Triarticolazione animica

O.O. 293 – Arte dell’educazione I° – Antropologia – 27.08.1919


 

Fin qui abbiamo cercato di comprendere l’uomo dal punto di vista dell’anima,

in quanto tale comprensione ci è necessaria per l’educazione del bambino.

• Dovremo però tener separati i tre punti di vista: spirituale, animico e fisico,

e, per ottenere un’antropologia compiuta, studiare l’uomo da ciascuno di essi.

 

Abbiamo iniziato dal punto di vista animico, poiché l’anima, nella vita ordinaria è all’uomo più immediatamente prossima. Infatti avrete notato come abbiamo messo a fuoco l’elemento animico, in quanto, per comprendere l’uomo, ci siamo serviti dei concetti principali dell’antipatia e della simpatia.

Non sarebbe utile per noi passare immediatamente dall’animico al corporeo perché, dalle nostre considerazioni di scienza dello spirito, sappiamo che il corporeo può essere inteso soltanto quando venga preso come manifestazione dello spirituale e anche dell’animico.

Perciò, alle considerazioni che in linee generali abbiamo già fatto dal punto di vista animico, ne aggiungeremo ora altre dal punto di vista spirituale; e solo in seguito entreremo più addentro in ciò che oggi si chiama «antropologia», cioè nella vera e propria considerazione dell’essere umano quale ci si mostra nel mondo fisico esteriore.

 

Ogni qualvolta vogliate, da qualsiasi punto di vista, studiare giustamente l’uomo,

dovrete sempre ritornare a questa distinzione delle facoltà animiche umane:

del conoscere, che si svolge nel pensare, del sentire e del volere.

 

Finora abbiamo osservato tali attività collocandole, per così dire, nell’atmosfera dell’antipatia e della simpatia;

ora vogliamo guardare il pensare, il sentire e il volere dal punto di vista spirituale.

 

Anche dal punto di vista spirituale constaterete una differenza tra volere, sentire e conoscere pensante.

• In quanto conoscete pensando, dovete sentire (se mi è lecito esprimermi da prima con un’immagine, ma l’immagine ci aiuterà ad arrivare ai concetti) di vivere – in certo modo – nella luce.

• Nell’attività del conoscere, vi sentite col vostro io totalmente immersi in essa.

 

Ogni parte, ogni elemento dell’attività che chiamiamo «conoscere», è dentro in tutto ciò che il vostro io compie;

e ciò che il vostro io compie è, a sua volta, tutto implicato nell’attività del conoscere.

Siete interamente nella chiarità, vivete in un’attività pienamente cosciente, per dirla in modo concettuale.

 

Sarebbe infatti un guaio se, nel conoscere, non foste pienamente coscienti,

se cioè aveste il senso che, mentre formate un giudizio, nel vostro io avviene qualcosa, ma subconsciamente,

e che il giudizio è il risultato di tale processo inconscio.

 

Supponiamo di dire: «quest’uomo è buono», di pronunciare dunque un giudizio. Dobbiamo renderci conto che gli elementi necessari per formulare tale giudizio (soggetto: «l’uomo»; predicato: «è buono») sono parti di un processo che ci è interamente presente, che è per noi tutto pervaso dalla luce della coscienza. Se dovessimo supporre che qualche dèmone, o qualche meccanismo naturale, congiungessero «l’uomo» con «l’essere buono», mentre poi formuliamo il giudizio in questione, non staremmo con piena coscienza dentro quest’atto di pensare conoscente, ma con una parte del nostro giudizio, saremmo sempre nell’inconscio.

L’essenziale nel pensare conoscente sta nel fatto che noi siamo sempre inseriti con tutta la nostra consapevolezza in tutto il processo.

