A proposito dell’arte dell’euritmia

O.O. 279 – Euritmia una presentazione – 204.08.1922


 

Sommario: Rapporto fra arte e mezzi espressivi. La plasticità nella scultura – l’uso del colore nella pittura – le atmosfere del linguaggio nella recitazione. L’equivoco del naturalismo. Il movimento, il sentimento, il carattere sono i mezzi artistici dell’euritmia. La sensibilità artistica per la forma in movimento è analoga alla sensibilità dello scultore per la forma delle superfici. Nel velo, che si muove leggero nell’aria, l’euritmista esprime le sfumature di sentimento dell’anima. Il carattere è l’elemento di volontà che dà l’atmosfera espressiva. Le figure in legno della scultrice Luoise Edith Maryon.

 

Vorrei dare oggi alcuni accenni sulla nostra arte dell’euritmia.

Dobbiamo essere coscienti che ogni arte deve servirsi dei mezzi di cui dispone

e che potrà essere vitale soltanto se comprenderà di dover raggiungere le sue mète

unicamente mediante i propri mezzi artistici.

 

Prendiamo ad esempio l’arte plastica, la scultura, che ha come mezzi artistici la forma, il piano, il piano arrotondato: quando rappresenta una figura animale o umana, deve usare la forma arrotondata, il piano, in modo che anche tutto il resto della figura venga espresso in esso con la tecnica corrispondente.

 

Ipotizzando quindi di voler raffigurare un animale dal pelo liscio, dovremo trattare la superficie di marmo, di bronzo o di legno in modo diverso da come la tratteremmo dovendo rappresentare un animale dal pelo lanoso. Dovremo sempre esprimere mediante i mezzi artistici disponibili ciò che non rientra nell’ambito di quei mezzi. Per esempio, plasmando il piano nella scultura dovremo tendere ad esprimere anche la superficie cutanea, cioè il colore, l’incarnato dell’uomo reale. Sarebbe quindi errato se qualcuno volesse tentare di rappresentare, invece dell’opera scultorea di un uomo, un calco in gesso dello stesso: corrisponderebbe appieno alla forma umana, ma sarebbe riprodotta soltanto la forma naturalistica. Tale raffigurazione non darebbe mai l’impressione dell’uomo reale, perché questi si manifesta in primo luogo mediante il proprio incarnato, il proprio colore, mediante qualcosa d’altro, ad esempio l’espressione. Tutto questo non possiamo inserirlo nella scultura.

Dobbiamo quindi configurare la superficie in maniera diversa da come l’abbiamo naturalisticamente nell’uomo, se vogliamo esprimere l’elemento umano nella sua totalità. Invece ad esempio nella pittura, dove dobbiamo nuovamente lavorare con il piano, siamo obbligati, col modo di trattare il colore, ad esprimere quel che le figure che dipingiamo portano ad espressione nella realtà naturalistica, grazie alla loro conformazione e così via. In tempi più recenti questa visione artistica è però andata perduta fino a un certo punto, e poiché non si è capito proprio di lavorare partendo dai mezzi artistici di un’arte, si è sempre più insinuato il principio naturalistico che poi entra in ogni arte all’interno dei suoi mezzi artistici, portando alla luce un elemento artistico innaturale, morto.

 

Se ad esempio abbiamo davanti a noi il palcoscenico, dobbiamo essere consapevoli che tutto ciò che vi si svolge e vi si rappresenta deve essere in relazione con una vita che in senso naturalistico è del tutto diversa da quanto possa rappresentare il teatro. Il palcoscenico è una specie di bassorilievo della vita, e su di esso dobbiamo disporre tutto in modo da tener conto che abbiamo a che fare appunto con un bassorilievo. Ad esempio dobbiamo sapere che ha un significato se l’attore in un dramma cammina dal fondo in avanti. Sul palcoscenico non ha lo stesso significato di una persona che in una stanza cammini dal fondo in avanti; va infatti considerato tutto l’ambiente circostante, va tenuto presente lo spazio dello spettatore, perché l’opera d’arte si sviluppa tra il palcoscenico e ciò che accade negli spettatori.

