Animico-spirituale dell’uomo e corporeo-fisico nella loro connessione

O.O. 206 – Il divenire dell’uomo, l’anima e lo spirito del mondo – 14.08.1921


 

Bisogna ammettere che nello sviluppo scientifico degli ultimi tempi si è fatto difficile accettare l’idea di un cooperare fruttuoso dello spirituale-animico col fisico-corporeo; per il fatto che in questo campo l’uomo moderno conosce sempre soltanto un dualismo.

Egli conosce la materia con i suoi effetti e le sue configurazioni e perciò prende in considerazione questo elemento materiale anche nell’uomo. Lo considera nell’uomo allorché è alle prese, poniamo, con la fisiologia, chimica, biologia. Da tutto ciò derivano poi precisi punti di vista che vengono accolti nella coscienza popolare.

 

Ci si appoggia a questi ultimi con una certa tenacia e bisogna sottolineare ripetutamente che proprio quelli che con i loro sentimenti domenicali vivono ancora in rappresentazioni vecchie, tradizionali, riconoscono come assoluta realtà proprio ciò che la scienza corrente dice sull’essenza corporea dell’uomo, forse inizialmente a ragione.

Esistono poi dall’altro lato uomini che si formano rappresentazioni sullo spirituale-animico. Ma queste rappresentazioni sullo spirituale-animico sono così astratte, sono sostanzialmente parole involucro che avvolgono un qualcosa che un tempo si è conosciuto in maniera più precisa, la cui conoscenza è andata perduta, per cui non si può capire granché per loro mezzo.

 

Oggi gli uomini hanno un bel parlare di pensare, sentire, volere, e anche del rappresentare. Solo che le concezioni al riguardo non sono realmente vissute. Si potrebbe dire che le parole si sono tramandate e che a queste parole l’umanità si tiene aggrappata senza associarvi molto significato.

Si vede che questo fatto entra in gioco anche nelle opere letterarie che oggi appaiono sulla scienza dell’anima e simili, dove si usano parole che sono soltanto involucri, o perlomeno vuote astrazioni, sul pensare, sentire e volere.

 

Inoltre gli uomini notano che, da un lato essi hanno un punto di vista materiale, che non possono rinnegare, in quanto hanno occhi, hanno mani, con cui ciò che è materiale si lascia afferrare e vedere, perché hanno bilance con cui si possono pesare, si possono misurare e così via. Quindi la materia viene riconosciuta come tale non appena gli occhi la vedono, i sensi la sentono.

 

Dall’altro, gli uomini già parlano di uno spirituale-animico, ma nel modo che ho appena descritto. E allora non riescono a trovare alcun rapporto fra questo spirituale-animico e il corporeo-fisico, il materiale-fisico. Ci si è fatti venire in mente ogni specie di teorie su come lo spirituale-animico debba cooperare col corporeo-materiale. Solo che tutte queste teorie sono soltanto tessuti di pensieri. Perché, prima che ci si formino dei punti di vista su queste cose, è assolutamente necessario essere in grado di entrare nell’argomento dell’uomo intero.

 

Nell’uomo intero, per finire, le cose stanno in maniera che, fra nascita e morte,

non si ha mai alcuna manifestazione spirituale-animica,

senza che vi sia nel contempo una manifestazione corporeo-fisica.

• E quando parliamo del corporeo-fisico e dello spirituale-animico come di qualcosa di antitetico,

si tratta di astrazioni, poiché essi sono un’unica e stessa cosa, osservata da lati diversi.

• Ma questo l’uomo non lo sa, che sono una sola e stessa cosa,

e proprio in ciò vede le difficoltà di mettere in piedi una teoria circa il modo in cui le due cose cooperino fra loro.

 

Ma ciò che viene in aiuto in questo campo è soltanto ciò che comprendiamo attraverso un reale potenziamento, una reale educazione del modo di osservare. E a questo scopo è necessario farsi attenti proprio a quelle cose che risultano da questa osservazione.

 

Certo, è naturale che una osservazione esatta in questo campo debba essere preceduta da una certa disciplina, nel senso da me descritto in Come si conseguono le conoscenze dei mondi superiori?. Ma, quando si hanno chiari i punti fondamentali, quando si sa che cosa è stato osservato in proposito, ce la si può già cavare col sano intelletto umano, se soltanto lo si vuole, se soltanto ci si impegna a seguire ordinatamente nel loro contenuto le idee che poi verranno alla luce attraverso l’osservazione scientifico-spirituale.

 

Nelle idee ci si può sempre immergere col sano intelletto umano. Le idee potrebbero trarre origine dai mondi più sconosciuti; quando ci sono, vi ci si può abbandonare. Se solo le esperienze dei mondi relativi venissero realmente trasposte in queste idee afferrabili, già uno potrebbe lasciarsene compenetrare. Ma bisogna innalzarsi a ciò per cui non ci vuole educazione occulta: alla comprensione delle idee.

