Alla metà della nostra vita, la lontananza dal mondo spirituale è massima.

O.O. 130 – Cristianesimo esoterico e la guida spirituale dell’umanità – 08.02.1912


 

Sommario: Alla metà della nostra vita, la lontananza dal mondo spirituale è massima. Profondi impulsi volitivi basati su incontri umani in precedenti incarnazioni. Vera conoscenza di sé solo attraverso pensieri aperti allo spirito.

 

Dalla ricerca chiaroveggente risulta un fatto singolare. Intorno alla vera e propria metà della nostra vita, noi tutti viviamo il tempo in cui, per così dire, la linea ascendente trapassa in quella discendente. È il tempo in cui abbiamo tratto fuori di noi tutta la forza della gioventù, e, superato un culmine, iniziamo a percorrere di nuovo la linea discendente. Questo punto, che si situa nei nostri anni trenta, pur non essendo una regola generale, vale, tuttavia, per ognuno di noi. Questa è l’epoca della nostra vita in cui, nel nostro mondo, viviamo soprattutto sul piano fisico. Al riguardo è possibile farsi illusioni. Avrete modo in seguito di rendervene conto.

 

Ora, lo sviluppo precedente, pur venendo via via indebolendosi, è sempre consistito, dall’infanzia in poi, in un processo che ci ha portati ad estrarre da noi stessi le cose recate con noi nella presente incarnazione. Con le cose che abbiamo tratto fuori di noi ci siamo costruiti la nostra vita, per cui abbiamo continuato a consumare le forze recate qui con noi dal mondo spirituale. Quando giungiamo al punto suddetto, queste forze sono esaurite.

 

Considerando poi, a sua volta, la linea di vita discendente,

possiamo constatare come la nostra azione consista ora

nell’accumulare ed elaborare gli insegnamenti appresi alla scuola della vita

al fine di portarli con noi nella prossima incarnazione;

mentre prima compivamo un’estrazione, ora introduciamo nel mondo spirituale le nostre elaborazioni.

 

Questo è, dunque, il tempo in cui viviamo prevalentemente nel mondo del piano fisico, ingolfati soprattutto in occupazioni che riguardano l’esterno. Siamo riusciti, per così dire, a superare l’apprendistato.

Ora l’approccio alla vita è diretto, e tocca a noi saperla gestire. Ci occupiamo, per così dire, di noi stessi, intenti soprattutto ad adattare a noi le condizioni del mondo esterno e a rapportarci con esso. Ma quelli che stabiliscono un rapporto con il mondo sono l’intelletto e gli impulsi volitivi che dall’intelletto provengono. E allora, poiché questo elemento che scaturisce da noi in modo preponderante è quanto di più estraneo vi sia per i mondi spirituali, essi lo respingono.

Alla metà della nostra vita, la lontananza dal mondo spirituale è massima.

 

Ora la ricerca occulta riscontra un fatto singolare. Studiando i modi in cui, nel periodo centrale della vita, avvengono gli incontri con altre persone, in cui si cerca di fare conoscenze, si constata il fatto singolare che si tratta di persone che nell’incarnazione precedente, o in un’altra incarnazione del passato, sono state vicinissime a noi all’inizio della vita, nella primissima infanzia.

 

Si è infatti accertato che di regola (non sempre) le persone che si incontrano alla metà della vita

– secondo queste o quelle circostanze karmiche –

sono proprio quelle che nel passato sono stati i nostri genitori.

 

Sono pochissimi i casi in cui siamo vicini nella primissima infanzia alle persone che in passato sono state i nostri genitori che, invece, incontriamo proprio nel periodo centrale della nostra vita. Il fatto è sicuramente singolare, ma è così. E solo applicandoci a verificare questa regola nella vita, orientando in tal senso i nostri pensieri, riusciremo a trarne grandissimo beneficio. Poniamo il caso di una persona che, diciamo, intorno ai trent’anni stabilisca un rapporto qualsiasi con un’altra persona o innamorandosi, oppure facendo amicizia o entrando in conflitto con lei o, ancora, stringendo una relazione d’altro genere: ebbene, quanta luce e chiarezza fluiranno in noi se penseremo – inizialmente solo a titolo di prova – che in passato siamo stati legati con questa persona dal rapporto che intercorre tra genitori e figli.

