Sulle diverse immagini dal diciannovesimo capitolo dell’Apocalisse.
O.O. 346 – Apocalisse ed agire sacerdotale – 14.09.24
Miei cari amici! Abbiamo posto, in un certo senso, di fronte alle nostre anime, la prospettiva finale dello scrittore dell’Apocalisse e vediamo come, in effetti, questa prospettiva finale è descritta in modo tale da stare in piena armonia, se la intendiamo giustamente, con tutto ciò che la scienza più esatta può dire, in riferimento all’evoluzione.
Abbiamo visto che, nell’Apocalisse, viene ad espressione quella svolta che fa la sua comparsa
nella costruzione dell’essere umano, e dei fenomeni culturali,
da sotto a sopra, in una nuova forma del costruire da sopra a sotto.
E, alla fine della trattazione di ieri, ho posto l’attenzione sul fatto che, chi cerca seriamente la comprensione dell’Apocalisse, viene spinto a fare la conoscenza di quelle cose che, a partire dalla ricerca spirituale, devono venire dette sull’evoluzione del mondo.
Vediamo che vi sono dei punti dell’Apocalisse in cui si può capire il senso e che poi si possono afferrare giustamente, soltanto se si dà ascolto alla via della conoscenza dell’uomo antroposofica. Questo è proprio il caso in cui si ha a che fare con una manifestazione che si basa su esperienze dello stesso mondo spirituale stesso.
Naturalmente, ed in primo luogo, si deve avere la conoscenza del fatto che, per vedere all’interno dei mondi spirituali, le immagini come nell’Apocalisse sono manifestazioni del mondo spirituale.
Dopo si supererà anche la domanda: Lo scrittore dell’Apocalisse, è stato realmente in grado di rendersi conto intellettualmente, da se, di tutte queste particolarità che ritroviamo nella sua opera?
Ora, non si tratta proprio di ciò. Si tratta di sapere se fosse un vero veggente. Vede nel mondo spirituale, e le cose del mondo spirituale non sono proprio vere attraverso di lui; sono vere attraverso il loro contenuto. Portano in se questo proprio contenuto, attraverso un’automanifestazione e non attraverso lui. Per me, potete far venire ricercatori razionalistici esterni e potete portare la prova: Si, colui che ha dato l’Apocalisse era formato a questo modo e da lui non ci si può aspettare che abbia avuto nella sua anima, una prospettiva così ampia. Non voglio più dibattere qui la questione se lo scrittore dell’Apocalisse abbia, o non abbia avuto, questa prospettiva.
Voglio soltanto porre l’attenzione sul fatto che, alla fine, non si tratta del fatto che riceviamo immagini
che sono manifestazione del mondo spirituale bensì, attraverso lo scrittore dell’Apocalisse,
si tratta di porre nelle nostre anime i quadri come tali e di dovere far agire il loro contenuto su di noi.
Ora abbiamo posto di fronte le nostre anime, in un certo senso, la grandiosa immagine finale della nuova Gerusalemme che ha quei retroscena di esperienza di cui ho parlato. Faremo bene a tornare un po’ indietro, a partire da questa figura.
Qui abbiamo il punto importante dove, fa la comparsa di fronte alla nostra anima, quella grandiosa immagine dove lo scrittore dell’Apocalisse vede come il cielo si è aperto (Apocalisse 19,11) e dove, su di un cavallo bianco, gli viene incontro quella forza di cui propriamente parla in modo tale, da farci accorgere che egli non possiede la tricotomia della divinità solo nella sua ragione, nella sua intellettualità, bensì la possiede in tutta la sua persona.
Egli parla in modo tale da essere cosciente con tutta l’anima che, nelle cosiddette tre Persone,
si hanno di fronte a sè le tre forme del proprio Dio
e che, ponendosi in un certo qual senso al di là del mondo fisico,
non si può parlare vicendevolmente dell’una o dell’altra, perché si trasformano l’una nell’altra.
