Chi appare accanto al Cristo Gesù, quasi nudo, e scappa poi, tutto nudo?

O.O. 139 – Il Vangelo di Marco – 23.09.1912


 

Ho già accennato al fatto che il vangelo di Marco ci mostra chiaramente come nella sua narrazione si intreccino ai fatti materiali i fatti spirituali, occulti. Ci viene chiaramente indicato che il Cristo non era limitato nella sua azione alla singola personalità di Gesù di Nazaret, ma agiva sui suoi discepoli al di fuori del suo corpo, come quando andò verso di loro sul mare. Così egli era in grado di operare sulle anime dei discepoli, irraggiando in esse il suo impulso, il suo spirito, anche stando al di fuori del suo corpo fisico, mentre quest’ultimo si trovava altrove.

 

Proprio il vangelo di Marco ci indica con particolare chiarezza che certe persone percepivano quello che egli insegnava o faceva, in uno stato di esteriorizzazione, cioè al di fuori del suo corpo fisico. Tutto questo viveva poi nelle anime altrui: esse non lo comprendevano, ma vi si immergevano. Era al tempo stesso qualcosa di terreno e di celeste, qualcosa che stava entro l’individualità del Cristo e anche nella gente.

 

Il Cristo era sempre congiunto con un’aura la cui azione si estendeva lontano.

Quest’aura poteva operare in quanto egli era costantemente congiunto con le anime di coloro che aveva eletti,

e poteva agire fintanto che egli era unito con loro.

Ma il calice non era stato allontanato: gli eletti non avevano mostrato comprensione.

 

Allora a poco a poco l’aura si ritirò dall’uomo Gesù di Nazaret;

il Cristo e il figlio dell’uomo, Gesù di Nazaret, divennero sempre più estranei l’uno all’altro.

Gesù di Nazaret rimase sempre più solo, verso la fine della sua vita,

mentre il Cristo rimase sempre meno strettamente congiunto con lui.

 

Mentre l’elemento cosmico, cioè il Cristo, era presente e pienamente congiunto con Gesù

fino al momento che ci viene descritto come l’agonia di Getsemani,

da allora tale connessione si allenta, per effetto della incomprensione degli uomini.

 

E mentre prima il Cristo cosmico aveva esercitato la sua azione nel tempio,

scacciandone i mercanti, insegnando le cose più grandiose, e non gli era accaduto nulla,

adesso che Gesù di Nazaret non era più così strettamente congiunto col Cristo gli sbirri poterono avvicinarlo.

Certo, l’elemento cosmico era ancora presente, ma sempre meno strettamente congiunto col figlio dell’uomo.

 

Ecco ciò che rende così impressionante quel momento. Poiché non poté attuarsi la comprensione, nelle tre forme di cui abbiamo parlato, che cosa rimase alla fine nelle mani degli uomini? Chi poterono catturare, chi condannare, chi crocifiggere? Il figlio dell’uomo.

 

Quanto più gli uomini si accanirono, tanto più andò ritraendosi l’elemento cosmico che stava penetrando nella vita della Terra come un impulso giovanile. Questo impulso si ritrasse. A coloro che lo condannarono e che eseguirono la condanna rimase solo il figlio dell’uomo, intorno al quale ormai soltanto aleggiava il giovanile elemento cosmico che doveva scendere sulla Terra.

 

• Nessun altro vangelo menziona che rimase soltanto il figlio dell’uomo, mentre l’elemento cosmico aleggiava intorno a lui: solamente il vangelo di Marco. Perciò in nessuno degli altri vangeli troviamo messo talmente in rilievo questo aspetto cosmico dell’evento del Cristo: proprio nel momento in cui gli uomini, nella loro incomprensione, mettono le mani sul figlio dell’uomo, l’elemento cosmico sfugge loro. Sfugge l’elemento cosmico giovanile che in quella svolta dei tempi viene ad inserirsi nell’evoluzione terrestre. Fra le mani degli uomini rimane il figlio dell’uomo: il vangelo di Marco lo sottolinea chiaramente.

 

Rileggiamo questo passo, cercando di scoprire se il vangelo di Marco sottolinea qui effettivamente il rapporto fra l’elemento cosmico e l’elemento umano.

«Gesù poi, rivoltosi loro, disse: siete venuti con spade e bastoni per prendermi, quasi fossi un ladrone. Ogni giorno me ne stavo fra voi nel tempio a insegnare, e non mi avete preso; ma dovevano compiersi le Scritture. Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, se ne fuggirono» (14,48-50).