 

Se si considera il caso opposto, si constata un fatto quanto mai singolare. Le persone che in questa vita ci sono state vicine proprio nella primissima infanzia – genitori, fratelli e sorelle, compagni di gioco o le altre persone solitamente presenti nell’età infantile – sono di regola personalità con le quali, nella precedente incarnazione o in un’altra, si sono sviluppate delle connessioni che ci hanno condotto allora, intorno al trentesimo anno, a stringere con loro questa o quella relazione.

 

Dalle risultanze emerge molto spesso che nell’attuale incarnazione queste persone svolgono nei nostri confronti il ruolo di genitori o di fratelli o sorelle. Se questi dati dovessero sembrarci strani, basterà provare ad applicarli alla propria vita. Si vedrà allora che se si considera la cosa in questo modo, la vita risplenderà di luce più intensa. E non sarebbe grave se una volta la verifica dovesse rivelare errori. Enormemente feconda si rivelerà, invece, nei momenti di solitaria meditazione una considerazione della vita che ravvisi in essa un senso. Non si deve, però, volere aggiustarsi la vita a proprio piacimento, non si devono scegliere come genitori che ci sarebbe piaciuto avere le persone che ci vanno a genio.

Non è lecito che qualche pregiudizio ci faccia vedere le cose in una falsa luce. Vi rendete ben conto del pericolo che qui si corre e degli innumerevoli pregiudizi in agguato. Ma, per altro verso, ci fa molto bene educarci alla libertà da preconcetti in queste difficili cose.

Potete rivolgermi la seguente domanda: ma com’è la vita nella linea discendente?

 

I risultati ottenuti hanno evidenziato la singolare circostanza che ci vede conoscere all’inizio della vita delle persone che in passato abbiamo conosciuto nel periodo centrale della nostra vita, mentre ora, alla metà della vita, ci avvediamo di aver fatto la loro conoscenza agli inizi della passata incarnazione.

Come si svolge la vita discendente?

Lo svolgimento è questo:

• gli incontri ai quali veniamo condotti hanno luogo con personalità che forse hanno avuto a che fare con noi nella vita precedente, ma può anche darsi che la conoscenza non sia ancora avvenuta. Una relazione con noi l’hanno stretta nella vita precedente nel caso in cui si siano verificati degli eventi particolarmente caratteristici, quelli che tanto spesso accadono nella vita degli uomini, quando arriva un momento di decisiva importanza – diciamo, una grave afflizione a seguito di amare delusioni. In tal caso è nella seconda metà della vita che veniamo condotti ad incontrare di nuovo le persone con le quali avevamo già intrattenuto questo o quel rapporto. Così le situazioni cambiano consentendo, perciò, di rimediare in parte a quanto cagionato in passato.

 

Ciò rende le cose molteplici e ci fa riconoscere di non dovere procedere secondo eccessivi schematismi. Ma quelle che vengono condotte sulla nostra via nella seconda metà della vita sono persone rispetto alle quali il karma tessuto non può essere compensato in una vita. Supponiamo di avere fatto in una vita del male a qualcuno. Possiamo facilmente immaginare che in una vita successiva incontreremo di nuovo quella persona e che il saggio maggiore in noi configurerà l’incontro in modo da consentirci di pareggiare il debito. Ma le condizioni della vita non sono sempre necessariamente tali da permetterci di compensare tutto. Spesso ci consentono solo una parziale compensazione. Ciò rende necessarie alcune cose che complicano la situazione e che rendono possibile che il karma residuo possa essere compensato nel corso della seconda parte della vita. Ci siamo così formati una concezione del nostro karma che considera, in certo modo, le nostre relazioni, le nostre unioni con gli altri esseri umani alla luce di questo karma.

 

Ma vi sono anche altri aspetti che possiamo considerare nell’andamento del nostro karma, quelli che nel corso delle due conferenze pubbliche abbiamo definito con i termini di maturazione, di assimilazione delle esperienze della nostra vita. Se non suscita immodestia, potremo anche usare la parola sapienza. Consideriamo in che modo possiamo acquisire maggiore sapienza. Fonte di maggiore sapienza possono essere per noi i nostri errori, e per noi il miglior modo di pervenire a maggiore sapienza è proprio quello di imparare dagli errori commessi. Nel corso di una vita, infatti, non ci capita spesso l’occasione di usare la sapienza, perciò quel che avremo appreso dagli errori ci resterà come forza per una vita futura. Ma che cos’è in realtà la sapienza, l’esperienza di vita che possiamo acquisire?