Posta nel mondo fisico l’immagine produce tre Persone e si deve distinguere fra
• il Dio Padre che sta alla base di tutti i fatti naturali e a quelli che agiscono all’interno della natura umana,
• il Dio Figlio che ha anche a che fare con tutto ciò che conduce all’interno della libertà dell’esperienza animica,
• lo Spirito Santo che qui vive in un ordine cosmico-spirituale lontano dalla natura, estraneo dalla natura.
In un certo senso, le tre Persone della Divinità sul piano fisico appaiono nettamente distinte.
Quando l’uomo varcando la soglia del mondo spirituale,
giunge ad uno stato che ho descritto nel mio libro “L’iniziazione”
laddove, in un certo senso, si smembra in tre entità
in modo tale da avere pensare, sentire e volere in una certa autonomia,
vediamo, partendo dal mondo fisico ed andando nei mondi superiori,
la Divinità trina in una, che ci viene sempre più incontro come unità.
Su questa base, naturalmente, deve essere letta proprio l’Apocalisse.
Non è permesso, appoggiandosi al mondo fisico, distinguere direttamente l’uno dall’altro
il Dio Padre, il Dio Figlio, e lo Spirito Santo.
Colui che ci viene incontro, in questa immagine grandiosa, su di un cavallo bianco, è il Dio Unico.
E dobbiamo vedere l’immagine del Figlio di Dio nella forma del libero sviluppo animico dell’uomo sulla Terra.
Ma, ora, fa la sua comparsa qualcosa di grandemente particolare, che fa apparire questo quadro così grandioso. È del tutto naturale ed evidente: Giovanni, lo scrittore dell’Apocalisse guarda il cielo che si è dischiuso e guarda ciò che di nuovo viene, discende dal mondo spirituale.
Questo significa che l’intera cultura deve essere disposta in modo da discendere, dal mondo spirituale, al fisico.
Ponendo tutto questo, ed in maniera giusta, di fronte all’anima, diviene naturale la condizione che qui deve precedere l’immagine finale della Nuova Gerusalemme, diviene naturale la condizione che Giovanni veda nel mondo spirituale.
Però, questo significa che il cielo si è dischiuso.
Con ciò si vuole indicare ad una condizione futura che sarà qui presente per l’uomo.
Non dice propriamente che questo:
Prima che sulla Terra faccia la sua comparsa la condizione in cui gli ingredienti spirituali, per l’edificazione della nuova Gerusalemme calino dal mondo spirituale per venire accolti dall’uomo, prima che venga questa condizione in cui gli uomini si renderanno coscienti che devono solo costruire da sopra a sotto e non, come prima, in cui gli ingredienti materiali venivano elevati dalla Terra verso l’alto, prima che giunga questa condizione – che Giovanni considera reale come ho detto poco fa – in cui l’uomo sarà partecipe principalmente con la sua volontà, prima che faccia la sua comparsa questa condizione, sarà presente un’altra condizione, a cui l’uomo sarà partecipe solo con la sua conoscenza ed in cui dovrà guardare all’interno del mondo spirituale; il cielo si è dischiuso e si mostra colui che, in maniera creativa, è alla base degli esseri del mondo trasmettendo, e risanando.
E ora segue il punto importante che rende l’immagine così grandiosa:
E ora porta scritto un nome in sé che egli solo riconosce (Apocalisse 19,12)
Questo è molto importante. Si giunge a questo punto dell’Apocalisse e qui si vede, di nuovo, un segno importante, per ciò che ha a che fare con una delle più grandi manifestazioni spirituali.
Gli uomini caratterizzano nelle diverse lingue, in maniera diversa, ciò che è il loro Io e ho più spesso accennato al fatto che direi spiritualmente triviale che il nome “io” non può venire pronunciato mai da un singolo uomo in maniera tale riferendolo ad altri. Non posso dire ad un altro “io”. Attraverso questo fatto, si differenzia il nome di sè stessi da qualsiasi altro nome perché questi nomi si riferiscono ad oggetti esterni.
