Arte e antroposofia

O.O. 82 – Cultura e antroposofia – 09.04.1922


 

In un certo senso quel che oggi ho da dire sarà un episodio nel corso delle mie conferenze perché, nel complesso di considerazioni scientifiche, cercherò di gettare uno sguardo nel campo dell’attività artistica. Tuttavia in un altro senso il contenuto delle mie parole di oggi potrà mostrare che l’episodio non sta a sé, ma che contribuisce a illuminare ciò che dissi nei giorni scorsi e che dirò nei prossimi.

 

Dopo che il movimento antroposofico era stato attivo per un certo tempo, alcune delle persone che ne facevano parte si convinsero che il movimento dovesse costruire un suo centro. A seguito di alcuni eventi che qui ora non ricorderò, alla fine venne scelta una località sulle colline del Giura svizzero, a Dornach nei pressi di Basilea, dove ora si erge il Goetheanum, la Libera Università per la scienza dello spirito; non è ancora terminato, ma viene comunque già usato: vi si tengono conferenze e vi si svolgono diverse attività.

 

Vorrei ora parlare soltanto delle condizioni interiori che portarono a quella costruzione. Se in ogni altro movimento spirituale di oggi fosse maturata la decisione di costruire un centro, che cosa si sarebbe fatto per realizzarlo? Ci si sarebbe rivolti a uno o più architetti e si sarebbe costruito in uno fra i tanti stili tradizionali: classico, rinascimentale, gotico o altro ancora. In modo corrispondente a come si produce nei diversi campi dell’arte, si sarebbero anche sollecitate attività artistiche per abbellire la costruzione con pitture e sculture.

 

Tutto ciò non poteva farsi per la costruzione di Dornach, per la Libera Università di scienza dello spirito, perché sarebbe stato in contrasto con tutta la volontà e con l’intima essenza della concezione antroposofica del mondo. Essa non intende essere qualcosa di unilateralmente teorico, qualcosa che prospetti una somma di idee in merito alle leggi dell’universo, ma qualcosa che sorga da tutto l’uomo e che sia presente per tutto l’essere umano. Essa vuol essere qualcosa che da un lato si esprime in forme di pensiero, come si è usi fare, per presentare una concezione del mondo. Intende tuttavia essere nella sua essenza qualcosa di molto più ampio e parlare sulla base dell’essere umano complessivo.

 

Di conseguenza non può parlare soltanto in termini teorici e scientifici, ma vuole poter parlare anche in termini artistici; intende parlare anche in campo religioso, sociale ed etico, e tutto ciò in modo che nei singoli campi corrisponda senz’altro agli interessi della diretta pratica di vita. Con un paragone cerco spesso di esprimere in modo banale quello che potrebbe essere il compito del Goetheanum di Dornach: si pensi a una noce con la sua polpa interna e con il guscio intorno.

 

Osservando il guscio della noce, è impossibile immaginare che i solchi e le curvature del guscio derivino da leggi diverse da quelle dei solchi e delle curvature del gheriglio. In qualche modo entrambi derivano dallo stesso essere. Il guscio che riveste la noce deriva dalle stesse leggi del gheriglio.

 

Quando si costruì l’edificio di Dornach a doppia cupola, il problema era di creare un guscio architettonico, scultoreo e pittorico, per il lavoro che si sarebbe svolto all’interno sulla base della concezione antroposofica del mondo. Come dal podio di Dornach si parla con il linguaggio dei pensieri in merito a ciò che si vede nei mondi soprasensibili, così occorre far sì che le forme architettoniche, scultoree e pittoriche che fanno da cornice derivino dallo stesso spirito da cui proviene la concezione antroposofica del mondo.

 

In casi del genere si corre un grande pericolo, quello di avere idee sui diversi argomenti e di esprimerle in semplici forme simboliche o addirittura banalmente allegoriche. La cosa è molto frequente quando una concezione del mondo passa alla manifestazione esterna. Nascono allora simboli e allegorie che appunto non sono artistici, che al contrario si beffano di un vero senso artistico. Va soprattutto detto della concezione antroposofica che essa non vuol avere nulla a che fare con una simile non-arte simbolica e allegorica, che essa proviene anzi da una ricca e interiore vita spirituale e che quest’ultima non è né allegorica, né simbolica, ma è in grado di manifestarsi in pure creazioni artistiche.

 

A Dornach non esistono simboli o allegorie, ma tutto quanto si esprime artisticamente è sorto in una visione artistica e in strutture formali e in creazioni pittoriche; poiché la visione era del tutto artistica, nulla ha a che fare con quanto di solito avviene e cioè che la gente viene e chiede che cosa significhino le diverse cose.

 

In questo senso a Dornach non vi è una singola forma che significhi qualcosa, ma ognuna deve essere qualcosa in puro senso artistico, vale a dire significare se stessa, esprimere se stessa. Chi oggi viene a Dornach e pensa che vi sia da vedere qualcosa di simbolico o di allegorico, applica il suo pregiudizio al nostro edificio e non rileva grazie a che cosa l’edificio stesso è sorto. Dovrebbe invece essere che lo stesso spirito, non teorico ma vivente, che parla dal podio o agisce dal palcoscenico, parli anche dalle forme artistiche architettoniche e scultoree e da quelle pittoriche. Il guscio doveva sorgere dallo stesso essere che opera all’interno, vale a dire dalla stessa concezione del mondo che si manifesta attraverso la parola parlata.

 

Se però la concezione antroposofica del mondo costituisce qualcosa di nuovo nell’evoluzione dell’umanità, come mi sono permesso di esporre nelle mie ultime conferenze, era anche naturale che nelle forme architettoniche, scultoree e pittoriche, in tutte le forme artistiche, essa non potesse arrivare ad esprimersi con le forme già esistenti. Non potevano servire le esistenti forme artistiche, non residui stilistici antichi, rinascimentali o gotici; la stessa concezione antroposofica doveva mostrarsi produttiva a sufficienza per produrre un proprio stile, uno stile artistico per le arti figurative.

