33° Incontro – La triplice articolazione corporea dell’uomo.

Arte dell’educazione 1° – Antropologia – O.O.293

Commento di Lucio Russo


 

Abbiamo visto, la volta scorsa, quel che accade quando si lavora fisicamente in modo eccessivo o insensato. Vediamo adesso cosa succede quando si lavora spiritualmente.

 

 

“In questo tipo di lavoro, cioè nel pensare, nel leggere, e così via, si deve constatare che esso è continuamente accompagnato da un’attività corporea, da un consumo incessante di materia organica, che viene così a morire (…)

Un lavoro spirituale-animico troppo intenso disturba il sonno, come un lavoro fisico esagerato produce un eccessivo bisogno di dormire (…)

Anche qui ci troviamo in presenza di una dualità.

Come vi è una differenza fra un’attività esteriore ragionata e un agitarsi privo di senso, così dobbiamo fare una differenza tra un’attività di pensiero e di riflessione puramente meccanica e quella che è accompagnata continuamente da sentimenti.

Se noi compiamo un lavoro spirituale e animico portandovi un interesse continuato, allora l’interesse, l’attenzione che vi poniamo vivificano l’attività del sistema del petto, e impediscono una distruzione esagerata di sostanza nervosa” (p. 191).

 

 

• Una cosa, dunque, è un’attività spirituale fredda e dis-animata (“meccanica”),

• altra è un’attività spirituale calda e animata.

Ricordate ciò che scrive Steiner, nelle sue Massime? Che “l’intellettualità emana da Arimane come un cosmico impulso gelido, senz’anima”, e che Arimane “vorrebbe vedere il mondo attuale interamente trasformato in un cosmo di essenza intellettuale”.

Queste parole, del 1924, risultano oggi profetiche.

 

Pensate, ad esempio, alla patologia. Da allora a oggi, le malattie cosiddette “degenerative”, cioè quelle che vengono per così dire dal “freddo”, e quindi in ultima analisi dai nervi e dall’intelletto (ma ufficialmente dovute a “cause sconosciute”), non hanno preso appunto il sopravvento su quelle “infiammatorie”?

Oppure pensate alla vita economica. Ho letto di recente un libro, significativamente intitolato: Il capitale intellettuale (cfr. Thomas A. Stewart: Il capitale intellettuale – Ponte alle Grazie, Milano 1999 – ndr), che dimostra nel modo più chiaro come l’attività economica (che, per sua natura, dovrebbe essere legata al volere) si sia ormai tanto intellettualizzata da ridurre a “merce” perfino il sapere, e come questo “sapere-merce” (questo “know how”) vada prendendo sempre più il posto di quelle “risorse congelate” rappresentate, nell’era industriale, dai concreti beni di consumo.

 

Anche il sapere è diventato dunque una “risorsa congelata”. Ma come potrebbe essere altrimenti se lo stesso essere umano – stando a quanto afferma Edoardo Boncinelli – non sarebbe che un casuale “incidente congelato”?

Ascoltate: • “Il codice genetico si è instaurato per caso, ma si è mantenuto praticamente inalterato attraverso milioni di generazioni, perché la pressione selettiva non ha mai permesso la sopravvivenza di entità biologiche che tentassero di utilizzarne uno diverso. Questo non perché un codice diverso sarebbe stato peggiore, ma semplicemente perché troppe cose sarebbero dovute cambiare contemporaneamente al codice genetico affinché l’organismo potesse sopravvivere. Si è trattato di un vero e proprio incidente congelato, di una combinazione particolare, né migliore né peggiore di altre, che ha attecchito subito e i cui effetti si sono proiettati nei secoli. Molto probabilmente la vita avrebbe benissimo potuto avere un suo corso anche con un codice genetico diverso” (cfr. Il corpo, la mente e l’anima, 12 dicembre 2001 – ndr).

 

Ebbene, tutto questo “gelo” non fa venire forse i brividi? Ma la realtà è un’altra. L’unica cosa oggi invero “congelata” è il pensiero. Un conto, infatti, è il pensiero morto, dal quale siamo chiamati a far risorgere quello vivente, altro il pensiero ibernato o congelato (irrigidito o assolutizzato) da Arimane, proprio al fine d’impedirne la resurrezione.