 

Già ieri ho richiamato l’attenzione

sull’impossibilità di portare con noi le nostre rappresentazioni direttamente da una vita all’altra.

• Ho rilevato come Platone stesso non abbia potuto portare direttamente con sé

le proprie rappresentazioni animiche nell’incarnazione successiva.

• Portiamo con noi quelli che si presentano come la nostra volontà e il nostro animo;

per questo, in realtà, riceviamo in ogni vita nuove rappresentazioni e un nuovo linguaggio.

 

La maggior parte delle nostre rappresentazioni vive, infatti, nel linguaggio,

di modo che è dal linguaggio che noi assimiliamo gran parte delle nostre rappresentazioni.

Le rappresentazioni che questa vita ci dà tra nascita e morte

provengono sempre, in realtà, dalla vita tra nascita e morte.

• Se è così, dobbiamo però dire a noi stessi che, in verità, dipende sempre dal nostro karma,

dipende sempre dalle incarnazioni vissute, a prescindere dal loro numero, quali rappresentazioni recepiamo.

 

La sapienza concettuale che avete la possibilità di sperimentare, la recepite sempre dall’esterno.

Dipendono dal karma le condizioni in cui siete inseriti riguardo al linguaggio, al popolo, alla famiglia.

Quel che noi sappiamo del mondo nelle nostre rappresentazioni e nei pensieri

non è, in fondo, altro se non ciò che dipende dal nostro karma.

Il significato di queste parole è amplissimo.

 

Esse dicono che tutto il sapere che possiamo acquisire nella vita,

tutte le conoscenze che siamo in grado di assimilare sono totalmente personali,

che le acquisizioni cui possiamo pervenire nella vita non possono mai andare oltre la personalità.

Nel corso della vita non arriviamo mai al saggio maggiore, ci fermiamo sempre al saggio minore.

 

Se qualcuno si illudesse di potere acquisire maggiori conoscenze del suo Sé superiore

movendo da se stesso, da ciò che assimila dal mondo, si formerebbe per pigrizia un concetto errato.

Esprimendo questi nessi si dice niente di meno che le acquisizioni cui perveniamo nella vita

non sono in grado di comunicarci alcuna conoscenza del nostro Sé superiore.

 

Come possiamo attingere delle conoscenze sul nostro Sé superiore?

Come possiamo arrivare a questo sapere?

Vi perveniamo ponendoci semplicemente la seguente domanda: che cosa sappiamo noi, in realtà?

Anzitutto, ciò che abbiamo conseguito con l’esperienza. Questo sappiamo, null’altro!

 

L’uomo che vuole conoscere se stesso senza sapere

che nella sua anima non c’è altro che uno specchio del mondo esterno,

può anche dirsi e ridirsi di avere la possibilità di pervenire al suo Sé superiore penetrando in se stesso,

ma ciò che troverà – perché qualcosa troverà – non sarà altro che quanto è entrato in lui dall’esterno.

 

La facile via dell’indolenza non conduce alla meta.

Quel che dobbiamo fare è interrogarci sugli eventi e i processi che avvengono negli altri mondi

– nei quali è anche il nostro Sé superiore – e ove altro non v’è se non ciò che ci viene narrato,

che ci viene descritto riguardo alle varie incarnazioni della Terra,

riguardo a tutti i contenuti che la scienza dello spirito comunica.

 

Nello stesso modo in cui si studia l’anima di un bambino – per quanto riguarda la vita esteriore –

interrogandosi sull’ambiente che lo circonda,

così dobbiamo chiederci quale sia l’ambiente in cui è inserito il Sé superiore.

 

Ma dei mondi in cui è il nostro Sé superiore noi veniamo a conoscenza per mezzo della scienza dello spirito,

grazie alle descrizioni che ci sono state date di Saturno, di tutti i suoi segreti,

della Luna, dell’evoluzione della Terra, della reincarnazione e del karma, del devacian e del kamaloka, e così via.