Quando dico “io” in una qualsiasi lingua, lo posso dire solo a me stesso.
Lo posso propriamente dire ad un altro, solo quando sono scivolato in lui attraverso un reale accadimento spirituale.
Ma di ciò non abbiamo bisogno di parlare ora.
Nelle lingue più antiche, l’io non veniva indicato, esso si trovava nel verbo, non veniva indicato direttamente. Si caratterizzava con il verbo ciò che si fa e, con ciò, in maniera dimostrativa, se stessi. Non esisteva un nome per l’io. Ha fatto la sua comparsa in tempi successivi il fatto che l’uomo abbia indicato con un nome questo io, e nella lingua tedesca, con il nome che contiene le iniziali di Jesus Christus, cosa che è già un fatto simbolico importante . Pensiamo ad una intensificazione del fatto che, in una lingua, abbiamo un nome che ognuno può pronunciare solo in riferimento a se stesso.
L’intensificazione consiste in ciò che ora viene detto nell’Apocalisse: Il fatto che chi discende dal mondo spirituale porta scritto il nome in sè, che egli pronuncia non solo per se stesso, bensì che egli solo capisce, che non capisce nessun altro.
Ora immaginatevi che giunga questo profeta a Giovanni, indicando in immagini profetiche ciò che verrà introdotto per l’umanità. Chi possiede il nome che solo lui capisce, discende in tempi futuri. Cosa può significare tutto ciò? Se lo si vuole capire bene, in effetti, appare del tutto senza senso. Perché dice poi “…che deve portare al mondo la salvezza, che deve portare al mondo la giustizia”?
Tutto ciò sta nell’Apocalisse (Apocalisse 19,11) – “deve rendere vera la fede e la conoscenza” – così sta nell’Apocalisse – e non come traduce Lutero “porta veracità e fedeltà”. Si, è proprio un gioco a nascondino e quando si dice che egli ha un nome che solo lui capisce, cosa significa? Veniamo stimolati a porre domande profonde.
Immaginatevi ora chiaramente: Egli porta un nome che solo egli capisce. Come possiamo divenire partecipi a questo nome? Se l’entità che capisce questo nome diviene uno con noi, penetra nel nostro sé, allora questa entità capirà in noi il nome e noi con lui, allora porteremo con lui ininterrottamente in noi la coscienza: Il Cristo in noi.
Le cose che dipendono dal suo essere, le capisce solo lui, ma le capisce in noi
e la luce che viene irraggiata in noi attraverso la sua comprensione, poiché egli è in noi,
questa luce diviene nella nostra propria entità, dà la visione dell’entità – Cristo in noi stessi.
Diverrà una visione che abita all’interno dell’uomo.
Vedete, però, con ciò ha fatto la sua comparsa qualcosa.
• Con ciò ha fatto la sua comparsa la prima volta, qualcosa
che è una conseguenza necessariamente prevista del mistero del Golgota.
• Questa entità, che è passata attraverso il mistero del Golgota, questa entità che deve penetrare in noi,
affinché capiamo il mondo con la sua comprensione, non con la nostra comprensione,
questa entità porta un vestito che è cosparso con il sangue del Golgota.
E prendiamo la seconda immagine.
Lo scrittore dell’Apocalisse, Giovanni, ci dice che anche questa veste cosparsa del sangue del Golgota ha un nome.
Non è lo stesso nome di cui si parlava prima.
• Il nome per questa veste cosparsa di sangue è il Logos di Dio, il Logos, il Dio, la parola di Dio (Apocalisse 19,13).
• Quindi, chi deve abitare in noi, e attraverso la sua comprensione,
deve dare in noi la luce che comprende il mondo, ci riempie della parola di Dio.
I pagani hanno letto la parola di Dio nei fenomeni naturali.
La dovettero ricevere attraverso manifestazioni esteriori.