Si dice che bisogna ragionare “a mente fredda”. Il che va bene quando si è alle prese con delle realtà fredde o morte (inorganiche); quando si è però alle prese con delle realtà viventi o, a maggior ragione, animate o spirituali non si dovrebbe continuare a ragionare così, né tantomeno cominciare a sragionare come fanno le cosiddette “teste calde”. Dovremmo piuttosto imparare a ragionare “a mente calda”: ovvero, con uno spirito non disgiunto dall’anima o con un’anima non disgiunta dallo spirito (ricordiamoci che Arimane è uno spirito senz’anima, o una “testa” senza “cuore”, e che Lucifero è un’anima senza spirito, o un “cuore” senza “testa”).

Scrive Steiner, dell’Arcangelo Michele (nelle Massime): “Compenetrando l’intellettualità, egli mostra anche come essa contenga la possibilità di essere un’espressione del cuore e dell’anima, altrettanto bene quanto lo è della testa e dello spirito”.

 

Ma torniamo a noi.

 

 

“Quando uno studente lavora come un bufalo (si può anche dire come un “bue”, a seconda delle regioni) per prepararsi a un esame, accoglie in sé molte cose che non lo interessano affatto.

Se si limitasse a studiare solo quello che lo interessa, il minimo che gli succederebbe, nelle condizioni odierne, sarebbe di non essere promosso all’esame.

La conseguenza è che questo studio intensivo in vista di un esame disturba il sonno, porta un disordine nell’esistenza umana abituale.

Si deve prestare molta attenzione a ciò, in special modo nei bambini.

Il meglio di tutto, per i bambini, (ed è ciò che corrisponde in massimo grado all’ideale dell’educazione) si avrà se si tralascerà completamente quell’apprendimento forzato di nozioni che precede gli esami, se cioè si sopprimeranno gli esami stessi e si lascerà che l’anno scolastico termini come è cominciato.

Il maestro dovrà chiedersi: a che scopo il bambino deve venir esaminato?

Io l’ho sempre avuto davanti agli occhi, e so benissimo quello ch’egli sa o non sa” (p. 192).

 

 

Gli esami non finiscono mai, è questo il titolo di un noto lavoro di Eduardo de Filippo. A scuola, all’università, al lavoro e durante tutta la vita, quanti sono infatti gli esami, le prove o i test ai quali si vorrebbe che ci sottoponessimo? Tutto deve essere continuamente “misurato”, a cominciare dall’intelligenza. E’ il trionfo della quantità e la disfatta della qualità, poiché è possibile contabilizzare le informazioni, ma non la formazione. Lo abbiamo detto: la maturazione umana è più della maturazione intellettuale o cerebrale.

Avrete notato, ad esempio, che si sente non di rado parlare di una “intelligenza diabolica”, mai però di una “saggezza diabolica”.

 

 

“E’ necessario che spiritualizziamo il nostro lavoro fisico esteriore e che compenetriamo di sangue il nostro lavoro intellettuale interiore.

Meditate su queste due verità, e vedrete che la prima ha un’importanza particolare dal lato educativo ed anche dal lato sociale; mentre la seconda presenta non soltanto un grande interesse pedagogico, ma anche igienico” (p. 193).

 

 

L’ordinario pensiero intellettuale (rappresentativo) è in effetti “anemico”. Grazie alla scienza dello spirito, possiamo però curarlo, animicamente, ricorrendo in primo luogo al “ferro meteorico” (cosmico) offertoci dall’Arcangelo Michele (“il fiammeggiante principe del pensiero”). Piaccia o meno, non c’è altro modo di scongelare e ri-animare umanamente l’intelletto (Arimane infatti dis-umanamente lo “congela”, mentre Lucifero dis-umanamente lo “surriscalda” o lo “brucia”).

Dunque, “spiritualizziamo il nostro lavoro fisico esteriore” portando il pensare incontro al volere e “compenetriamo di sangue il nostro lavoro intellettuale interiore” portando il volere incontro al pensare.

 

Risposta a una domanda

Steiner dice che la prima di tali due verità ha un’importanza particolare “anche dal lato sociale”, poiché comporta una diversa concezione del lavoro umano: cioè a dire, di un’attività che non può essere considerata – come fa ad esempio Wilhelm Reich – “biologica”, e quindi caratteristica non solo degli “animali inferiori”, ma anche degli “organismi viventi primitivi” (cfr. W.Reich: Individuo e Stato – Sugarco, Milano 1978 – ndr), o – come fa invece Marx – un mero “logorio della macchina umana (cfr. C.Marx: Il capitale (estratti) – Reprint, Palermo 1993 – ndr).