 

Non così nel volere. Nella nostra attività volitiva più semplice, cioè nel camminare, noi viviamo in piena coscienza solo nella rappresentazione di ciò che facciamo. Nulla sappiamo di quanto si compie entro i nostri muscoli mentre muoviamo una gamba dopo l’altra, di ciò che si svolge nell’organismo e nei meccanismi del nostro corpo. Pensate che infinità di cose dovremmo apprendere dal mondo, se dovessimo eseguire coscientemente tutte le volizioni necessarie per camminare. Dovremmo sapere esattamente quanto delle attività che le sostanze alimentari suscitano nei muscoli delle gambe e del resto del corpo viene consumato quando facciamo lo sforzo di camminare. Non abbiamo mai fatto questo calcolo, poiché sappiamo che tutto ciò si svolge nel nostro corpo inconsciamente.

 

In quanto «vogliamo», si mescola continuamente nella nostra attività qualcosa di profondamente inconscio; e non solo nell’attività interiore del nostro organismo, ma anche quando rivolgiamo il nostro volere al mondo esteriore, siamo ben lontani dal riuscire a illuminarlo tutto con la luce della coscienza.

 

 

Supponiamo di avere due pali, sopra i quali appoggiamo un terzo. Ora distinguiamo esattamente tutta l’attività conoscitiva pienamente cosciente che vive nel dare il giudizio «l’uomo è buono», dall’attività di piantare i pali, della quale non sappiamo proprio niente, anche se l’abbiamo svolta con tutto il nostro volere.

 

Perché questi due pali sostengono, grazie a certe forze, la trave sovrapposta? A tale domanda la fisica finora non ha altra risposta che qualche ipotesi; chi s’immagina di «sapere» perché i due pali sostengano la trave, s’illude.

 

In ultima analisi tutti i concetti di coesione, adesione, attrazione e repulsione

non sono che ipotesi per il sapere esteriore.

 

Quando noi agiamo, ci fondiamo sopra tali ipotesi esteriori; calcoliamo che i due pali che devono sostenere la trave resisteranno, purché abbiano una certa grossezza. Ma non siamo in grado di penetrare in tutto il processo, come non possiamo penetrare con lo sguardo in tutti i movimenti delle nostre gambe quando camminiamo. Così anche qui si mescola, nel nostro volere, un elemento che non affiora alla coscienza.

Il volere ha in sé, in amplissima misura, un elemento inconscio.

 

Il sentire sta proprio nel mezzo tra il volere e il conoscere pensante;

ed è in parte compenetrato dalla coscienza, in parte da qualcosa d’inconscio.

 

Sicché, anche in questo modo, il sentire partecipa,

• da un lato del carattere del pensare conoscente,

• dall’altro delle proprietà di un volere senziente.

 

Che cosa ci sta qui dinanzi dal punto di vista spirituale?

Procederemo in modo corretto, se dal punto di vista spirituale arriveremo alla comprensione dei fatti prima descritti in questo modo.

 

Nella vita solita abbiamo lo stato di coscienza che chiamiamo «di veglia», ma abbiamo tale stato unicamente nell’attività del pensare conoscente; esprimendoci con precisione, dobbiamo dire:

• l’uomo è veramente sveglio soltanto in quanto e fino a quando conosce pensando qualche cosa.

 

In quanto al volere, è noto a tutti lo stato di coscienza o, se volete, lo stato d’incoscienza del sonno.

Sappiamo che, mentre dormiamo, cioè dall’addormentarci al risveglio, quello che sperimentiamo non è dentro la nostra coscienza. Precisamente lo stesso è di tutto quanto d’inconscio permea il nostro volere.

 

• In quanto come uomini siamo esseri volitivi, «dormiamo» anche mentre siamo svegli.

• Portiamo sempre con noi un uomo che dorme, cioè l’uomo volitivo,

e lo accompagniamo con l’uomo sveglio, che conosce pensando;

in quanto esseri volitivi, dormiamo anche dal momento del risveglio fino a quando ci riaddormentiamo.