 

Quando si presenta all’anima e al cuore una volontà del genere, certo si diventa molto modesti e anche molto critici verso di sé. Di conseguenza so benissimo che se dovessi costruire una seconda volta l’edificio di Dornach, farei diverse molte cose che oggi mi sembrano imperfette o spesso anche sbagliate. Almeno per quanto ora dico non è comunque questo il problema, ma piuttosto la volontà alla quale prima ho accennato, e di questa vorrei appunto parlare.

 

Quando parliamo delle arti figurative che riguardano il nostro contesto delle arti cioè alle quali era indirizzata la concezione antroposofica per le sue necessarie creazioni, proprio perché si erano trovati amici disposti a fare sacrifici per la costruzione dell’edificio di Dornach, quando si parla delle arti figurative in questo senso, il punto è anzitutto comprendere la figura umana verso la quale nelle arti figurative tutto è rivolto e dalla quale tutto deriva. Va compresa in modo che essa sia anche veramente creata appunto come figura umana.

 

Ieri ho parlato di un elemento, dello spazio, in quanto esso esiste nel mondo, ma tuttavia derivato dall’entità umana. Ho detto che le tre dimensioni dello spazio, secondo le quali sono determinate tutte le cose che sono alla base del mondo, derivano dalla figura umana.

 

Parlando però dello spazio nel modo in cui ho parlato ieri, in effetti non si giunge mai alla concezione dello spazio che occorre avere per la creazione artistica, quando si intenda esercitare con piena coscienza l’arte scultorea, in definitiva alla base di ogni arte figurativa. Avendo presente allo spirito lo spazio concreto nelle sue tre dimensioni, come è avvenuto nelle considerazioni di ieri, si vede che lo spazio al quale si giunge non può essere quello nel quale ci si trova quando ad esempio si forma scultoreamente la figura umana anche nello spazio, usando anche qui la stessa parola.

 

Non si arriva allo spazio nel quale si trova lo scultore e si constata che quello è uno spazio del tutto diverso. Tocco così un segreto della concezione umana del mondo che in sostanza è andata del tutto perduta per l’odierna visione del mondo. Mi sarà permesso di accennare in breve ad alcune osservazioni in apparenza del tutto astratte e teoriche. Devono solo servire a introdurre ciò che poi si presenterà al nostro spirito in un modo molto più concreto.

 

Volendo riferire lo spazio del quale ho parlato ieri alle cose del mondo, lo si fa in forma geometrica, in particolare secondo la geometria euclidea. Come è noto, si parte da un punto concreto dello spazio (come ho detto ieri si dovrebbe naturalmente prenderlo all’interno del corpo umano) e partendo da esso si fissano i tre assi perpendicolari fra loro, stabilendo così appunto uno spazio qualsiasi in base alle distanze dai tre assi, o meglio dai tre piani che sono formati dai tre assi. Si arriva così a una determinazione geometrica per ogni cosa che riempia lo spazio; anche nel senso della cinetica si ha la possibilità di seguire gli oggetti in movimento.

 

Accanto a questo spazio ve ne è tuttavia anche un altro in cui penetra appunto lo scultore. Quest’altro spazio ha il suo segreto: non muove cioè da un punto riferendo tutto ad esso, ma deve muovere dal contrario di quel punto. Che cosa è? Il contrario di quel punto null’altro è se non una lontanissima sfera alla quale si guarderebbe più o meno come all’azzurro del firmamento, se esistesse. Si immagini dunque che invece di avere un punto si abbia una sfera vuota entro la quale ci si trova, riferendo ogni cosa all’interno di essa. Invece di riferirsi alle coordinate di un punto, si riferisce tutto a quella sfera vuota.

 

Fino a che mi limito a esporre queste cose, con ragione mi si può dire che i riferimenti a una sfera vuota del genere sono qualcosa di caotico; non si arriva ad alcuna rappresentazione, volendo pensare a qualcosa. È vero, non si arriva ad alcuna rappresentazione. Esiste tuttavia una facoltà umana che può appunto rapportarsi al cosmo, come ieri ci siamo riferiti all’uomo, all’anthropos.

 

Come guardiamo nell’uomo e ne ricaviamo le tre dimensioni, come determiniamo l’uomo secondo le tre dimensioni dicendo che in una vi è l’altezza del corpo, che nella seconda vi è ciò che risulta all’incirca della superficie indicata dalle braccia allargate e che poi è costruito nella simmetria dell’organismo umano, e infine che nella terza vi è tutto quanto è rivolto verso l’avanti e l’indietro e viceversa, così, osservando l’organismo umano, non abbiamo solo qualcosa riferibile alle tre dimensioni, ma abbiamo l’organismo umano formato, strutturato in un modo ben determinato.

 

Allo stesso modo ci si può comportare con il cosmo. Che cosa avviene nell’anima comportandosi così nei confronti del cosmo? Immaginiamo di essere in una chiara notte stellata nel mezzo di un campo, in modo da vedere il cielo stellato in ogni direzione. Osservando il cielo stellato vediamo zone nella volta del cielo in cui le stelle si ammucchiano, quasi a formare una nebulosa. In altre zone del cielo le stelle risultano più staccate le une dalle altre e formano quelle che si chiamano costellazioni. A nulla si giunge ponendosi di fronte al cielo stellato e osservandolo intellettualisticamente, con l’intelletto umano. Si sente invece dell’altro, ponendosi di fronte al cielo stellato con tutto il proprio essere.

 

Oggi abbiamo perduto questa possibilità di sentire, ma la si può riacquisire. Di fronte a una zona del cielo in cui le stelle sono vicine, fino a formare quasi una nebulosa si sente in modo diverso che di fronte a una costellazione. Si sente in modo diverso ancora di fronte a una zona del cielo nella quale ad esempio vi sia e risplenda la luna, oppure in una notte senza luna, con la luna nuova. Come si possono concretamente sentire nell’organismo umano le tre dimensioni, quando lo spazio è qualcosa di concreto, qualcosa di legato a noi stessi, così si può acquisire una visione del cosmo, di quanto ci circonda.