 

Ricorda che cosa abbiamo detto, l’altra volta? Che l’homo faber è uomo “spirituale”, mentre l’homo sapiens è uomo “corporeo”. Ed è forse possibile eliminare “lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, redimere e umanizzare il lavoro, oppure creare un “mondo migliore”, se si è convinti, da materialisti, che tanto l’homo faber quanto l’homo sapiens sono uomini “corporei”?

Non potendo ora soffermarci, per ovvie ragioni, su questo argomento, le consiglierei (se già non lo ha fatto) di consultare, di Steiner: I punti essenziali della questione sociale (Antroposofica, Milano 1980).

Abbiamo finito la tredicesima conferenza. Cominciamo perciò l’ultima, la quattordicesima.

 

 

“Noi distinguiamo chiaramente tutto quello ch’è connesso con la formazione della testa da ciò che costituisce il sistema del petto e del tronco in generale, e da ciò che si riferisce alla formazione degli arti; inoltre dobbiamo formarci l’idea che il sistema degli arti è molto più complicato di quanto comunemente si creda.

Infatti, ciò che costituisce questo sistema e che, come abbiamo visto, proviene dall’esterno, si prolunga all’interno dell’uomo; dobbiamo dunque fare una distinzione anche fra quelle parti del corpo umano che sono costruite dall’interno verso l’esterno, e quelle che invece sono, in certo modo, inserite dall’esterno verso l’interno.

Se consideriamo a fondo questa triplice organizzazione del corpo umano, ci apparirà del tutto evidente che la testa dell’uomo per sé sola è un essere umano completo che si è innalzato al di sopra del regno animale.

Abbiamo nella testa la testa vera e propria.

E poi abbiamo in essa un tronco, che corrisponde a tutto quanto è di pertinenza del naso. Infine vi è una parte corrispondente agli arti, che ha il suo prolungamento nell’interno del corpo, costituita da tutto quello che comprende la bocca” (p. 194).

 

 

Tutto ciò “ci apparirà del tutto evidente” – dice Steiner – se “consideriamo a fondo” la “triplice organizzazione del corpo umano”; per poterla considerare così, è tuttavia necessario alleggerirsi del bagaglio di tutte le nostre consuete e statiche rappresentazioni. Il che è reso difficile dalla pigrizia o dall’inerzia.

Che il naso costituisca una sorta di metamorfosi dei polmoni, o che la mascella e la mandibola costituiscano una metamorfosi degli arti, ci apparirà infatti “del tutto evidente” soltanto se, immaginando, sapremo muovere il pensiero in sintonia con il processo oggettivo della metamorfosi, che non è un “essere”, ma un “divenire”.

 

 

“Cosìcché possiamo vedere come nella testa umana sia rappresentato il corpo tutt’intero.

Solamente, l’elemento “petto”, nella testa, è già atrofizzato, tanto che ciò che costituisce il naso manifesta soltanto in modo assai vago il suo rapporto coi polmoni.

Il naso dell’uomo è come una specie di polmone metamorfosato, e perciò esso realizza il processo di respirazione in un modo molto più materiale che i polmoni (…)

Ciò che appartiene alla bocca è apparentato con il sistema del ricambio, con i processi di nutrizione e di digestione e con tutto quello che penetra nell’uomo attraverso gli arti (…)

Così vedete che la testa umana è un uomo tutt’intero, un uomo in cui però gli elementi del petto, del tronco e delle membra si sono atrofizzati” (pp. 194-195).

 

 

Possiamo approfittare di queste considerazioni per riandare col pensiero a quelle fasi evolutive – descritte ne La scienza occulta – in cui l’uomo, non ancora sensibilmente visibile, era in qualche modo solo testa. A suo tempo, abbiamo parlato infatti della testa come di un “bulbo” dal quale è poi fuoriuscita gran parte del restante organismo, e Steiner ci ha ricordato ch’è proprio la testa ad avere più storia dietro di sé (vale a dire una storia che risale all’”antico-Saturno”).

 

Che cosa significa dunque, in questa luce, “che la testa umana è un uomo tutt’intero, un uomo in cui però gli elementi del petto, del tronco e delle membra si sono atrofizzati”? Significa che la nostra testa conserva, nel naso e nella bocca, tracce (memoria) di quella fase evolutiva nella quale era davvero “un uomo tutt’intero”, e quindi un uomo dal quale non erano ancora fuoriusciti il tronco e l’addome, e nel quale non si erano ancora inseriti (dall’esterno) gli arti.