 

Qualcosa, cioè l’intima entità del nostro volere, è continuamente dormiente in noi, e noi non ne siamo maggiormente coscienti che dei processi svolgentisi in noi durante il sonno. Non si conosce l’uomo compiutamente se s’ignora che, in quanto egli esercita il volere, interviene nel suo stato di veglia il sonno.

 

Il sentire sta nel mezzo.

E ora possiamo chiederci: quale grado di coscienza è presente nel sentire?

Anch’esso sta nel mezzo tra il vegliare e il dormire.

 

• Noi conosciamo i sentimenti che vivono nella nostra anima, proprio come conosciamo i sogni,

solo che questi li ricordiamo, mentre i sentimenti li sperimentiamo direttamente.

• Ma la condizione interiore e l’atteggiamento dell’anima, che avete quando siete consapevoli del vostro sentire,

sono gli stessi che avete nei confronti del sogno.

 

Nello stato di veglia

• non siete solo uomini svegli in quanto conoscete pensando,

• non siete solo dormienti in quanto esercitate la volontà,

• siete anche sognanti in quanto provate sentimenti.

 

Sopra di noi fluiscono tre stati di coscienza durate la nostra veglia:

• la veglia nel vero senso della parola nella conoscenza pensante,

• il sogno nel provare sentimenti,       •  il dormire nel volere.

 

Dal punto di vista spirituale,

• il sonno ordinario senza sogni non è altro che la dedizione dell’uomo, con tutta la sua anima,

a ciò a cui egli si abbandona col suo volere durante il corso della giornata.

 

La sola differenza sta in questo:

nel sonno vero e proprio noi dormiamo con tutto il nostro essere animico,

mentre durante la veglia dormiamo solo col nostro volere.

 

Nel sognare, come lo intendiamo nella vita solita,

noi ci abbandoniamo con l’intero essere nostro allo stato animico che chiamiamo «sogno»,

mentre durante la veglia ci abbandoniamo a tale stato sognante soltanto col sentire.

…….

Solo riconoscere

che già nell’essere umano infantile abbiamo a che fare con diversi stati di coscienza – veglia, sogno, sonno –

ci porterà a una vera conoscenza dei nostri compiti di fronte all’essere umano in divenire.

 

Ora possiamo chiederci: come si comporta il vero centro dell’uomo, l’io, di fronte a questi diversi stati?

Per intenderlo più facilmente, partiamo dalla premessa, indiscutibile, che quel che chiamiamo «mondo», o «cosmo», è una somma di attività. Queste attività si esprimono per noi nei diversi campi della vita elementare. Sappiamo che nella vita elementare dominano certe forze, per esempio la forza vitale che regna tutt’intorno a noi. Intessuto tra le forze elementari e la forza vitale, vi è tutto ciò che produce il fuoco, il calore. Pensate soltanto quanto intensamente siamo inseriti in un ambiente in cui moltissimi effetti sono causati dal fuoco.

 

In certe regioni della terra, ad esempio nell’Italia meridionale», basta accendere una palla di carta, perché dal suolo s’innalzi una possente colonna di fumo. Qual è la causa di tale fenomeno? Il calore che si sprigiona dalla carta accesa rarefà l’aria, perciò le forze che di solito vivono sotto la superficie della terra, si rendono visibili nel fumo che s’innalza. Appena accesa la palla di carta e gettatala per terra, ci si trova avvolti da una nuvola di fumo. È un esperimento che ognuno può fare quando arriva nei dintorni di Napoli. Questo non è che un esempio per mostrarvi che, se non guardiamo il mondo superficialmente, dobbiamo dirci che l’ambiente nel quale viviamo è pervaso ovunque di forze.

 

Vi sono però anche forze superiori al calore, e anche di queste è pervaso il nostro ambiente; noi passiamo attraverso ad esse quando, come uomini fisici, andiamo per il mondo. Il nostro corpo fisico, sebbene non lo sappiamo nella nostra conoscenza ordinaria, è in grado di sopportare ciò. Con il nostro corpo fisico noi possiamo attraversare il mondo.