 

Egli rimase solo. Che cosa avvenne dell’elemento cosmico giovanile? Si pensi a questa solitudine dell’uomo che era stato compenetrato dal Cristo cosmico e che ora si trovava di fronte agli sbirri, come un assassino. Quelli che avrebbero dovuto comprenderlo, fuggono. «Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, se ne fuggirono». Nei versetti 51 e 52 poi si legge: «Lo seguiva però un giovanetto coperto soltanto di un lenzuolo e, essendo stato afferrato, lasciò il lenzuolo e se ne fuggì tutto nudo».

 

Chi è questo giovanetto? chi fugge? chi appare accanto al Cristo Gesù, quasi nudo, e scappa poi, tutto nudo? È l’impulso cosmico giovanile, è il Cristo, quello che fugge: ormai esso non aveva che un debole legame col figlio dell’uomo. Ben profondo è il contenuto di questi due versetti! Il nuovo impulso non conserva nulla di quanto i tempi antichi avevano potuto avvolgere intorno all’uomo. Esso è il nuovo Impulso dell’evoluzione terrestre, «tutto nudo».

 

Tuttavia esso non si allontana da Gesù di Nazaret, e lo ritroviamo all’inizio del sedicesimo capitolo: Ÿ «Passato che fu il sabato, Maria Maddalena e Maria di Giacomo e Salomé comperarono aromi per andare a imbalsamare Gesù. Nel venire al sepolcro la mattina del primo giorno della settimana, molto per tempo, al levar del sole, si dicevano tra loro: chi rimuoverà la pietra dall’entrata del sepolcro? Ma, alzati gli occhi, videro la pietra rimossa, sebbene fosse molto grande. Entrate poi nella tomba, scorsero un giovanetto, seduto a destra, vestito di bianca tunica, e stupirono. Egli però disse loro: non vi spaventate! Voi cercate Gesù di Nazaret, il crocifisso; è risorto!» (16,1-16).

 

È il medesimo giovanetto. In nessun altro punto dei Vangeli ci si presenta questo giovanetto che sfugge agli uomini nel momento in cui essi condannano il figlio dell’uomo; ora, dopo i tre giorni, esso è di nuovo presente, e da allora opera come principio cosmico della Terra.

Si possono pure confrontare gli altri Vangeli e si vedrà che in nessuno viene menzionato (e in modo tanto grandioso) il giovanetto di cui parlano i due passi citati. È quanto basta per farci comprendere in che senso profondo il vangelo di Marco intende sottolineare che si tratta di un evento cosmico, che si ha a che fare col Cristo cosmico.

Solo a questo punto si capisce che anche l’intera composizione artistica del vangelo di Marco deve essere fondata su questo elemento.

 

È singolare che dopo questa significativa duplice apparizione del giovanetto il vangelo di Marco giunga rapidamente alla conclusione, e presenti solo pochissimi altri passi importanti. Non si potrebbe del resto concepire che fosse possibile un ulteriore sviluppo. Forse si sarebbe potuto aggiungere qualcosa di ancora più sublime e stupendo, ma non di più sconvolgente o di più significativo per l’evoluzione della Terra. Questo non è davvero pensabile, dopo che il vangelo di Marco ci ha presentato il monologo di un Dio, il cosmico colloquio della trasfigurazione sul monte quando erano stati convocati i tre discepoli che però non compresero nulla.

 

E ancora: Getsemani, la scena sul Monte degli ulivi, quando il Cristo dovette riconoscere che i più eletti fra i suoi discepoli non erano in grado di comprendere ciò che stava per compiersi, per cui egli dovette proseguire da solo, e il figlio dell’uomo patire ed essere crocifisso; poi la solitudine suprema del figlio dell’uomo, abbandonato da quelli che egli aveva prescelto, abbandonato infine anche a poco a poco dal principio cosmico. Così, dopo avere compreso la missione e il significato del giovanetto che si sottrasse agli occhi e alle mani degli uomini, siamo ora in grado di comprendere in tutta la loro profondità le parole: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (15,34).

 

Il giovanetto poi ricomparve, e il vangelo di Marco accenna alla sua natura spirituale, soprasensibile: era divenuto visibile ai sensi soltanto a causa delle particolari condizioni di quel momento; esso si manifestò poi a Maria di Magdala, e «in seguito apparve in altra forma a due di loro che camminavano per la campagna» (16,12). Ora, quello che è di natura fisica non avrebbe potuto mostrarsi «in altra forma».