 

 

“All’opposto, se consideriamo l’essere umano nelle sue membra, constatiamo che queste, in tutto ciò che manifestano esteriormente, in tutta la loro formazione esteriore, si presentano essenzialmente come una trasformazione delle due mascelle, la mascella superiore e la mandibola.

Le mascelle sono della stessa natura delle gambe, dei piedi, delle braccia e delle mani; soltanto esse sono atrofizzate (…)

Ed ora potrete dire: quando io mi rappresento le mie braccia e le mie mani come una mascella superiore, e le mie gambe e i miei piedi come una mandibola, allora mi si affaccia una questione: dov’è la bocca che è racchiusa da queste mascelle?

Che cosa morde?

A tale domanda si può rispondere: la bocca si trova là dove il braccio si attacca al corpo e là dove la gamba, il femore si attacca al tronco (…)

Che cosa fa questa testa invisibile? Vi divora continuamente, schiude le sue fauci sopra di voi.

E qui avete, nella vostra figura esteriore, una meravigliosa immagine della realtà.

Mentre la testa propriamente detta è una testa fisica, materiale, la testa che appartiene agli arti è una testa spirituale, che si materializza tuttavia in minima parte al fine di poter incessantemente divorare l’uomo” (pp. 195-196).

 

 

• La mascella superiore fisica è la metamorfosi delle braccia e delle mani, mentre la mandibola lo è delle gambe e dei piedi: ergo, la bocca fisica è la metamorfosi di una bocca spirituale “che si materializza tuttavia in minima parte al fine di poter incessantemente divorare l’uomo”.

Ma come possiamo farci un’idea del modo in cui questa bocca spirituale “divora” l’uomo? Non è difficile: pensando al non-ego che “divora” l’ego.

 

Quale altra ambizione nutre infatti l’ego del mistico, se non appunto quella di gettarsi nelle fauci di quella entità che si rappresenta come un “non-ego” (divino e trascendente), per farsi così “divorare” “inghiottire” e “dissolvere”?

Ho detto spesso che dietro ogni mistico (cosciente) si nasconde un materialista (incosciente), così come dietro ogni materialista (cosciente) si nasconde un mistico (incosciente).

Che cosa fa infatti il materialista “pentito”, ossia il materialista cui sia venuto a noia il divorare manicaretti con la bocca fisica? Si converte, si rifugia magari in un eremo, e prova a farsi divorare dalla bocca spirituale. E che cosa fa invece il mistico “pentito”, ossia il mistico cui non sia riuscito, malgrado ogni sforzo, di farsi divorare dalla bocca spirituale? Getta la tonaca alle ortiche e comincia a divorare manicaretti con la bocca fisica (facendosi così divorare dalla gola, come altri si fanno divorare ad esempio dalla rabbia o dalla gelosia).

 

Ma per quale ragione dovremmo farci divorare, quando potremmo, per così dire, “baciare” con la bocca fisica (con l’Io umano) la bocca spirituale (l’Io divino)? Non insegnano forse le favole (e le favole la sanno lunga!) ch’è proprio grazie a un bacio che i rospi si trasformano in principi?

 

 

Quando l’uomo “muore, quella testa spirituale l’ha divorato completamente.

In questo consiste tale meraviglioso processo: i nostri arti sono costruiti in modo che essi ci mangiano continuamente.

Noi scivoliamo continuamente col nostro organismo dentro la bocca spalancata della nostra spiritualità.

Lo spirito esige da noi incessantemente il sacrificio della dedizione di noi stessi.

Anche nella nostra stessa figura corporea vi è l’espressione di questo sacrificio.

Noi non comprendiamo bene la configurazione fisica dell’uomo se non troviamo già espresso, nei rapporti fra gli arti e il resto dell’organismo questo sacrificio di dedizione allo spirito” (p. 196).

 

 

Nel materialista la dedizione è rivolta, in forma di brama, all’ego; nel mistico è rivolta, sempre in forma di brama, al non-ego. In un caso e nell’altro, non si ha dunque vera dedizione. Questa, infatti, può nascere solo dalle ceneri della brama, e la brama può essere arsa solo dalla conoscenza.

 

Continueremo giovedì prossimo.

L.R. – Roma, 29 giugno 2000