 

Con l’io, che è la creazione più recente della nostra evoluzione, non potremmo andare e venire in mezzo a tali forze, se esso dovesse avere, nei loro riguardi, una dedizione immediata.

L’io non potrebbe dedicarsi a tutto quello che si trova nel suo ambiente e dove esso stesso è inserito.

Il nostro io deve ancora venir preservato dall’immergersi nelle forze del mondo.

 

Un giorno sarà abbastanza evoluto da esserne capace; per ora non lo è.

Perciò occorre che, per quanto riguarda il nostro io pienamente sveglio,

noi non veniamo immersi nel vero mondo che ci attornia, ma solo nell’immagine di esso.

• Abbiamo quindi nella nostra conoscenza pensante soltanto le immagini del mondo.

 

Abbiamo già accennato a ciò dal punto di vista dell’animico.

Ora guardiamo la cosa anche dal punto di vista spirituale.

 

Nella conoscenza pensante viviamo in immagini;

in quanto uomini al gradino attuale dell’evoluzione, durante la vita tra la nascita e la morte,

col nostro io pienamente desto non possiamo altrimenti che vivere nelle immagini del cosmo, non nel cosmo reale.

Perciò, quando siamo svegli, il nostro corpo deve anzitutto presentarci le immagini del cosmo;

e in esse vive allora il nostro io.

 

Gli psicologi si affaticano per cercare di costatare i rapporti tra il corpo e l’anima. Parlano di «reciproca azione» tra i due, di parallelismo psicofisico, e di molte altre cose ancora le quali, in sostanza, sono concetti puerili.

Il processo reale in questione è infatti il seguente: quando il mattino l’io passa allo stato di veglia, esso penetra nel corpo, non però nei processi fisici di questo, bensì nel mondo d’immagini che dei processi esteriori il corpo produce, fin nelle sue profondità più recondite. Da ciò viene trasmessa all’io la conoscenza pensante.

 

Diverso è il caso per il sentire.

Qui l’io penetra già nel corpo stesso, e non solo nelle immagini.

Tuttavia se in tale penetrazione fosse pienamente cosciente, l’io, animicamente parlando, brucerebbe.

 

• Se per il sentire avvenisse ciò che avviene nel pensare,

in quanto col nostro io penetriamo nelle immagini che il corpo produce, non lo sopporteremmo:

la nostra anima ne rimarrebbe bruciata.

• Noi possiamo sperimentare tale penetrazione, in cui consiste il sentire,

solo in uno stato di sogno, in una coscienza attutita.

• Ciò che avviene nel nostro corpo nel sentire è sopportabile soltanto in un sogno.

 

Ciò che si svolge nel volere può essere da noi sperimentato solamente dormendo.

Sarebbe qualcosa di terribile se dovessimo sperimentare nella vita ordinaria tutto ciò che si svolge nel nostro volere.

Si proverebbero i dolori più terribili, se dovessimo davvero sperimentare come si consumino nelle nostre gambe, mentre camminiamo, le forze apportate dagli alimenti all’organismo. E’ una gran fortuna per noi che tale processo non si sperimenti, se non in uno stato di sonno, perché provarlo in condizioni di veglia significherebbe una sofferenza indicibile. Se nel volere si raggiungesse lo stato di veglia, il dolore che altrimenti resta latente e che viene attutito dallo stato di sonno del volere, entrerebbe nella coscienza.

 

Ora comprenderete come si svolga veramente la vita dell’io

durante lo stato che di solito chiamiamo «di veglia», e che abbraccia tre stati:

• uno di veglia totale,

• uno (per così dire) di veglia sognante,

• e un terzo stato di veglia dormiente,

se caratterizzo che cosa l’io in verità sperimenta quando nel normale stato di veglia vive nel corpo.

