Dove è l’uomo, quale essere che pensa e ricorda? – Massime 165-167

Commento di Lucio Russo


 

Prima di affrontare questa nuova lettera, intitolata:

Dove è l’uomo, quale essere che pensa e ricorda? (1 marzo 1925), ritorniamo per un momento alle massime 32, 33 e 34.

 

Nella massima 32 leggiamo: • “Nel capo dell’uomo si ha dunque a che fare con un’evoluzione parallela delle parti relativamente autonome fisica ed eterica da un lato, dell’organizzazione astrale e di quella dell’io dall’altro”.

Nella 33: • “Nel sistema delle membra e del ricambio dell’uomo, le quattro parti costitutive dell’essere umano sono intimamente collegate. L’organizzazione dell’io e il corpo astrale non sono accanto alla parte fisica ed eterica. Vi sono dentro; le vivificano, agiscono nella loro crescita, nella loro facoltà di movimento, e così via”.

 

Ricordiamo, inoltre, che

• la rappresentazione, seguendo nel tempo (dopo circa mezzo secondo) (1) l’immagine percettiva,

è un’immagine mnemonica (a breve termine), e come tale rientra nel campo della memoria.

 

Alla domanda: • “Dove è l’uomo, quale essere che pensa e ricorda?”,

possiamo cominciare dunque a rispondere:

• “Sta in mezzo tra il sistema della testa e quello metabolico e degli arti

o tra la rappresentazione e l’immagine percettiva”.

 

Anziché dire, quindi: “In medio stat virtus”, potremmo dire: “In medio stat vir (homo)”;

in quel medio di cui, nella massima 34, leggiamo: • “L’organizzazione ritmica sta nel mezzo. Qui l’organizzazione

dell’io e il corpo astrale si collegano alternativamente con la parte fisica ed eterica, e se ne sciolgono di nuovo”.

 

Cominciamo adesso a leggere la lettera.

 

 

Nel rappresentare (pensare) e nello sperimentare i ricordi, l’uomo si trova entro il mondo fisico.

Ma dovunque rivolga lo sguardo nel mondo fisico, con i suoi sensi egli non giungerà mai a trovare qualcosa

che possa dargli le forze per rappresentare e ricordare” (p. 192).

 

 

• Osservando, attraverso i sensi, il mondo fisico, l’uomo può trovare il “rappresentabile” o il “ricordabile”,

• ma non il “rappresentare” (il pensare ordinario) o il “ricordare” (la memoria), quali attività o facoltà.

L’Io e il corpo astrale, come abbiamo appena visto, sono separati, nella testa, dal corpo eterico-fisico:

• rispetto al corpo fisico, la separazione è “spaziale”;    •  rispetto a quello eterico, è “temporale”.

 

Grazie alla prima, l’Io e il corpo astrale si “rappresentano”, in stato di veglia,

ciò che percepiscono nel mondo esterno (fisico),

• mentre, grazie alla seconda, si “ricordano”, in uno stato simile a quello di sogno,

ciò che percepiscono nel mondo interno (eterico).

Non si dice, infatti, che l’immergersi nel mondo dei ricordi è un po’ come un “sognare ad occhi aperti”?

 

 

Nel rappresentare appare l’autocoscienza.

Questa – secondo le considerazioni precedenti – è un acquisto che l’uomo riceve dalle forze terrestri.

Ma queste forze terrestri sono tali da restare nascoste alla visione sensibile.

È vero che nella vita terrestre l’uomo pensa solo quello che gli trasmettono i suoi sensi,

ma la forza del pensare non gli dà nulla di tutto ciò che egli così pensa” (p. 192).

 

 

Con l’avvento dell’anima cosciente (supportata dal corpo fisico), appare la coscienza rappresentativa dell’Io:

un’autocoscienza che possiamo definire “cartesiana”,

in quanto si fonda sull’opposizione tra l’ego (la res cogitans) e il non-ego (la res extensa).

 

Dice Steiner: • “È vero che nella vita terrestre l’uomo pensa solo quello che gli trasmettono i suoi sensi,

ma la forza del pensare non gli dà nulla di tutto ciò che egli così pensa”.

Che cosa gli dà infatti tale forza?

• Non le cose, ma la rappresentazione delle cose,  • non i noumeni – direbbe Kant -, ma i fenomeni.

 

 

Dove troviamo questa forza che dall’elemento terrestre trae e forma

la forza del rappresentare (pensare) e le immagini della memoria?

La troviamo se rivolgiamo lo sguardo spirituale a ciò che l’uomo porta seco dalle vite terrene trascorse.

La coscienza ordinaria non lo conosce. A tutta prima ciò vive in modo incosciente.

Ma quando l’uomo scende sulla terra dopo l’esistenza spirituale, questa forza si rivela subito affine

alle forze terrestri che sono fuori dalla sfera di osservazione dei sensi e dal pensare dei sensi.

In questa sfera l’uomo non sta col rappresentare (pensare), ma col volere che si svolge a norma di destino” (p. 192).

 

 

• Il “rappresentabile” e il “ricordabile” li ricaviamo “dall’elemento terrestre”,

• mentre il “rappresentare” (il pensare) e il “ricordare” (la memoria), li portiamo in noi.

• Non portiamo quindi in noi delle “idee innate”, come credevano i razionalisti,

• bensì delle forze o delle facoltà provenienti dalla nostra vita prenatale e dalle nostre vite terrene precedenti.

 

Vedete, possiamo senz’altro dire, parlando, che il pensiero intellettuale è un pensiero “morto”, “astratto”,

un “non-essere” o un “nulla”, ma si dovrebbe sapere che questi termini non sono, a rigore, equivalenti.