 

Se ad esempio in un dramma un attore dovrà recitare un passo che per il suo contenuto debba agire in modo particolarmente intimo, non dovremo mai far arretrare l’interprete sulla scena, ma farlo avanzare. Sul palcoscenico ogni cosa ha un significato diverso rispetto alla vita quotidiana. Quando un attore, visto dalla parte destra della platea, cammina verso il centro, l’azione ha un significato tutto diverso da quando egli va verso il centro movendo dalla parte sinistra, sempre visto dalla platea, e così via.

 

Dobbiamo impadronirci perfettamente dei mezzi di cui disponiamo nell’arte teatrale. Dobbiamo tener conto di come si muove l’attore nelle diverse direzioni sul palcoscenico. Non è indifferente se ci diciamo: che farà una persona che voglia esprimere qualcosa di intimo? L’arte naturalistica ha semplicemente l’idea: lo faremo sussurrare con voce esile. Per lo spettatore, in date circostanze, non si raggiunge affatto lo stesso effetto che si otterrebbe semplicemente facendo avanzare l’attore di tre, quattro o cinque passi.

 

Prendiamo un’altra arte che ai nostri giorni viene pochissimo considerata nel modo giusto, prendiamo l’arte della declamazione e della recitazione. Se in tale arte si crede di dover parlare e far risaltare le cose in maniera del tutto naturale, si è molto poco artistici. Nell’arte della declamazione e della recitazione il problema è del tutto diverso; occorre studiare quale carattere vi è nel “vocalizzare”, quale nel “consonantizzare”, quale particolare atmosfera è presente nella vocale e, nella vocale a, che cosa trasforma la in nella semplice atmosfera della a, che cosa trasforma la l nell’atmosfera della a, e così via. È poi necessario comprendere come tali atmosfere, già presenti nel vocalizzare e nel consonantizzare, si estendano a tutto il verso o addirittura all’intero monologo, così da poter dire che persino un particolare monologo può esser recitato nell’atmosfera della e o della a, un’atmosfera sviluppata cioè in particolar modo nella a o nella e, nella in o nella i.

 

Partendo quindi dai mezzi specifici, è senz’altro possibile evocare una configurazione, un modo di trattare artisticamente, che rappresenti davvero quell’arte. Nell’arte della declamazione e della recitazione si tratta inoltre di distinguere nella sostanza l’atmosfera epica da quella lirica o da quella drammatica. Proprio in quest’arte va poi messa un’attenzione particolare per vedere come sia la percezione ingenua dello spettatore di fronte allo sviluppo artistico, massimamente cosciente, di chi recita o declama.

 

Tutto questo non si consegue mai col naturalismo, ma soltanto comprendendo come si configurino giustamente i suoni, le frasi o intere parti retoriche. Per tale motivo dico spesso che, nell’arte della recitazione e della declamazione che accompagnano l’euritmia, occorre assolutamente evidenziare l’elemento musicale immaginativo già nell’uso del linguaggio poetico, e con l’arte della parola conseguire ciò che viene altrimenti raggiunto nel naturalismo mediante l’accentuazione.

 

Se consideriamo l’euritmia in questa prospettiva, in quanto debba divenire una vera arte, ci dobbiamo domandare di quali mezzi artistici essa disponga. Chi ha assistito a tutti gli spettacoli di euritmia sa quindi che in essa accade che il movimento delle membra umane, cioè delle braccia e delle mani, ma anche il movimento appena accennato dell’intero corpo umano, sia il mezzo di espressione dell’euritmia come arte.

 

Il movimento stesso è dunque la prima cosa da esaminare. La perfezione dell’euritmia viene raggiunta per lo spettatore soltanto quando egli scorga qualcosa nel movimento in quanto tale, ad esempio nel movimento di una vocale o di una consonante, in relazione alla forma che risulta poi in seguito al movimento. Questo è il primo punto. Non dobbiamo però dimenticare che l’euritmia è proprio un reale linguaggio visibile, e in quanto tale è espressione dell’anima, come lo è il linguaggio udibile. Ciò che l’euritmia porta ad espressione deve quindi agire sull’occhio soltanto mediante i suoi mezzi artistici, come il linguaggio udibile agisce sull’orecchio attraverso esso.