 

Ed è proprio quanto la maggioranza degli uomini non è in grado di fare, meno che mai gli scienziati del giorno d’oggi. Questi sono abituati ad avere idee soltanto se queste sono mutuate dal mondo sensibile esterno. Ed è soprattutto nella matematica che essi si lasciano prendere dalle idee, quanto al resto, non si impegnano assolutamente a comprendere le idee, le quali vengono poi perseguite in quanto scaturiscono da se stesse come nel caso delle costruzioni matematiche. Con ciò che lo scienziato dello spirito apporta se si sviluppa la volontà di lasciarsi prendere da queste idee, a un qualcosa di realmente verificabile.

 

Ma bisogna volerlo. Per questo non ci vuole nemmeno – bisogna sottolinearlo in continuazione – una educazione occulta, ma il superamento di ciò che proprio oggi viene accolto quale metodo di pensare in senso strettamente scientifico, non rispondente al sano intelletto umano, poiché ha prodotto proprio quelle abitudini di pensiero che fanno valere soltanto ciò che ha un corrispettivo nel mondo sensibile.

 

Oggi dobbiamo conquistarci un certo numero di idee che ci possono condurre più in là nelle considerazioni che ci siamo conquistate.

Quando si svolge la vita di rappresentazione, quando noi dunque rappresentiamo, dentro di noi accade qualcosa. E ciò che accade non è il processo astratto che oggi viene variamente descritto, ma un processo nel quale vive assolutamente anche qualcosa che designiamo quale fatto materiale.

 

Non si è affatto materialisti per il fatto di voler cercare lo spirituale fin nei suoi effetti materiali,

si è materialisti soltanto per il fatto che si rifiuta lo spirituale per un pregiudizio.

Non appena si fa completa chiarezza su che cosa avviene propriamente nell’anima,

quando si pensa, quando si rappresenta,

allora si potrà arrivare, gradualmente, anche senza educazione occulta,

ad una comprensione interiore del processo animico-corporeo che è in atto.

E questo processo animico-corporeo nel pensare, nel rappresentare,

è tale che, già dalle sue proprietà animiche, dimostra di essere il contrario di un altro processo.

 

Cercate ora un po’ di scoprire, nell’ambito della scienza comune, qual è il processo contrario del pensare.

È quello in cui i pensieri si affievoliscono,

nel quale diventiamo incapaci di seguire i pensieri in maniera chiara, cristallina,

nel quale inoltre ciò che nella vita comune chiamiamo cosciente, cessa,

almeno là dove cessa il nostro dominio su ciò che nella vita comune chiamiamo cosciente.

 

E proprio con questa controimmagine del pensare potrete arrivare al suo corrispettivo corporeo:

dovunque subentri in noi, in maniera particolarmente forte,

il processo di crescita nella sua specificità, il processo del divenire, il processo della nutrizione, del crescere,

lì si ritrae l’elemento del pensiero, l’elemento della rappresentazione.

 

Basta soltanto osservare con il senso comune l’intensa attività di crescita organica nei primi anni dell’infanzia. Qui questa attività di crescita è particolarmente viva. Il pensiero, però, è presente solo in germe, per lo meno la padronanza dell’uomo sul pensiero.

Oppure seguite i processi di malattia, a causa dei quali, come negli episodi di febbre, l’attività organica diviene particolarmente veemente: dove si intensifica, là scompare il dominio cosciente sulla vita rappresentativa.

 

Notiamo dunque una contrapposizione, che potremmo descrivere in maniera sempre più precisa,

ma a cui vorrei accennare solo per grandi linee.

• Da una parte vi è la vita di rappresentazione: dapprima l’afferriamo animicamente.

• Dall’altra vi è la vita di crescita.

 

Descriverò ciò di cui propriamente si tratta, per indicarvelo in maniera più precisa: il rigoglio della crescita;

con questo termine la contrapposizione viene compresa in maniera più vivente.

 

Ma cercate un po’ di andare oltre, partendo da questo punto. Ricordatevi che più di una volta ho accennato al fatto che propriamente l’uomo, nella sua coscienza abituale, questa chiara, trasparente coscienza diurna, che porta con sé dal risveglio all’addormentarsi, ce l’ha soltanto nella vita di rappresentazione, mentre ciò che avviene in noi, quando esplichiamo la volontà, sprofonda in qualcosa di buio, come la vita fra l’addormentarsi e il risvegliarsi.

Noi dormiamo, così ho detto più volte, non solo quando dormiamo del tutto, dall’addormentarci al risveglio, ma dormiamo anche, parzialmente, nello stato di veglia, per quanto riguarda la nostra attività volitiva.

 

Tutto ciò che vive in noi quale attività volente, è propriamente avvolto in uno stato di sonno.