L’essere “morto”, infatti, è proprio della materia,

mentre, sul piano ordinario,

il “non-essere” (non il “nulla”) è proprio della rappresentazione (vincolata ai sensi),

• e l’essere “astratto” è proprio del concetto (universale):

ossia di ciò ch’è libero tanto dai sensi quanto dal sentire e dal volere personali (karmici).

 

Lo testimonia, come abbiamo detto, la matematica. Vi rileggo, al riguardo, quanto dice Hegel (lettera 9 novembre 1924): • “Il numero è un oggetto immateriale, e l’occuparsi del numero e delle sue combinazioni è una occupazione immateriale. Lo spirito vien quindi da cotesta occupazione obbligato alla riflessione in sé e ad un lavoro astratto, il che ha una importanza grande, ma però unilaterale. Perocché dall’altra parte, siccome al numero sta in fondo soltanto la differenza estrinseca, priva di pensiero, così quell’occupazione diventa una occupazione priva di pensiero, meccanica”.

Si dice: “La matematica non è un’opinione”. Lo si dice, ma non si considera che questo fatto costituisce un vero e proprio miracolo: non è forse un miracolo che, godendo del consensus omnium, non susciti la benché minima disputa, polemica o contestazione?

Ma il miracolo è costituito non tanto dalla matematica, quanto piuttosto dal pensiero astratto: ossia da un pensiero puro in quanto libero, come detto, vuoi dai sensi, vuoi dal sentire e dal volere personali, in quanto privo, in una parola, di “soggettività” (“I concetti astratti ci educano interiormente al pensare puro”) (2).

 

Rileggiamo questo passo di Steiner: • “A un certo punto, nell’evoluzione dell’umanità, fu necessario arrivare al pensiero puro, ricco solo di pensieri. Normalmente, e nei tempi più antichi sempre, il pensiero umano, come l’ho descritto ieri, è ricco d’immagini. Pensatori come Fichte, Schelling e Hegel ebbero solo pensieri puri, privi di immagini (…) A che scopo si è sviluppato nell’evoluzione storica moderna un simile pensiero astratto? E’ comparso a causa di uno sforzo che gli uomini dovevano fare a un certo punto. Occorre un grande sforzo interiore per sollevarsi ad esempio a un’astrazione simile nell’accezione di Fichte, per far proprie con energia simili astrazioni di cui la persona gretta, dotata di senso della realtà, dice che non approdano a nulla dato che sono prive del tutto di esperienza. Ed è proprio così. Eppure a un certo punto bisognava arrivare a quelle astrazioni. Il primo passo andava fatto nella loro direzione. Appena però l’intima forza propulsiva della vita dell’anima procede un po’ oltre tali astrazioni, si entra nella vita spirituale. L’unico percorso sano della mistica moderna passa attraverso il pensiero energico. Allo scopo bisogna prima conquistarlo. Il passo successivo sarà di andare oltre il pensiero energico per giungere alla vera esperienza dello spirito” (3).

Considerazioni del genere possono sembrare mere elucubrazioni soltanto a chi tema o disdegni di cimentarsi con l’astratto “pensiero energico” (detto, ne La filosofia della libertà, “pensare concettuale puro”) di Fichte, di Schelling o di Hegel.

(Afferma Steiner: • “Queste nostre considerazioni di oggi potranno sembrare quasi pedanti, ma grazie a esse penetreremo sempre più nella vera e propria vita dell’anima. Sono necessarie sottili distinzioni, se vogliamo conoscere lo stupendo dramma dell’anima con il suo eroe al centro: l’io” [4].)

 

Torno a dirlo:

• se non si distingue il sano intelletto, ch’è “natura”, dall’insano intellettualismo, ch’è “sub-natura”,

non si può comprendere che il primo è la base dalla quale dobbiamo prendere le mosse

se vogliamo andare volitivamente “un po’ oltre” l’astrazione, ed entrare così nella vita spirituale

(“Quando sei arrivato in cima a un palo alto cento piedi – dice lo Zen – fa’ un passo avanti”).

 

Sentite che cosa dice ancora Steiner:

“Oggi la comprensione razionale, intellettuale, della scienza dello spirito è straordinariamente necessaria, perché è proprio questo il mezzo per aver ragione delle potenze culturali più resistenti. L’intelletto degli uomini, oggi, è talmente capace che tutta la scienza dello spirito può venir compresa, solo a volerlo. E mirare a questa comprensione, appunto, è un interesse della civiltà non egoistico, bensì universalmente umano” (5).

 

Non pochi, invece, credono di poter comprendere la scienza dello spirito

• passando dalla semplice “lettura”, ossia dal pensare passivo, agli “esercizi”,

• trascurando così l’oneroso lavoro preparatorio dell’intelletto e della ragione,

• trascurando ossia lo studio attivo e (come dice Steiner ne L’iniziazione) “intenso”

(non a caso, La scienza occulta tratta della pratica interiore, ossia de “la conoscenza dei mondi superiori (dell’iniziazione)”, solo dopo aver trattato del “carattere della scienza occulta”, dell’”essere dell’uomo”, di “sonno e morte” e dell’”evoluzione del mondo e dell’uomo”).

 

Si potrebbe dire, volendo, che

• come la concentrazione sta, a un primo livello, al pensare e, a un secondo livello, al concetto,

• e come la meditazione sta all’idea,    •  così lo studio sta al pensato o alla rappresentazione.

(“Concetto è il pensiero singolo quale viene fissato dall’intelletto […] Per la ragione, le creature dell’intelletto rinunciano alle loro esistenze separate e continuano a vivere soltanto come parte di un tutto. Chiameremo idee queste configurazioni create dalla ragione” [6].)