I cristiani devono ricevere la parola di Dio, la parola creatrice di Dio assumendo in sè il Cristo.
Verrà il tempo in cui, attraverso la successione degli eventi,
gli uomini che assumono rettamente il Cristianesimo nelle proprie anime,
sapranno che la parola di Dio è con Cristo e che questa parola di Dio
ha il suo germe nella comprensione del mistero del Golgota e della veste cosparsa di sangue.
Così, nella lingua dello scrittore dell’Apocalisse, abbiamo inserito il Cristo nel mistero del Golgota.
Ora, però, fa la sua comparsa un terzo elemento: Cristo in tre figure.
• Una volta attraverso se stesso,
• la seconda attraverso la sua veste,
• la terza volta attraverso i fatti che Egli sviluppa per gli uomini sulla Terra.
Con ciò viene di nuovo caratterizzata una condizione che deve accadere e che non farà la sua comparsa in modo da indicare un anno ben preciso, bensì una condizione a cui deve andare incontro l’evoluzione cristiana.
Il terzo elemento, è il fatto che si pone l’attenzione su di una spada, con cui egli agisce
e che è la spada del suo volere, la spada delle sue azioni,
che deve dirigere fra gli uomini, per il fatto di stare insieme a loro.
Ma ora porta un terzo nome: Re di tutti i Re, Signore di tutti i Signori.
Questa è la terza forma: Che cos’è poi l’entità di un Re, l’entità di un Signore?
Se impariamo a conoscere la parola latina “dominus” nel suo reale significato essenziale interiore,
giungiamo a ciò che l’uso da come significato in questo caso in maniera autonoma rispetto la Scienza dello Spirito:
Chi è prescelto sulla Terra, o soprattutto nel mondo, a dare una direzione ad un’altra entità, è il Signore.
Ma per quanto si avrà bisogno di Signori esteriori sulla Terra?
Per quanto a lungo si avrà bisogno di comandamenti di signori esteriori,
proprio di comandamenti di signori spirituali esteriori sulla Terra?
Se ne avrà bisogno soltanto sino al momento in cui
il Cristo abiterà all’interno degli uomini, con il nome che solo Lui capisce.
Dopo ogni uomo potrà seguire il Cristo nel suo proprio essere, nella sua propria anima.
Poi, ognuno si sforzerà di edificare in sè
ciò che, a partire dall’amore interiore, vuole realizzare la volontà dell’uomo;
allora il Signore dei Signori, il Re dei Re abiterà in ogni singola persona.
Visto spiritualmente, è il tempo che noi ora viviamo.
E il fatto di viverci, è velato dal fatto che gli uomini continuano a percorrere antichi binari e a negare davvero, per quanto è loro possibile questa coabitazione con il Cristo, a negarlo in tutti i campi per quanto è possibile.
Si può dire: in molti uomini, oggi, vi è molto di ciò che prepara in maniera giusta alla comparsa eterica del Cristo,
che è un’entità che discende dal mondo divino.
Gli uomini, però, devono prepararsi a trovare in se stessi la fonte del loro agire, del loro fare.
E con ciò, a partire dallo spirito dell’Apocalisse tocchiamo la difficoltà dell’attuale azione sacerdotale.
Il sacerdote, in un certo senso, deve essere il “dominus”, deve, in un certo senso, guidare e condurre.
Il sacerdote ha di fronte a se i fedeli e la sua dignità sacerdotale presuppone che egli è la guida,
che, in un certo senso, sia il re per coloro che deve condurre.
È il dispensatore di sacramenti, è il curatore delle anime.
Viviamo però, d’altro canto, in un periodo in cui gli uomini portano in sè l’essenza di accogliere il Cristo in sè
al punto di potere divenire sempre più, le guide di se stessi.
Vedete, in questa situazione si trova chi, oggi, si avvicina alla dignità sacerdotale.
