanto le immagini del mondo che lo circonda e che percepisce. A questo livello, non ha perciò cognizione di sé e del mondo quale forza o realtà.

 

 

“Diverso è il caso per il sentire. Qui l’io penetra già nel corpo stesso, e non solo nelle immagini.

Tuttavia se, in tale penetrazione, l’io fosse pienamente cosciente, esso, animicamente parlando, brucerebbe (…)

Noi possiamo sperimentare tale penetrazione, in cui consiste il sentire, solo in uno stato di sogno, in una coscienza attutita.

Ciò che avviene nel nostro corpo nel sentire è sopportabile soltanto in un sogno (…)

Ciò che si svolge nel volere può essere da noi sperimentato solamente dormendo.

Sarebbe qualcosa di terribile se dovessimo sperimentare nella vita ordinaria tutto ciò che si svolge nel nostro volere.

Si proverebbero i dolori più terribili, se dovessimo sperimentare come si consumino nelle nostre gambe, mentre camminiamo, le forze apportate dagli alimenti al nostro organismo.

E’ una gran fortuna per noi che tale processo non si sperimenti, se non in uno stato di sonno, perché il provarlo in condizioni di veglia significherebbe una sofferenza indicibile” (pp. 95-96).

 

 

Forse ricorderete che, parlando della Scienza occulta, dissi che

• la scienza “non-occulta” (naturale) è la scienza della testa, e quindi di ciò ch’è morto (o sensibilmente conscio),

• mentre la scienza “occulta” (dello spirito) è la scienza del restante organismo, e quindi di ciò ch’è vivo

(o extrasensibilmente inconscio).

 

Chiunque voglia varcare le “colonne d’Ercole” dell’intelletto per penetrare scientemente in tale sfera deve perciò munirsi dello strumento adatto. E qual è questo strumento? Lo sappiamo: un pensare che non sia un vuoto rappresentare, ma che sia vivificato e animato, al suo interno, dalla luce del sentire e dal calore del volere.

 

Ricordate, ne La filosofia della libertà, l’obiezione mossa da Eduard von Hartmann (1842- 1906) a Steiner, e cioè che il pensare non fornirebbe alcuna garanzia, poiché non sarebbe che la manifestazione cosciente di una forza incosciente? Ma il problema – dissi allora – sta proprio nel vedere se tale forza incosciente è altra dal pensare, o non piuttosto un altro pensare: ovvero, un pensare di cui quello ordinario non è appunto che immagine.

La foto, che so, di un leone non è infatti l’immagine morta di un essere vivo e reale, e non – come crede von Hartmann (sulla scia di Kant) – di un essere (in sé) sconosciuto?

 

 

“Ora comprenderete come si svolga veramente la vita dell’io

durante lo stato che di solito chiamiamo “stato di veglia”, e che abbraccia tre stati:

uno di veglia totale, uno (per così dire) di veglia sognante, e un terzo stato di veglia dormiente” (p. 96).

 

 

• Nello stato di “veglia totale” (del pensare) abbiamo – come si è visto – le immagini;

• nello stato di “veglia sognante” (del sentire) abbiamo invece le ispirazioni

(“Qui – dice Steiner – è il focolare di tutto ciò che, in fatto di sentimenti, nell’artista si eleva a coscienza di veglia; e da qui provengono pure quelle che, nell’uomo sveglio, sorgono spesso come “idee subitanee” o “fantasie”, che emergono nella coscienza sveglia e poi diventano immagini” – p. 97);

• nello stato di “veglia dormiente” abbiamo infine le intuizioni

(“L’io, – dice sempre Steiner – negli atti volitivi dorme, e ciò che si sperimenta allora, con una coscienza fortemente attutita, appunto in una coscienza di sonno, si sperimenta in forma di intuizioni incoscienti” – p. 98).

 

E’ interessante notare che Steiner, parlando delle ispirazioni, accenna al fenomeno dell’”incubo”. Si potrebbe dire che gli incubi sono, in qualche modo, le contro-immagini delle ispirazioni. Quando dovesse capitarci (sognando) di avere un incubo, faremmo perciò bene a chiederci qual’è l’ispirazione che vuole raggiungerci, ma che non riesce a farlo perché le opponiamo – come dicono gli psicoanalisti – “resistenza”.

Si dice che non vi sia peggior sordo di quello che non vuol sentire; ebbene, quando siamo sordi, in tal senso, alle ispirazioni – donateci magari dal nostro Angelo custode – ecco che questi può vedersi allora costretto ad alzare la voce, trasformando così l’ispirazione in un incubo.