 

Occorre soltanto non guardare in se stessi, come per ottenere le tre dimensioni, ma considerare ora le lontananze dello spazio. Imparando a vedere le lontananze spaziali, passando dalla visione usuale che è sufficiente per la geometria, a una visione che serva per le lontananze spaziali, si arriva alla visione che ieri e l’altro ieri ho chiamato conoscenza immaginativa della quale ancora parlerò.

 

Chi volesse semplicemente disegnare quel che vede nelle lontananze celesti non arriverebbe a nulla. A nulla conduce una semplice descrizione del cielo stellato, come fanno oggi gli astronomi. Ponendosi invece di fronte al cosmo con la propria completa umanità e con piena comprensione per il cosmo, osservando i gruppi di stelle si formano nell’interiorità dell’anima immagini quali si vedono nelle antiche carte nelle quali, sulla base dell’antica e istintiva chiaroveggenza si formavano immaginazioni: si ha così un’immaginazione di tutto il cosmo, si ha una controimmagine di quella che ieri ho indicato come base umana delle tre dimensioni geometriche dello spazio, si ottiene qualcosa che è configurabile in modi infiniti.

 

In sostanza gli uomini non hanno oggi più alcuna idea di come un tempo si guardava nell’universo, quando nei tempi più antichi esisteva ancora in loro una chiaroveggenza istintiva. Oggi si stima che le diverse immagini, le immaginazioni che erano fatte delle costellazioni zodiacali, fossero frutto di fantasia, ma non è così. Erano sentite, erano viste, quando ci si poneva di fronte al cosmo. Il progresso dell’umanità richiedeva che venisse oscurata quell’istintiva, vitale e immaginativa visione, e che al suo posto vi fosse la concezione intellettualistica capace di liberare l’uomo; partendo da essa, se vogliamo essere uomini completi, occorre conquistare di nuovo una concezione dell’universo che pervenga all’immaginazione, ora però in piena coscienza e non più istintiva.

 

Se in questo modo si vuole arrivare dal cielo stellato a un’immagine dello spazio non si ottiene solo qualcosa che si esaurisce nelle tre dimensioni spaziali, ma uno spazio che riesco solo a indicare con un disegno; al centro di esso indicherò le tre dimensioni dello spazio di cui ho parlato ieri, ma per questo diverso spazio dovrò disegnare attorno delle figure, come se si avvicinassero alla terra da ogni lato dell’universo delle forze in piani diversi che agiscono plasticamente da fuori sulle forme che sono sulla superficie terrestre.

 

Si arriva a questa immagine avanzando dagli esseri viventi, e anzitutto dall’uomo, che si vedono con gli occhi fisici a quella che qui ora ho chiamato immaginazione, grazie alla quale invece di vedere l’uomo fisico, il cosmo si apre in immagini e regala un nuovo spazio. Arrivati a questo, si perviene a vedere un secondo corpo dell’uomo, quello che l’antica chiaroveggenza intuitiva e istintiva chiamava corpo eterico, ma che si potrebbe meglio designare come corpo delle forze formative; un corpo soprasensibile che consiste di una sottile sostanzialità eterica e che compenetra il corpo fisico umano.

 

Possiamo studiare il corpo fisico umano cercando nella sua estensione spaziale le forze che lo compenetrano. Non riusciamo però a studiare il corpo eterico o delle forze formative che compenetra l’uomo, partendo dello spazio centrale indicato nel disegno. Possiamo solo farlo se lo intendiamo come formato da tutto il cosmo, se lo comprendiamo appunto nel senso che tutte le superfici di forze che si avvicinano alla terra da ogni lato verso l’uomo formano plasticamente da fuori il suo corpo delle forze formative.

 

Solo in questo modo nacquero le arti figurative nei tempi in cui esse si formarono in modo elementare e originario. Con uno sguardo intuitivo lo si rileva ad esempio da un’opera come la Venere di Mila Essa non fu creata avendo studiato anatomia e facendo appello alle forze che sono soltanto comprensibili sulla base dello spazio occupato dal corpo fisico, ma venne creata così perché in quei tempi si sapeva del corpo delle forze formative che compenetra il corpo fisico e che viene formato dal cosmo, cioè da uno spazio che è periferico, mentre quello terrestre è centrale.

 

Come conseguenza che un essere viene formato dalla periferia dell’universo gli viene impressa la bellezza, secondo il significato originario della parola. La bellezza dell’essere è in effetti l’espressione del cosmo in un essere terreno fisico, con l’aiuto del corpo eterico.

 

Se in base alla pura e asciutta verità studiamo un essere terrestre fisico, otteniamo appunto ciò che corrisponde all’usuale spazio fisico. Facendo agire su di noi la bellezza di un essere e volendola aumentare con la scultura, dobbiamo essere coscienti che la bellezza impressa in un essere deriva dal cosmo; nel singolo essere ci si svela come tutto il cosmo operi in quell’essere. Allo scopo occorre tuttavia sentire come il cosmo si manifesti ad esempio nella figura umana.

 

La figura umana ci appare suddivisa se, grazie a un’interiore veggenza immaginativa, siamo in grado di indirizzare il nostro sguardo animico anzitutto alla formazione della testa. Osservando nella sua totalità la formazione della testa, non arriviamo a comprenderla volendo chiarirla solo in base a quanto vi è al suo interno. La comprendiamo soltanto intendendola come creata direttamente dal cosmo, attraverso il corpo delle forze formative.

 

Passando alla formazione del tronco umano, perveniamo a una comprensione relativa alla sua forma soltanto se abbiamo la possibilità di pensare a come l’essere umano vive sulla terra cui ruota attorno tutto il mondo delle stelle nella linea zodiacale, e ai fini delle nostre considerazioni non ha ora importanza se per l’odierna astronomia ciò è solo apparenza. Mentre per la testa facciamo riferimento al polo del cosmo, per la formazione del tronco umano rinviamo senz’altro a ciò che si svolge nella linea equatoriale che si ripete, a ciò che avviene nei modi più diversi nell’orbita del sole nell’anno o nel giorno.