 

Ricordate (lo abbiamo già visto), qual è, secondo Steiner, “il corretto processo della meditazione”?

• “Prima si conquista a fondo un pensiero, del quale si può riconoscere la validità

con gli strumenti offerti dalla vita e dalla coscienza ordinarie (corsivo nostro).

• In seguito ci si immerge ripetutamente in quel pensiero, identificandosi con esso.

Il rafforzamento dell’anima deriva dal vivere con un pensiero conosciuto in tal modo” (7).

 

• Un conto, dunque, è accingersi a meditare un pensiero

dopo averlo riconosciuto valido grazie allo studio e alla riflessione,

• altro accingersi a meditarlo prima di averlo fatto passare sotto le “forche caudine” dell’intelletto e della ragione

 

(• “In un primo momento”, per “l’intima peregrinazione dell’anima”, “occorrono delle riflessioni sobrie e fredde; esse costituiscono il sicuro punto di partenza per penetrare ulteriormente nelle regioni soprasensibili, delle quali, in ultima analisi, importa all’anima. Molte anime vorrebbero risparmiarsi questo punto di partenza e penetrare subito nel soprasensibile”) (8).

 

Insomma, per lo sviluppo dei superiori gradi di coscienza, la chiarezza delle idee è insufficiente, ma necessaria (“Nel pensare chiarezza, / nel sentire schiettezza, / nel volere assennatezza; /…”) (9).

(• “Al nostro tempo, non c’è vera Iniziazione, che non passi per l’intelletto. Chi vuole oggi condurre agli “arcani superiori” evitando di passare per l’intelletto, non capisce nulla dei “segni dei tempi” e non può far altro che porre suggestioni nuove al posto delle antiche” [10].)

 

Dicendo questo, sia ben chiaro, intendo soltanto osservare che quando gli “esercizi”, tenendo solo in parte conto delle indicazioni fornite da Steiner, vengono intellettualisticamente sottovalutati o volontaristicamente (gesuiticamente) sopravvalutati, oppure non eseguiti al momento giusto o con lo spirito giusto, non raggiungono il loro scopo, che è quello di permetterci un’auto-educazione e uno sviluppo che ci rendano capaci e degni di servire in libertà e amore il mondo dello spirito (“Ecce Ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum”). “E’ la gerarchia umana – afferma Giovanni Colazza – che, sola tra le altre, può portare il senso spirituale nella materia” (11).

(• “Le vie indicate in questo libro – scrive Steiner ne L’iniziazione -, se seguite con misura, non riescono pericolose per nessuno”; “Vi è un intendimento che si basa sopra un sentimento di verità e un’intelligenza chiara, sana, e universalmente critica; esso permette di penetrare in questi insegnamenti anche quando ancora non si vedono le cose spirituali” [12].)

 

Non dovremmo dimenticare, infine, queste altre affermazioni:

• “Nessuno può trovare direttamente una verità spirituale nei mondi superiori, se non ha sviluppato un alto grado di facoltà spirituali, di chiaroveggenza. La chiaroveggenza è condizione indispensabile, però, soltanto per la scoperta di verità spirituali. Importa tener presente che, siccome fino ad oggi ed ancora per molto tempo, i rosacroce non insegneranno nulla exotericamente che non possa venir afferrato con il comune intelletto logico, si erra obiettando che sia necessaria la chiaroveggenza per poter capire la forma rosicruciana della scienza dello spirito. L’importante non è la facoltà di percezione. Se non si comprende la sapienza dei rosacroce col pensiero significa solo che l’intelletto logico non è stato ancora sviluppato abbastanza. Se si accoglie la cultura moderna e quanto si può raggiungere attraverso di essa, basterà avere pazienza e costanza e non essere troppo pigri nello studio; si capirà allora l’insegnamento del maestro rosicruciano. Se dunque qualcuno mette in dubbio questa sapienza, dicendo che non la può capire, la causa non sarà la sua mancata elevazione ai mondi superiori, ma l’insufficiente applicazione del suo intelletto logico, o il non voler usufruire delle normali esperienze dell’intelletto al fine di capire veramente” (13);

• “Chi accoglie in sé la scienza dello spirito, per il solo fatto che vivono in lui dei concetti scientifico-spirituali, per il solo fatto di adottare le abitudini di pensiero che sono appunto indicate come necessarie per la scienza spirituale, già nel mondo fisico trasforma realmente la sua anima. Spesso ho fatto notare che lo studio serio della scienza dello spirito è uno degli esercizi migliori e più profondi” (14);

• “Non occorre, in verità, fare altro che studiare la scienza dello spirito. Se poi, oltre a studiare, si fanno anche ogni sorta di meditazioni, se si tiene conto delle indicazioni pratiche date, per esempio, nella mia Iniziazione, questo è un sostegno che si offre al semplice studio. E’ sufficiente, però, anche il solo studio della scienza dello spirito, purché lo si attui con vera coscienza. Oggi si può studiare la scienza dello spirito anche senza conseguire la facoltà della chiaroveggenza: e può farlo ogni uomo che non opponga egli stesso dei pregiudizi al proprio cammino” (15).

 

(Osserva per di più Scaligero: “A un determinato momento, si sa che lo sforzo, le discipline, il rigore dell’ascesi sono mezzi dell’ego ancora incapace di realizzare la propria estinzione: che apra il varco all’Io superiore. Questo è presente nell’Io di ogni momento, nell’ego che gli si oppone e perciò si sforza di sopravvivere mediante la concentrazione, mediante la meditazione, mediante l’ascesi. Occorre che l’ego esaurisca tutte le velleità di elevazione, perché questa elevazione si realizzi come sua morte, sua resurrezione” [16].)

