21° Incontro – Vegliare, sognare e dormire.

Arte dell’educazione 1° – Antropologia – O.O.293

Commento di Lucio Russo


 

Ci siamo lasciati, la volta scorsa, dopo aver letto che “l’uomo, visto dal punto di vista spirituale, è tale che alla sua superficie e nei suoi organi interni dorme, e può essere totalmente sveglio durante la vita tra la nascita e la morte, soltanto nella zona intermedia”, e aver aggiunto che questa “zona intermedia” si colloca, nella sfera del conoscere, tra l’immagine percettiva (tridimensionale) e la rappresentazione (bidimensionale).

 

 

“Quali organi sono maggiormente reperibili in questa zona?

Quelli che chiamiamo i nervi, il sistema nervoso (e specialmente nella testa).

Il sistema nervoso estende le sue propaggini da un lato fino alla superficie esterna, dall’altro si prolunga all’interno.

Negli intervalli si trovano zone intermedie, come il cervello,

soprattutto il midollo spinale, ed anche il gran simpatico.

Ivi ci è data l’occasione d’essere veramente svegli.

Dove i nervi sono più sviluppati, siamo maggiormente svegli.

Ma il sistema nervoso ha una singolare relazione con lo spirito (…)

Nel sistema nervoso avviene il continuo deperire dell’uomo.

E’ l’unico sistema che non abbia alcuna relazione con l’animico-spirituale.

Il sangue, i muscoli, ecc., hanno sempre rapporti diretti con l’animico-spirituale.

Il sistema nervoso non ne ha di immediati; il suo solo rapporto con l’animico-spirituale consiste

nel suo continuo eliminarsi dall’organismo umano, nell’esserne assente, perché continuamente va morendo.

Gli altri sistemi “vivono”, perciò formano relazioni dirette con l’animico-spirituale (…)

Dal punto di vista animico-spirituale, dovunque ci siano nervi ci sono semplicemente degli spazi vuoti.

Perciò l’animico-spirituale può penetrarvi” (pp. 111-112).

 

 

Incontrare un attore che si è visto, fino allora, solo al cinema o in televisione suscita in genere curiosità perché vederlo indirettamente attraverso i panni di questo o di quel personaggio è cosa diversa dal vederlo direttamente o, come si dice, “di persona”.

Ebbene, lo stesso potrebbe valere in qualche modo per lo spirito. Un conto, infatti, è vederlo “di persona” (così com’è), altro vederlo rivestito dei panni (astrali) dell’anima o di quelli (eterico-fisici) del corpo. Quando riveste quest’ultimi, lo spirito permea e vivifica la sostanza così da presentarsi ad esempio come sangue o come muscoli. In questi sistemi, che hanno “rapporti diretti con l’animico-spirituale”, lo spirito non si presenta perciò come “spirito” (tanto si cala in questi panni da rendersi infatti irriconoscibile).

Non è così per i nervi, perché lo spirito non solo non li permea e non li vivifica, ma anzi li fa deperire o morire, fino al punto di renderli degli “spazi vuoti”.

 

Immaginando che lo spirito sia acqua, si potrebbe anche dire che il sangue e i muscoli, al pari di un tessuto spugnoso, l’assorbono e la fanno scomparire, mentre i nervi, al pari di un tessuto impermeabile, le permettono di scivolar via e di rimanere visibile.

Quanto è colmo, nel corpo, di vita e di anima vela, nasconde od occulta dunque lo spirito, mentre quanto ne è vuoto lo svela (l’ordinario pensiero riflesso è infatti una sorta di “autoritratto” dello spirito).

 

 

“I fisiologi dicono: gli organi del pensiero sono i nervi, e specialmente il cervello. La verità è che il cervello e i nervi hanno a che fare con la conoscenza pensante solo perché continuamente si escludono dall’organismo umano, e perché solo così si rende possibile il funzionare della conoscenza pensante” (pp. 112-113).

 

 

Durante il sonno, infatti, il cervello e i nervi si rigenerano

perché si “escludono” dalla coscienza e dal pensiero, ma non “dall’organismo umano” e dai suoi processi anabolici;

durante la veglia, invece, il cervello e i nervi si logorano

perché si “escludono dall’organismo umano”, ma non dalla coscienza, dal pensiero e dai suoi processi catabolici

(cfr., nell’”Osservatorio”, Cervelli “grassi” e cervelli “magri”, 4 luglio 2004 – ndr).

