Come conservare il ricordo di essere stati sulla Terra nella vita come un io.

O.O. 153 – Natura interiore dell’uomo e vita fra morte e nuova nascita – 13.04.1914


 

Ho detto che durante tutta la prima metà della vita fra morte e rinascita, noi ci alterniamo fra vita interiore e vita esteriore, fra solitudine e socievolezza spirituale. Le condizioni del mondo spirituale sono tali che, ogni volta che ritorniamo nella nostra solitudine, riportiamo sempre di nuovo dinanzi all’anima, nella nostra attività interiore, ciò che abbiamo sperimentato nel mondo esteriore. In tal modo esiste una coscienza che si estende su tutto il mondo spirituale come ali dell’infinito; le ali però si ripiegano di nuovo nella solitudine.

 

Ma dobbiamo conservarci una cosa che deve continuare ad esistere,

• tanto se ci effondiamo nel grande mondo spirituale,   • quanto se ce ne ritraiamo.

 

Prima del mistero del Golgota,

grazie alle forze mediante le quali l’uomo era legato ai tempi antichi,

era possibile mantenere la forte coesione dell’io, non perdere quella coesione,

ossia conservare interamente e chiaramente un fatto come ricordo della vita terrena trascorsa,

il fatto di essere stati sulla Terra nella vita come un io.

Questo ricordo deve conservarsi attraverso i periodi della solitudine e della socievolezza.

 

Prima del mistero del Golgota veniva provveduto in quel senso per mezzo delle forze ereditate.

Adesso non vi si può provvedere se non collegando una pienezza dell’anima

col nostro patrimonio terreno che abbiamo distaccato da noi,

con ciò che abbiamo sentito allontanarsi da noi subito dopo l’abbandono del corpo fisico;

è una pienezza dell’anima che possiamo avere in quanto il Cristo si è effuso nell’aura della Terra.

 

Questo essere interpenetrati con la sostanzialità del Cristo

è ciò che ci dà la possibilità, nel trapasso dalla vita fisica alla morte,

di conservare il ricordo del nostro io fino alla mezzanotte cosmica,

malgrado ogni nostra espansione, malgrado ogni nostro ritrarci nella solitudine.

L’impulso che emana dalla forza del Cristo giunge fin lì, e quindi non perdiamo noi stessi.

 

Allora però, grazie alla nostra stessa nostalgia,

una nuova forza spirituale deve accendere la nostra nostalgia di nuova luce.

Questa forza esiste solo nello spirito, esiste solo nella vita spirituale.

 

Nel mondo fisico vi è la natura e il divino che pervade questa natura,

il divino da cui veniamo generati nel mondo fisico.

Vi è l’impulso del Cristo che è presente nell’aura terrestre, cioè nell’aura della natura fisica.

Ma la forza che ci si avvicina nella mezzanotte cosmica,

per rendere la nostra nostalgia una luce accesa su tutto il nostro passato,

quella forza esiste soltanto nel mondo spirituale, esiste soltanto là dove nessun corpo può vivere.

 

Se l’impulso del Cristo ci ha portato fino alla mezzanotte cosmica,

se la mezzanotte cosmica è stata sperimentata dall’anima in solitudine spirituale,

perché ivi la luce animica non può irraggiare da noi, se è subentrata l’oscurità cosmica,

se il Cristo ci ha condotto fino a quel punto,

allora nella mezzanotte cosmica sorge dalla nostra nostalgia un elemento spirituale

che crea una nuova luce cosmica, che effonde una luminosità sulla nostra entità;

un elemento spirituale per cui noi ci afferriamo di nuovo nell’esistenza del mondo,

ci destiamo di nuovo nell’esistenza del mondo.

 

Impariamo a conoscere lo spirito del mondo spirituale che ci desta,

in quanto dalla mezzanotte cosmica risplende una nuova luce, una luce che irraggia sulla nostra passata umanità.

 

Nel Cristo noi siamo morti;

grazie allo spirito, grazie allo spirito incorporeo che con espressione tecnica viene chiamato Spirito Santo,

ossia uno spirito che vive senza il corpo e senza le debolezze di uno spirito che vive nel corpo

(perché con la parola «santo» si intende questo),

grazie a questo spirito noi veniamo ridestati dalla mezzanotte cosmica nella nostra entità.

• Per mezzo dello Spirito Santo veniamo dunque destati nella mezzanotte cosmica.

 

Per spiritum sanctum reviviscimus.