 

Poi il Vangelo si avvia rapidamente alla fine, additando l’avvenire per tutto ciò che a quei tempi non aveva potuto essere compreso. L’umanità infatti era discesa allora al suo punto più basso e le si doveva appunto indicare l’avvenire. Nel Vangelo troviamo ancora una volta una mirabile arte nella composizione, là dove viene preparato l’annuncio dell’avvenire.

 

Come possiamo infatti raffigurarci l’avvenire, annunciato da colui che sperimentò la triplice incomprensione, nei confronti del mistero del Golgota che egli stava per compiere? Possiamo pensare che egli ci additi un avvenire in cui gli uomini dovranno acquistare una comprensione sempre crescente per ciò che avvenne allora.

 

Guardiamo al vangelo di Marco che parla in modo tanto significativo, e rendiamoci conto che ogni epoca dovrà sviluppare una comprensione sempre maggiore per il mistero del Golgota. Siamo dunque convinti che col nostro movimento antroposofico andiamo realizzando qualcosa che troviamo appunto additato nel Vangelo stesso: sviluppare una nuova comprensione per quello che il Cristo volle compiere nel mondo. Egli stesso però accenna che tale nuova comprensione è difficile, che esiste sempre la possibilità di fraintendere l’essenza del Cristo.

 

«Che se allora qualcuno vi dicesse: ecco qui il Cristo, o eccolo là, non gli credete, perché si leveranno falsi Cristi e falsi profeti, e faranno segni e prodigi da sedurre, se possibile, anche gli eletti. State dunque attenti che io vi ho predetto tutto» (13,21-23).

In tutti i tempi seguiti al mistero del Golgota ci sono date molte occasioni per prendere queste parole come un monito.

 

Chi ha orecchi per udire può udire anche oggi le parole che risuonano dal Golgota: «Se allora qualcuno vi dicesse: ecco qui il Cristo, o eccolo là, non gli credete; perché si leveranno falsi Cristi e falsi profeti, e faranno segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti».

 

Qual è il rapporto in cui dobbiamo metterci col mistero del Golgota? Nei pochi passi salienti del vangelo di Marco che seguono quelli grandiosi che abbiamo esaminato, troviamo anche l’ultimo versetto: vi sono menzionati i discepoli dopo che ebbero ricevuto dal giovanetto, dal Cristo cosmico, un nuovo impulso, essi che prima avevano mostrato così poca comprensione: «Gli apostoli poi se ne andarono a predicare da per tutto aiutati dal Signore, il quale confermava la loro parola, accompagnandola con miracoli» (16,20).

 

Aiutati dal Signore! Questa espressione è veramente conforme al senso del mistero del Golgota. Non che il Signore possa trovarsi in qualche luogo, incarnato in un corpo fisico: ma dove lo si comprende, egli coopera dai mondi spirituali, quando si agisce nel suo nome, (non con la presunzione di presentarlo fisicamente) ed è spiritualmente presente fra coloro che comprendono il suo nome secondo verità.

 

Se giustamente compreso, il vangelo stesso di Marco parla del mistero del Golgota in modo che, insieme alla sua comprensione, si acquista anche la possibilità di portare a compimento il mistero del Golgota stesso. Come il Vangelo debba essere compreso ci viene mostrato proprio dall’episodio che troviamo solo nel vangelo di Marco, ossia nel singolare racconto del giovanetto che nel momento decisivo sembra quasi distaccarsi dal Cristo Gesù.

 

Poiché i discepoli eletti fuggirono, essi non poterono partecipare a tutto ciò che si svolse successivamente e che viene narrato anche dal vangelo di Marco. Qui di nuovo si trova nella composizione del Vangelo, con alto senso artistico, un brano che descrive nel modo più evidente certi fatti ai quali i discepoli non assistettero. Nessuno di loro poté esserne testimonio oculare, eppure il Vangelo li descrive.

 

Questo è un problema che dobbiamo ancora affrontare; cercando di risolverlo penetrando, in profondità, potremo poi gettar luce anche sul rimanente. Donde proviene la conoscenza dei fatti ai quali i discepoli non assistettero? Le tradizioni ebraiche li raccontano in modo del tutto diverso da come li troviamo qui nei Vangeli.

 

Poiché coloro che ci informano del mistero del Golgota

non possono attestarne la verità in base alla loro presenza,

donde proviene la conoscenza di fatti

ai quali non assistette nessuno dei fautori della propagazione del cristianesimo? –

Questo problema ci farà penetrare ancora più a fondo in questo evento.