 

 

“Dunque, alla superficie del nostro corpo, dove sono i sensi, abbiamo dei processi reali che dipendono dall’occhio, dall’orecchio, dall’organo che accoglie il calore, ecc..

Processi simili ci sono pure nell’interno dell’uomo.

Ma non ce ne sono in mezzo, tra i due: là dove veramente si estendono i nervi, si crea uno spazio libero;

ed ivi ci è possibile vivere in contatto con l’esterno.

L’occhio modifica per noi la luce e il colore; ma là dove abbiamo i nostri nervi, si produce un vuoto rispetto alla vita, e là calore e luce non si modificano; noi li sperimentiamo quali sono (…)

Ivi diventiamo noi stessi luce, noi stessi suono; ivi i fenomeni stessi si dispiegano perché i nervi non oppongono loro alcuna resistenza, come la oppongono invece il sangue e i muscoli.

Ora acquistiamo il senso di quale importanza abbia il fatto che esista in noi, nei riguardi della vita, uno spazio vuoto nel quale siamo svegli, mentre sogniamo dormendo e dormiamo sognando, sia alla superficie esterna, sia nell’interno.

Siamo completamente desti soltanto in un’unica zona giacente tra la periferia e l’interno, diventiamo noi stessi luce, noi stessi suono.

Questo in rapporto allo spazio” (pp. 113-114).

 

 

Possiamo dunque dire che, nell’uomo,

• “sia alla superficie esterna, sia nell’interno” si danno dei processi reali incoscienti,

• mentre nella “zona giacente tra la periferia e l’interno”

si danno le immagini o le rappresentazioni coscienti di tali processi.

• In questa zona, afferma Steiner, sperimentiamo i fenomeni “quali sono”;

il che vuol dire che li sperimentiamo “oggettivamente”.

 

• Non dimentichiamo che la differenza tra “individualità” e “soggettività”

sta nel fatto che  • l’una è spirituale,    • mentre l’altra è psico-fisica.

• Asserire, come fa Steiner, che nella zona in questione “diventiamo noi stessi luce, noi stessi suono”

significa pertanto asserire che l’Io (spirituale) trascende la soggettività psico-fisica,

e quindi l’opposizione di soggetto (ego) e oggetto (non-ego).

• Insomma, laddove comincia a tacere la nostra natura,

cominciano a parlare tanto la realtà del mondo quanto quella di noi stessi.

 

Osserviamo – per inciso – che la “zona giacente tra la periferia e l’interno”

sta segretamente in rapporto con la croce eretta, sul Golgotha, tra quelle dei due ladroni: ovvero,

• tra la croce del ladrone che opera nella “periferia” (Arimane)

• e quella del ladrone che opera invece nell’”interno” (Lucifero).

 

 

“Se guardiamo l’uomo dal punto di vista spirituale,

dobbiamo mettere in relazione col vegliare, sognare e dormire anche l’elemento tempo.

Supponiamo di imparare qualche cosa.

L’afferriamo che penetra in quella parte di noi ch’è completamente sveglia;

e finché ce ne occupiamo e ci pensiamo, resta in quella zona di completa veglia.

Ma poi la vita ci prende; altre cose assorbono il nostro interesse e la nostra attenzione.

Che cosa avviene allora di ciò che prima abbiamo studiato e che ha captato la nostra attenzione?

Comincia ad “addormentarsi”; e se più tardi ce ne ricordiamo, si risveglia nuovamente.

Vi orienterete in tutte queste cose, solamente se

al guazzabuglio di parole che trovate nei testi di psicologia sulla “memoria” e l’”oblio” sostituite i concetti reali.

Che cos’è il ricordare? E’ il risvegliarsi di un complesso di rappresentazioni.

E che cos’è il dimenticare? E’ l’addormentarsi di un complesso di rappresentazioni (…)

Ecco ciò che diventerà infinitamente necessario per l’avvenire dell’umanità: il penetrare nella realtà delle cose.

Oggi gli uomini pensano quasi esclusivamente a parole; non arrivano alla realtà” (pp. 114-115).

 

 

A quest’ultimo proposito, Abraham Joshua Heschel è giunto addirittura ad affermare che l’attuale condizione umana è a tal punto grave ch’è impossibile riflettere su di essa senza provare “vergogna, angoscia e disgusto” (cfr. 3° incontro).