 

Soltanto osservando il sistema delle membra, soprattutto quello degli arti inferiori, abbiamo la sensazione che esso non va attribuito al cosmo, ma alla terra, che è collegato con la forza di gravità della terra. Osservando con l’atteggiamento dello scultore la forma del piede umano, rileviamo che essa si adatta alla gravità terrestre. Guardando come è configurata l’intera struttura, dal femore alla tibia collegati dal ginocchio, troviamo che il tutto va attribuito alla terra con la sua dinamica e la sua statica, la cui forza di gravità opera dal suo punto centrale nell’universo.

 

Abbiamo queste sensazioni, osservando la figura umana con rocchio dello scultore. Per la testa abbiamo bisogno di tutte le forze del cosmo, in qualche modo di tutta la sua sfera, se vogliamo comprendere ciò che è tanto meravigliosamente espresso nella forma della testa. Per comprendere quel che giunge ad espressione nella forma del tronco abbiamo bisogno di quanto per così dire ruota attorno alla posizione equatoriale della terra. Arriviamo alla periferia. Dobbiamo invece riferirci alle forze della terra per comprendere soprattutto il sistema inferiore delle membra al quale è collegato anche il sistema del ricambio. In questo senso siamo legati alle forze della terra. In breve abbiamo nella figura umana un riferimento allo spazio universale, pensato come vivente.

 

Con molta probabilità oggi si riderebbe in molti ambienti, anche artistici, delle considerazioni che ho appunto esposto, e posso ben comprenderne la ragione. Si afferra tuttavia poco della vera storia dell’evoluzione umana quando si rida di queste cose. Chi riesca davvero ad approfondirsi nella scultura dei tempi antichi, già nelle opere che vennero allora create vede come in esse siano fluite le sensazioni che erano state formate dalla veggenza immaginativa del cielo stellato. Nelle più antiche figure statuarie il cosmo si manifesta appunto nella figura umana.

 

Quella che altrimenti si chiama conoscenza legata all’intelletto va tuttavia vista come una conoscenza che è legata a tutto il complesso delle forze animiche umane. Si diventa scultori, quando veramente lo si è, per una specie di forza elementare e non soltanto perché si è appreso a seguire vecchie forme stilistiche, per rifare ciò che nelle diverse epoche si presentava in opere allora vitali, perché ancora si sapeva quel che oggi più non si sa.

 

Non si diventa scultori perché ci si appoggia alla tradizione (e oggi avviene, 58 anche negli artisti più completi) ma perché con piena coscienza si riesce a risalire alle forze di creazione che un tempo portarono alle arti figurative. Per questo occorre avere di nuovo sensazioni che provengano dal cosmo, occorre di nuovo sentire l’universo e vedere nell’uomo un microcosmo, un piccolo mondo.

 

Occorre poter riconoscere che la fronte umana ha ricevuto la sua forma dal cosmo. Occorre poter riconoscere che al naso è stata data la sua forma dalla stessa fonte che ha strutturato anche tutto il sistema respiratorio, e cioè dalla periferia, dalla linea equatoriale e da quella zodiacale che circondano la terra. Si riceve così la sensazione di che cosa si deve rappresentare. Non si crea allora per semplice imitazione, copiando un modello, ma si crea immergendosi nella forza grazie alla quale la natura stessa lavorò per creare l’uomo. Si crea la forma come fa la natura stessa. Occorre però allora adeguare a tutto ciò tutta la propria sensibilità conoscitiva e artistica.

 

Quando abbiamo di fronte a noi la figura umana indirizziamo il nostro sguardo artistico anzitutto al suo capo. Lo facciamo con l’intendimento di dare forma plastica appunto al capo. Ci adoperiamo cioè di dar forma per quanto possibile alla testa in tutti i suoi particolari, trattando possibilmente con amore ogni superficie: la superficie della fronte, la convessità per gli occhi, la forma delle orecchie. Ci adopereremo per rendere con molto amore le linee della fronte e del naso, e tenderemo a dare al naso la forma a seconda di che cosa intendiamo creare. In breve, cercheremo di formare con amore nelle singole superfici tutto quanto riguarda il capo umano.

 

Forse dico qualcosa che per molti sarà eretico; credo però che quel che ho da dire risalga a originarie sensazioni artistiche; se dunque uno scultore vuole arrivare a dar forma alle gambe umane, incontrerà sempre una resistenza. Si tenderà per quanto possibile a formare una testa con amore, ma non lo si potrà per le gambe. Si cercherà di nasconderle, eliminarle dalle forme artistiche, coprendole con i più diversi indumenti, con qualcosa che sia in qualche modo adeguato a ciò che giunge ad espressione nella testa. Una figura umana con gambe e polpacci ben scolpiti è qualcosa di non simpatico per l’occhio artistico di uno scultore. So di dire qualcosa di eretico, ma so anche di esprimere così un elementare sentimento artistico.

 

Non si vogliono avere gambe ben modellate. Perché?

Semplicemente perché esiste per lo scultore una diversa anatomia, una conoscenza della struttura umana diversa da quella degli anatomisti. Per quanto strano appaia, per lo scultore non esistono ossa e muscoli, ma solo la figura umana alla quale dare una forma con l’aiuto del corpo delle forze formative ricevuto dal cosmo. Per lo scultore nella figura umana vi sono forze, effetti di forze, linee di forza, rapporti di forze.

 

Se sono scultore mi è impossibile pensare alla calotta cranica per dare forma al capo umano;

lo formo invece dal di fuori, come esso debba la sua impronta al cosmo.

 

Ciò che mi dà la giusta curvatura della testa è da me formato secondo la dinamica e le forze che premono dall’interno verso l’esterno e si contrappongono alle forze che operano dal cosmo. Penso da scultore se formo le braccia non sulla base delle ossa, ma delle forze che agiscono quando ad esempio piego un braccio. Ho allora linee di forza, dispiego di forze, e non i muscoli e le ossa che sono presenti. La grossezza del braccio dipende da quel che vive in esso e non dai muscoli che ha attorno.

