Che cosa è in realtà la terra nel macrocosmo? – Massime 153-155

Commento di Lucio Russo


 

Questo gruppo di massime segue la lettera intitolata:

Che cos’è in realtà la Terra nel macrocosmo? (1 febbraio 1925).

 

Cominciamo subito a leggere.

 

 

Il divenire del cosmo e dell’umanità è stato esaminato in queste considerazioni dai punti di vista più diversi.

Ci si è mostrato come l’uomo riceva le forze del suo essere dal cosmo extraterreno,

tranne quelle che gli dànno la sua autocoscienza. Queste gli vengono dalla terra” (p. 172).

 

 

Perché le forze che ci danno l’autocoscienza le riceviamo dalla Terra? Perché la Terra ci fornisce quella “materia-specchio” in cui l’Io (il nostro “essere”), riflettendosi, prende coscienza di sé.

 

• Affinché nasca l’autocoscienza (dell’Io quale ego)

abbiamo bisogno di un corpo fisico e di un apparato neurosensoriale

che ci permettano una chiara percezione sensibile (delle nitide immagini percettive).

• Lo sviluppo dell’autocoscienza, ossia della coscienza che il soggetto ha di sé,

va infatti di pari passo con lo sviluppo della coscienza che il soggetto ha dell’oggetto.

 

Non a caso, è con l’avvento dell’anima cosciente, supportata dal corpo fisico, che l’Io riesce a mettere distintamente a fuoco tanto l’oggetto quanto il soggetto, vale a dire se stesso, seppure nella sola forma consentitagli dalla natura di tale specchio (nella forma dell’ego).

 

 

Con ciò è stata esposta l’importanza dell’elemento terrestre per l’uomo.

Deve ora riallacciarvisi la domanda: “Quale importanza ha l’elemento terrestre per il macrocosmo?”.

Per meglio rispondere a questa domanda dobbiamo riesaminare ciò che già abbiamo esposto.

La coscienza veggente trova il macrocosmo in uno stato di vitalità tanto maggiore, quanto più lo sguardo risale verso il passato.

In un passato remotissimo, il macrocosmo viveva in modo che termina ogni possibilità di calcolare le sue manifestazioni vitali.

Da quello stato di vitalità viene separato l’uomo. Il macrocosmo entra sempre più nella sfera del calcolabile.

Ma con ciò il macrocosmo muore a poco a poco.

Nella misura in cui l’uomo, il microcosmo, sorge come entità indipendente dal macrocosmo, quest’ultimo muore.

Nel presente cosmico esiste un macrocosmo morto. Ma nel suo divenire non si è generato soltanto l’uomo.

Anche la terra fu generata dal macrocosmo” (p. 172).

 

 

Riprendiamo le due meditazioni date da Steiner per la sera e la mattina.

La sera, prima di addormentarci, pensiamo: “Dio è in me”,

poiché ci accingiamo a espanderci e a farci, da centro, circonferenza.

Possiamo dire: “Dio è in me”, giacché Dio, nel contempo, si è fatto, da circonferenza, centro.

La mattina, al risveglio, pensiamo invece: “Io sono in Dio”, poiché, contraendoci,

ci siamo fatti, da circonferenza, centro, mentre Dio, nel contempo, si è fatto, da centro, circonferenza.

Dunque,    • durante il sonno, Dio è in me, mentre,    • durante la veglia, Io sono in Dio.

 

E’ importante sperimentare questi moti di espansione e contrazione, giacché si tratta di movimenti analoghi non solo a quelli dell’esalazione e dell’inalazione o della diastole e della sistole, ma anche, per quanto riguarda la sola contrazione, a quello in virtù del quale il macrocosmo si è ridotto a microcosmo, diventando opera compiuta o realtà “calcolabile”.

Se ciò non fosse avvenuto, se cioè il macrocosmo, anziché arrestarsi e fissarsi alla fase di contrazione, si fosse ri-espanso, mai si sarebbe data un’opera compiuta, e mai sarebbe stato perciò possibile (come fa la scienza) calcolare e prevedere alcunché.

