28° Incontro – Educare nel senso di risvegliare.

Arte dell’educazione 1° – Antropologia – O.O.293

Commento di Lucio Russo


 

Prima di riprendere a leggere, vorrei dire ancora qualcosa riguardo al fatto che “dall’anno 869 – come afferma Steiner – non esiste più lo spirito per la civiltà occidentale derivante dal cattolicesimo”.

 

Ascoltate quanto scrivono Karl Rahner ed Herbert Vorgrimler in questo Dizionario di Teologia, alla voce “spirito”:

• “La finitezza dello spirito umano si manifesta principalmente nell’essere egli legato necessariamente all’incontro, frammentario e imprevedibile, con ciò che gli è altro ed estraneo e quindi al suo corpo come punto medio fra soggetto e oggetto. Lo spirito umano non è quindi “puro spirito”, ma essenzialmente “spirito-anima”. Proprio questo essere legato al corpo, e di conseguenza allo spazio e al tempo, lo rende infatti specificamente “spirito umano”” (K.Rahner-H.Vorgrimler: Dizionario di Teologia – TEA, Milano 1994 – ndr).

 

Ebbene, non è a dir poco singolare che lo “spirito umano” venga considerato tale non per se stesso (non in sé e per sé), ma in quanto “legato al corpo”? Non sarebbe come dire, ad esempio, che Prometeo è Prometeo non per se stesso, ma perché è incatenato a una roccia (confondendo in tal modo il suo “essere” con il suo “stato”)?

 

La verità è un’altra:

• come Prometeo fu incatenato a una roccia da Zeus, e poi liberato da Eracle (figlio di Zeus),

• così lo spirito umano è stato legato al corpo da Lucifero (al momento del “peccato originale”),

e poi liberato dal Cristo (Figlio di Dio).

 

Il vero “spirito umano” non è perciò quello “legato al corpo”,

• bensì quello che può e deve essere, in grazia appunto della forza del Cristo, liberato dal corpo (dai sensi).

 

Per quale ragione, dunque, “non esiste più lo spirito per la civiltà occidentale derivante dal cattolicesimo”? Perché la Chiesa si è appropriata dello spirito (in particolare, dello Spirito Santo), sottraendolo agli individui. E perché se n’è appropriata? Per potersi così proporre quale “intermediaria” (extra ecclesiam nulla salus) tra lo spirito divino (trascendente) e lo “spirito-anima” umano (immanente).

Rimosso in tal modo l’Io spirituale individuale, il reale “intermediario”, chiunque voglia conoscere la volontà divina (del Padre e del Figlio), non potendosi rivolgere direttamente all’”Io-sono” (quale Spirito Santo), è allora costretto a rivolgersi alla Chiesa e al suo insegnamento.

Ma riprendiamo adesso la lettura.

 

 

“In fondo oggi il maestro, anche se talvolta nelle regioni più alte della sua coscienza si fa delle illusioni in proposito, si avvicina agli altri uomini con la chiara coscienza che il bambino è un piccolo animale, e che egli ha il compito di sviluppare questo piccolo animale un po’ meglio di quanto la natura lo ha già sviluppato.

Ben altro sarà il suo sentimento se egli si dirà: qui c’è un essere umano dal quale partono relazioni con l’intero universo, poiché in ogni bambino che sta crescendo io ho davanti a me qualcosa che ha un’importanza per tutto l’universo e sul quale io debbo lavorare (…)

Se noi non avremo simili sentimenti riguardo all’uomo e all’universo, non arriveremo a insegnare in modo profondo e giusto.

Dal momento in cui noi li proviamo, questi sentimenti si trasmettono ai bambini per mezzo di legami sotterranei (…)

Dei rapporti misteriosi s’intrecceranno tra voi e l’intera scolaresca.

Quello che noi chiamiamo pedagogia dev’essere costruito sopra sentimenti di questo genere.

La pedagogia non deve essere una scienza, dev’essere un’arte (…)

Ora, i sentimenti nei quali si deve vivere, se si vuole esercitare quella grande arte di vita che è la pedagogia, i sentimenti che si debbono avere per fare della vera educazione, non si accendono se non con l’osservazione e lo studio del grande universo e del suo rapporto con l’uomo” (pp. 154-155).

 

 

Non solo l’insegnamento, ma tutta la nostra vita non potrà cambiare, se non cambierà la vita del sentimento.

Ma questa potrà cambiare soltanto se cambierà la vita del pensiero.