 

Poiché tuttavia si ha soprattutto la tendenza a rendere il bello, in modo da adeguare la bellezza umana a quella del cosmo, ciò può realizzarsi solo per la testa perché gli arti inferiori sono adeguati alla terra, e per questo si preferisce trascurarli. Si vorrebbe sollevare l’uomo dalla terra raffigurandolo artisticamente, ma la scultura lo renderebbe troppo terreno mettendo in evidenza la parte inferiore del corpo umano.

 

Ancora, osservando soltanto il capo e solo la sua parte superiore, la calotta cranica meravigliosamente curvata, e anche in modo diverso in ogni singolo individuo tanto che non vi è una frenologia generale ma solo individuale, vediamo che ripete l’intero cosmo. Le forme degli occhi e del naso sono già simili a quello che è l’organismo del tronco, hanno già preso qualcosa dalla periferia, dalla corrente equatoriale.

 

In una scultura che rappresenti l’uomo si sa dunque che non è possibile raffigurare gli occhi e un loro sguardo profondo o superficiale con un colore qualsiasi; ci si deve limitare a farli grandi o piccoli, sottili o ovali, più o meno diritti. Da come sia il passaggio dagli occhi al naso e dalla fronte al naso, si riesce a intuire come l’uomo veda, perché nello sguardo vi è tutta la sua anima, e lo sguardo risulta diverso a seconda che gli occhi siano sottili, ovali o diritti.

 

Basta poi soltanto intuire come si respiri attraverso il naso, come sia questa meravigliosa possibilità di espressione. Abbiamo qui qualcosa di cui si può dire: come l’uomo è nel tronco, come la forma del tronco è creata dal cosmo, così l’essere umano esprime negli occhi e nel naso quel che egli respira nel tronco e che batte nel cuore, lo esprime nella forma.

 

La testa umana si manifesta in realtà solo nella calotta cranica che nella sua forma rispecchia il cosmo. Come invece si reagisca al cosmo, non solo assorbendo passivamente ossigeno, ma come si sia partecipi della sostanza, come portiamo nel tronco il nostro essere incontro al cosmo, si manifesta in scultura nelle forme degli occhi e del naso.

 

Dando poi forma alla bocca, già formiamo in effetti l’uomo nel suo complesso, in quanto autoaffermantesi, in opposizione al cosmo. Diamo cioè forma al modo in cui l’essere umano reagisce al mondo, movendo dal suo sistema del ricambio. Nella bocca, nel mento, in tutto quanto è intorno alla bocca diamo forma all’uomo del ricambio e delle membra, però nella sua spiritualizzazione, nella sua immagine operante verso l’esterno.

 

A uno scultore che abbia davanti a sé una testa umana si presenta quindi l’essere umano nel suo complesso, secondo la natura dei suoi sistemi: nella calotta cranica con le sue particolari curvature il sistema dei nervi e dei sensi; negli occhi e nel naso, se parlassi secondo Platone, dovrei dire che risiede il coraggio umano, l’uomo che contrappone al cosmo la propria individualità interiore in quanto è coraggiosa, è anima coraggiosa. Dando forma alla bocca, poiché anch’essa è parte della testa e quindi è anche configurata dall’esterno, si ha una spinta opposta dall’interno, da ciò che nell’uomo vive nella sua interiorità.

 

Da questi brevi accenni, e non potevano essere che tali sui quali però conviene riflettere, si sarà visto che allo scultore non occorre soltanto una conoscenza del corpo umano che acquisisce copiando un modello, ma che egli deve essere in grado di sperimentare interiormente le forze che sono attive nel cosmo e che danno forma alla figura umana. Lo scultore deve saper creare sulla base delle forze che sono attive nel formare plasticamente il bambino dalla cellula fecondata nel corpo materno, e non solo con quelle esistenti nel corpo materno, ma con le forze cosmiche attraverso la madre.

 

Deve poter lavorare in modo da riuscire a capire in pari tempo, e sempre meglio quanto più scende verso il basso, che cosa si svela dall’entità individuale umana. Deve anzitutto comprendere come si formi il meraviglioso rivestimento umano, la sua pelle, come risultato di due forze: quelle da tutte le direzioni della periferia attive verso l’interno, e quelle che si contrappongono agendo centrifugamente verso l’esterno. Per lo scultore la forma esterna umana deve essere il risultato di forze cosmiche e di forze interne. Dovrà avere una sensazione del genere in ogni particolare.

 

Nell’arte è essenziale sentire il materiale, sapere quale sia il materiale adatto per il proprio lavoro, altrimenti non si fa della scultura, ma si illustra un’idea, si narra; se ad esempio si intende dar forma alla figura umana nel legno, per la parte superiore della testa si dovrà sapere, avere il sentimento che in quel punto la forma si imprime da fuori. Questo è il segreto per creare la figura umana. Per la fronte devo avere il sentimento che imprimo la forma da fuori e che da dentro si contrappongono altre forze. Potrò premere in modo più o meno forte per comprimere le forze attive dall’interno, tenendo presenti le indicazioni delle forze cosmiche a seconda delle quali deve diventare la testa.

 

Quando poi arrivo al restante corpo umano non progredisco se non opero dall’interno. Devo avere il sentimento di essere all’interno. Già per la formazione del petto mi devo trasporre all’interno dell’uomo e lavorare plasticamente da dentro verso l’esterno. La cosa è molto interessante. Per la creazione artistica si arriva alla necessità interiore di creare partendo da fuori facendo una testa, di pensare alla più lontana periferia e di creare verso l’interno; facendo invece un petto ci si deve trasferire all’interno e spingere la forma verso l’esterno; verso il basso si ha la sensazione che le forme vanno solo accennate, che si va nell’indeterminato.

 

L’attività artistica del presente considererebbe spesso un almanaccare non artistico quel che ora ho presentato. Il punto è tuttavia che si riesca a vivere artisticamente nella propria anima quel che ora ho detto, che in effetti come artisti ci si possa inserire in tutto l’universo creativo.

Si sarà allora ovunque spinti, avvicinandosi alle arti figurative, a non imitare la figura fisica umana, perché essa è solo un’imitazione del corpo delle forze formative.