 

L’io vive nella conoscenza pensante, in quanto si desta entrando nel corpo;

• lì è del tutto cosciente, ma solo in immagini,

sicché l’uomo, nella sua vita tra nascita e morte,

se non si esercita nel modo indicato nel mio libro L ’iniziazione

vive continuamente solo in immagini, con la sua conoscenza pensante.

 

Inoltre l’io, svegliandosi, s’immerge anche nei processi che provocano il sentire.

È questa una vita senziente in cui non siamo totalmente svegli, ma siamo in una condizione di veglia sognante.

 

Come sperimentiamo, veramente, ciò che proviamo sentendo, in questo stato di veglia sognante?

Lo sperimentiamo in quelle che si sono sempre chiamate ispirazioni,

rappresentazioni ispirate, ma inconsciamente ispirate.

 

• Qui è la sorgente di tutto ciò che, in fatto di sentimenti, nell’artista si eleva alla coscienza sveglia;

e qui viene prima di tutto sperimentato.

• Qui è la sorgente di quelle che, nell’uomo sveglio, sorgono spesso come «idee subitanee»,

che emergono nella coscienza sveglia e diventano poi immagini.

 

• Quelle che nel mio libro L’iniziazione vengono chiamate «ispirazioni» non sono che le ispirazioni inconsce,

presenti in ognuno sotto la vita di sentimento, sollevate ora però alla piena chiarezza della coscienza.

 

 

 

 

E quando persone particolarmente dotate parlano delle loro ispirazioni, parlano in realtà di ciò che il mondo ha deposto nel loro sentimento e che, grazie alle loro facoltà, pervengono a sollevarsi alla piena coscienza di veglia. Sono contenuti del mondo, proprio come è contenuto del mondo ciò che vive nel pensiero.

Ma, nella vita tra nascita e morte, tali ispirazioni inconsce rispecchiano processi del mondo che noi possiamo sperimentare solo sognando, altrimenti il nostro io brucerebbe e soffocherebbe in questi processi. Tale soffocamento si trova infatti in uno stato incipiente in persone in condizioni anormali.

 

In ciò che chiamiamo incubo, si verifica fra noi e l’aria esterna, se non è regolare tale rapporto di scambio, uno stato che tende a trasformarsi in modo anormale in qualcos’altro e, in quanto vuol arrivare alla coscienza dell’io, non diviene cosciente come una rappresentazione normale, ma tormentosa, come è appunto l’incubo.

E come è tormentosa la respirazione anormale nell’incubo, così sarebbe tormentosa tutta la respirazione, fino in ogni singolo respiro, se l’uomo sperimentasse il respiro in condizione di piena coscienza. Egli lo sperimenterebbe sentendo, ma sarebbe per lui una sofferenza. Perciò il respirare viene attutito, e non lo sperimentiamo come processo fisico, ma soltanto in un sentimento di sogno.

 

Non parliamo poi dei processi che si svolgono nel volere; ve l’ho già detto, darebbero una sofferenza terribile!

Ma l’io, negli atti volitivi, dorme, e ciò che si sperimenta allora, con una coscienza fortemente attutita, appunto in una coscienza di sonno, si sperimenta in forma di intuizioni inconsce.

L’uomo ha continuamente tali intuizioni inconsce; ma esse vivono nel suo volere. Egli nel suo volere dorme.

Per questo non può sollevarle a coscienza nella vita ordinaria, ma gli affiorano solamente nei momenti specialmente fortunati in cui, del tutto ottusamente, l’uomo sperimenta il mondo spirituale.

 

Ora, qualcosa di singolare esiste nella vita ordinaria dell’uomo. Noi tutti conosciamo lo stato di piena coscienza nella vita compiutamente sveglia. Qui siamo nella piena chiarezza della coscienza e possiamo orientarci in essa. Ma qualche volta, dopo aver riflettuto alquanto sopra le cose del mondo, capita che qualcuno dica: «Ho delle intuizioni». E allora, da queste intuizioni, le persone in questione traggono cose vagamente sentite.