 

Ascoltate, ad esempio, quanto scrive Edoardo Boncinelli: • “Oggi si sa che gli esseri viventi sono essenzialmente dei motori – meccanici, termici, chimici o elettrochimici – che prendono dall’ambiente circostante energia di buona qualità e gliela restituiscono degradata” (cfr. Il cervello, la mente e l’anima, 12 dicembre 2001, e le “Noterelle” del 2 marzo 2005 e del 23 novembre 2006 – ndr).

Ebbene, quali sentimenti pensate che accendano pensieri del genere?

 

Fatto sta che siamo liberi di pensare quel che vogliamo, ma non di evitare che quel che ci passa per la testa risulti, al nostro sentimento, digesto o indigesto. Come il corpo è infatti in grado di smentire, intossicandosi, la nostra convinzione che certi cibi siano sani, così l’anima è in grado di smentire, deprimendosi, la nostra convinzione che certi pensieri siano veri.

Ove non fossimo abituati, come siamo, a vivere immersi nell’astrazione, ci renderemmo conto – come asseriva Goethe – che “è vero ciò ch’è fecondo”: ovvero ciò ch’è appunto in grado di nutrire e rinvigorire l’anima.

 

Abbiamo finito la decima conferenza. Cominciamo l’undicesima.

 

 

“Abbiamo detto ieri che la testa è principalmente di natura corporea.

La parte “tronco”, l’abbiamo caratterizzata come corporea e animica.

E la parte “membra”, come corporea, animica e spirituale.

Ma naturalmente, dicendo che la testa è principalmente di natura corporea, non abbiamo affatto terminato di caratterizzare la testa.

Nella realtà le cose non sono così nettamente separate le une dalle altre.

Perciò potremo dire in modo altrettanto giusto: la testa è di natura animica e spirituale come il petto e gli arti, ma in modo diverso da essi” (p. 156).

 

 

Anche qui vale quanto abbiamo detto a suo tempo del pensare, del sentire e del volere: ossia, che tutti e tre sono sempre attivi, ma in modo tale che ciascuno svolge, in un caso, un ruolo sovraordinato, e, negli altri due, un ruolo subordinato.

• La testa, infatti, è in primo luogo “corporea” e in secondo luogo “animico-spirituale”,

• così come il tronco è in primo luogo “animico” e in secondo luogo “corporeo-spirituale”

• e le membra sono in primo luogo “spirituali” e in secondo luogo “animico-corporee”.

 

 

“Quando l’uomo nasce, la testa è già in modo preminente “corpo”.

Ciò vuol dire che l’elemento spirituale-animico che la forma e la elabora come testa, si è in certo modo impresso nella forma della testa fisica.

Questa è la ragione per cui nella testa – che è la prima a formarsi nel corso dell’evoluzione dell’embrione umano – viene a manifestarsi in modo speciale l’elemento spirituale e animico dell’uomo.

Che relazione vi è tra il corpo, in quanto “testa”, e l’elemento animico e quello spirituale?

La testa è “corpo” già pervenuto al massimo di perfezione possibile, essa ha già compiuto in precedenti stadi dell’evoluzione tutto quanto era necessario per la sua trasformazione da animale a uomo; per tutto ciò la testa ha la possibilità, dal punto di vista fisico, di essere formata nel modo più perfetto.

L’anima è invece collegata con la testa in modo tale che il bambino, quando nasce, ed anche nei primi anni del suo sviluppo, sogna tutto quello che di animico vi è nella testa.

E lo spirito, nella testa, dorme” (pp. 156-157).

 

 

Alla nascita e nei primi anni del suo sviluppo,

nella testa del bambino è soprattutto attiva la forza incosciente (corporea) della volontà,

mentre sono latenti, sia la forza subcosciente (animica) del sentimento, sia quella cosciente (spirituale) del pensiero.

 

Tutto ciò che si risveglierà in seguito è perciò presente sin dall’inizio, ma allo stato sognante o dormiente. Ovviamente, tanto meglio si risveglierà al momento giusto il pensare, quanto meglio si sarà risvegliato a suo tempo il sentire e si sarà ancor prima assecondata l’azione del volere.

Da questo punto di vista, l’educazione è un’autentica “maieutica”: ovvero, l’arte di far venire alla luce quanto il bambino porta in sé (del resto, “educare” viene appunto da ex-dūcere, cioè “condurre o portare fuori”).