 

Sarebbe quindi del tutto errato credere che la mimica e la fisionomia abituali avessero senz’altro un qualsiasi significato nell’euritmia. La fisionomia e la mimica abituali del volto non hanno alcuna importanza; ne ha invece tutto ciò che appartiene soltanto al movimento. Al di fuori del movimento lo spettatore deve quindi poter dimenticare del tutto l’espressione mimica e il viso dell’euritmista. In senso ideale non è quindi importante che l’euritmista abbia un viso bello o brutto. L’attenzione deve quindi potersi concentrare completamente sul movimento, attraverso il movimento stesso.

 

Proprio in quanto movimento l’euritmia è linguaggio, è espressione dell’anima umana. Nessuno, diciamo ad esempio un recitatore o uno scultore, potrà configurare un suono o una connessione di suoni, oppure dar forma a un piano, se non ha sensibilità per il piano curvo, per la configurazione del suono o della connessione di suoni. Non è tanto importante che l’interprete, proprio nel momento della rappresentazione, abbia una sensibilità naturalistica per quel che dev’essere suscitato nello spettatore o nell’ascoltatore e per il come (perché verrebbe soltanto fuorviato), ma è importante che senta proprio la connessione dei suoni, la configurazione dei suoni; così è importante che lo scultore senta il piano. Lo scultore ha una sensibilità diversa quando sente una superficie rotonda o una piana. Non è la stessa sensibilità che si vuole rappresentare, ma la sensibilità artistica che si sviluppa nell’ambito dei mezzi artistici.

 

Questa sensibilità può agire nell’interprete anche per l’arte dell’euritmia. Proprio quando l’interprete ha la giusta sensibilità, il giusto pentimento nei confronti della sua forma di movimento, riuscirà ad agire animicamente sullo spettatore.

Richiamiamo alla mente che cosa avviene in realtà. Ipotizziamo che il movimento imponga all’euritmista, per una qualsiasi lettera dell’alfabeto di muovere il braccio in un certo modo e di tenervelo per breve tempo.

 

Abbiamo allora prima il movimento o quell’elemento di forma in cui è passato il movimento. Ora però il movimento agirà in modo ricolmo d’anima solo se l’euritmista sentirà inoltre di percepire col movimento il movimento stesso quasi come se avesse intorno a sé un’aria sensibile che si percepisce diversamente dall’altra aria, oppure come se avesse avvolto attorno al braccio qualcosa che deve portare. Egli muove il braccio in un modo e ha la sensazione che vi poggi sopra qualcosa che lo tocchi e lo prema molto lievemente, oppure tiri anche un po’. Se ce lo rappresentiamo in una forma espressionistica, possiamo realizzarlo con un velo.

 

Così lo spettatore vede quel che l’euritmista sente quando dà forma, quando muove il velo in modo veramente abile, e percepisce che l’euritmista prova in un punto una lieve pressione e in un altro una lieve trazione. Nel movimento euritmizzato si può riversare ogni sentire nella forma del velo.

 

Questa è naturalmente una cosa molto ideale che non può esser subito raggiunta sin dall’inizio, ma va per lo meno perseguita a poco a poco. Fu quindi senz’altro giusto aggiungere per prima cosa il velo alla nostra rappresentazione di euritmia, perché esso dà in effetti un aiuto allo spettatore per vedere anche esteriormente, nella scultura in movimento, il fluttuante sentire dell’euritmista. Quando movimento e sentimento collaborano nel modo da me descritto, abbiamo già una parte dell’elemento animico. Invece del pensiero abbiamo infatti il movimento, e direttamente il sentimento. Si avrà poi un aiuto essenziale per lo spettatore, se il velo avrà un determinato colore rispetto alla veste, poiché in essa si esprimerà in sostanza il movimento, mentre il sentimento sarà visibile nel velo.