E’ stato in vista di questo arresto, di questa stasi o di questa morte, che il macrocosmo si è fatto Terra; ed è stato in vista del suo superamento che “il Verbo si è fatto carne”.

 

In grazia dell’incarnazione del Logos, la Terra (il microcosmo) può tornare infatti a espandersi per generare un nuovo macrocosmo, così come l’uomo può tornare a espandersi, non solo durante il sonno, ma anche durante la veglia, per generare il “Figlio dell’uomo” o il “nuovo Adamo”.

Nel cuore della morte o dell’”inverno”, è stato dunque posto il germe di una nuova vita o di una nuova “primavera”.

Pensate a una pianta che appassisce e muore, ma dai cui semi rinascerà una nuova pianta. In questo caso, la pianta che rinascerà sarà come quella morta, mentre il macrocosmo che rinascerà (risorgerà) sarà diverso e più evoluto di quello che lo ha preceduto.

 

Tutto ciò ha naturalmente a che fare con l’autocoscienza:

• c’è stato infatti un Io sono (un macrocosmo) che, contraendosi, è divenuto un ego (un microcosmo),

• e c’è un ego ch’è chiamato, espandendosi, a divenire (in virtù dell’impulso del Cristo) un Io sono.

 

 

L’uomo che riceve dalla terra le forze per la sua autocoscienza,

è troppo intimamente legato ad essa per penetrare nell’essere della terra.

Nell’epoca dell’anima cosciente, in cui l’autocoscienza viene a completo sviluppo,

ci siamo abituati a rivolgere lo sguardo alla grandezza spaziale dell’universo,

ed a considerare la terra come un granello di polvere, insignificante di fronte all’universo spaziale fisico.

A tutta prima sembrerà quindi strana la rivelazione che la veggenza spirituale può darci

intorno alla vera importanza cosmica di questo cosiddetto “granello di polvere”.

Nella base minerale della terra sono immersi gli altri regni: il vegetale e l’animale.

In tutto ciò vivono le forze che durante il corso dell’anno si mostrano nelle loro diverse forme di manifestazione.

Si guardi il mondo vegetale. In autunno e in inverno esso mostra forze fisiche morenti.

La coscienza veggente percepisce in questa forma di manifestazione

l’essere delle forze che hanno portato il macrocosmo a morire” (pp. 172-173).

 

 

Non siamo stati purtroppo educati a conoscere la natura per conoscere noi stessi,

e a conoscere noi stessi per conoscere la natura.

Chi ci ha insegnato, ad esempio (se non Steiner), che, nel mondo animale, dobbiamo l’esistenza degli uccelli, dei felini e dei bovini alle medesime entità che operano, rispettivamente, nel nostro capo (nel pensare), nel nostro sistema mediano o ritmico (nel sentire) e nel nostro apparato metabolico e degli arti (nel volere)?

 

Sentite che cosa dice Steiner degli uccelli, e in particolare dell’aquila: • “Le stesse forze che sul piano fisico determinano la formazione del piumaggio, sul piano astrale determinano la formazione di pensieri. Esse danno all’aquila la formazione del piumaggio, e ciò rappresenta l’aspetto fisico della formazione dei pensieri. All’uomo danno i pensieri; questo è l’aspetto astrale della formazione del piumaggio” (1).

E sentite come conclude: • “Volontà, sentimento e pensiero possono venir cercati fuori nel cosmo e nella loro corrispondenza nel microcosmo” (2).

 

 

In primavera ed in estate, nella vita vegetale si mostrano forze di germinazione e di crescenza.

In questo germogliare e crescere, la coscienza veggente percepisce non soltanto la forza che produce la messe vegetale dell’annata,

ma anche un’eccedenza. Ed è una eccedenza di forza germinativa.

Le piante contengono maggior forza germinativa di quanta non ne consumino per la crescita di foglie, fiori e frutti.

Per la coscienza veggente questa eccedenza di forza germinativa si espande fuori, nel macrocosmo extraterreno” (p. 173).

