Che cosa è dunque mai l’entità che ci si presenta come Cristo Gesù, all’inizio della nostra èra?

O.O. 103 – Il Vangelo di Giovanni – 20.05.1908


 

Che cosa è dunque mai l’entità che ci si presenta come Cristo Gesù,

all’inizio della nostra èra?

 

• Non è altro che l’incarnazione del Logos, dei sei Elohim, ch’erano stati preceduti dal settimo, dal dio Jahvé.

• La figura unica di Gesù di Nazaret, in cui era incarnato il Cristo, o il Logos,

porta dunque entro la vita umana, entro la storia umana,

ciò che prima era fluito sulla Terra sempre e solo dal Sole, ch’era contenuto nella luce del Sole.

« Il Logos si fece carne »: ecco ciò a cui il vangelo di Giovanni attribuisce la massima importanza.

 

E l’autore di questo vangelo doveva attribuire il massimo valore proprio a questo fatto, poiché è proprio vero che mentre alcuni dei discepoli iniziati del Cristo avevano compreso di che cosa si trattasse, altri invece non potevano comprenderlo appieno.

 

Questi ultimi erano bensì perfettamente consapevoli che qualcosa di animico-spirituale stava alla base di ogni esistenza materiale, ma non riuscivano a concepire che il Logos stesso si fosse una volta incarnato in un singolo uomo, in modo fisicamente visibile per il mondo fisico.

 

Questo non potevano comprenderlo;

ed è questo il punto in cui la gnosi dei primi secoli cristiani si distingue dal vero cristianesimo esoterico.

 

L’autore del vangelo di Giovanni sottolinea con forti parole questo: no, non dovete considerare il Cristo come un essere soprasensibile, che rimane invisibile, pur costituendo il fondamento di ogni cosa materiale; dovete al contrario attribuire la massima importanza al fatto che il Verbo si è fatto carne e che ha abitato fra noi!

Questa è la sottile differenza fra il cristianesimo esoterico e la gnosi originaria.

 

La gnosi non conosce il Cristo come lo conosce il cristianesimo esoterico, ma solo come un’entità spirituale; e in Gesù di Nazaret essa scorge tutt’al più un annunciatore umano, più o meno strettamente legato a quell’entità spirituale.

La gnosi non vuol rinunciare al Cristo che rimane invisibile; il cristianesimo esoterico, invece, è sempre stato consono al vangelo di Giovanni, fondato solidamente sulle parole: «E il Logos si è fatto carne ed ha abitato fra noi».

 

Colui che è apparso nel mondo visibile è una reale incarnazione dei sei Elohim, del Logos.

Con ciò, la missione della Terra è realmente penetrata nella Terra: prima, tutto era stato solo preparazione.

 

Come doveva dunque soprattutto qualificare se stesso, il Cristo che dimorava nel corpo di Gesù di Nazaret? Doveva qualificarsi essenzialmente come il grande apportatore e vivificatore dell’entità umana, libera e cosciente di sé.

Se vogliamo racchiudere in brevi, paradigmatiche sentenze questa vivente dottrina del Cristo, dobbiamo dire: la Terra esiste per conferire all’uomo la piena coscienza di sé, l’«io sono».

 

Prima, tutto era stato soltanto preparazione di questa coscienza di sé, di questo «io sono»; e il Cristo fu colui che dette l’impulso a che tutti gli uomini – ciascuno come essere singolo – potessero sentire l’«io sono».

Solo ora vien dato quell’impulso formidabile che porta avanti d’un balzo gli uomini sulla Terra.

 

Possiamo constatarlo, se confrontiamo il cristianesimo con la dottrina dell’Antico Testamento, in cui l’uomo non sentiva ancora appieno l’«io sono» nella propria persona.

Egli era ancora dotato di residui del tempo antico, della coscienza sognante, quando l’uomo non si sentiva come un individuo, ma come parte dell’entità divina, come ancor oggi l’animale si sente parte dell’anima di gruppo.

 

Dall’anima di gruppo sono partiti anche gli uomini,

per progredire verso l’esistenza individuale indipendente, che sente in ogni singolo l’« io sono »;

e Cristo è la forza che ha portato gli uomini a questa libera coscienza dell’« io sono ».

Contempliamo questa realtà nel suo pieno, intimo significato.

 

Il seguace dell’Antico Testamento non si sentiva ancora così segregato nella propria singola personalità, come quello del Nuovo Testamento; egli non diceva ancora in se stesso: « Io sono un io ». Si sentiva parte dell’antico popolo ebreo e si sentiva partecipe dell’io di gruppo del popolo.

 

Cerchiamo di trasferirci con vivezza nella coscienza di un seguace dell’Antico Testamento:

egli non sentiva « l’io sono » come lo sente un vero cristiano, come sempre più imparerà a sentirlo un vero cristiano.

Si sentiva come un elemento di tutto il popolo, e innalzando lo sguardo all’anima di gruppo così poteva esprimersi:

« La mia coscienza risale fino ad Abramo, fino al padre dell’intero popolo; noi – io e Abramo – siamo uno.