 

Così si può inoltre portare alla luce in belle forme espressionistiche la concordanza di movimento e sentimento; si può cioè dire che dando alla veste un colore, corrispondente ad esempio al suono e, se dunque la veste ha un colore in relazione col suono e, il velo dovrà avere un colore adeguatamente diverso, in modo che anche i due colori siano nello stesso rapporto che vi è fra movimento e sentimento.

 

Tuttavia non lo si potrà realizzare in questo modo nelle rappresentazioni euritmiche, perché certo non è possibile cambiare veste e velo per ogni suono. Ho però già detto prima che, penetrando realmente le cose in modo artistico, si può parlare di diverse intonazioni nella e o nella u e poi trasferirle non soltanto al verso o alla strofa, ma alla poesia intera. Se abbiamo la sensazione che una poesia sia intonata sulla i e un’altra sulla e, oppure sentiamo di ricavare da una poesia la giusta atmosfera che le corrisponda, se disponiamo la cosa con due euritmisti in modo da caratterizzare con uno l’intonazione della e, mediante-la veste e il velo, e con l’altro l’intonazione della i, dall’interazione delle due intonazioni verrà alla luce proprio l’atmosfera della poesia.

 

In questo senso furono tuttavia già compiuti tentativi di armonizzare velo e veste per poesie intere, perché si deve partire appunto da tali cose. Le cose non possono basarsi su una fantasia nebulosa, ma vanno sperimentate interiormente a livello artistico, studiate in senso artistico; soltanto così possono essere trasposte in una realtà tale per cui lo spettatore, anche senza saperne nulla, ne abbia tuttavia l’impressione corrispondente in maniera del tutto ingenua.

 

Nella rappresentazione euritmica va considerato ancora un terzo elemento, quello della volontà, il carattere. Pensando a un suono qualsiasi e immaginando di rappresentarlo con l’euritmia, ci si dirà: col movimento si rappresenta in primo luogo qualcosa di analogo all’arte della parola, in generale alla recitazione. Il modo in cui si dà forma al linguaggio, in immagini o in musica, si esprime nell’euritmia mediante il movimento.

 

Il sentimento che l’attore pone nella recitazione si esprime del tutto visibilmente in ciò che l’euritmista stesso deve sentire nella sua fantasia; qui qualcosa lo preme, qui qualcosa lo tira, per cui si comporta in modo del tutto diverso nel movimento. Nel movimento ciò diventa del tutto involontario, istintivamente diverso quando sente in una maniera o in un’altra. Così il tutto viene realmente vivificato e permeato d’anima, ed è bene quando l’euritmista non solo domina il movimento esteriore ma, eseguendo una e, prova questo sentimento, avverte in un punto o in un altro sensazioni bevi ma chiare, quando nella sua fantasia si abbandona a tali lievi sensazioni. Eseguendo il movimento, lo vivificherà in modo diverso da come farebbe se lo eseguisse solo in modo meccanico.

 

Anche l’attore inserisce però un elemento di volontà nel recitare. Pronuncia una frase a voce bassa, poi aumenta il tono, declama alcune cose a voce altissima. È questo l’elemento di volontà; nella sfera artistica lo vorrei chiamare il carattere, e va inserito anche nella rappresentazione euritmica. Si immagini di dover tenere il braccio in una determinata posizione per un certo suono. In modo spontaneo e istintivo si farà cosa artisticamente diversa tenendo la mano del tutto rilassata e abbandonata alla gravità, oppure distendendola. Riguardo al carattere lo si introdurrà così in modo analogo dell’attore che, recitando o declamando, mette più o meno forza nella voce. In ciò che si rappresenta con il braccio si avrà ad esempio un carattere del tutto diverso se l’euritmista non si abbandonerà soltanto alla sua fantasia, ma la porterà ad espressione in quanto tale. Diciamo che con una lettera qualsiasi dell’alfabeto o con un brano che si rappresenta si ha una tensione della fronte oppure si sente di dar forza ai muscoli del braccio con un dato movimento, oppure ancora si sente di poggiare con coscienza i piedi, premendo sul terreno con un certo movimento. Questo è il terzo elemento, il carattere, che può entrare nell’elemento euritmico. Nell’euritmia abbiamo quindi la possibilità di rappresentare davvero l’intera sfera animica.