 

 

Al moto centripeto che porta, nel corso dell’autunno e dell’inverno, alla morte delle piante, succede, soprattutto nel corso della primavera, un moto centrifugo, carico di una “eccedenza di forza germinativa”, che “si espande fuori, nel macrocosmo extraterreno”.

 

A che cosa si deve questa “eccedenza” eterico-fisica?

E’ presto detto: al fatto che il Cristo, incarnandosi, è divenuto lo Spirito, il Sole e il lievito della Terra,

e che la Terra è divenuta per ciò stesso corpus domini.

 

• E’ questo il germe di una ri-creazione,

non nel senso di una periodica ri-produzione di quanto già esiste (quale mero effetto operante),

ma nel senso di una nuova creazione, della quale l’uomo è chiamato a essere parte attiva,

per consentire così al Cristo (in virtù delle mediazioni di Michele, della Vergine-Sophia e dello Spirito Santo)

di agire non solo nella sfera eterico-fisica incosciente, ma anche in quella animico-spirituale cosciente.

 

 

Ma anche dal regno minerale fluisce parimenti una forza eccedente nel cosmo extraterreno.

Questa forza ha il compito di portare ai giusti luoghi nel macrocosmo le forze provenienti dalle piante.

Dalle forze vegetali viene generata, sotto l’influsso delle forze minerali, una nuova immagine di un macrocosmo” (p. 173).

 

 

Per questo ho detto, poc’anzi, che l’”eccedenza” ha in primo luogo natura eterico-fisica.

La forza ”eccedente” dei minerali

fa, per così dire, da guida macrocosmica o zodiacale alla forza “eccedente” dei vegetali.

Dice appunto Steiner:

“Questa forza ha il compito di portare ai giusti luoghi nel macrocosmo le forze provenienti dalle piante”.

 

 

Allo stesso modo vi sono forze che emanano dall’elemento animale.

Queste non agiscono però nel senso delle forze minerali e vegetali, irradiando dalla terra,

ma agiscono in modo che gli elementi vegetali i quali, conformati da forze minerali, vengono portati nell’universo,

prendano forma sferica, e sorga così l’immagine di un macrocosmo chiuso da ogni lato” (pp. 173-174).

 

 

Sappiamo che le piante, in quanto radicate nella Terra, possono crescere, ma non muoversi, mentre gli animali, in quanto sradicati (grazie al corpo astrale) dalla Terra, possono crescere e muoversi, nonché godere di sensibilità (“l’animale – dice Victor Bott – è l’essere animato per eccellenza”).

Ascoltate, al riguardo, queste due strofe:

“Guarda la pianta! Essa è la farfalla imprigionata dalla terra.

Guarda la farfalla! Essa è la pianta  liberata dal cosmo” (3).

 

• “Il soggetto animale – afferma Hegel – è figura in quanto è un tutto, che è in relazione solo con sé stesso. Esso rappresenta il concetto, nelle sue determinazioni sviluppate e in quanto esistono in lui” (4).

Come per tutti i triangoli del mondo c’è un solo concetto di triangolo, così per tutti i gatti del mondo c’è un solo concetto di gatto: quel solo concetto che chiamiamo “Io di gruppo” o “specie”.

Che questo essere, come dice Hegel, “sia in relazione solo con sé stesso” sta a significare ch’è un “soggetto” (un “carattere” o una “personalità” e non, si badi, un’“individualità”, come illustrano ad esempio le favole di Esopo e di Fedro), e quindi un essere che poggia (animicamente) su di sé.

 

• Le forze “eccedenti” dei minerali sono dunque forze orientatrici,

• le forze “eccedenti” dei vegetali sono forze vivificanti,

• e le forze “eccedenti” degli animali sono forze qualificanti e strutturanti

(in “forma sferica”, simile, in qualche modo, a quella dei blastomeri, le cellule “totipotenti” della morula)

quelle essenze o quelle soggettività destinate a svilupparsi nel futuro organismo macrocosmico.