Si sentirà allora la necessità che anzitutto sentivano i Greci. Mai essi avrebbero creato un naso o una fronte solo per imitazione; lo facevano come ora ho detto, perché queste cose erano in sostanza per loro istintive.

 

Si potrà allora ritornare a una vera ed elementare sensazione artistica quando ci si inserirà così nelle forze creative della natura con tutta la propria sensibilità animica interiore, con la propria interiore conoscenza totale, se posso usare questa espressione. Allora però non ci si occupa in effetti del corpo fisico, che è solo un’imitazione del corpo eterico, ma del corpo eterico stesso. Si dà forma allora al corpo eterico e per così dire lo si riempie di materia, di sostanza.

 

Quel che ora ho descritto è in pari tempo il cammino per uscire da uno studio teorico del mondo e penetrare in una visione vivente di qualcosa che non si riesce più a studiare in teoria. Non è possibile costruire nello stesso modo lo spazio per la scultura con la geometria analitica, come si costruisce quello euclideo, ma si può guardare con l’immaginazione questo spazio che esiste dappertutto e che dappertutto è in condizione di creare figure movendo da sé; dall’osservazione di questo spazio si creerà veramente nelle arti figurative, in architettura e in scultura.

 

Desidero qui fare un’osservazione che mi sembra importante affinché non sia frainteso ciò che può esserlo con facilità. Quando si guarda un ago magnetico la cui punta sia rivolta al polo magnetico del nord e l’altra estremità a quello sud, a nessuno verrà in mente, a meno che non sia del tutto un dilettante, di spiegare la direzione dell’ago in base alle forze dell’ago stesso, limitandosi a osservare ciò che vi è nell’acciaio dell’ago: sarebbe una sciocchezza. Per spiegarne la direzione si considera tutta la terra e non ci si limita all’ago.

 

Oggi l’embriologia segue un dilettantismo che ho appunto criticato. Vede solo il germe umano che si sviluppa nel corpo della madre, e in esso dovrebbero esservi tutte le forze che lo formano. In realtà, attraverso il corpo della madre agisce tutto il cosmo per configurare l’embrione umano. Nel cosmo vi sono le forze plastiche, come vi sono nella terra le forze per orientare l’ago magnetico. Come per studiare l’ago magnetico devo uscirne, così devo uscire dal corpo materno per studiare l’embrione e chiedere aiuto a tutto il cosmo. Allo stesso modo devo immedesimarmi in tutto il cosmo per capire ciò che mi guida la mano e il braccio quando intendo dare forma scultorea alla figura umana.

 

Si vede qui che la concezione antroposofica porta direttamente a una corrente evolutiva per l’attività artistica, uscendo da un limitato studio teorico. Osservare il corpo eterico non è infatti possibile in modo solo teorico. Occorre senz’altro avere lo spirito scientifico nel senso da me caratterizzato ieri; occorre però anche arrivare allo studio del corpo delle forze formative, affinché si trasformi in immaginazioni ciò che viene tessuto soltanto in pensieri. Non va cioè afferrato il mondo esterno in pensieri e in leggi di natura, a loro volta formulate in pensieri, ma in immaginazioni. E va anche reso in immaginazioni. Questo avviene quando si sia produttivi nella creazione artistica.

 

Risulta poi singolare, sapendo dell’esistenza del corpo delle forze formative, quando si faccia correre lo sguardo sui regni della natura, che il regno minerale non ha il corpo delle forze formative, ma lo hanno il regno vegetale, quello animale e quello umano. Il corpo delle forze formative nei vegetali è però molto diverso da quello degli animali, e ancor più da quello umano. Vi è comunque una stranezza: pensiamo di avere sensibilità e forze artistiche per la scultura e di dover rendere plasticamente delle forme vegetali: si incontrano resistenze.

 

Di recente ho cercato di farlo, almeno in bassorilievo, ma non si riesce a dar forma alle piante; al massimo si può imitare in qualche modo il loro movimento. Proprio non si riesce a rendere le piante in una scultura. È impossibile pensare ad esempio a una rosa col suo lungo stelo, o un’altra pianta qualsiasi, in una scultura. Perché?

 

Perché pensando alla forma della pianta, si pensa istintivamente al corpo delle forze formative che è nella pianta come lo è il corpo fisico, ma è in essa direttamente sviluppato. La pianta è già posta dalla natura come opera plastica, e non la si può modificare. Ogni forma vegetale sarebbe un pasticcio rispetto a ciò che la natura stessa produce nel corpo fisico e nel corpo delle forze formative della pianta. La pianta va lasciata com’è, o osservata con spirito da scultore, come fece Goethe nella sua metamorfosi delle piante.

 

Di un animale si può già fare una scultura, anche se il lavoro scultoreo per un animale è diverso rispetto a quello per l’uomo. Basta soltanto comprendere che in sostanza gli animali possono essere creature del processo respiratorio. E il caso dei felini. Vanno visti come creature del processo respiratorio; vanno considerati esseri del respiro, mettendo il resto tutt’attorno. Volendo invece rendere artisticamente un cammello o una mucca, vanno guardati come creature del processo di digestione e adattarvi tutto l’animale. In breve occorre osservare interiormente con occhio artistico quale sia l’aspetto più importante.

 

Differenziando ulteriormente quel che ora ho indicato in generale, si trova la possibilità di dare forma scultorea alle diverse figure animali. Perché tutto questo? La pianta ha il corpo eterico che viene creato dal cosmo ed è finito in sé; io non posso trasformarlo. La pianta è l’opera d’arte scultorea che esiste in natura. Contraddice l’intero senso dei fatti che io dia forma a una pianta in marmo o in legno. Potrebbe ancora andare in legno, perché esso è più vicino alla natura della pianta, ma è comunque non artistico il farlo. L’animale contrappone la propria natura a ciò che il cosmo crea da fuori. Nell’animale il corpo eterico non è creato soltanto dal cosmo, ma lo è anche dall’interiorità.