Noi sappiamo delle nostre intenzioni, dei motivi del nostro volere, sappiamo quando vogliamo alzare la mano,

ma ci comportiamo verso ciò che accade effettivamente in noi,

mentre la mano viene realmente alzata, mentre dunque viene esplicata la volontà,

proprio come ci comportiamo verso noi stessi, quando dormiamo.

 

Cosa succede qui veramente? Di che si tratta veramente?

Ecco di che si tratta: ciò che in noi è organicamente a base della volontà

è da ricercare in basso, nei processi di crescita, che rimangono per noi inconsci.

La volontà è immersa nei processi di crescita.

 

Tutto ciò che in noi ha crescita rigogliosa è al tempo stesso imparentato con la volontà:

• considerato esteriormente dal punto di vista corporeo è processo di crescita,

• considerato interiormente dal punto di vista animico è volontà.

 

Per cui possiamo farci già un’idea di come il rigoglio della crescita, di come tutto ciò che si trova all’interno di quelle correnti di forze che si manifestano nella crescita, nella nutrizione, nella vita in genere, sia affine alla volontà.

Ora, se osserviamo l’uomo fra nascita e morte, le cose stanno veramente così: ciò che noi chiamiamo nostra volontà, è in ogni singola attività astrazione. Questa volontà non ha affatto un decorso separato, a sé stante. Dentro di noi è sempre in atto un processo metabolico, di crescita, di nutrizione, o di denutrizione, mentre la volontà si esplica.

 

In maniera più ristretta succede la stessa cosa che, diciamo, smorza la coscienza appunto in un processo di crescita o vitale particolarmente accentuato. Perciò la nostra coscienza si smorza anche nella sfera della volontà vera e propria. Questa sfera della volontà si trova là dove è presente un rigogliare della crescita; perciò si trova nell’inconscio.

 

Come uomini, dobbiamo perciò distinguere dentro di noi una sfera in cui avviene questa crescita rigogliosa;

e in questa crescita rigogliosa, che non cade nella coscienza abituale, è radicata la volontà.

Ma nell’uomo concreto si tratta praticamente di un’unica cosa.

Solamente nel pensare separiamo la volontà da questo rigogliare della crescita.

Un’altra sfera, che all’inizio abbiamo considerato solo animicamente, è quella che abbraccia il nostro pensare.

 

Il pensare, il rappresentare si forma

• o in rapporto alle rappresentazioni esterne,

• o per il fatto che il processo del ricordare si trasforma in rappresentazioni,

proprio quando le esperienze vengono di nuovo ricordate.

 

Ora, considerando le cose da un punto di vista animico, si vede in fondo perfettamente che questa vita di rappresentazione è il polo opposto della vita volitiva ed anche il polo opposto della vita della crescita, della vita dell’organismo in generale.

 

Questa vita di pensiero, questa vita di rappresentazione è presente

proprio là dove siamo completamente padroni di noi stessi,

nel punto in cui allineiamo le rappresentazioni una accanto all’altra,

dove analizziamo e sintetizziamo all’interno della vita di rappresentazione.

 

Possiamo contrapporre il pensare al volere.

La volontà, per la sua stessa essenza, ci è del tutto inconscia.

Ora, che per noi è inconscia

lo sappiamo dal fatto che le sue radici si trovano nella crescita, nei processi vitali, nei processi del ricambio.

Il pensare si contrappone alla volontà. È in nostro potere.

 

È vero però che nell’istante in cui perviene all’immaginazione, al ricercatore spirituale diviene immediatamente chiaro ciò che avviene effettivamente nel pensare.

Cercate un po’ di immaginarvi precisamente questo processo attraverso cui passa l’uomo che dal pensiero ordinario avanza all’immaginazione.

 

Il pensiero ordinario è astratto. Mentre pensa, l’uomo è cosciente soltanto della vita del pensiero. Ora, se questo pensiero, attraverso i metodi da me descritti in Come si conseguono le conoscenze dei mondi superiori?, acquista la consistenza della vita immaginativa, allora si affacciano le immagini di questa vita immaginativa.

 

Ma è perfettamente comprensibile come non ci sia nulla di quanto avviene nell’anima,

cioè di quanto viene sperimentato nella vita quotidiana fra nascita e morte

che non abbia il benché minimo corrispettivo nel corpo.

Quando si sale alla immaginazione, si percepisce qualcosa che ha vita propria.

E ciò che si percepisce è proprio quel processo che si svolge effettivamente nel pensare.

 

L’ho già detto: i fatti relativi all’uomo non diventano diversi per il fatto che ci si eleva alla conoscenza superiore, soprasensibile. Si apprende soltanto ciò che c’è sempre stato. Ciò che si impara a conoscere avviene di continuo, ma con la coscienza normale non si sa.

 

Ora, se nella coscienza progredita si hanno le immagini,

allora si sa che a queste immagini corrispondono nell’organizzazione umana

certe figure di deposizioni di materia, vere e proprie sedimentazioni di materia.