 

Per quanto riguarda il rapporto tra le forme animali e i pensieri (i concetti, collegati, ricordiamolo, agli Spiriti della personalità), vi raccomando di tornare a meditare, di Steiner, la dodicesima conferenza del primo volume dell’Arte dell’educazione (Antropologia).

Ve ne rileggo solo questo passo:

• “Forme animali soprasensibili si muovono continuamente nell’uomo, e vengono disciolte. Che cosa accadrebbe se vi fosse un fotografo soprasensibile, capace di fissare questo processo, cioè di registrare le fasi dell’intero processo su delle lastre fotografiche? Che cosa si vedrebbe su queste lastre? Si vedrebbero i pensieri dell’uomo. Tali pensieri sono il corrispettivo soprasensibile di ciò che non arriva ad espressione sul piano sensibile. Questa continua metamorfosi di quanto di animalesco scorre dalla testa verso il basso, non viene ad espressione sul piano fisico, ma agisce nell’uomo in modo soprasensibile, dando luogo al processo del pensiero. Ciò si verifica realmente quale processo d’ordine soprasensibile. La testa non è soltanto quella pigrona che riposa sulle vostre spalle, ma è anche quella parte di voi che vorrebbe trattenervi nell’animalità” (5): che vorrebbe trattenerci, cioè, nel concetto, nell’idea, nella legge o nell’”Io di gruppo”, e per ciò stesso al di qua dell’Io individuale e della libertà.

 

Come dunque non ricordare, di nuovo, le ultime parole de La filosofia della libertà?

• “Dobbiamo poterci mettere di fronte all’idea in modo vivente; altrimenti si diventa schiavi di essa” (6).

 

 

Così la coscienza che riconosce lo spirito vede l’essere della terra.

Questo sta, dentro al macrocosmo morto, come elemento di nuova vivificazione.

Come dal seme, spazialmente così piccolo e insignificante, si forma nuovamente tutta la grande pianta,

quando la vecchia morendo si disgrega, così, dal “granello” terra,

nasce un nuovo macrocosmo mentre si disgrega il vecchio che è morto” (p. 174).

 

 

Tutto deve ormai passare attraverso l’uomo.

• In tanto l’uomo è “la meta delle Gerarchie”,

• in quanto è soltanto attraverso di lui che può essere rigenerato il macrocosmo.

 

 

Questa è una vera veggenza dell’essere della terra, una veggenza che in essa vede ovunque un mondo germinante.

Impariamo a conoscere i regni della natura soltanto se sentiamo in essi questo elemento germinante.

In mezzo a questa vita germinante l’uomo compie la sua esistenza terrena.

Egli partecipa tanto a questo elemento germinativo, quanto alla vita morente.

Da quest’ultima egli ha le forze del suo pensare.

Finché in passato le forze del pensare provenivano dal macrocosmo ancora vivente, non erano la base dell’uomo autocosciente;

vivevano come forze di crescenza nell’uomo ancora privo di autocoscienza” (p. 174).

 

 

Osservate un neonato: non pensa perché è interamente impegnato a plasmare il proprio corpo. In seguito, però, una parte delle forze plasmatrici (eteriche) viene sottratta a tale compito per essere posta al servizio, in veste di pensiero, della coscienza e dell’autocoscienza.

I tipi “stenici” si danno quando alla natura o al bios vengono sottratte poche forze, quelli “astenici” quando ne vengono sottratte troppe.

 

In ogni caso, un conto è il pensiero, altro la coscienza.

Pensano, infatti, tanto gli individui coscienti quanto quelli incoscienti:

• quelli coscienti, però, pensano (conoscono) secondo realtà,

• mentre quelli incoscienti pensano (opinano) secondo la propria personale natura.

 

(Scrive Steiner, riferendosi alla “questione sociale”: • “O ci si adegua col proprio pensare alle esigenze della realtà, oppure non si impara nulla dalle disgrazie e si moltiplica all’infinito il male fatto mediante l’altro male che sorgerà” [7].)