 

Trattando di queste cose, è comunque importante ricordare (a prescindere dalle rappresentazioni coscienti) che

• un conto sono le immaginazioni precoscienti, le ispirazioni subcoscienti e le intuizioni incoscienti,

• altro sono le immaginazioni, le ispirazioni e le intuizioni coscienti: cioè quelle che si possono avere

soltanto sviluppando, rispettivamente, la coscienza immaginativa, la coscienza ispirativa e quella intuitiva.

 

Delle prime (incoscienti) usufruiamo dalla mattina alla sera. Ove così non fosse, non saremmo infatti in grado di rappresentarci neppure una sedia, in quanto è appunto in virtù di un’inconscia attività intuitiva che riusciamo ad afferrare il concetto (A) corrispondente a un determinato percetto (X), a collegare, in virtù di un’inconscia attività ispirativa (giudicante) il percetto a tale concetto (X è A = A è X), e a far nascere, dalla loro feconda unione, e in virtù di un’inconscia attività immaginativa, l’immagine: ossia, quell’immagine che, in virtù della percezione sensibile e dello specchio corticale, ci dà in ultimo la “chiara” e “distinta” rappresentazione (A è A).

 

In che cosa consiste dunque il passaggio

dalla coscienza cosiddetta “naturale” alla coscienza spirituale?

• Nel passaggio, potremmo dire, dall’incoscienza della coscienza alla coscienza della coscienza

o, in altri termini,

dalla neonata autocoscienza dell’ego alla matura autocoscienza dell’Io o dell’“Uomo spirituale”.

 

 

“Ora se vogliamo farci uno schema della vita dell’io nel corpo, e lo facciamo come segue:

I) veglia – conoscenza per immagini; II) sogno – sentire ispirato; III) sonno – volere intuitivo o intùito,

non riusciremo a intendere bene perché l’elemento intuitivo, di cui gli uomini parlano per istinto,

sorga più facilmente, nella vita quotidiana, nella conoscenza per immagini, che non il più vicino sentire ispirato.

Ma se invece di fare uno schema erroneo, come più sopra, lo disegnate in modo giusto, la cosa vi apparirà più comprensibile” (p. 99).

 

 

Per disegnarlo “in modo giusto” (vedi figura p. 100), dobbiamo quindi disegnare una circonferenza, dividerla in tre parti uguali, numerare queste così come abbiamo numerato quelle del precedente “schema erroneo”, e poi immaginare (tracciando magari delle frecce) un movimento orario che dalla prima, attraverso la seconda, discende alla terza, e che, proseguendo, dalla terza risale alla prima.

 

 

Non sarà difficile così constatare che, nel suo moto di risalita, il “volere intuitivo o intùito” (rappresentato dalla terza parte) è più prossimo alla “conoscenza per immagini” (rappresentata dalla prima parte) che non al “sentire ispirato” (rappresentato dalla seconda parte).

Come vedete, è immettendo nella realtà il movimento che vengono ancora una volta a risolversi le difficoltà create dalla staticità dell’intelletto (quelle emergenti, ad esempio, dal primo schema).

Sapete che faccio uso anch’io di schemi, ma che lo faccio sempre con grande circospezione. Bisogna infatti essere elastici, e perciò pronti a modificarli a seconda di quanto si vuole in quel momento mettere in luce o evidenziare.

Non capita del resto, nella vita, che quanto non riusciamo a vedere, se l’osserviamo da un certo punto di vista, riusciamo viceversa a scorgerlo non appena adottiamo, spostandoci, un punto di vista diverso? Certo, è più facile spostarci con il corpo che non con l’ego o con il pensiero. Ciò non toglie, però, che dobbiamo far di tutto per mettere gli schemi al servizio della realtà, e non la realtà al servizio degli schemi.

 

 

“Nel discendere nel corpo e poi nel risalire, il volere intuitivo ha meno strada da fare per arrivare alla coscienza immaginativa, che non il sentire ispirato e sognante.

Perciò gli uomini dicono spesso di avere intuizioni indeterminate, ma scambiano ciò che viene chiamato “intuizione” nel mio libro L’iniziazione, con l’intuizione superficiale della coscienza ordinaria” (p. 100).

 

 

Per mia esperienza, sono soprattutto i tipi stenici (isterici) ad avere queste intuizioni “superficiali”. Ciò dipende dal fatto che si tratta di tipi in cui in genere prevale l’anima senziente, e quindi un’anima – come spiega Steiner (in particolare, ne Lo sviluppo occulto dell’uomo nelle sue quattro parti costitutive) – inconsciamente intuitiva.

