I sommovimenti storici al sorgere dell’anima cosciente / 180-182

O.O. 26 – Massime antroposofiche – 05.04.1925


 

Il tramonto dell’impero romano, in connessione con l’apparire di popoli provenienti dall’oriente – la cosiddetta migrazione dei popoli – è un fenomeno storico al quale deve pur sempre di nuovo rivolgersi lo sguardo di chi studia, poiché il presente contiene ancora numerosi effetti di quegli avvenimenti perturbatori.

Ma la comprensione appunto di quegli avvenimenti non è possibile da parte di uno studio storico esteriore. Occorre guardare alle anime degli uomini implicati nelle migrazioni dei popoli e nel declinare dell’impero romano.

 

Il mondo greco e il romano fioriscono nell’epoca in cui si sviluppa nell’umanità l’anima razionale o affettiva. I Greci e i Romani sono anzi i veri e propri portatori di tale sviluppo. Ma presso quei popoli lo svolgimento di questa tappa dell’anima non porta in sé un germe capace di evolvere da se stesso l’anima cosciente nel modo giusto. Tutto il contenuto di spirito e di anima che è racchiuso nell’anima razionale o affettiva si palesa in una gran ricchezza di vita nell’esistenza del mondo greco e del romano. Ma non può fluire con forza propria al di là, nell’anima cosciente.

Ciò malgrado sorge naturalmente lo stadio dell’anima cosciente. Ma, è come se l’anima cosciente non fosse qualcosa di direttamente generato dalla personalità dei Greci e dei Romani, ma di innestato in loro dal di fuori.

 

L’unione e il distacco con le entità divino-spirituali, di cui abbiamo così spesso parlato nelle nostre considerazioni, si compie con intensità varia nel corso dei tempi. Nei tempi antichi era una potenza che si ingeriva con grandezza nella evoluzione dell’umanità. Diventa poi una potenza più debole nella vita greca e in quella romana dei primi secoli cristiani. Tuttavia esiste. Fino a tanto che il Greco e il Romano svolgevano in sé in tutta la pienezza l’anima razionale o affettiva, essi sentivano – inconsciamente ma con efficacia per l’anima – un distaccarsi dalla sostanzialità divino-spirituale, un divenire indipendente dell’elemento umano. Questo cessò nei primi secoli cristiani.

 

Il primo albeggiare dell’anima cosciente fu sentito come un collegamento col divino-spirituale.

Fu di nuovo uno sviluppo a ritroso, da una maggiore ad una minore indipendenza dell’anima.

 

• Non si poteva accogliere il contenuto cristiano nell’anima cosciente dell’uomo, perché non si era capaci di accogliere quest’anima stessa nell’entità umana.

Si sentiva così il contenuto cristiano come qualcosa dato dal di fuori, dal mondo spirituale esterno, ma non come qualcosa con cui si crescesse, assieme alle proprie forze conoscitive.

 

Diverso era per i popoli provenienti dal nord-est che entravano nella storia. Essi avevano attraversato lo stadio dell’anima razionale o affettiva in una condizione che per loro si faceva sentire come dipendenza dal mondo dello spirito. Solo all’albeggiare delle prime forze dell’anima cosciente, agli inizi del cristianesimo, essi cominciarono ad avere un sentore dell’autonomia umana.

Per loro l’anima cosciente si manifestò come elemento collegato con l’entità dell’uomo. Si sentivano in un gioioso dispiegarsi di forze interiori, mentre la vita dell’anima cosciente sorgeva in loro.

 

• In mezzo a questa vita germinante dall’anima cosciente che andava sorgendo, per questi popoli cadde il contenuto cristiano. Essi lo sentirono come vita che sorge nell’anima, non come qualcosa dato dal di fuori.

Tale era la disposizione d’anima con cui queste popolazioni si avvicinarono all’impero romano e a tutto ciò che aveva attinenza con esso. Era l’atteggiamento dell’arianesimo di fronte all’atanasianismo. Un profondo contrasto interiore sorgeva nell’evoluzione storica del mondo.

 

Nell’anima cosciente esteriore all’uomo, dei Romani e dei Greci, agì a tutta prima l’entità divino-spirituale

non unentesi completamente con la vita terrena, ma solo irradiante in essa dal di fuori.