Ciò che dicono in quel caso può essere talvolta assai confuso, ma può anche essere inconsciamente regolato.

In sostanza, quando il poeta parla delle sue intuizioni, è ben vero che da prima egli non le attinge dalla sorgente più immediata, cioè dalle rappresentazioni ispirate della vita del sentimento, ma che esse gli affiorano dalla regione del tutto inconscia del volere dormiente.

 

Ora, se vogliamo farci uno schema della vita dell’io nel corpo, e lo facciamo come segue:

I — veglia – conoscenza per immagini

II — sogno – sentire ispirato

III — sonno – volere intuitivo o intuito

non riusciremo a intendere bene perché l’elemento intuitivo, di cui gli uomini parlano per istinto, nella vita quotidiana sorga più facilmente nella conoscenza per immagini, che non il più vicino sentire ispirato.

Ma se invece di fare uno schema erroneo, come più sopra, lo disegnate in modo giusto, la cosa vi apparirà più comprensibile.

Vi direte allora: nella direzione della freccia discendente il conoscere per immagini discende nelle ispirazioni; e dalle intuizioni risale di nuovo nel senso dell’altra. Ma tale conoscere, qui indicato con la freccia discendente, è il discendere dentro il corpo. Ora osservatevi bene: voi state da prima del tutto fermi, in piedi o seduti, e vi abbandonate alla conoscenza pensante, alla considerazione del mondo esterno. Qui vivete nell’immagine.

 

 

 

 

Ciò che l’io sperimenta di solito di fronte ai processi esteriori, scende nel corpo, prima nel sentire, poi nel volere.

Ciò che avviene nel sentire, non lo rilevate; e da prima non rilevate nemmeno ciò che avviene nel volere. Solo se cominciate a camminare, o ad agire, ciò che considerate per primo non è il sentire, ma il volere. E in ciò che è indicato dalle due frecce, cioè nel discendere nel corpo e poi nel risalire, il volere intuitivo ha meno strada da fare per arrivare alla coscienza immaginativa, che non il sentire ispirato e sognante.

Perciò gli uomini dicono spesso di avere intuizioni indeterminate, ma scambiano ciò che viene chiamato «intuizione» nel mio libro L’iniziazione, con l’intuizione superficiale della coscienza ordinaria.

 

La configurazione del corpo umano vi sarà ora più comprensibile.

Immaginate per un momento di camminare osservando il mondo; ma immaginate che le vostre gambe non siano attaccate alla parte inferiore del corpo, bensì direttamente alla testa, sì che la testa sia quella che cammina.

In tal caso la vostra osservazione del mondo e la vostra volontà sarebbero riunite, e la conseguenza sarebbe che dovreste camminare dormendo.

 

Invece, essendo la vostra testa poggiata sulle spalle e sul resto del corpo, essa vi sta in uno stato di riposo;

sicché la testa viene da noi portata, mentre solamente il resto del nostro corpo si muove.

• La testa deve appunto riposare sul corpo,

altrimenti non potrebbe essere l’organo della conoscenza pensante.

 

Deve venir quindi sottratta alla volontà dormiente, poiché nel momento in cui la si mettesse in moto, traendola dal suo relativo riposo, per metterla in un movimento autodeterminato, la nostra testa si addormenterebbe.

 

La testa lascia che il corpo provveda al volere vero e proprio:

vive nel corpo come in una carrozza da cui si lasci trainare.

• Solo grazie al fatto che il capo si fa trainare, come in una carrozza, dal corpo

e che, mentre si lascia trainare, opera stando fermo, stando in riposo, l’uomo agisce in stato di veglia.

 

Solo accostando in questo modo tra loro i diversi fatti,

arriverete a comprendere realmente la configurazione del corpo umano.