 

Teniamo peraltro presente che nella stessa fase in cui si risveglia il pensare si risveglia anche la coscienza dell’Io o l’autocoscienza. Lo dico, perché ho avanzato altre volte l’ipotesi che l’attuale diffusione dei cosiddetti “attacchi di panico” possa essere messa in rapporto con un difetto dell’autocoscienza.

Ove l’educazione non ci prepari, grazie a un corretto sviluppo del volere, del sentire e del pensare, ad accogliere come si deve la coscienza dell’Io, può in effetti accadere che l’affacciarsi o il presentarsi dell’Io venga vissuto come un trauma (come la morte di quello che si pensava di essere prima che giungesse l’Io).

 

 

“Ora si tratta di mettere i fatti così caratterizzati in armonia con l’intero sviluppo dell’uomo.

Questo sviluppo è tale che, fino al cambiamento dei denti, il bambino è soprattutto un essere portato all’imitazione, che fa tutto quello che vede fare intorno a sé.

Egli può fare ciò grazie alla circostanza che, nella sua testa, lo spirito dorme.

Per questo fatto egli ha la facoltà di trattenersi col suo spirito al di fuori della testa fisica: può soggiornare nell’ambiente circostante (…)

Perciò il bambino è un essere che imita.

Per questo anche, dalla sua anima che sogna, si sviluppa l’amore per quanto lo circonda, e soprattutto per i genitori.

Il momento della seconda dentizione segna, nell’evoluzione del bambino, la fine dello sviluppo della testa” (p. 157).

 

 

Ricorderete che abbiamo più volte parlato

• del mondo fisico come del mondo “esterno”,

• del mondo animico come del mondo “interno”

• e del mondo spirituale come del mondo “esterno dell’interno”: ossia, come del mondo

che costituisce l’essenza spirituale di quello fisico (esterno),

e sul quale ci si può affacciare solo dall’anima (dall’interno).

 

Ebbene, il bambino, godendo, nel corso del suo primo settennio, della “facoltà di trattenersi col suo spirito al di fuori della testa fisica”, “soggiorna” appunto nel mondo “esterno dell’interno” che lo circonda, abbandonandovisi nello stesso modo in cui si abbandonava, prima della nascita, all’intero mondo spirituale.

 

La crescita del bambino è dunque un viaggio

• che, dal punto di vista spirituale, parte dal sonno e, attraverso il sogno, arriva alla veglia;

• che, dal punto di vista animico, parte dal volere e, attraverso il sentire, arriva al pensare;

• e che, dal punto di vista corporeo, parte dalla testa e, attraverso il tronco, arriva agli arti.

 

La testa del bambino (in specie durante la vita intrauterina) è infatti diversa (anche nelle sue proporzioni rispetto al resto del corpo) da quella dell’adulto. Volendo, la si potrebbe paragonare a un tubero o a un bulbo dal quale, per così dire, fuoriescono e si sviluppano il tronco e gli arti. All’inizio è pertanto una testa “vivente” che, in quanto tale, può soltanto dormire e sognare. Per arrivare a pensare (a rappresentarsi il mondo) dovrà dunque morire, “trasferendo” gradualmente le sue forze animiche e vitali nelle rispettive “sedi” del restante organismo.

Dalla nascita fino al cambiamento dei denti, il bambino è dunque un “imitatore”, poiché è una sorta di “spugna” che assorbe tutto ciò che lo circonda.

Mai come in questa fase dovrebbe perciò valere (parafrasato) l’imperativo socratico: “Educatore, educa te stesso!”.

 

 

“Che cosa si conclude in quel momento (quello del cambiamento dei denti – nda)?

La configurazione della forma.

In quel punto l’uomo ha assorbito nel suo corpo ciò che lo plasma, che lo indurisce, che contribuisce in modo preminente a dargli una forma.

Quando nel bambino vediamo spuntare i nuovi denti, possiamo affermare che la sua prima separazione dal cosmo è compiuta (…)

Mentre, cominciando dalla testa, l’uomo si incorpora in questo periodo la sua forma, la sua figura, qualcosa di diverso accade per lui nei riguardi della sua parte “petto” (…)

Il petto è un organismo che fin dal principio, non appena il bambino è nato, è corporeo e animico insieme. Il petto non è soltanto corporeo come la testa, esso è corporeo-animico, ed ha ancora esteriormente soltanto lo spirito che sogna.