 

Ma torniamo a noi.

Si è in genere convinti che c’è scienza soltanto là dove c’è matematica. E’ un errore, ma un errore in cui c’è, come sempre, una verità. E qual è questa verità? Che c’è scienza soltanto là dove c’è lo  s p i r i t o  della matematica, e non la matematica (il calcolo).

Dobbiamo pertanto far nostro e sviluppare questo spirito (che “non parla da sé stesso”), così da portarlo, sia al di là dell’astrazione, sia al di là della concretezza (sensibile o galileiana) con la quale è venuto storicamente alla luce.

 

(La matematica ch’è, per Hegel, una “occupazione priva di pensiero, meccanica”, diventa invece, in Novalis, “una grandiosa poesia che lo rapiva in estasi”. “Quando si approfondiva nei numeri e nelle grandezze – afferma Steiner -, sentiva la sua anima elevarsi a superiori altezze. Per Novalis la matematica divenne l’espressione dell’opera creatrice divina, del pensiero divino nel suo fulmineo manifestarsi nelle direzioni di forza e nelle misure di forza dello spazio in cui poi si cristallizza. La matematica, che per le moltitudini di uomini che la conoscono solo esteriormente resta sempre alcunché di freddo, divenne nell’animo di Novalis la via che conduce al supremo calore, alla vita spirituale” [17].)

 

Dice Steiner: • “In questa sfera [cioè in quella, come vedremo tra breve, della “Terra spirituale”] l’uomo non sta col rappresentare (pensare) [ordinario], ma col volere che si svolge a norma di destino [e quindi con il suo essere spirituale] ”.

 

Abbiamo detto, una sera, che una cosa è il pensare astratto, altra il pensare concreto, e abbiamo aggiunto, poc’anzi, che

il pensare astratto, in quanto libero, vuoi dai sensi, vuoi dal sentire e dal volere personali, è il pensare puro

(• “Che l’uomo – afferma Steiner – impari a comprendere il mondo con il nudo pensiero è la caratteristica distintiva dell’epoca moderna. E proprio nell’atto di comprendere il mondo egli comincia a sviluppare questo pensiero puro”) (18).

Ebbene,

• come questo pensare, applicato alla realtà inorganica (allo spazio), diventa sensibilmente concreto (galileiano),

• così, applicato alla realtà organica (al tempo), diventa spiritualmente vivente (goethiano-michaelita).

 

Per questo, Steiner consiglia, come ho già fatto notare, di cominciare la “preparazione” dirigendo “l’attenzione dell’anima su determinati processi del mondo che ci circonda: da un canto sulla vita germogliante, crescente e fiorente, e dall’altro su tutti i fenomeni connessi con l’appassire, lo sfiorire e il morire” (19): dirigendola, cioè, non sulle cose (che giacciono nello spazio), ma sui processi (che si svolgono nel tempo).

 

• “Tenendo conto che la terra contiene delle forze che esorbitano dall’àmbito dei sensi, si può parlare della “terra spirituale” quale polo opposto alla “terra fisica”” (pp. 192-193).

 

 

• “Tenendo conto che la terra contiene delle forze che esorbitano dall’àmbito dei sensi,

si può parlare della “terra spirituale” quale polo opposto alla “terra fisica”” (pp. 192-193).

 

 

Quali sono le “forze che esorbitano dall’ambito dei sensi”?

• Quelle del movimento (della vita), dell’anima e dello spirito.

Grazie ai sensi (fisici) percepiamo ad esempio il mosso, ma non il movimento, la materia, ma non l’energia.

Questa ci limitiamo a pensarla (congetturarla),

arrivando così a credere (in ossequio al materialismo) che sia una “grandezza fisica”.

 

• La “Terra spirituale” è dunque quella della vita, dell’anima e dello spirito (del Cristo),

• mentre la “Terra fisica” è quella della morte.

 

Scrive Unger: • “La terra fisica e la terra spirituale sono polari, ma fra le due fa da mediatore la terra ritmica;

e questa è la sfera con la quale si è unito Michele, senza toccare la terra fisica” (20).

 

 

Risulta allora che l’uomo, quale essere di volontà, vive nella e con la “terra spirituale”,

ma che, quale essere dotato di facoltà di rappresentazione (di pensiero),

pur vivendo nell’ambito della terra fisica, egli non vive, come tale, con essa.

Quale essere pensante, l’uomo porta delle forze dal mondo dello spirito in quello fisico;

ma con tali forze egli permane un essere spirituale che semplicemente appare nel mondo fisico,

senza stabilire una comunanza con esso” (p. 193).

 

 

Ripensiamo di nuovo alle massime 32, 33 e 34. Che cosa abbiamo visto? Che, nella sfera cefalica, la parte animico-spirituale e quella eterico-fisica sono separate, che, nella sfera metabolica e degli arti, sono unite, e che, nella sfera mediana o ritmica, si separano e si riuniscono ritmicamente.

Ciò significa che, nella sfera dormiente del volere, siamo uniti alla “Terra spirituale”, che, nella sfera sognante del sentire, ce ne separiamo e ci riuniamo ritmicamente a essa, e che, nella sfera vigile del pensare, ne siamo separati.

Proprio perché ne siamo separati riusciamo, “pur vivendo nell’ambito della terra fisica”, a oggettivarla e a rappresentarcela (“senza stabilire una comunanza” con essa).

 

Domanda: Ma non si era detto che siamo uniti al mondo spirituale nella sfera cefalica e che ne siamo separati in quella metabolica e degli arti (lettera 11 gennaio 1925)?