 

Quando si applichi davvero il pensiero che ho appena espresso, è sorprendente come si giunga, semplicemente esprimendo l’euritmia in un certo modo, a creare i presupposti di ciò che viene ricercato oggi come una particolare forma d’arte: l’elemento espressionistico nell’arte. L’euritmia è infatti in un certo senso realmente espressionistica, solo che non si serve dei mezzi spesso puerili che impiega il cosiddetto espressionismo; usa mezzi artistici con cui si possono davvero creare in modo artistico forme espressive ed espressioni nel movimento del corpo, nel sentire e nel carattere riversati nelle membra, come ho appena detto.

 

Nelle figure, che sono tuttavia soltanto un inizio, si è cercato di dar forma proprio a ciò che ho espresso ora, considerando anzitutto i suoni secondo questi principi. Lo si è fatto cercando di rendere ogni suono in un certo modo d’espressione; così in un colore viene veramente rappresentato il movimento, in un secondo il sentimento visibile nel velo, di cui naturalmente si vede solo il colore; in un terzo colore si esprime il carattere. Si rappresenta così euritmicamente ogni suono mediante il colore, distinguendo movimento, sentimento e carattere.

 

In tal modo si possono forse ottenere due cose. In primo luogo si può vedere in quale misura l’elemento euritmico raggiunga con i propri mezzi un risultato artistico. Tutto quel che dev’essere conseguito artisticamente con l’euritmia, ciò che deve semplicemente accadere sul palcoscenico ed esservi utilizzato è infatti movimento, sentimento e carattere nella forma da me esposta. Proprio come lo scultore con l’uso dei piani, l’attore con la conformazione dei suoni, il musicista con la configurazione del suono, l’euritmista deve conseguire con movimento, sentimento e carattere tutto quanto si deve ottenere. Il resto non va preso in considerazione. Questo è l’ambito dei mezzi per l’arte euritmica, e con essi si deve ottenere tutto.

 

Nelle figure di euritmia che ora sono qui, tenendo conto che nelle rappresentazioni di euritmia a Oxford si doveva aiutare la comprensione della stessa mediante queste figure e che la natura stessa dell’euritmia doveva essere chiarita, si vedrà ora come io abbia cercato di studiare almeno alcune intenzioni in questa connessione. Le figure sono nate nel frattempo grazie alla dedizione di Miss Maryon.

 

Sono riuscito a presentare queste figure in modo che non vi sia in esse null’altro che i tre elementi di cui ho parlato. In tal modo si può essere introdotti da un lato alla comprensione dell’euritmia, e dall’altro anche l’euritmista stesso può apprendere moltissimo da queste figure, poiché gli viene dato proprio l’essenziale di ogni elemento euritmico, avendo davanti a sé queste figure.

 

Ora mostro le figure, ma prego di voler osservare per primissima cosa che esse non devono essere copiate e imitate in alcun modo: “riproduzione severissimamente vietata”. Questa è la prima cosa. La seconda è che quando le mostro non vengano fatte cadere o messe in disordine.

 

Si è anzitutto cercato di presentare la serie delle lettere dell’alfabeto secondo i criteri di cui ho appena parlato. Sono presentate figure umane di cui si è tralasciato tutto quel che non fa parte dell’euritmia. Non ci si deve quindi aspettare di vedere immagini pittoriche o scultoree di persone, ma soltanto figure euritmiche nelle quali non vi è altro che euritmia, nella massima perfezione dei singoli suoni. Le figure non hanno quindi volti, ed essi sono tali per cui vi sono accennati il carattere, la forma e così via.

 

Nell’ordine abbiamo quindi: a, e, i, o, u, d, b, f g, h. Quella che di solito è la forma del volto qui indica il movimento che naturalmente è soltanto accennato; è però anche bene che l’euritmista immagini di avere tale aspetto. Abbiamo poi: t, s, r, p, n, m, l.

 

Prego ora di avvicinarsi un poco (Rudolf Steiner mostrò quindi le singole figure).