 

Vedete, queste che sono vere e proprie sedimentazioni di sostanze sono sempre presenti nell’uomo, soltanto che non vengono notate. In quanto ciò che si sperimenta nella immaginazione non sono sedimentazioni nuove, solo che l’immaginazione mette in grado di vedere le sedimentazioni che sono state sempre presenti.

 

Non si potrebbero avere affatto immaginazioni, se in un certo qual modo non si vedessero

(del resto si può difficilmente descriverlo come un “vedere”), se non ci si accorgesse di queste deposizioni;

poiché in queste deposizioni si rispecchiano le immaginazioni.

 

Si nota allora che proprio nel pensare ordinario queste sedimentazioni sono già pienamente presenti. Esse sono strettamente connesse alla fine organizzazione del nostro sistema nervoso e di ciò che riguarda il sistema nervoso. Costituiscono il sistema nervoso. La vita del nostro sistema nervoso dipende da queste deposizioni. Come già detto, essi restano sconosciuti alla coscienza ordinaria. Con la coscienza immaginativa si perviene a conoscerli.

 

Con ciò si conclude una serie di comunicazioni integrative, che si possono sintetizzare in questo modo: la vita di rappresentazione è l’opposto della vita di volontà. Ma la volontà è legata (e ciò si può apprendere mediante quelle osservazioni che vi ho indicate) al rigogliare della crescita.

 

Ora si può fare questa riflessione: allora la vita di rappresentazione si collega al contrario di ciò che è pienezza di crescita, si collega al deperire.

E, in effetti,

– ciò che in noi si svolge,

e ciò che in un certo qual modo viene visto nella conoscenza immaginativa,

allorché si indirizza la percezione verso l’interno,

è lo staccarsi dell’elemento materiale, quale materia organica,

dal processo di crescita prorompente.

 

Animicamente                 Vita di rappresentazione                 Volontà

Corporalmente                 Deperire                                             Rigoglio della crescita

 

Le cose stanno dunque in questo modo, che abbiamo in noi il processo del prorompere della crescita, quindi il processo metabolico, da cui si stacca continuamente materia morente.

Mentre pensiamo, ci riempiamo continuamente di tale materia morente.

E questo morire della materia lo percepiamo proprio quando arriviamo alla immaginazione.

E il nostro pensare, il nostro rappresentare è legato a questa materia morente.

 

Le cose stanno realmente così: noi uomini ci portiamo addosso il processo del ricambio, il disgregarsi e aggregarsi delle sostanze e così via, dentro a ciò vive la vita della volontà, e la materia muore continuamente in se stessa, cioè elimina parti che non sono più comprese all’interno delle forze della sua organizzazione.

 

Dall’organico viene continuamente espulso l’inorganico, e a questa espulsione è legata la vita di rappresentazione.

Se dunque il processo di crescita, il processo del ricambio è eccessivo, allora la nostra vita di rappresentazione si offusca.

Se, invece, questo processo di morte prevale, le nostre rappresentazioni diventano sempre più rigide, più pedanti.

 

Si può difficilmente pretendere che, senza educazione occulta, l’uomo arrivi a vedersi in questo modo con una certa facilità; ma può arrivare ad un discernimento attraverso cui gli diviene chiaro: quando, in un modo qualsiasi, sia pure soltanto all’addormentarsi, la coscienza viene meno, proprio lì si manifesta una vittoria delle forze di crescita, delle forze del ricambio su quelle forze che sono alla base di quella attività interiore che comanda i pensieri.

 

Ma si può perfino percepire, basta che si sia abbastanza spregiudicati da far propria tale intima visione di sé, come si verifichi uno stancarsi interiormente, un pencolare di materia nell’interiorità, quando si formano pensieri, mentre si vive nella propria vita di rappresentazione in maniera sempre più cosciente.

 

In effetti noi ci portiamo continuamente dentro nascita e morte.

E ciò che al principio della vita si manifesta come nascita, quando le forze di crescita sono inizialmente ancora al massimo dell’intensità, quando la coscienza è ancora completamente da sviluppare, ciò vive continuamente con noi fino alla morte ed è, in sostanza, il supporto della nostra volontà, della nostra volontà incosciente, che diviene cosciente soltanto per il fatto che vi facciamo penetrare la luce del pensiero.

 

Ma ciò che lì ha vita rigogliosa è compenetrato da continui processi di distruzione, da un continuo compiersi di ciò che poi al momento della morte si condensa in un tutt’uno, da un processo di morte.

E come il processo di crescita prorompente manifesta l’elemento della volontà rivolto verso l’esterno, così l’interiore processo del morire manifesta l’elemento del pensiero, della rappresentazione.

 

Insomma, se coltiviamo in noi questa conoscenza, arriviamo infine a sapere che, in effetti, nasciamo e moriamo in continuazione, e che il nascere quell’unica volta all’inizio di una vita terrena altro non è che una sintesi di ciò che la nostra vita sperimenta in piccolo fino alla morte.