 

Sono quindi la forza e la qualità del pensare a fare la differenza, elevando il grado di coscienza dei primi, e abbassando quello dei secondi.

E’ dunque il pensare secondo realtà (secondo la realtà della morte, della vita, dell’anima e dello spirito) che purifica ed eleva la coscienza; ciò vuol dire ch’è questo pensare a trasformare, grado a grado, il corpo astrale nella “vergine Sofia” e a renderlo così “recettivo per lo Spirito Santo” (8).

 

 

Le forze del pensare, per sé, non possono avere vita propria se debbono formare la base della libera autocoscienza umana.

Per sé esse debbono essere, col morto macrocosmo, le morte ombre di ciò che era vivente in epoche cosmiche passate.

Dall’altro lato l’uomo prende parte all’elemento germinante della terra.

Da questo provengono le sue forze volitive.

Esse sono vita, ma di contro l’uomo non prende parte all’essere loro con la sua autocoscienza.

Entro l’essere umano esse si irradiano nei pensieri-ombra.

Vengono compenetrate da quelle ombre, e in tale compenetrazione del libero pensiero,

dispiegantesi nell’essere germinante della terra, la piena e libera autocoscienza umana,

nell’epoca dell’anima cosciente, introduce la propria vita nell’uomo.

Il passato che getta ombre e il futuro che contiene germi di realtà si incontrano nell’entità umana.

Tale incontro è la vita umana del presente” (pp. 174-175).

 

 

Ricordate che cosa abbiamo detto, una sera (massima 59)? Che se i pensieri fossero vivi, e non “le morte ombre di ciò che era vivente in epoche cosmiche passate”, veicolerebbero la volontà degli Dèi, e non potremmo perciò essere liberi.

Di fatto,

• laddove siamo coscienti e ci pensiamo quali Io, non siamo vivi,

• mentre, laddove siamo vivi, non siamo coscienti e non ci pensiamo quali Io.

Per sanare questa frattura (“ontologica”),

• occorre dis-identificare la realtà dell’Io da quella della testa,

• cominciando col dis-identificare la realtà del pensiero da quella del cervello.

 

Lo ripeto:

di norma, dell’Io reale, ch’è unità di forma (di pensare) e di forza (di volere), sperimentiamo,

• da una parte (nel sistema neurosensoriale), la forma senza forza (l’Io come ego, o come concetto privo di realtà),

• e, dall’altra (nel sistema metabolico e degli arti), la forza senza forma (la volontà “cieca” di Schopenhauer).

 

Ne consegue che le forze “germinanti” e di rinnovamento (del futuro) che penetrano costantemente in noi (nella nostra volontà), vengono disconosciute o misconosciute dal pensiero vincolato alle “ombre” del passato, e per ciò stesso alterate o capovolte (trasformate, cioè, da bene in male).

 

Rileggiamo questo passo di Steiner: • “Nei moti istintivi dell’umanità rumoreggia un elemento nuovo; nel pensare cosciente, le antiche idee non vogliono seguire i moti istintivi. Ma anche i moti istintivi migliori diventano barbarici e bestiali se non vengono illuminati da pensieri adeguati” (9).

Ben si comprende, dunque, quanto sia salutare, seguendo l’impulso di Michele, rafforzare, vivificare e risvegliare il pensare, così che possa incontrarsi e unirsi scientemente e liberamente con tali forze, per dare loro forma creativa, e non lasciare (per pigrizia o ignavia) che ne prendano, corrompendosi, una distruttiva.

 

 

La coscienza veggente ravvisa chiaramente questi fatti, quando si trasporta nella regione dello spirito

che confina immediatamente con quella fisica, e nella quale si trova anche l’attività di Michele.

La vita di tutto ciò che è terreno diventa trasparente se nelle sue profondità sentiamo il germe universale.

Ogni forma vegetale, ogni pietra appare in un nuova luce all’anima umana,

se essa si accorge come ogni essere, con la sua vita e la sua forma, contribuisca a che la terra, come unità,

sia il germe embrionale di un macrocosmo sorgente a nuova vita.