A causa di tali “intuizioni indeterminate”, e non sottoposte quindi al vaglio della coscienza critica, questi tipi possono facilmente prendere “fischi per fiaschi”. Il peggiore dei rischi che corre una coscienza intellettuale insufficientemente sviluppata è infatti quello di essere suggestionata da ciò che risale o emerge dall’inconscio, in specie quando ci si occupa di esoterismo.

 

Ascoltate quanto dice in proposito Steiner, ne I segreti della soglia:

• “Innanzi tutto occorre acquisire il rapporto giusto verso quello che oggi si affaccia da tutti gli angoli del mondo, proprio sul terreno dell’occulto, e che da qualcuno viene preso come equivalente della scienza dello spirito seriamente intesa. Occorre conquistare il giusto sentimento di fronte ad alcuni di questi signori, se si vuole aderire veramente con serietà alla scienza dello spirito; questo sentimento consiste nell’ignorarli il più possibile, invece di coccolarli e di curarli in tutto quello che essi manifestano, nel sapere che si dovrebbe piuttosto dar loro il consiglio di rendersi più utili all’umanità, nel tempo in cui si occupano di un tal genere di scribacchiamenti, occupandosi di qualcos’altro, a esempio di lavoretti con la sega da traforo”.

 

Sono parole severe, ma – come si dice a Roma – “quanno ce vo’, ce vo’!”. Giuseppe Verdi usava dire che “il genio è sgobbare”. Lo diceva per modestia, ma anche perché in tale affermazione c’è del vero. “Sgobbare”, infatti, può anche essere segno di dedizione e di senso di responsabilità: segno, cioè, di quel che manca appunto a quei tipi “intuitivi”, che, presumendosi tali, ritengono di non avere bisogno d’impegnarsi o di “sgobbare” (soprattutto nello studio) come gli altri.

 

Risposta a una domanda

Si racconta che Garibaldi si fermò una volta a dormire in un alberghetto di Roma, e che, diffusasi la notizia della sua presenza, presto si radunò sotto il suo balcone una folla che lo chiamava a gran voce per vederlo e acclamarlo. Ebbene, sa che cosa fece Garibaldi? Trascorsi alcuni minuti, si affacciò al balcone, disse: “Italiani, siate seri!”, e rientrò.

A quei sedicenti “esoteristi”, che magari credono di essere (“intuitivamente”) la reincarnazione di un qualche importante personaggio del passato (e mai – ci avrà fatto caso – di un uomo qualunque), e ai quali Steiner consiglia appunto di darsi più utilmente al bricolage, le suggerirei pertanto di dire, con Garibaldi: “Siate seri!”.

 

 

“La configurazione del corpo umano vi sarà ora più comprensibile.

Immaginate per un momento di camminare osservando il mondo; ma immaginate che le vostre gambe non siano attaccate alla parte inferiore del vostro corpo, bensì direttamente alla testa, sì che la testa sia quella che cammina.

In tal caso la vostra osservazione del mondo e la vostra volontà sarebbero riunite, e la conseguenza sarebbe che dovreste camminare dormendo.

Invece, essendo la vostra testa poggiata sulle spalle e sul resto del corpo, essa vi sta in uno stato di riposo; sicché la testa viene da noi portata, mentre soltanto il resto del corpo si muove.

La testa deve appunto riposare sul corpo, altrimenti non potrebbe essere l’organo della conoscenza pensante (…)

La testa lascia che il corpo provveda al volere vero e proprio: vive nel corpo come in una carrozza da cui si lasci trainare” (p. 101).

 

 

Sappiamo già che la coscienza nasce dove il corpo muore. Questa parte morta del corpo deve essere però sostenuta da quella che continua invece a vivere, sicché possiamo considerare quest’ultima come una portatrice della testa che se non stesse ferma non potrebbe sperimentare lo stato di veglia ed essere cosciente.

Abbiamo parlato a più riprese del movimento del pensare (detto, da Scaligero, “predialettico”): vale a dire, di un movimento ch’è appunto del pensare, e non della testa.

Anzi, più la testa fisica sta ferma e più è possibile sperimentare, grazie all’esercizio della concentrazione, il movimento eterico del pensare.

 

Abbiamo finito la sesta conferenza. La prossima volta cominceremo la settima.

L.R. – 16 marzo 2000