 

Per dirla con i matematici: la nascita reale è un integrale di tutti i differenziali della nascita, che agiscono nel corso di tutta la vita. Però anche i differenziali della morte agiscono allo stesso modo, e la morte reale non è che un integrale di questi ultimi. Cioè, se interiormente moriamo in maniera così continuativa che il morire viene costantemente interrotto, che già al momento della nascita viene sospeso, allora questo è il fondamento materiale della vita di rappresentazione.

 

Quando poi il morire arriva una volta per tutte, quando dunque ciò che in noi è continuamente attivo acquista semplicemente un’intensità illimitata, questo è il momento della morte, allo stesso modo in cui al momento della nascita vera e propria ciò che in noi è un continuo processo di crescita acquista in noi un’intensità smisurata.

 

In tal modo, vedete, il processo spirituale-animico, e quello corporeo materiale si vedono come una cosa sola.

E senza di ciò non si può assolutamente pervenire ad una reale conoscenza spirituale.

 

Ora, c’è un determinato momento della nostra vita in cui noi siamo sempre vicinissimi a quel punto in cui compiamo il passaggio dal pensare, che deve essere occupato dalla nostra coscienza sana dal risveglio all’addormentarsi, a ciò che è crescita rigogliosa, e che il pensare vuole estinguere in continuazione: è il momento dell’addormentarsi.

 

Possiamo dire: in quel punto arriviamo a qualcosa che nella vita è vicinissimo a ciò che si può considerare il massimo dell’attività di crescita. È quanto impara a conoscere molto bene chi procede verso la conoscenza immaginativa. Poiché nel momento in cui si verifica la conoscenza immaginativa, egli è in grado di avere anche delle esperienze che nella coscienza abituale si perdono nell’incoscienza, in cui la coscienza abituale si spegne, in quanto viene sopraffatta proprio dall’esplicarsi della crescita della volontà.

 

Sono stati in cui la coscienza ordinaria non deve entrare. Se la coscienza ordinaria vi penetra, allora l’attività di crescita afferra in certo qual modo ciò che si trova nella nostra vita di rappresentazione, e lo spinge (devo ora esprimermi in immagini, ma naturalmente si intende anche nell’immaginazione o a causa dell’immaginazione) su verso ciò che si trova nella morta vita della rappresentazione. In un certo senso non permette alla morta vita di rappresentazione di pervenire al suo sviluppo superiore.

 

Si tratta del processo che si presenta nella vita allucinatoria e, sotto un certo aspetto, anche nella vita sotto forma di illusioni, visioni. Le visioni sono formazioni morbose, e ugualmente morbose sono le allucinazioni. Uno se le ritrova, se mi è concesso esprimermi in questo modo, nell’anima e nel corpo, quando volontà e attività di crescita vengono viste come in unisono, attività di crescita che poi afferra e in un certo senso strappa e fa a pezzi ciò che dovrebbe consolidarsi nel processo di morte del pensiero.

 

È come se il continuo cadaverizzarsi interiore si arrestasse. All’uomo viene strappato qualcosa, e acquista vita rigogliosa ciò che in lui dovrebbe morire, se fosse sano. Si tratta di masse di pensieri che si gonfiano, e noi ce le ritroviamo quali masse di pensieri che si gonfiano, soltanto quando vediamo, per l’appunto, un unisono fra ciò che è corporeo-materiale e ciò che è spirituale-animico.

 

Nell’uomo vive sempre qualcosa dei processi di crescita, quando arriva alle allucinazioni, o alle visioni. Vi esorto ad apprendere certe discipline propedeutiche alla conoscenza immaginativa; se queste discipline propedeutiche vengono osservate nel modo richiesto, allora l’uomo è in condizione di entrare a vivere coscientemente in ciò che si compie di continuo nell’avvicendarsi quotidiano della vita: il fatto cioè che noi, attraverso le rappresentazioni oniriche, entriamo realmente nella condizione di sonno totale. E in questa condizione, in cui ci viene tolta la coscienza abituale, si impara ad entrare, avanzando nella immaginazione. Si arriva così nel punto in cui il processo di morte in un certo modo viene realmente sopraffatto.

 

Nella vita quotidiana ciò avviene nello stato di sonno. Ma in un tale stato si introduce l’uomo che ha raggiunto la conoscenza superiore. E quando, in questa maniera, va oltre la coscienza ordinaria, comprende che questa coscienza ordinaria, appunto, non può penetrare in questo stato.

 

Quando dorme, l’uomo in stato di coscienza normale esce dal corpo fisico e dal corpo eterico; l’uomo che ha la conoscenza immaginativa ne esce da sveglio. Ma la regione dove a tutta prima si accede, potrei dire, la prima regione su cui si mette piede, quando si entra in questo mondo spirituale, che poi si dischiude alla immaginazione, la si percepisce inizialmente come uno spazio buio, assolutamente vuoto, e non si può entrare nel mondo spirituale vero e proprio, senza fare questa deviazione che passa attraverso questa vuota oscurità.