Proviamo a rendere pienamente vivo in noi il pensiero di questi fatti,

e sentiremo quale importanza esso possa avere nell’anima umana” (p. 175).

 

 

Come si fa “a rendere pienamente vivo in noi il pensiero di questi fatti”? E’ semplice: continuando a pensarli e meditarli.

E’ semplice, ma non facile, giacché quand’anche i pensieri, come spesso succede, non ci entrino in un orecchio per uscire dall’altro, siamo soliti sostituirli frettolosamente con altri.

Sui pensieri (degni di questo nome), dovremmo invece imparare (all’opposto di quanti bramano la “spensieratezza”) a sostare e a soffermarci.

Non si usa dire, di un brano musicale particolarmente bello o toccante, che “non ci si stancherebbe mai di ascoltarlo”? E per quale ragione, allora, non si dovrebbe dire, di pensieri particolarmente veri e profondi, che “non ci si stancherebbe mai di pensarli”?

 

Diciamola tutta:

• dovremmo imparare a coltivare il rapporto col pensiero così come coltiviamo le amicizie,

dal momento che solo i pensieri così coltivati sono in grado di trasformarci e migliorarci.

 

Veniamo adesso alle massime.

Massime 153/154/155 (1 febbraio 1925).

 

 

153 –  “Al principio dell’epoca dell’anima cosciente ci si è abituati a rivolgere lo sguardo

alla grandezza fisico-spaziale dell’universo, ed a sentire innanzitutto tale grandezza.

Perciò chiamiamo la terra un granello di polvere in mezzo all’universo che appare fisicamente poderoso”.

 

 

Non è la Terra, in verità, a essere un insignificante “granello di polvere in mezzo all’universo che appare fisicamente poderoso”, ma è questa rappresentazione “fisico-spaziale” o materialistica della Terra a essere un insignificante “granello di polvere” in mezzo all’universo, spiritualmente poderoso, del pensiero.

 

 

154 –  “Alla coscienza veggente questo “granello di polvere” si rivela come il germe

di un nuovo macrocosmo che sta per sorgere, mentre quello vecchio si dimostra morto.

Era necessario che morisse affinché l’uomo potesse separarsene con piena autocoscienza”.

 

 

Lo abbiamo detto e ripetuto:

• è stato necessario che il vecchio macrocosmo ci apparisse come un “oggetto”,

• per risvegliare in noi la coscienza del soggetto: cioè, di noi stessi.

Immaginate, per fare un banale esempio, un artista cui venga imposto di non creare più niente,

poiché è giunto il momento in cui altri conoscano ciò che ha già creato (per generare, così, la “coscienza del creato”).

 

Ascoltate quanto dice Scaligero: • “Questa primordiale storia dell’uomo, che non a caso è storia di un rapporto d’amore cosmico-umano, esige essere liberata dal pregiudizio di restaurazioni dell’accordo originario che sia stato possibile attuare in seguito, mediante le Iniziazioni e i Misteri delle varie tradizioni, perché comunque la vicenda umana si svolse da allora in poi secondo una continua perdita di livello, rispetto alla condizione primordiale. Da allora in poi l’unico valore di cui è legittimo parlare è il sorgere di un Io consapevole di sé, non mediante gli esaurentisi impulsi tradizionali, bensì mediante pensiero ed esperienza esigenti il sovrasensibile come attività individuale rivolta al sensibile” (10).

 

• I seguaci delle “Iniziazioni” e dei “Misteri delle varie tradizioni”

portano quindi avanti (in modo luciferico) una spiritualità priva di modernità,

• mentre i materialisti portano avanti (in modo arimanico) una modernità priva di spiritualità.

• I primi guardano al passato, perché non sanno vedere quello che hanno davanti (il presente e il futuro),

• gli altri guardano al presente e al futuro,

ma sanno rappresentarseli solo in chiave tecnologica o tecnoscientifica (materiale).

 

Fateci caso, più le anime umane diventano impotenti e sterili, e più nascono oggetti o cose “di nuova generazione”.