• Questa, e solo questa, è la fonte che può comunicarci qualche nozione del nostro Sé superiore

– quel Sé che noi abbiamo al di là del piano fisico.

E a chi non vuole seguire questi misteri è necessario dire: troppe coccole tu riservi a te stesso!

 

Un’anima come questa, infatti, è troppo sensibile a certe lusinghe che la inducono a credere che basti guardare in se stessi per trovarvi l’uomo divino. Quelle che trova sono solo le esperienze ricavate dall’esterno e depositate all’interno! Troviamo l’uomo divino solo se ricerchiamo in noi ciò che dall’esterno di questo mondo si rispecchia in esso, perciò tutti gli apprendimenti, la cui acquisizione può esserci scomoda, altro non sono che conoscenza di sé! La vera teosofìa è in realtà vera conoscenza di sé!

 

Accogliendo la scienza dello spirito possiamo, dire, perciò,

che è proprio la sua accettazione a comunicarci delle conoscenze del nostro Sé.

• Dov’è veramente questo Sé? È all’interno della nostra pelle?

No, il Sé è effuso nel cosmo intero, e ciò che è nel cosmo è unito al nostro Sé,

e anche ciò che era nel mondo è unito al nostro Sé,

e solo imparando a conoscere il mondo apprendiamo a conoscere il Sé.

 

Queste apparenti teorie non sono altro che vie che conducono alla conoscenza di sé.

Chi vuole trovare il Sé puntando fisso lo sguardo nella sua interiorità,

dice a se stesso: devi essere buono, non devi essere egoista! Certo, come no?

Solo che poi si constata che questa persona diventa sempre più egoista.

 

Conducono, invece, alla vera conoscenza di sé

l’assiduo sofferto approfondimento dei grandiosi misteri dell’esistenza,

lo sradicarsi dal sé personale che tanto adula e lusinga se stesso,

l’effondersi in ciò che è nei mondi superiori e nelle conoscenze che vi si possono attingere.

 

Meditando su Saturno, Sole, Luna ci si immerge in pensieri cosmici.

• «Nel tuo pensare vivono pensieri cosmici», dice l’anima che pensa antroposoficamente, ma aggiunge:

«Perditi in pensieri cosmici».

L’anima che attinge alla fonte dell’antroposofia, dice a se stessa:

• «Nel tuo sentire tessono forze cosmiche», ma aggiunge subito: «Sperimenta te stesso mediante forze cosmiche!»

 

Sperimenta le forze cosmiche, non quelle adulatrici, colui che apre gli occhi, anche quelli spirituali,

e contempla fuori il possente operare delle forze cosmiche, cosciente di essere nel loro seno;

non le sperimenta, invece, colui che gli occhi li chiude suggerendo a se stesso: voglio essere buono!

 

L’anima che attinge forza dall’antroposofia dice inoltre a se stessa:

• «Nella tua volontà agiscono esseri cosmici».

E aggiunge subito: «Crea te stesso traendoti dagli esseri di volontà!»

• Il buon esito è certo, se si concepisce così la conoscenza di sé,

e allora riesce il trasformarsi traendosi dagli esseri cosmici.

 

Può apparire arida ed astratta, ma in verità non è solo una teoria

essendo, invece, come un seme che, piantato nella terra, vive e cresce,

emana forze in tutte le direzioni e diviene pianta, albero. Così è.

 

I sentimenti che accogliamo con la scienza dello spirito

ci rendono capaci di trasformarci: «Crea te stesso dagli esseri di volontà!»

L’antroposofia diviene così elisir di vita.

• Allora il nostro sguardo si estende ai mondi spirituali,

• allora aspireremo le forze dai mondi spirituali,

• allora infonderemo in noi le forze che avremo acquisito e ci riconosceremo nelle nostre profondità.

 

Solo infondendo in noi la conoscenza del cosmo comprenderemo noi stessi

e progrediremo gradualmente dal saggio minore, che è separato dal Guardiano della soglia, al saggio maggiore

e penetreremo in tutto ciò che si occulta all’uomo che ancora non vuole essere forte,

ma che egli acquisisce grazie all’antroposofia.