 

Ma vedete, questo è quanto si trova oltre il confine della nostra percezione sensibile. Se vi richiamate alla mente il disegno dello schema che ho fatto alla lavagna – sensazioni che in un certo qual modo ci vengono inviate dentro e che sono le onde su cui si muove l’Io – allora, da questo disegno, ricaverete il modo in cui l’Io esce fuori nel mondo circostante, nel quale del resto si trova anch’esso. Ma nella veglia esso allunga i suoi tentacoli fin dentro al corpo. Qui, però, si ritrae dal corpo e con quelle parti che si sono abituate a partecipare alla vita del corpo, esce fuori nel mondo che si trova oltre i nostri sensi. Non fa la conoscenza degli atomi, fa la conoscenza del mondo spirituale al di là dei sensi. Ma deve attraversare il buio vuoto assoluto, perché soltanto da questo vuoto oscuro si genera per lui lo spirituale.

 

Avete qui un limite, vorrei dire, che costituisce il confine dello sperimentare umano, o che lo sperimentare umano ha rispetto al mondo. Questo limite ci deve essere. Se non ci fosse, non ci sarebbe un vuoto abisso a dividerci da ciò che ci circonda; non potremmo mai sviluppare ciò che è vero amore, poiché questo richiede che l’uomo possa imparare a conoscere il vuoto intorno a sé. Poiché se riempisse tutto ciò che lo circonda, non potrebbe mai fluire col proprio essere in ciò che è altro. Ma è proprio questo che si sviluppa nell’essenza dell’amore.

 

Se si vuole conoscere l’essenza dell’amore in processo di conoscenza reale, si deve allora sapere che l’uomo, proprio quando si formano in lui sentimenti di amore, in un certo senso si espande fino al punto in cui la sua coscienza ha il vuoto. Lì egli può riempirsi di qualcos’altro. Lo sviluppo dell’amore consiste proprio nel contrapporsi del vuoto di coscienza all’altra cosa, che viene poi riempita dalla coscienza.

 

Ma quando non c’è la giusta armonia fra lo spirituale-animico e il corporeo-fisico (noterete che si tratta solo di un’espressione, che non coglie la realtà in maniera esauriente, poiché si parla dell’armonia come di un’armonia che riguarda altri fenomeni, ma tuttavia si comprende, attraverso questo modo di esprimersi, di che cosa si tratta), se non c’è la giusta armonia, quando lo spirituale-animico o il corporeo-fisico si sviluppa unilateralmente, pendendo troppo dall’una o dall’altra parte, in modo che entrambe le parti non vengano pienamente ad espressione, allora subentra qualcosa di patologico. Pendendo da una sola parte subentra qualcosa di patologico, se l’uomo riversa il proprio essere dentro ciò in cui per lui deve esserci il vuoto. Allora in questa entità vuota entra a vivere appunto il suo mondo di visioni e allucinazioni.

 

È proprio questo che si supera attraverso una vera educazione occulta: il fatto di essere in stato allucinatorio o di avere visioni. Perché non lo si sottolinea mai abbastanza: si tratta proprio di qualcosa di malato. E ciò che si sviluppa con l’educazione occulta è la formazione di forze che si contrappongono alle forze che subentrano col manifestarsi di allucinazioni e visioni.

 

Per il fatto di avere allucinazioni, visioni, l’uomo sviluppa in sé forze cui si contrappone ciò che deve essere consigliato per la vita immaginativa. Lo si constaterà ripetutamente: ci sono uomini – non è detto che debbano per questo ammalarsi subito in forma grave – i quali hanno, non voglio dire allucinazioni, perché in questo caso bisogna già parlare di malattia, ma visioni.

 

Ci sono moltissime persone che attraversano la vita con visioni, di cui vanno molto fiere e in cui vivono, credendo che in queste visioni sia racchiuso un vero mondo spirituale, mentre si tratta solo di un proliferare eccessivo delle loro forze vitali, che si riversa nel vuoto. Vi sono anche siffatte persone che sono così presuntuose da diventare poi megalomani fino a dire di sperimentare una “iniziazione”, mentre ciò che esse vivono, purtroppo, è appunto una crescita abnorme, che soffoca il loro pensare.

 

E quando queste persone arrivano poi a ciò che, preso seriamente, deve essere raccomandato come un esercitarsi all’immaginazione, allora si verifica a volte qualcosa del tutto particolare. Se queste persone poi dicono: “sì, ora ho perduto la mia visione spirituale” -, hanno perso invece le loro immaginazioni visionarie; e ciò è dovuto al fatto che questi esercizi per la vera immaginazione, che praticano su se stessi, agiscono come un antidoto alla loro forza di visione malata.