E, oggi, questa dignità sacerdotale è tuttavia pienamente giustificata, giustificata pienamente perché,
ciò che gli uomini portano in se come essenza, non è affatto negli uomini, ma deve realmente venire estratta da essi.
In effetti, oggi, si ha proprio bisogno di tutto ciò che si trova dietro la dignità sacerdotale,
per estrarre dagli uomini ciò che c’è dentro di loro.
Viviamo proprio in un periodo che presuppone qualcosa di particolare.
Il mondo esteriore non si può ancora porre totalmente di fronte a ciò che qui viene presupposto,
perché il mondo esteriore ha a che fare con uomini che sono oramai solo come dei portatori del loro corpo fisico.
Sarebbe, però, una visione spaventosa,
se gli uomini continuassero a vivere soltanto in questa forma, in cui sono in questa civilizzazione odierna.
Noi sappiamo che in campo antroposofico si cerca di evitarlo. Alle anime degli uomini viene richiesto qualcosa per cui possono raccogliere ciò che oggi l’uomo deve raccogliere e far vivere oltre nella prossima incarnazione. Deve, però, divenire del tutto umano.
Gli uomini, oggi, devono formare un io,
un’individualità con la quale potere vivere fin alla prossima incarnazione.
• Questo è soltanto possibile se, alle esperienze umane, viene aggiunto qualcosa
che viene dato attraverso la grazia del sacrificio, la grazia del sacramento.
• Attraverso ciò, il karma degli uomini non si scioglierà, però si scioglierà
ciò che ai tempi odierni grava sugli uomini nella misura più intensiva.
Gli uomini, oggi, vanno in giro mascherati.
Vanno proprio in giro mascherati e se, per una volta,
compare la necessità di vedere gli uomini nella loro individualità possono soggiungere tragici conflitti.
Un siffatto tragico conflitto fece già la sua comparsa in Holderlin, che una volta disse che, guardando i tedeschi, vedeva: “lavoratori, ma non uomini, pensatori, ma non uomini, sacerdoti, ma non uomini, servi e signori, ma non uomini, gente giovane e posata, ma non uomini” E così egli continua a differenziare ulteriormente; gli uomini portano in sè, in un certo senso, il sigillo di un’umanità esteriore.
Oggi abbiamo bisogno di un’azione sacerdotale che parla da uomo a uomo e che coltiva l’elemento umano.
In fin dei conti, ciò non lo può fare nessuna delle confessioni odierne. Proprio su questa dipendenza delle confessioni deve crescere fuori la comunità per il rinnovamento religioso. Deve fare ciò attraverso il proprio destino. Nessuno, nessuna professione che proviene dall’Antroposofia è nella medesima posizione del sacerdozio. Questa è una posizione del tutto particolare ed è forse del tutto giusto parlare dallo spirito dell’Apocalisse, di ciò che qui si trova.
Riflettiamo per una volta su quanto segue: In ogni altra azione che esce dall’Antroposofia, in qualche modo, gli uomini sono dipendenti dal mondo esteriore, attraverso le forze esteriori. Qualcuno diviene pedagogo dall’Antroposofia – ora vediamo le potenti contraddizioni che ci vengono fatte.
La gente si illude, ma non avremo mai una seconda scuola Waldorf, se si è nelle condizioni di assumere soltanto maestri che in un modo o nell’altro hanno un sigillo statale. La scuola Waldorf si è potuta attuare solo perché l’abbiamo fondata in un momento in cui, nel Wuttemberg, non esisteva ancora una legge simile per la scuola.
Prendete i medici: non possiamo sicuramente creare dei medici dal movimento antroposofico a partire dalla radice dell’essere. Certo, potremmo fare dei medici, ma essi non sarebbero approvati, non verrebbero riconosciuti. E in un certo senso, abbiamo queste difficoltà addirittura per gli artisti.
Non durerà a lungo – anche se oggi la cosa non è completamente così – il fatto che oggi si intendano le cose nella direzione di qualcosa che oggi già in Russia viene tentato, nel pretendere anche per gli artisti una stampigliatura statale.