Gli si può dare torto? Non si prova in effetti “vergogna, angoscia e disgusto” al cospetto del livello cui si è ridotto oggi il pensiero? Flores d’Arcais lo ha di recente definito “frivolo” (cfr., nell’”Osservatorio”, L’individuo libertario, 15 febbraio 2002 – ndr): ma in tanto è “frivolo” in quanto si pasce, stolidamente e perversamente, di sole parole (cfr., nell’”Osservatorio”, Parole, parole, parole…, 18 ottobre 2003 – ndr).

Il che fa sì che oggi disponiamo,

• da un lato, di mezzi e strumenti tecnici di “avanguardia”

• e, dall’altro, di un pensiero di “retroguardia”: cioè a dire, vecchio o vecchissimo,

e quindi incapace di dominare tali mezzi e strumenti al fine di metterli davvero al servizio dell’uomo

(del “guazzabuglio di parole” sulla “memoria” e l’”oblio”, il lettore potrà farsi un’idea consultando, nell’”Osservatorio”, Il cervello, la mente e l’anima, 12 febbraio 2001 – ndr).

 

Fatto si è che la realtà viene sempre meno amata, e viene perciò sempre meno osservata con quella serietà, con quella pazienza e con quella umiltà che sole potrebbero consentire al pensiero di penetrarne pian piano i segreti.

 

 

“Perciò si può capire che gli uomini ritengano a tutta prima incomprensibile un’idea come quella della “tripartizione dell’organismo sociale”, che è del tutto attinta dalla realtà e non da concetti astratti.

Per la gente non ha alcun significato far derivare le cose dalla realtà.

E meno di tutti fanno derivare le loro teorie dalla realtà, per esempio i capi socialisti o comunisti; essi rappresentano il più estremo aspetto, l’ultimo fenomeno decadente del significato della parola.

Gli uomini credono di capire moltissimo della realtà, ma quando cominciano a parlare presentano i più vuoti involucri di sole parole” (p. 115).

 

 

Riprendendo una felice espressione di Nikolaj Berdjaev, potremmo dunque dire che,

• in tutti costoro, non è la “Parola” (il “Verbo”) a farsi carne, bensì è la carne a farsi parola.

 

Abbiamo così finito la settima conferenza. Cominciamo allora l’ottava.

 

 

“Potrete dire che, veramente, il dormire e il vegliare sono processi ancora più oscuri che il ricordare e il dimenticare, e quindi che non potremo guadagnar molto indagando questi ultimi con l’aiuto dei primi.

E nondimeno, chi osservi accuratamente ciò che per l’uomo va perduto quando il suo sonno sia turbato, ne potrà dedurre come nella vita dell’anima umana si inserisca alcunché di perturbatore quando il dimenticare non venga messo nel giusto rapporto col ricordare (…)

Ma quando avviene questo?

Avviene allorché non riusciamo a regolare a nostra volontà il ricordare e il dimenticare” (pp. 116-117).

 

 

Può qui aiutarci il tornare a considerare, ancora una volta, il tipo stenico (isterico) e quello astenico (nevrastenico).

E’ facile osservare, infatti, che, nel primo, il dimenticare prevale sul ricordare, mentre, nel secondo, il ricordare prevale sul dimenticare. Ma questo avviene proprio perchè il dimenticare è legato al sonno e all’apparato metabolico (che predomina nel tipo stenico), così come il ricordare è legato invece alla veglia e all’apparato neuro sensoriale (che predomina nel tipo astenico).

Questi sono fatti di natura (e quindi karmici) che andrebbero sagacemente e pazientemente corretti, al fine di riuscire, per dirla con Steiner, “a regolare a nostra volontà il ricordare e il dimenticare”.

Non è infatti salutare e umano dimenticare tutto, ma non è nemmeno salutare e umano ricordare tutto, così come non è salutare e umano stare sempre a dormire o stare sempre svegli. Quello che conta, anche in questo caso, è un giusto ritmo, cioè un giusto rapporto tra l’oblio e il ricordo.

 

 

“Si arriverà sempre più a porre il ricordare e il dimenticare nella sfera del proprio arbitrio, quando si apprenderà che, anche allo stato di veglia, il dormire e il vegliare intervengono nel ricordare e nel dimenticare.

Infatti il ricordo nasce dal fatto che la volontà, nella quale noi dormiamo, afferra giù nell’incosciente una rappresentazione e la porta su nella coscienza” (p. 117).