 

Costoro, che per questo credono di vivere nel mondo spirituale attraverso il dominio della natura, vi vivono in modo patologico, e, normalmente, smarriscono ciò che si sono conquistati a caro prezzo a causa di un egoismo piuttosto esaltato. Ciò può essere sperimentato di continuo e, quando viene sperimentato, dimostra precisamente che le forze visionarie sono forze malate, e gli sforzi che si fanno per arrivare alla visione immaginativa sono forze di contrasto, di risanamento.

 

Da ciò si vede che allo sperimentare umano, al di là della percezione sensibile, è preclusa verso l’interno una regione che è possibile cogliere oggettivamente soltanto nella vita immaginativa. Nel vivere visionario irraggiamo la nostra propria vita nel vuoto. Ma se il vuoto lo sperimentiamo, allora in questo vuoto penetra, proprio nel modo in cui il mondo esterno opera attraverso i nostri sensi, ciò che ho già caratterizzato come il mondo tessente, operante della gerarchia degli Angeli. Intorno a noi agisce il mondo tessente, operante della gerarchia degli Angeli.

 

Ora, però, possiamo anche andare dall’altra parte e trovare la regione confinante con lo sperimentare umano, e questa è costituita da ciò che si trova oltre il pensare, più verso l’interno. Vedete, possiamo proprio dire: questo percepire è connesso con l’Io. Ora spostiamoci qui dentro, verso il corpo astrale: abbiamo il rappresentare. Ora scendiamo quaggiù nel corpo eterico: abbiamo l’attività del ricordo. E nel corpo fisico, immagini.

 

Qui sotto, nel corpo eterico, la coscienza normale non arriva; anche qui fuori non arriva.

Là si trova il mondo, del quale bisogna dire che è il mondo degli Angeli viventi, tessenti.

È quindi un mondo spirituale, che aleggia sopra il mondo della nostra coscienza.

Non si trova al di fuori della sfera della vita umana, ma si trova fuori della sfera della coscienza abituale.

 

Perciò il nostro Io del quale è stato detto espressamente che si trova al di fuori delle percezioni sensorie,

porta dentro queste percezioni sensorie; il nostro Io dunque è del tutto legato a questo mondo.

È il mondo nel quale possiamo entrare soltanto con una coscienza rafforzata,

in quanto, se noi abbiamo una coscienza diminuita, cadiamo perciò in un’assenza di coscienza.

In questa assenza di coscienza cadiamo ogni volta che ci addormentiamo, ed è allora che entriamo in questo mondo.

 

Ora, però, possiamo scendere qui sotto, dall’altra parte, nella nostra propria entità: ciò avviene quando, attraverso la percezione sensibile, ci spingiamo fuori in questa sfera. Ciò avviene dunque quando le distruttive forze di morte che sono in noi ci afferrano più di quanto facciano normalmente; per meglio dire, quando diventano coscienti. Proprio come possiamo arrivare qua fuori, oltre il limite della vita sensibile, così possiamo spingerci anche in basso, attraverso quella che io chiamo educazione occulta.

 

Ma ciò che qui si sperimenta, se non deve in un certo qual modo presentarsi patologicamente, è necessario che resti completamente nell’interiorità dell’uomo. L’uomo non può lasciarlo salire nella propria coscienza normale. Deve lasciare questa sfera in basso, là dove invece è inconscia. Cioè a dire, l’uomo non può permettere a questa sfera, che si trova nel corpo eterico, di fluire verso l’alto nella propria coscienza normale, ma deve portare la propria coscienza normale in basso, nel corpo eterico. Ciò che è in basso, quindi, non può penetrare in alcuna forma nel rappresentare abituale, ma è il rappresentare ordinario che deve spingersi in basso.

 

Ma da questo desumiamo anche che si tratta di una regione che proprio come l’altra, da me descritta, si trova in una certa misura intorno al corpo fisico dell’uomo. Per cui, all’interno del corpo fisico dell’uomo, questa sfera è sempre presente. Appartiene alle entità interne all’uomo, alle quali più di una volta si è accennato in nessi scientifico-spirituali, e a questa sfera si accennerà sempre in maniera che coloro che l’hanno conosciuta, che vi hanno visto qualcosa, dicano: “è impossibile descrivere con parole umane ciò che esiste lì sotto”. Ne potrete seguire le descrizioni partendo dalle antiche iniziazioni egizie su fino a Bulwer.

 

Ma in certo senso già oggi si può e si deve parlare per accenni di questa regione.

In questa regione affonda le sue radici tutta quella parte della vita corporea dell’uomo

che non può manifestarsi nel suo contegno esteriore, nel senso comune.

Qui affonda le sue radici il male dell’uomo.

 

Da ciò potrete dedurre un fatto straordinario. Questa sorgente del male, è in effetti sempre dentro di noi. Non possiamo in alcun momento abbandonarci all’illusione che la fonte del male non sia in noi. Essa è situata, se posso esprimermi in questo modo, al di sotto della vita di rappresentazione. Solamente che essa non deve inficiare la vita di rappresentazione, altrimenti le rappresentazioni diventano motivi per il male; deve restare in basso. E colui che vuole osservarla, deve essere tanto forte moralmente da non farla salire su, da essere realmente capace soltanto di mandare giù la coscienza.