Se dunque osserviamo il bambino nei suoi primi anni, constateremo bene la vivacità, il maggior grado di risveglio degli organi del petto rispetto a quelli della testa (…)

Per quanto riguarda gli arti, le cose stanno ancora diversamente.

Qui, fin dal primo istante di vita, spirito, anima e corpo sono intimamente legati, s’interpenetrano l’un l’altro.

E qui il bambino è completamente sveglio fin dai primissimi tempi.

Lo sanno bene quelli che debbono allevare nei primi anni quell’essere sgambettante che non sta mai fermo (…)

Questo è il mistero dell’essere umano: quando nasce, lo spirito, nella sua testa, è già molto sviluppato, ma dorme; l’anima pure vi è molto sviluppata, ma sogna.

Essi debbono destarsi solo gradatamente.

Nei suoi arti, invece, l’uomo è completamente sveglio quando nasce, ma non è ancora sviluppato, non è evoluto” (p. 158).

 

 

Come vedete, l’uomo nasce poco a poco e muore poco a poco.

• Prima nasce e muore il corpo fisico,

• poi nasce e muore il corpo eterico

• e poi ancora nasce e muore il corpo astrale;

l’Io invece non nasce e non muore,

ma si riveste e sveste, nel corso delle sue vite terrene, di tali arti (karmicamente configurati).

 

• Il che vuol dire che come l’uomo, nascendo, “coagula” poco a poco la sua forma, così, morendo, poco a poco la “solve”. Nella testa, la forma umana è coagulata in modo “molto sviluppato”, mentre negli arti (che comprendono anche gli organi sessuali) non è “ancora sviluppata, non è evoluta”.

 

Si faccia comunque attenzione a non equivocare, perché

• quello che, alla nascita, “è completamente sveglio” (attivo) negli arti,

sogna nel petto e dorme nella testa è ovviamente l’Io, e non l’ego.

• Quando nasce infatti l’ego (quale coscienza riflessa dell’Io)?

Quando l’Io, all’inverso, si risveglia (seppure in modo riflesso) nella testa e si addormenta negli arti.

 

 

“Ora soltanto, dunque, vi dico qual è la vera caratteristica dell’educazione e dell’insegnamento.

Voi sviluppate l’”uomo-membra” e una parte dell’”uomo-tronco”, e poi lasciate che l’”uomo-membra” e una parte dell’”uomo-tronco” risveglino l’”uomo-testa” e l’altra parte dell’”uomo-tronco”” (p. 159).

 

 

Ciò significa che l’educazione e l’insegnamento dovrebbero preoccuparsi di sviluppare l’uomo del volere e parte dell’uomo del sentire, lasciando che questi risveglino poi l’uomo del pensare.

E’ dunque un’illusione o un inganno credere di poter fare il contrario: di poter cioè sviluppare l’uomo del pensare (dell’intelletto), sperando che questo risvegli poi l’uomo del sentire e quello del volere. Osservando lo stato in cui versa gran parte dell’odierna gioventù, non ci vorrebbe granché a realizzarlo. Ma non c’è peggior sordo – come si sa – di chi non vuol sentire.

 

 

“Gli elementi sui quali possiamo meglio agire con l’educazione sono la volontà e una parte del sentimento. (…)

Dobbiamo essere ben certi che, dal punto di vista dell’intelligenza, non è necessario che noi siamo altrettanto sviluppati dell’essere umano che cresce davanti a noi; e invece, poiché si tratta di sviluppare la volontà – come si deduce dalle considerazioni esposte – dovremo fare ogni possibile sforzo verso la perfezione nel campo della bontà, cosa che soltanto noi possiamo fare.

L’allievo potrà diventare migliore di noi stessi, ma molto probabilmente non lo diventerà se alla nostra educazione non se ne aggiunge un’altra da parte del mondo o di altri uomini” (pp. 159-160).

 

 

Non si tratta dunque di sviluppare direttamente l’intelligenza, e magari poi di misurarla con dei test autoreferenziali: vale a dire, con delle prove che rivelano la quantità e la qualità dell’intelligenza atte a superarle, ma non la quantità e la qualità dell’intelligenza che servono alla vita.

L’educatore, insomma, non si deve mettere in testa di fare del suo allievo, che so, un Leonardo da Vinci (e quindi un uomo più intelligente di lui), bensì operare sul piano del volere e del sentire così da consentirgli, eventualmente, di diventare davvero, sua sponte, un Leonardo da Vinci.

 

Ci fermiamo qui. Continueremo la prossima volta.

L.R. – 25 maggio 2000