Nell’anima cosciente appena albeggiante dei Franchi, dei Germani, e così via,

solo ancora debolmente agiva ciò che del divino-spirituale poteva unirsi con l’umanità.

 

• Prima conseguenza ne fu che il contenuto cristiano,

vivente nell’anima cosciente che aleggiava al di sopra dell’uomo, si diffuse nella vita;

il contenuto collegato con l’anima rimase invece nell’interiorità dell’uomo come stimolo, come impulso,

e aspettò il suo sviluppo che poteva sopravvenire soltanto

quando fosse stato raggiunto un certo stadio nello svolgimento dell’anima cosciente.

 

Il periodo dai primi secoli cristiani in poi, fin nell’epoca dell’evoluzione dell’anima cosciente, è tale che in esso domina nell’umanità, come vita spirituale determinante, un contenuto spirituale con il quale l’uomo non può unirsi conoscendo. Perciò vi si unisce esteriormente; lo spiega, e riflette fino a qual punto le forze dell’anima non siano sufficienti a stabilire il collegamento conoscitivo.

L’uomo distingue fra il campo al quale la conoscenza arriva, e quello a cui non arriva. Prevale la rinuncia ad attivare forze animiche che si elevino, conoscendo, al mondo dello spirito. E così giunge l’epoca, alla svolta fra i secoli diciassettesimo e diciottesimo in cui con le forze animiche indirizzabili allo spirito, addirittura ci si distoglie da questo con la conoscenza.

 

Si comincia a vivere unicamente nelle forze animiche

che sono indirizzate verso la realtà percepibile ai sensi.

• Le forze di conoscenza diventano ottuse per ciò che è spirituale, specialmente nel secolo diciottesimo.

 

• I pensatori perdono il contenuto spirituale nelle loro idee. Nell’idealismo della prima metà del secolo diciannovesimo le idee stesse, vuote di spirito, vengono presentate come contenuto creativo dell’universo. Così in Fichte, Schelling, Hegel; oppure accennano ad un soprasensibile che si volatilizza perché è privo di spirito. Così in Spencer, John Stuart Mill ed altri.

 

Le idee sono morte se non ricercano lo spirito vivente.

Lo sguardo spirituale va ormai perduto per lo spirito.

 

Un « proseguimento » dell’antica conoscenza spirituale non è possibile. Le forze dell’anima, col dispiegarsi in esse dell’anima cosciente, devono tendere a un rinnovato collegamento elementare, immediatamente vivente, col mondo dello spirito. L’antroposofia vuole essere questo anelito.

• Nella vita spirituale della nostra epoca proprio le personalità dirigenti sono le prime ad ignorare che cosa voglia l’antroposofia. E con questo vengono trattenute anche vaste cerchie di uomini che le seguono. Le personalità dirigenti vivono in un contenuto di anima che a poco a poco si è completamente disabituato dall’usare le forze spirituali. Per loro è come se si volesse esortare un uomo ad adoperare un organo paralizzato. Nel periodo dal secolo sedicesimo fino alla seconda metà del diciannovesimo le facoltà superiori di conoscenza furono infatti paralizzate. L’umanità ne rimase del tutto incosciente; considerò anzi l’uso unilaterale della conoscenza diretta al mondo dei sensi come uno speciale passo avanti.

 

180Greci e Romani sono i popoli particolarmente disposti alto sviluppo dell’anima razionale o affettiva. Essi portano al suo compimento questo stadio dell’anima. Ma non hanno in sé i germi per progredire in linea retta verso l’anima cosciente. La loro vita animica si esaurisce nell’anima razionale o affettiva.

181Dal sorgere del cristianesimo fino allo sviluppo dell’anima cosciente domina ora un mondo spirituale che non si unisce con le forze animiche dell’uomo. Queste « spiegano » quel mondo, ma non lo vivono.

182 — Nei popoli che avanzano da nord-est, con la cosiddetta « migrazione dei popoli », contro l’impero romano, vive una comprensione di cuore dell’anima razionale o affettiva. Di contro si forma in essi l’anima cosciente, collocata in questo elemento del cuore. La vita interiore di questi popoli aspetta che sia di nuovo possibile una piena unione dell’anima col mondo dello spirito.