 

Ora possiamo dire: qual è il fine per cui le cose stanno così nell’uomo? Già, questa domanda può farla soltanto chi dicesse più o meno: “perché allora la pianta non smette di crescere, quando le sono venute le foglie verdi? È pur vero che continua a crescere per forza propria”.

 

Portiamo in noi il processo di morte, sviluppato dal nostro pensare. Questo processo è fino a questo momento cosciente, ma deve essere mandato giù nell’inconscio. Poiché, se questo processo (di morte) non proseguisse oltre, i nostri pensieri non si consoliderebbero al punto che in noi possa concretizzarsi il ricordo, e in seguito, dalle esperienze fatte mentre pensavamo, dentro di noi possano affiorare in continuazione dei pensieri.

Perché ci sia un ricordo, dunque, è necessario che il processo di morte continui oltre.

 

E l’entità alla quale, in quanto uomini, andiamo debitori del ricordare, è la stessa entità che, subentrando in maniera non giusta, compare quando nell’uomo affiorano i motivi del male.

In una certa misura, la tendenza al male presente in certi uomini è come un eruttare spirituale-animico – perdonate l’espressione di cui faccio uso -, un eruttare spiritualmente e animicamente ciò che dovrebbe restare in basso e provvedere al ricordo.

 

Questa forza del ricordo è radicata nell’essere umano. E come esiste un eruttare corporeo, così esiste questo eruttare spirituale-animico. Quando ciò che nella saggezza divina è stato assegnato alle profondità del nostro essere come forza del ricordo, quando questo ritorna su nella coscienza, allo stesso modo in cui una cosa qualsiasi viene eruttata dal corpo – perdonate l’espressione poco appetitosa -, allora avete la tendenza a delinquere.

 

Non esiste nulla al mondo che non avrebbe la sua giustificazione nel posto in cui si trova,

e che non possa sfociare in insania, se messo fuori posto.

Se una qualsiasi cosa al mondo ci appare come non dovrebbe, dovremmo porci la domanda:

“dove deve essere, perché adempia al proprio compito?”.

 

E qui, immergendoci in profondità, arriviamo proprio nell’altra regione, nella regione della gerarchia dei Serafini, Cherubini, Troni, nello stesso modo in cui, andando oltre la regione dei sensi, usciamo fuori, nella sfera tessente degli Angeli, Arcangeli e Archai. Quaggiù entriamo in un ambito dove ora vediamo in modo chiaro come quella forza naturale che è connessa con i nostri ricordi abbia un lato morale.

 

Riflettete soltanto sulle implicazioni di tutto ciò: la scienza dello spirito scopre una cosa di tale portata, il fatto cioè che un fatto naturale abbia un lato morale ossia che, se qualcosa agisce fuori della propria sfera, acquista carattere di immoralità!

 

Ed è proprio questo ciò di cui il nostro tempo si ammala, il fatto che da un lato ci sia la vita morale-religiosa come qualcosa di astratto, e dall’altro ci sia ciò che attiene alla natura, ciò che è sottoposto alla legge di causa ed effetto.

Il metodo con cui le due cose possano conciliarsi fra loro, non lo si trova. Qui avete un fatto del tutto concreto, in cui un fenomeno naturale porta in sé ciò che ora può trasformarsi proprio nel contrario di ciò che è morale, nell’immorale.

 

Ma non vedete ora in ciò qualcosa di straordinario? Se osserviamo la cosa, il fatto che essa sia, da un lato, in uno stato di degenerazione, scendiamo in un certo qual modo sotto la nostra coscienza o, per meglio dire, al di sotto della nostra coscienza nell’antimorale. Deve essere così, perché possa aver luogo il ricordare. Ma se attraverso le sensazioni giungiamo, come vi dicevo, nella regione dell’amore – è questa, in fondo, la forza della moralità – entriamo nella moralità.

 

Vedete, ci stiamo incamminando verso la possibilità di gettare un ponte sempre più breve fra il mondo morale-religioso da una parte, e il mondo fisico-corporeo dall’altra, il mondo della causalità della natura dall’altra. Questo ponte va gettato. E se usciamo fuori e se scendiamo in basso, entriamo effettivamente nel mondo delle gerarchie.

In un certo qual modo ci siamo potuti accostare alla sfera delle gerarchie da due lati.

 

Questa osservazione naturalmente si può compiere soltanto se ci avviciniamo all’obiettivo, per così dire, circolarmente. Non può funzionare, se si parte da concetti elementari, come si fa nella matematica, e si costruisce su di essi, ma bisogna avvicinarsi in maniera circolare a ciò che deve essere compreso alla fine.