Risposta: Certo, ma non c’è contraddizione, perché,

nella sfera cefalica,

siamo uniti alla “Terra spirituale” (al “mondo spirituale”) quali esseri spirituali (quali Io),

ma non quali esseri psico-fisici (quali ego),

• mentre, in quella metabolica e degli arti, siamo separati dalla “Terra spirituale” quali esseri spirituali (quali Io),

ma non quali esseri psico-fisici (quali ego).

E’ per questo che il “Fiat voluntas mea” ha preso il posto del “Fiat voluntas tua”.

 

 

Durante la vita terrena, l’uomo che rappresenta (che pensa) stabilisce una comunanza soltanto con la “terra spirituale”.

E da questa comunanza gli nasce la sua autocoscienza.

Il suo sorgere è dunque dovuto ai processi che si svolgono spiritualmente per l’uomo durante la vita terrena” (p. 193).

 

 

Durante la vita terrena,

• “l’uomo che pensa” (l’Io) non vive in comunione con la “Terra fisica”,

• ma vive in comunione con la “Terra spirituale”;

questo gli permette di conoscere tanto la “Terra fisica” quanto se stesso (come ego):

gli permette cioè di conoscere il sensibile mediante il sovrasensibile (Scaligero).

 

Consentitemi, giacché stiamo parlando dell’uomo che pensa, una brevissima digressione.

Immaginate il pensiero astratto, che Michele e Arimane si contendono, come una linea orizzontale (neutra come la matematica). Come si trasformerebbe tale linea se prevalesse Arimane (la gravità)? Si curverebbe verso il basso, disegnando così il profilo di una coppa rovesciata, atta a ricevere le forze che risalgono dalla sub-natura. Col prevalere di Michele la stessa linea si curverebbe invece verso l’alto, disegnando così il profilo di una coppa (“Vas spirituale, Vas honorabile, Vas insigne devotiònis”), atta ad accogliere le forze dello Spirito Santo e del Cristo.

Ebbene, questa è un’immagine (“stilizzata”) del Graal, quella dell’anti-Graal.

 

 

Le esperienze della memoria ci conducono nella sfera del corpo astrale dell’uomo.

Nel ricordare, non fluiscono nell’io attuale soltanto i risultati di vite terrene trascorse, come nel rappresentare (pensare),

ma fluiscono nell’interiorità dell’uomo le forze del mondo dello spirito

che egli sperimenta fra morte e nuova nascita. Questo fluire avviene nel corpo astrale” (p. 193).

 

 

Ci si potrebbe qui confondere, perché si dice che le esperienze della memoria, che abbiamo messo finora in rapporto con il corpo eterico, “ci conducono nella sfera del corpo astrale”.

Abbiamo però spiegato che si ha coscienza del ricordo (esperienza della memoria) quando l’Io investe con la luce del corpo astrale il “ricordo in sé” custodito nel corpo eterico.

 

Proviamo dunque a ridirla così:

• “La forza del ricordare, quale frutto delle vite terrene trascorse e delle esperienze fatte fra morte e nuova nascita,

fluisce nell’Io attuale (nell’ego) mediante il corpo astrale e il sentire,

• mentre la forza del rappresentare, quale frutto delle sole vite terrene trascorse,

vi fluisce mediante il corpo fisico e il volere”.

 

Teniamo presente, al riguardo, che il rappresentare è legato alla testa,

e che la testa dell’attuale incarnazione è la metamorfosi del restante organismo di quella precedente,

e non dimentichiamo quel rapporto “privilegiato” tra l’Io e il corpo fisico e tra il corpo astrale e il corpo eterico

al quale ho a suo tempo [massima 71] accennato.

“Al mattino – esemplifica Steiner -, quando il corpo astrale e l’io penetrano dal mondo spirituale nel corpo fisico e nel corpo eterico, succede che in sostanza – e prego di dare un peso speciale a questa parola – il corpo astrale penetra nel corpo eterico, e l’io penetra nel corpo fisico” [21].)

 

Il legame tra il ricordare e il sentire viene confermato dal fatto che, a seconda del temperamento, è più facile ricordare le cose piacevoli e dimenticare quelle spiacevoli, o viceversa. Ad esempio, i tipi in cui prevale il temperamento sanguigno ricordano soprattutto le cose piacevoli, mentre quelli in cui prevale il temperamento melanconico ricordano soprattutto quelle spiacevoli.

 

 

In seno alla terra fisica non esiste però una sfera per accogliere in modo immediato le forze che così affluiscono.

Quale essere che ricorda l’uomo non può collegarsi con gli oggetti e i processi che i suoi sensi percepiscono,

come non può collegarsi con i medesimi, quale essere capace di rappresentare” (p. 193).

 

 

In altra sede (22), Steiner parla

• delle forze eteriche come di forze che portano il passato verso il futuro,

• di quelle astrali come di forze che portano il futuro verso il passato,

• e del punto in cui s’incontrano come del punto in cui nascono il presente e la coscienza.

 

Rappresentiamoci perciò le prime con una freccia che va da sinistra a destra, le seconde con un’altra che va da destra a sinistra, e completiamo poi il quadro tracciando, a partire dal loro punto d’incontro, una freccia che va dall’alto in basso per rappresentare l’Io, e un’altra che va dal basso in alto per rappresentare il corpo fisico.

 

 

Abbiamo così (stando nel punto d’incontro delle quattro frecce):

• la presente coscienza dell’Io (dell’eterno) quale autocoscienza;

• la presente coscienza del corpo e del mondo fisico (del presente) quale immagine percettiva;

• la presente coscienza del corpo eterico (del passato) quale immagine mnemonica o rappresentazione;

• la presente coscienza del corpo astrale (del futuro) quale immaginazione.