Il sacerdote che, in primo luogo, è cresciuto dal movimento antroposofico è l’unico che si può sbarazzare di tutto ciò. Quando ha imparato qualcosa, è già bene; per il suo agire, però, si può sbarazzare di tutto ciò. Egli può davvero porre nella teologia che egli ora rappresenta, la prima pietra fondamentale della nuova Gerusalemme perché egli rappresenta una teologia che non ha bisogno di venire riconosciuta da nessun altro al di fuori di lui. Questa è la cosa importante.
In questa posizione, siete soli. In questa posizione dovete sentire voi stessi e sentirete la specificità della vostra dignità sacerdotale. Quando si tratta di un paese come la Russia si possono scacciare i sacerdoti ma mai, in un paese simile, si farà qualcosa per suggellare statalmente dei sacerdoti. O si lasceranno i sacerdoti come sono o non li si vorrà proprio, la qual cosa, almeno come tendenza, in Russia si è già realizzata.
Così il sacerdote può sentire, per la prima volta, l’avvicinarsi della nuova Gerusalemme, l’avvicinarsi del Cristo che dimora interiormente, del Cristo, del Re dei Re, del Signore dei Signori. Perciò è bene quando il sacerdote si sofferma a questo punto dell’Apocalisse che accenna al futuro, che si soffermi con cuore ardente e che sviluppi in questo punto dell’Apocalisse l’intero entusiasmo della sua anima sacerdotale.
Perché l’Apocalisse non deve essere insegnamento,
l’Apocalisse deve essere vita attiva, nell’anima di ognuno di noi.
• Dobbiamo potere porre ciò in cui noi stessi viviamo ed agiamo, nella corrente della profezia dell’Apocalisse.
Qui, ci troviamo riuniti attorno a Giovanni, lo scrittore dell’Apocalisse che di fronte a se ha il volto:
Il cielo si è dischiuso; viene colui che, solo, capisce il proprio nome,
la cui veste porta il nome della Parola di Dio, che è il Re dei Re, il Signore dei Signori – viene.
• E il sacerdozio che si unisce con il culto, che, d’altro canto, è stato creato dal mondo spirituale,
• il sacerdozio che, d’altro canto, innalza la transustanziazione nel senso dello stesso Spirito Santo,
• il sacerdozio che ha il nuovo Atto di Consacrazione dell’Uomo
una cosa antica trasformata, in cui è stato preso ciò che è valido dall’antico,
assumendo, però, la configurazione che oggi fluisce dal mondo spirituale -,
• questo sacerdozio può guardare se stesso attorno a Giovanni,
lo scrittore dell’Apocalisse che guarda nel cielo che si è dischiuso.
Perché noi possiamo vedere quell’iniziazione che si è compiuta nella sala che, poi, il fuoco ha aggredito,
nella luce che qui si diffonde mentre il cielo sorge, il cavallo bianco esce con colui che lo cavalca
che solo conosce il proprio nome che deve venire incorporato in noi, se questo nome per noi deve essere qualcosa.
Questo significa capire l’Apocalisse;
perché l’Apocalisse deve venire compresa in maniera vivente, non solamente con la conoscenza.
Ma legato a tutto ciò, che fa la sua comparsa come un’immagine così grandiosa, è la saggezza, la profonda saggezza. Pensate soltanto a ciò che fa la sua comparsa nelle dirette vicinanze di questa importante visione. L’uomo viene informato su come la bestia, che ho già caratterizzato, è attiva, la bestia, che caccia l’uomo dallo spirituale al fisico, la bestia che lo scrittore dell’Apocalisse ha visto giungere in tre tappe, la bestia, una forma della quale non è soltanto la concezione di vita materialistica, bensì il comportamento di vita materialistico.