 

Per quanto riguarda l’uomo ho già detto che il corpo eterico ha preso forma dal cosmo soltanto per la calotta cranica. Ho detto anche come con gli occhi e il naso vi si contrapponga, raffinato, l’organismo del respiro, come vi si contrapponga tutto l’organismo del ricambio con la forma della bocca.

Qui si contrappone al cosmo l’elemento umano, ciò che proviene dall’uomo. Il risultato di queste due azioni, l’umana e la cosmica, è la delimitazione dell’essere umano. Ora il corpo eterico è tale da derivare dall’interiorità, e approfondendo artisticamente l’interiorità possiamo creare in libertà.

 

Come l’animale struttura da sé il suo corpo eterico in base al proprio essere, come l’uomo coraggioso o pavido, sofferente o gioioso armonizza il corpo eterico alla sua anima, così possiamo studiare, immedesimarci e riprodurre il corpo eterico.

Arriviamo così a dar forma nei modi più diversi alla figura umana, se abbiamo la giusta comprensione della scultura che ho caratterizzato.

 

Ci si mostra così che, osservando il corpo eterico, immaginativo, possiamo senz’altro lasciare alla scienza il corrente studio scientifico e sfociare in ciò che poi da sé diviene artistico. Si obietterà che l’arte non è la scienza. Tuttavia già l’altro ieri dissi che poiché la natura, il mondo, il cosmo sono essi stessi artistici, poiché ci presentano cose che si riesce a comprendere solo artisticamente, possiamo a lungo declamare che è illogico divenire artistici volendo comprendere le cose. Esse però non si mostrano a una conoscenza che non sfoci nell’arte.

 

Non si arriva a comprendere il mondo limitandosi a volerlo capire solo coni pensieri; perviene invece a una comprensione universale del mondo chi trova il passaggio del tutto organico e naturale dallo studio alla visione artistica e anche al lavoro artistico, in modo che da esso parli lo stesso spirito che si manifesta nelle parole con le quali si porta ad espressione, teorico-ideale, ciò che si vede nel mondo. Dallo stesso spirito deriva l’arte, come anche la scienza. Nell’arte e nella scienza abbiamo due aspetti della stessa manifestazione. Possiamo dire che da un lato vediamo le cose in modo da poterle descrivere in pensieri, e dall’altro le osserviamo in modo da poterle esprimere in forme artistiche.

 

Movendo da questo atteggiamento spirituale è sorta ad esempio la costruzione di Dornach, sia per quanto riguarda l’architettura, sia la scultura e la pittura. Potrei dire molto sulla pittura, perché anch’essa fa parte delle arti figurative. Si scivola però allora più sul lato animico, e tutto diventa espressione diretta dell’anima e non solo del corpo eterico che viene appunto colorato dall’anima.

 

Anche in questo si mostrerebbe come proprio la concezione antroposofica porti a salire a un tratto elementare e creativo dell’arte; oggi invece sia in campo religioso, sia artistico gli studiosi, ma anche gli artisti senza saperlo, in effetti vivono nella tradizione, nelle antiche forme stilistiche, nei vecchi motivi. Oggi si crede di essere produttivi, ma non lo si è. Di nuovo dobbiamo trovare la via per inserirci nella natura creatrice, affinché quel che produciamo sia veramente una creazione artistica, originaria ed elementare.

 

Tale atteggiamento portò di per sé che il gruppo artistico dell’euritmia sia cresciuto sul terreno dell’antroposofia. Ciò che nel linguaggio e nel canto risulta come una manifestazione dell’entità umana, grazie a un ben determinato gruppo di organi, può venir allargato a tutto l’essere umano, quando davvero lo si comprenda. In questo senso parlano tutti i documenti religiosi a seguito di antiche visioni istintive e chiaroveggenti. Ha già un significato che nella Bibbia sia detto che Jahvé insufflò nell’uomo l’alito vivente, indicando così che l’uomo è un essere del respiro.

 

Ieri avevo accennato a come in genere nei tempi più antichi dell’evoluzione dell’umanità dominava la visione che l’uomo è un essere che respira, un essere del respiro. Ciò che come tale egli diventa nel respiro strutturato, nel linguaggio e nel canto, può essere di nuovo ridato all’uomo intero nella sua figura. Come le corde vocali, la lingua e il palato si muovono assieme ad altri organi mentre si parla e si canta, perché ogni organo e ogni sistema di organi in un certo senso è l’espressione di tutto l’essere, così il movimento può essere trasmesso a tutto l’essere umano.

 

Come nasce infatti l’euritmia? In proposito ci basti ricordare il carattere interiore della dottrina della metamorfosi di Goethe, non ancora abbastanza apprezzata. Goethe vede con ragione la pianta intera nella singola foglia. In modo più primitivo la pianta intera è contenuta nella foglia, e d’altro canto la pianta intera è solo una foglia più complicata. In ogni singolo organo egli vede un intero essere organico non metamorfosato, mentre l’essere organico completo è una metamorfosi della singola parte. L’uomo nel suo complesso è una metamorfosi più complicata di un singolo sistema di organi, ad esempio del sistema della laringe.

 

Quando si comprenda come l’uomo intero sia una metamorfosi del sistema della laringe, si è in grado con altrettanta validità, con altrettanta interiore necessità della natura di far nascere dall’essere umano nel suo complesso un linguaggio visibile, un canto visibile col movimento dei suoi arti, col movimento di gruppi umani, proprio come canto e linguaggio nascono da un sistema di organi. Si è così inseriti nelle forze creative della natura. Ci si addentra nel modo in cui le forze dell’entità umana operano nel parlare e nel cantare.

 

Avendo tali forze è possibile trasferirle alle forme in movimento di tutto l’essere umano, come nella scultura si trasferiscono le forze del cosmo alla figura umana in riposo. Come si manifesta dall’anima quel che vive nella nostra interiorità in una poesia, in una canzone o in ogni altra forma artistica grazie al linguaggio, al canto o alla recitazione, così ciò si può anche esprimere con tutto l’uomo in un linguaggio e in un canto visibili.