 

L’uomo, “quale essere che ricorda”,

non può dunque “collegarsi con gli oggetti e i processi che i suoi sensi percepiscono” (hic et nunc),

perché può portare la propria presente coscienza solo incontro al passato (al corpo eterico),

e “non può collegarsi con i medesimi, quale essere capace di rappresentare”,

perché il rappresentare non lo collega, bensì lo separa tanto

dall’essenza (dal noumeno) di tali oggetti e processi quanto dal suo vero Io (dallo spirito).

 

Dice Steiner: • “In seno alla terra fisica non esiste (…) una sfera per accogliere in modo immediato le forze che così affluiscono”.

La forza del ricordare e quella del rappresentare giungono infatti all’Io (all’ego) mediate, rispettivamente, dal corpo astrale e dal corpo fisico.

 

 

Egli stabilisce però una comunanza con ciò che non è fisico, ma che traduce il fisico in processi, in svolgimenti:

e cioè nei processi ritmici della vita naturale ed umana.

Nella natura si alternano ritmicamente il giorno e la notte, si susseguono ritmicamente le stagioni, e così via.

Nell’uomo si svolgono in ritmo il respiro e la circolazione del sangue.

Del pari si alternano il sonno e la veglia, e così via.

I processi ritmici non sono qualcosa di fisico, né nella natura, né nell’uomo.

Si potrebbero chiamare semi-spirituali. L’elemento fisico, come tale, scompare nel processo ritmico.

Nel ricordare l’uomo è trasportato, col suo essere, nel ritmo suo e della natura.

Egli vive nel suo corpo astrale” (pp. 193-194).

 

 

Abbiamo già visto che l’uomo vive tra la rappresentazione e l’immagine percettiva,

laddove è attiva quella sfera del sentire

che mette ritmicamente in rapporto tra loro la sfera del pensare e quella del volere.

 

Ma che cosa abbiamo detto quando abbiamo disegnato quella figura (lettera 13 luglio 1924) nella quale l’Io, quale fulcro di un pendolo, si presenta, oscillando, ora come Io del pensare, ora come Io del sentire, ora come Io del volere?

Abbiamo detto che

• non dobbiamo identificare l’Io con la sfera ritmica o del sentire,

• bensì realizzare ch’è l’Io (mediante il corpo astrale) a imporre ai processi la loro legge,

e quindi la qualità del loro ritmo.

 

• Esistono infatti i processi (quali fenomeni puramente dinamici),

• ma esistono anche le leggi che (qualitativamente) li regolano.

Il processo della respirazione, ad esempio, consiste in un movimento di espansione e in uno di contrazione governati da un ritmo, e quindi da una legge, così come governati da un ritmo, e quindi da una legge, sono pure i processi della veglia e del sonno, rispettivamente collegati al ricordare e al dimenticare (non si usa infatti dire che i ricordi si “risvegliano”?).

 

• Il movimento, come tale, è dunque eterico,    • mentre la legge che lo governa è astrale.

Per questo, Steiner dice:

“Nel ricordare l’uomo è trasportato, col suo essere, nel ritmo suo e della natura. Egli vive nel suo corpo astrale”.

 

 

Lo yoga indiano vuole effondersi interamente nell’esperienza del ritmo.

Vuole abbandonare la sfera della vita rappresentativa, dell’io, e guardare in un’esperienza interiore, simile al ricordo,

il mondo che giace dietro a quello che è accessibile alla coscienza abituale.

La vita spirituale dell’occidente non deve soffocare l’io per raggiungere la conoscenza;

deve condurre l’io alla percezione dello spirito.

Questo non può accadere se dal mondo sensibile si penetra nel mondo ritmico

sperimentando nel ritmo soltanto il divenire semi-spirituale del fisico.

Occorre piuttosto trovare la sfera del mondo spirituale che si manifesta nel ritmo.

Due vie sono dunque possibili: la prima è di sperimentare il fisico nel ritmo, come il fisico diventi semi-spirituale.

È una via antica che oggi non può essere più seguita.

L’altra è di sperimentare il mondo dello spirito, che ha per sua sfera il ritmo universale dentro e fuori dell’uomo,

così come l’uomo ha per sua sfera il mondo terrestre con i suoi esseri e processi fisici” (p. 194).

 

 

E’ questa la differenza tra la nostra via e quella orientale.

• Come lo yoghi, del resto, nell’era in cui lo spirito viveva nella sfera della volontà,

muoveva dall’hara (che, in giapponese, significa “addome”),

• e come, nell’era in cui lo spirito viveva nella sfera del sentire, muoveva dall’hata (dal respiro),

• così oggi, ossia nell’era in cui lo spirito vive nel pensare, dovrebbe muovere (come noi) dalla testa

(ricordiamo ancora una volta che Golgota significa “cranio”).

• Non è possibile fare altrimenti, perché nei luoghi in cui viveva un tempo il Logos, oggi vivono Lucifero e Arimane.

 

Chi si meravigliasse di questo accostamento tra l’antroposofia e lo Yoga, ascolti quanto dice qui Steiner: • “Ciò che ho cercato di descrivere nel mio libro La scienza occulta, e precisamente nei primi capitoli sulla costituzione dell’essere umano, su sonno e veglia e su vita e morte, si può definire una filosofia sankhya nel senso moderno. La descrizione poi dell’evoluzione cosmica, da Saturno ai tempi nostri, è una filosofia vedica elaborata per il presente. Negli ultimi capitoli invece, dove si tratta dello sviluppo superiore dell’uomo, si ritrova lo yoga adatto al nostro tempo. La nostra epoca deve congiungere in modo organico le tre correnti spirituali la cui luce ci risplende dall’antica India” [23].