Lo scrittore dell’Apocalisse accenna a due momenti nel tempo. Egli accenna una volta a come la bestia venga vinta e accenna un’altra volta come il più forte oppositore dell’umanità sia legato per mille anni e poi, per breve tempo sia di nuovo libero. Abbiamo propriamente a che fare con due oppositori del principio buono: Con la bestia e con ciò che la tradizione chiama Satana.
Ora, in un certo senso, per il mondo fisico esterno, la bestia è vinta, vinta per il fatto che al materialismo può venire contrapposta sempre una concezione del mondo spirituale. E, in un certo senso, Satana nel presente è legato. Sarà, però, di nuovo libero. Satana è legato e colui che capisce le cose dalle quali dipende l’evoluzione sa che Satana è legato. Perché se Satana non fosse legato, al tempo presente, si manifesterebbe tutto ciò che, in effetti, potrebbe riversare completamente le coppe dell’ira. Se Satana non fosse legato, si mostrerebbe al mondo esteriore, in una maniera orribile il rapporto con ciò che oggi sulla Terra è presente come modo di pensare materialistico e come comportamento di vita materialistico.
Di conseguenza, il più profondo cinismo annuncerebbe il materialismo come verità e stimolerebbe, nel Satana divincolato, una tale brama che questo prepararsi del modo di pensare materialistico e del comportamento di vita materialistico e questo avvicinamento attraverso le forze arimaniche si vedrebbe come le malattie più spaventose e orrende.
Se Satana non fosse legato, non si dovrebbe parlare di un materialismo come modo di pensare e comportamento di vita bensì si dovrebbe parlare del materialismo come della peggiore malattia. Invece di tutto ciò, gli uomini se ne vanno per il mondo assieme al cinismo e alla frivolezza del materialismo, dello stesso materialismo religioso, e non accade loro nulla. Ma non accade nulla a loro per il fatto che Satana è legato e che, in primo luogo, la divinità lascia agli uomini ancora la possibilità di pervenire allo spirituale, senza abbandonarsi a Satana.
Se Satana fosse presente, coloro, che, in guisa di maestri, si trovano all’interno di qualsiasi confessione, sarebbero colpiti dal materialismo, mostrerebbero all’umanità uno spettacolo spaventoso e orribile. L’idea che qui accenna alle possibili malattie attraverso il materialismo, alla lebbra del materialismo, che sarebbe veramente qui, se Satana non fosse legato, è tuttavia un’idea spaventosa.
Ma in nessun altro rapporto, che in quello con l’Apocalisse, chi è cosciente della sua responsabilità spirituale nei confronti di questa conoscenza, susciterà una simile idea. Io stesso, non esprimerei la parola riguardo la lebbra del materialismo in nessun altro contesto, di quello in cui io ora mi esprimo essendomi collegato con l’Apocalisse. Chi entra vivendo nelle rappresentazioni dell’Apocalisse, ha di fronte a sè queste immagini orribili che, però, corrispondono ad una realtà spirituale.
L’Apocalisse non vuole soltanto compenetrare la nostra vita, essa vuole compenetrare anche la nostra parola. L’Apocalisse, se la accogliamo in noi, non è soltanto qualcosa di vivificante nell’azione sacerdotale, è al contempo anche ciò che ci permette di accennare a cose che, altrimenti, non avremmo mai potuto accennare nella vita exoterica. L’Apocalisse non deve soltanto vivere nel nostro io, se noi la vogliamo capire, essa vuole parlare anche nella nostra parola. Quando, nel giusto sacerdozio, siete soli fra voi nella vostra cameretta direte a voi stessi qualcosa affinché essa viva in voi e rimanga fra voi. Creerete, di conseguenza, la forza di esprimere la giusta parola, di fronte ai vostri fedeli.
Essere sacerdoti, oggi, significa essere i primi che, fra loro, possono parlare liberamente dell’Apocalisse. Questa Apocalisse è il libro sacerdotale aggiunto ai Vangeli. Diverrete tanto più sacerdoti, tanto più vivrete all’interno di voi stessi questo intimo spirito dell’Apocalisse.