Un io comune ci abbraccia tutti; e mi sento accolto nella sostanzialità spirituale del mondo

solo quando mi sento riposare in seno all’intera sostanza del popolo ».

 

Così il seguace dell’Antico Testamento guardava indietro fino al padre Abramo, dicendo:

«Io e il padre Abramo siamo uno! nelle mie vene fluisce lo stesso sangue del padre Abramo».

Sentiva il padre Abramo come la radice dalla quale scaturiva come un rampollo ogni singolo abramita.

 

Ma venne il Cristo Gesù e disse ai suoi iniziati più vicini, più intimi:

• «Finora gli uomini hanno giudicato secondo la carne,

secondo l’affinità del sangue, che conferiva loro la coscienza di riposare entro un nesso superiore invisibile.

• Ma voi dovete credere a una connessione assai più spirituale,

a quella connessione che va oltre l’affinità del sangue;

dovete credere a un fondamento, a un padre spirituale, nel quale ha radice l’io,

e che è più spirituale del fondamento comune che cementa il popolo ebraico come anima di gruppo;

dovete credere a ciò che riposa in me e in ogni uomo,

e questo è uno non solo col padre Abramo, ma con il fondamento divino del cosmo».

 

Perciò il Cristo Gesù affermava, secondo il senso del vangelo di Giovanni:

«Prima che fosse il padre Abramo, era l’ “io sono” (Giov. 8, 58)»,

il mio io primordiale non risale soltanto al principio-padre che arriva fino ad Abramo;

anzi, l’io è identico a ciò che pulsa attraverso il cosmo intero, e la mia spiritualità risale fino a quello.

«Io e il Padre siamo uno» (Giov. 10, 30).

 

Questa è la sentenza piena di significato che occorre sentire fino in fondo;

si sentirà allora la spinta possente che afferrò gli uomini, facendone progredire l’evoluzione,

grazie all’impulso donato dall’apparizione del Cristo Gesù.

Cristo fu il grande animatore dell’«io».

 

Cerchiamo ora di ascoltare ciò che dicevano i suoi intimi iniziati e come essi esprimevano quanto si era loro rivelato. Dicevano:

• finora non è mai esistito un singolo uomo di carne al quale si potesse attribuire il nome dell’« io sono »,

nel senso di colui che per primo abbia portato nel mondo l’intero significato dell’« io sono ».

 

• Perciò essi definivano l’« io sono » come il nome del Cristo.

• Nel nome « io sono » si sentivano uniti gli iniziati più intimi del Cristo, nel nome che essi intendevano così.

• E questo è il modo in cui dovete immergervi nei capitoli più importanti del vangelo di Giovanni.

 

Se ad esempio prendete il capitolo in cui sta scritto: « Io sono la luce del mondo » (Giov. 8, 12),

dovete prendere queste parole nel senso più rigorosamente letterale.

•  Che cos’era l’« io sono » che apparve allora per la prima volta nella carne?

Era la stessa sostanza che fluisce sulla Terra come forza del Logos nella luce solare.

 

In tutto l’ottavo capitolo, a partire dal 12° versetto, che di solito viene intitolato « Gesù, luce del mondo »,

troviamo la parafrasi di questa profonda verità che riguarda il significato dell’« io sono ».

Leggete quel capitolo in modo da accentuare sempre le parole « io » o « io sono »,

e tenendo conto del fatto che « io sono » era il nome nel quale gli iniziati si sentivano uniti.

 

Allora comprenderete quel capitolo, come se lo leggeste formulato a un dipresso così:

• « E Gesù parlò ai suoi discepoli e disse:

Ciò che può dire « io sono » a se stesso è la forza della luce del mondo;

e chi mi segue, vedrà nella chiara, luminosa coscienza diurna

quanto non scorgono coloro che camminano nelle tenebre ».

 

Ma quelli che seguivano l’antica fede che la luce dell’amore potesse venire inculcata nell’uomo solo nel modo notturno, e che venivano chiamati i Farisei, rispondevano: tu ti richiami al tuo «io sono»; noi invece ci richiamiamo al padre Abramo. E in questa connessione sentiamo la forza che ci autorizza a presentarci come esseri coscienti di sé; e ci sentiamo forti, immergendoci in quel fondamento d’un io comune che risale fino al padre Abramo.

 

Gesù replicava: se si parla dell’« io » nel senso in cui ne parlo, la testimonianza è vera,

poiché so che quell’« io » proviene dal Padre,

dal fondamento primordiale comune a tutto l’universo, e so anche dove va.

 

Ed ora segue il passo importante (8, 15) che dovrete tradurre letteralmente così:

•  «Voi giudicate tutto secondo la carne. Io invece non giudico il niente ch’è nella carne.

E se giudico, il mio giudizio è vero, poiché allora l’io non sta solo per se stesso,

ma è congiunto col Padre dal quale esso proviene».

 

Questo è il senso di quel passo. E potete scorgere ovunque il richiamo al Padre comune;

sul concetto del Padre avremo modo di tornare anche con maggior precisione.

 

Vedete dunque che nelle parole: « Prima che il Padre Abramo fosse, era l’ “io sono”»

è contenuta, vivente, la quintessenza della dottrina cristiana.