 

Come dunque non osservare, alla luce di questo, che quanti oggi seguono l’antroposofia seguono lo Yoga vivente o “reincarnato”, mentre quanti seguono lo Yoga storico non ne seguono invece che il cadavere?

Una cosa, pertanto, è “sperimentare il fisico nel ritmo”, altra sperimentarvi lo spirito. Ma questo lo si comincia a sperimentare solo quando si comincia a scoprire, in virtù di una vera comprensione de La filosofia della libertà, il ritmo del percepire e del pensare nella vita della coscienza e della conoscenza.

Afferma appunto Steiner: “La più elementare comprensione del metodo di ricerca antroposofico si può ricavare dalla Filosofia della libertà. La comprensione che se ne ha va tuttavia ulteriormente elaborata. In quel libro si trova soltanto il primo elemento, ma comunque lo si ritrova” (24).

 

 

A questo mondo dello spirito appartiene ora tutto ciò che nell’attuale momento cosmico avviene per mezzo di Michele.

Uno spirito quale è Michele, eleggendo a sua sede il mondo ritmico, trasporta nel campo della pura evoluzione umana

– non influenzata da Lucifero – quello che altrimenti giacerebbe nell’àmbito di Lucifero.

Tutto ciò può venir contemplato quando l’uomo accede all’immaginazione poiché l’anima,

con l’immaginazione, vive nel ritmo; e il mondo di Michele è quello che si manifesta nel ritmo.

Il ricordo, la memoria, stanno già dentro a questo mondo, ma non ancora profondamente.

La coscienza abituale non ne sperimenta nulla.

Ma se si accede all’immaginazione, dal mondo del ritmo emerge anzitutto il mondo dei ricordi soggettivi;

e poi si passa subito alla sfera degli archetipi del mondo fisico, creati dal mondo divino-spirituale e viventi nell’eterico.

Si sperimenta l’etere che nasconde in sé le forze creative universali e risplende in immagini cosmiche.

E le forze solari che operano in quest’etere non soltanto irraggiano, ma magicamente suscitano dalla luce

gli archetipi universali. Il sole appare come il pittore cosmico universale.

Esso è il contrapposto cosmico degli impulsi che nell’uomo dipingono le immagini rappresentative  (di pensiero)” (pp. 194-195).

 

 

Nel 1995, la rivista Antroposofia pubblicò un mio articolo, intitolato: Idealismo teorico e idealismo pratico (25), corredato della figura di una lemniscata (curva algebrica a forma di otto): così, dissi allora scherzando, mi era “apparsa”, un giorno, La filosofia della libertà.

Quel giorno infatti realizzai che un quid che parta dal punto d’intersezione di una lemniscata, percorra al suo esterno tutta la curva superiore, torni al punto di partenza e continui ad avanzare, si trova a percorrere al suo interno tutta la curva inferiore, sino al punto d’intersezione, per poi ripassare nuovamente dall’interno all’esterno, e viceversa.

Realizzai, insomma, la realtà del movimento (ritmico) che sottende la enantiodromia o il rovesciamento nell’opposto.

 

Nel caso de La filosofia della libertà,

tale movimento sottende il rovesciamento del pensare nel volere e del volere nel pensare.

• Se all’esterno della curva superiore (come nella figura che accompagna l’articolo) si pone il pensare,

• e al suo interno il volere, si vede infatti che all’esterno di quella inferiore si dà il volere, e al suo interno il pensare.

• Ciò significa che alle spalle del pensare cosciente c’è un volere incosciente (il volere nel pensare),

• così come alle spalle del volere cosciente c’è un pensare incosciente (il pensare nel volere).

Di questa dinamica, l’intelletto non coglie che il pensare e il volere quali statici e inconciliabili opposti.

 

Come vedete, si può superare questo dualismo solo in virtù del movimento di un terzo elemento:

ossia di quell’Io

• che si dà ora come soggetto del pensare (come ego)

• e ora come soggetto del volere (come non-ego o, per esteso, come natura).

Tale movimento dell’Io (nel pensiero) è l’immaginazione.

 

Ascoltate quanto dice qui Steiner:

“Se oggi qualcuno, attraverso il gradino delle forme, aspira seriamente a penetrare in quello della vita, deve essere disposto a un’esperienza nella quale si dica: per quanto belli possano essere i concetti che mi offre questa o quella confessione religiosa, io non perverrò mai alla realtà, se non sarò capace di mettermi dinanzi anche il concetto opposto. Ho già messo in evidenza che il mistero del Golgota stesso ci costringe a pensare due concetti opposti. Da un lato dobbiamo pensare che fu certo una cattiva azione [un male] il mettere a morte il Dio incarnato in un uomo. D’altra parte, quell’azione fu certissimamente il punto di partenza del cristianesimo [un bene]; se infatti quell’assassinio non si fosse compiuto sul Golgota, il cristianesimo non esisterebbe nella sua realtà” (26).

 

Tutto questo ci ricorda che

• il primo obiettivo della “concentrazione” è l’esperienza del movimento del pensare

(di quel pensare che passa – come si dice ne La filosofia della libertà – ordinariamente “inosservato”),

• mentre il secondo è la contemplazione della realtà spirituale del concetto.

 

E che cos’altro realizzai quel giorno? Che la prima parte de La filosofia della libertà (“La scienza della libertà”) corrisponde alla curva superiore della lemniscata (quella del volere nel pensare), che la seconda (“La realtà della libertà”) corrisponde alla curva inferiore (quella del pensare nel volere), e che tra l’una e l’altra si dà una continuità non diversa da quella che caratterizza, nel nostro organismo, l’attività respiratoria o quella cardiocircolatoria.

 

Leggiamo adesso le massime.