 

 

A scanso di equivoci, ricordiamo che la volontà “afferra giù nell’incosciente” quello che abbiamo a suo tempo chiamato il “ricordo in sé” (avente natura di concetto), e ch’è solo quando questo arriva “su nella coscienza” che si ha la rappresentazione (mnemonica).

 

 

“Ora, la volontà è appunto “dormiente”,

e perciò non potrete ottenere in modo immediato che il bambino impari ad adoperare la sua volontà.

Infatti se voleste far ciò, sarebbe come raccomandare all’adulto di “fare il bravo” durante il sonno,

per essere poi bravo nella vita, quando si sveglia.

Non si può dunque pretendere, da questa parte dormiente della volontà,

che compia il singolo immediato sforzo per regolare il ricordo” (pp. 117-118).

 

 

Come vedete, scoprire le relazioni esistenti tra questi fenomeni amplia l’orizzonte educativo. Ha detto appunto Steiner: • “Nel mondo non si comprende in altro modo che riferendo una cosa ad un’altra” (cfr. 20° incontro – ndr).

Sapendo, infatti, che il ricordare è in rapporto con il vegliare, anziché agire direttamente sulla volontà del bambino, affinché compia uno sforzo “per regolare il ricordo”, possiamo agire direttamente sul vegliare, affinché, rafforzando se stesso, rafforzi indirettamente il ricordare.

Ma come si rafforza il vegliare?

 

 

“Supponiamo che, con qualche procedimento speciale, noi destiamo nel fanciullo un vivo interesse, ad esempio, per il mondo animale.

Naturalmente non potremo destarlo in lui in un giorno solo, ma dovremo svolgere tutto l’insegnamento in modo che, a poco a poco, tale interesse venga suscitato e svegliato.

Quanto più vivaci sono gli interessi che un insegnamento riesce a suscitare in un fanciullo, tanto più essi passeranno nella volontà; e in questo caso essa acquisterà, in genere, la facoltà di tirare su dall’incosciente, dall’oblio, le rappresentazioni della vita animale, quando queste, in una vita bene ordinata, siano necessarie alla memoria (…)

In altre parole, dobbiamo in questo modo cercare di riconoscere perché tutto ciò che desta intenso interesse nel fanciullo contribuisca pure a rafforzare la memoria e a renderla attiva.

La facoltà della memoria va infatti educata partendo dal sentimento e dalla volontà, non già per mezzo di semplici esercizi mnemonici intellettuali” (p. 118).

 

 

Non va educata cioè meccanicamente (come se equivalesse a quella di un computer).

Steiner parla infatti di “interessi vivaci”.

Ma qual è, o quale dovrebbe essere, il più vivace dei nostri interessi?

• Quello dell’uomo che cerca, attraverso il mondo, l’uomo

• o, il che è lo stesso, dell’Io che cerca, attraverso il mondo, l’Io (e mediante l’Io – ricordiamolo sempre – il Logos).

 

Si cercherà invano, però, di suscitare un simile interesse se non si disporrà di una scienza del mondo che sia al tempo stesso una scienza dell’uomo, e di una scienza dell’uomo che sia al tempo stesso una scienza del mondo: se non si disporrà, ossia, di una scienza che – come quella dello spirito – sia in grado di dimostrare che la verità è bellezza e che la bellezza è verità, sanando così quella lacerazione che strazia l’anima del fanciullo ogni volta che lo si induce a credere che la verità (“nuda e cruda”) non è bella (dal momento che non è una “favola”), e che il bello, sarà pur bello e piacevole, ma non è vero (dal momento che è una “favola”).

 

Pensate, tanto per fare un esempio, a Leopardi e al suo Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Chi potrebbe dire che questa poesia non è bella, anzi bellissima. Eppure, dal punto di vista della scienza attuale, non contiene un briciolo di verità; anzi, dal punto di vista psichiatrico, equivale praticamente a un delirio.

 

Pur tu, solinga, eterna peregrina, / Che sì pensosa sei, tu forse intendi, / Questo viver terreno, / Il patir nostro, il sospirar, che sia…”.

Chi altri, infatti, se non appunto un delirante, potrebbe rivolgersi alla Luna in questo modo, sperando oltretutto che gli risponda?

 

Continueremo giovedì prossimo.

L.R. – Roma, 30 marzo 2000