 

 

155 –  “Nel presente cosmico l’uomo partecipa,

con le sue forze di pensiero che lo affrancano, al macrocosmo morto,

e con le sue forze di volontà, che per la loro essenza gli sono celate,

alla vita di quello nuovo che germoglia quale entità terrestre”.

 

 

Mi avete sentito dire, più volte, che l’errore di Freud e di Jung è stato quello di voler penetrare nel profondo della vita incosciente mediante l’intelletto o l’ordinaria coscienza di veglia.

In tal modo, infatti, non si ottiene, secondo quanto auspicava Freud, che, in luogo dell’Es, regni l’Io, bensì, come dimostra la vita odierna, che, in luogo dell’Io (dell’ego), regni l’Es.

Per far sì che, al posto dell’Es, regni l’Io, bisogna indagare, è vero, la vita incosciente, ma non quella che si crede (ingenuamente) che stia, al pari di ogni altro oggetto, “all’esterno” della vita cosciente, bensì quella che vive “all’interno” dell’ordinaria vita rappresentativa, quale vita immaginativa, ispirata e intuitiva: non l’inconscio, insomma, che sta “fuori” del conscio, ma l’inconscio che sta “dentro” il conscio.

 

Osserva appunto Scaligero: • “Un inconscio non può esistere se non per un “conscio”. Solo un essere cosciente, in quanto muove in concetti, può proiettare dinanzi a sé un inconscio e rappresentarsene i movimenti (…) Un essere non dotato di coscienza che gli costituisca fondamento, non può concepire qualcosa che gli sia “altro”. Si tolga la coscienza e l’idea di inconscio cessa di esistere. Al sognante il sogno appare realtà, ma comincia col configurarsi come un’alterità che si chiama sogno, per colui che è desto, o fuori del sogno. Non v’è inconscio fuori del conscio. Ma la ricerca psicologica si è svolta, in questo secolo, in modo strano: essa ha operato in modo che nel conscio non sia più ravvisabile il principio, bensì l’essere secondario condizionato dall’inconscio come dal contenuto essenziale” (11).

 

Ricordate che cosa dissi, quando cominciammo lo studio de La filosofia della libertà?

Dissi: • “Nella vita ordinaria conosciamo, da un lato, le rappresentazioni e, dall’altro, le immagini percettive, ma ignoriamo, sia come si formino le une, sia come si formino le altre. Ebbene, grazie a questo testo, penetreremo nei loro recessi, per portare alla coscienza quanto agisce di norma nell’incoscienza”.

 

Immaginiamo che “nel presente cosmico” l’uomo fosse costretto a partecipare, “con le sue forze di pensiero”, non al “macrocosmo morto”, ma a “quello nuovo che germoglia quale entità terrestre”. Che cosa accadrebbe? Accadrebbe che il pensiero non lo affrancherebbe, giacché le forze di volontà del nuovo macrocosmo, veicolate dal pensiero, non solo non gli rimarrebbero celate, ma anzi gli s’imporrebbero: accadrebbe, ossia, che l’uomo, in quanto soggetto (come gli animali) a queste, non potrebbe conoscerle, né farle liberamente sue.

 

Note:

  1. R.Steiner: L’uomo sintesi armonica delle attività creatrici universali – Antroposofica, Milano 1968, p. 13;
  2. ibid., p. 21;
  3. ibid., p. 74;
  4. G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Laterza, Roma-Bari 1989, p. 345;
  5. R.Steiner: Arte dell’educazione, vol. I, Antropologia – Antroposofica, Milano 1993, p. 171;
  6. R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966, p. 230;
  7. R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Antroposofica, Milano 1999, p. 124;
  8. R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni – Antroposofica, Milano 1995, p. 190;
  9. R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale, p. 138;
  10. M.Scaligero: Graal. Saggio sul Mistero del Sacro Amore – Tilopa, Roma 1982, p. 28;
  11. M.Scaligero: Psicoterapia. Fondamenti esoterici – Perseo, Roma 1974, p. 13.