Massime 165/166/167 (1 marzo 1925)

 

 

165 –  “L’uomo vive sì quale essere pensante nell’àmbito della terra fisica,

ma non entra con questa in alcuna comunanza.

Vive quale entità spirituale in modo da percepire il fisico;

egli riceve però le forze per pensare dalla “terra spirituale”,

per la stessa via per cui sperimenta il destino nel risultato di precedenti vite terrene”.

 

 

Quando ci occupammo del primo dei due testi dedicati da Steiner all’Arte dell’educazione (27), ci soffermammo sulla figura (la seconda della decima conferenza) che illustra il modo in cui, dalla periferia dell’universo, penetra nel nostro sistema degli arti, la forza della volontà.

Questa forza comincia ad attutirsi nella sfera del sentire, per poi estinguersi in quella della testa, laddove si dà l’ordinario e spento pensiero riflesso.

 

Dice Steiner: l’uomo riceve “le forze per pensare dalla “terra spirituale”, per la stessa via per cui sperimenta il destino nel risultato di precedenti vite terrene”.

• Non ne siamo però coscienti,

e crediamo allora che le “forze per pensare” seguano una via diversa da quella seguita dal destino.

Di norma, infatti, sperimentiamo

• il pensiero (cosciente) come rappresentazione (come una forma priva di forza)

• e il destino (incosciente) come una forza che, avendo preso forma karmica,

è diversa da quella che possiamo ritrovare e sperimentare per mezzo del pensare immaginativo e ispirato.

 

Il “volere puro” è infatti un volere privo di forma

che, proprio per questo, può prendere, da forza creatrice, tutte quelle suggeritegli dalla “fantasia morale”.

E’ questa, infatti, a dare, di volta in volta, alla forza del volere,

la forma richiesta dalle “mutevoli situazioni dell’esistenza” (come recita il Pater Noster formulato da Steiner).

 

 

166 –  “Ciò che viene sperimentato nel ricordo (nella memoria)

è già nel mondo in cui il fisico diventa semispirituale nel ritmo, e in cui si svolgono processi spirituali

quali sono quelli che nel momento cosmico presente avvengono per mezzo di Michele”.

 

167 –  “Chi impara a conoscere giustamente il pensare e il ricordo,

arriva a comprendere come l’uomo, quale essere terreno, viva nel dominio della terra,

ma non vi si immerga totalmente col suo essere, bensì cerchi,

quale essere extra-terreno e mercé la comunanza con la terra spirituale,

la sua autocoscienza come compimento dell’io”.

 

 

Note:

  1. cfr. “La grande imbrogliona”, 27 agosto 2010;
  2. R.Steiner: Formazione di comunità – Antroposofica, Milano 1992, p. 39;
  3. R.Steiner: La questione sociale: un problema di consapevolezza – Antroposofica, Milano 1992, pp. 90-91;
  4. R.Steiner: Antroposofia-Psicosofia-Pneumatosofia – Antroposofica, Milano 1991, p. 129;
  5. R.Steiner: Il divenire dell’uomo – Antroposofica, Milano 2007, p. 62;
  6. R.Steiner: Linee fondamentali di una gnoseologia della concezione goethiana del mondo in Saggi filosofici – Antroposofica, Milano 1974, pp. 63-64;
  7. R.Steiner: La soglia del mondo spirituale in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977, p. 132;
  8. R.Steiner: Una via per l’uomo alla conoscenza di se stesso in Sulla via dell’iniziazione, p. 64;
  9. R.Steiner: Parole di verità – Antroposofica, Milano 2009, p. 69;
  10. R.Steiner: Iniziazione e misteri – Rocco, Napoli 1953, p. 74;
  11. G.Colazza: Dell’iniziazione – Tilopa, Roma 1992, p. 115;
  12. R.Steiner: L’iniziazione – Antroposofica, Milano 1971, pp. 48 e 127;
  13. R.Steiner: La saggezza dei Rosacroce – Antroposofica, Milano 1959, pp. 10-11;
  14. R.Steiner: Natura interiore dell’uomo e vita fra morte e nuova nascita – Antroposofica, Milano 1975, p. 114;
  15. R.Steiner: Che cosa fa l’Angelo nel nostro corpo astrale? – Antroposofica, Milano 2007, p. 19;
  16. M.Scaligero: Manuale pratico della meditazione – Tilopa, Roma 1984, p. 81;
  17. R.Steiner: Novalis e il mistero del Natale – Antroposofica, Milano 2011, pp. 9-10;
  18. R.Steiner: Sapere terreno e conoscenza celeste – Antroposofica, Milano 2011, pp. 33 e 35;
  19. R.Steiner: L’iniziazione, p. 37;
  20. C.Unger: Il linguaggio dell’anima cosciente – Antroposofica, Milano 1970, p. 325;
  21. R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col Vangelo di Luca – Antroposofica, Milano 1970, p. 207;
  22. R.Steiner: Antroposofia-Psicosofia-Pneumatosofia – Religio, Roma 1939, pp. 137 e 142;
  23. R.Steiner: La Bhagavad-Gita e le lettere di Paolo – Antroposofica, Milano 1977, pp. 18-19;
  24. R.Steiner: Cultura e antroposofia – Antroposofica, Milano 1996, p. 74;
  25. cfr. Antroposofia. Rivista di Scienza dello Spirito – Antroposofica, anno L, N° 2, marzo – aprile 1995 e N° 3-4, maggio – agosto 1995;
  26. R.Steiner: Come ritrovare il Cristo? – Antroposofica, Milano 1988, pp. 80-81;
  27. cfr. R.Steiner: Arte dell’educazione. 1°Antropologia – Antroposofica, Milano 1993.