 

Vorrei dire che quando formiamo plasticamente il corpo umano, quando rendiamo in una scultura la figura umana, creando il microcosmo da tutto il macrocosmo, lavoriamo a un polo. Quando poi ci immergiamo del tutto nell’interiorità umana seguendone la vivacità interiore, quando ci immergiamo nell’umano suo pensare, sentire e volere, in tutto quanto può manifestarsi appunto attraverso il linguaggio e il canto, possiamo creare una scultura mobile. Tutto il vasto universo è come disposto in una meravigliosa sintesi, quando noi creiamo una scultura; ciò che è concentrato nella più profonda interiorità umana come in un punto dell’anima si diffonde nella vastità dell’universo dalle forme in movimento che noi creiamo con l’euritmia.

 

L’altro polo risponde dall’essere umano nell’arte euritmica, nella scultura in movimento. Vediamo le vastità cosmiche rivolgersi alla terra e fluire nella figura umana in riposo, e abbiamo allora l’arte della scultura; ci immergiamo poi nell’interiorità umana e spiritualmente approfonditi in essa guardiamo alle forze che ci vogliono venire incontro e fluiscono in noi da ogni lato per formare la nostra figura, a ciò che per così dire scorre da noi verso tutti i punti della periferia cosmica e ci porta in questo senso all’euritmia.

 

Direi che l’universo ci pone un grave compito la cui soluzione è la bella figura umana; anche l’interiorità umana ci pone un grave compito. Attingiamo a infinite profondità quando ci immedesimiamo nell’interiorità umana con un amorevole e intimo sguardo dell’anima. L’interiorità umana intende andare con slancio in tutte le lontananze con movimenti vibranti e manifestare nel ritmo quel che è animicamente concentrato in un punto, come la scultura condensa nella figura umana, che per il cosmo è un punto, tutti i segreti del cosmo.

 

La figura umana nella scultura è la risposta alla grande domanda che ci pone l’universo. Quando l’arte del movimento diventa cosmica, quando l’essere umano crea qualcosa di cosmico con i suoi movimenti, come avviene nell’euritmia, nasce dall’uomo una specie di universo, almeno in immagine.

 

Abbiamo così davanti a noi due poli delle arti figurative: l’antichissima scultura e l’euritmia da creare a nuovo. Occorre entrare nello spirito dell’arte per vedere veramente la giustificazione dell’arte euritmica, e anche risalire nel tempo per realizzare come la scultura sia entrata nella civiltà umana. Si possono ben immaginare i pastori sul campo che, vegliando mentre tutti dormono, gettano i loro sguardi nelle lontananze stellari, accogliendo inconsciamente nell’anima le immagini del cosmo in base alle quali si formano le immaginazioni delle stelle in cielo. Quel che si sviluppava nell’anima di quegli uomini antichissimi si tramandò poi ai figli e ai nipoti, crescendo nelle anime e diventando capacità scultorea nei discendenti. Gli antenati ricevettero il cosmo nella sua bellezza, e i discendenti iniziarono la bella arte della scultura con le forze che le anime avevano accolto dal cosmo.

 

L’antroposofia non deve solo guardare in teoria ai segreti dell’anima umana, ma partecipare alle sue tragedie e alle sue gioie, con tutto quanto vi è fra le due. Deve essere in grado di vedere non soltanto tutto ciò, ma come nelle antiche immaginazioni si scorgessero con chiarezza le stelle, accogliendo nell’anima le forze plasmatrici delle costellazioni, così dall’anima si deve anche accogliere quel che si svolge in essa per comunicarlo con i movimenti: nasce così l’euritmia.

 

Oggi questo è stato solo un breve accenno per il passaggio naturale da ciò che l’antroposofia è come ideale a ciò che essa intende essere quale arte figurativa che veramente lavora in forme dirette e non allegoriche o simboliche. Capendo tutto ciò, si troverà anche la notevole relazione che l’arte ha con la scienza e con la religione. Si vedrà cioè la scienza da un lato e la religione dall’altro, con l’arte fra le due. Si vedrà così la scienza dalla quale l’uomo in sostanza ha la libertà, perché mai sarebbe arrivato a una completa e interiore libertà senza la scienza. Si vedrà che cosa abbiamo acquisito per la nostra individualità, che cosa il nostro essere ha acquisito considerandolo oggettivamente per essere arrivato alla scienza.

 

Ci siamo staccati dal cosmo con i pensieri e siamo per questo individualità umane. Assorbiamo in pensieri il modo in cui viviamo nelle leggi della natura. Siamo autonomi di fronte alla natura. Nella religione l’essere umano vuole abbandonarsi e ritrovare la via verso le basi essenziali della natura, vuole risorgere nella natura, vuole offrire la sua libertà sull’altare sacrificale dell’universo e abbandonarsi alla divinità, vuol avere, col respiro della libertà e dell’individualità, quello del sacrificio. Fra le due vi è l’arte, soprattutto anche l’arte figurativa, tutto ciò che ha le sue radici nel regno della bellezza.

 

Quando grazie alla scienza l’uomo diventa un essere libero, individuale, quando nelle forme religiose sacrifica il suo benessere, da un lato in libertà e dall’altro già presagendo il servizio sacrificale, nell’arte egli trova la possibilità di farsi valere, in certo modo sacrificando quel che il mondo ha fatto di lui: si dà la forma che il mondo gli ha dato, ma la crea da sé quale essere libero.

 

Anche nell’arte vi è qualcosa che libera. Nell’arte da un lato siamo individualità, e dall’altro ci sacrifichiamo. Come possiamo dire che la verità ci rende liberi, quando la comprendiamo in un modo ideale-scientifico, e anche secondo la scienza dello spirito, possiamo anche dire che nella bellezza troviamo di nuovo il nostro collegamento con il mondo. D’altra parte non possiamo esistere senza vivere in libertà e senza trovare il collegamento con il mondo. Troviamo la nostra individualità nei liberi pensieri e la possibilità di fare da noi stessi ciò che il mondo ha fatto di noi, di nuovo in collegamento col mondo stesso elevandoci al regno della bellezza, al regno dell’arte.