Come gli impulsi di una data vita agiscano nelle successive

O.O. 235 – Nessi karmici Vol. I – 24.02.1924


 

Come gli impulsi di una data vita agiscano nelle successive.

Prendiamo ad esempio l’impulso dell’amore.

Le nostre azioni nei confronti di altri possono essere compiute sotto l’impulso dell’amore;

• è tutt’altra cosa agire semplicemente per senso di dovere, per convenzione, decoro,

• oppure mossi da un amore più o meno grande.

 

Supponiamo che in una data vita un uomo compia delle azioni calde d’amore; ciò rimarrà nella sua anima come forza e quel che porterà con sé nei mondi spirituali come risultato delle sue azioni d’amore e che verrà rispecchiato dalle altre anime tornerà a lui come immagine riflessa.

Mentre da quelle immagini riflesse l’uomo compone il corpo astrale con cui ritornerà sulla Terra, si trasforma in gioia l’amore da lui emanato nella precedente vita che gli irradia ora incontro attraverso le altre anime.

Se un uomo compie verso gli altri azioni permeate d’amore, cioè con amore che emana da lui, che accompagna le sue azioni aiutando gli altri, nel passaggio fra una morte e una nuova nascita ciò si metamorfosa, si trasforma in gioia che nella vita seguente muoverà verso di lui.

 

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Se una persona ci è cagione di gioia, possiamo esser certi che ciò è conseguenza

dell’amore che abbiamo esplicato verso di lei in una vita precedente.

Quella gioia ci viene incontro nell’anima durante la vita terrena.

 

Conosciamo l’intimo calore che nasce dalla gioia, conosciamo il significato della gioia nella vita, e specialmente della gioia che ci viene incontro da altre persone. Quella gioia riscalda, sostiene, conferisce per così dire ali alla vita. Quella gioia è il risultato karmico dell’amore distribuito.

Ma in tale gioia sperimentiamo anche un nesso con le persone che la suscitano in noi. Se in una vita precedente abbiamo irradiato amore, nella vita successiva sperimentiamo il calore della gioia come risultato. Anche quella gioia si effonde ora da noi.

 

Chi può sperimentare gioia nella vita, ha a sua volta una benefica azione riscaldatrice sugli altri.

Chi percorre la vita privo di gioia sarà diverso nei suoi rapporti con gli altri di chi vive con gioia.

 

Quel che si sperimenta attraverso la gioia tra nascita e morte, dopo la morte si riflette nelle diverse anime con le quali si era vissuti sulla Terra e che ora si trovano anch’esse fra morte e rinascita.

Tale riflesso ci ritorna incontro da quelle anime in vari modi.

Anche questo viene accolto nel nostro corpo astrale quando ridiscendiamo nella successiva vita terrena, cioè nella terra.

 

I risultati della gioia si inseriscono, si imprimono anch’essi nel nostro corpo astrale, e diventano la base, l’impulso per una facile comprensione dell’uomo e del mondo, la base della disposizione animica che durante la vita ci conferisce forza per la comprensione del mondo.

La gioia e l’interesse che suscita in noi il comportamento degli altri, la possibilità di capirlo, tutto ciò risale alla gioia dell’incarnazione terrena precedente, e all’amore di quella precedente ancora.

 

Le persone che attraversano la vita con senso libero e aperto,

così che il mondo può fluire in loro ed esse lo comprendono,

si sono conquistate tale inclinazione mediante l’amore e la gioia.

Le azioni compiute per amore sono del tutto diverse da quelle compiute per rigido e asciutto senso di dovere.

Nei miei scritti ho sempre indicato come realmente morali le azioni compiute per amore.

 

Spesso ho fatto notare il grande contrasto che esiste al riguardo fra Kant e Schiller. Kant ha in realtà reso tutto angoloso, così nella conoscenza come nella vita. Attraverso di lui tutto nella conoscenza si conformò ad angoli e spigoli, anche l’azione umana:

• “Dovere, tu eccelso, gran nome, che non contieni in te nulla di ciò che di amato porta in sé la lusinga…” e così via.

 

Nella mia Filosofia della libertà ho citato questo punto ad apparente dispetto di molti oppositori (non a vero, ma ad apparente loro dispetto) e vi ho contrapposto il mio modo di vedere: “Amore, impulso che parli caldo all’anima…”

Al rigido, asciutto concetto del dovere di Kant, Schiller contrappose le parole: “Di buon grado aiuto l’amico, ma lo faccio, ahimè, con piacere e spesso mi rode perciò la coscienza di non essere virtuoso!”

Difatti secondo l’etica di Kant quel che vien fatto con piacere non è secondo virtù: lo è unicamente quel che si fa per un rigido concetto di dovere.

 

Vi sono uomini a tutta prima incapaci di amare, e non potendo dire ad altri la verità per amore (quando si ama una persona le si dice la verità, non la menzogna), là dicono per senso di dovere. Non possono amare, ma evitano tuttavia per senso di dovere di picchiare o di prendere a schiaffi il loro prossimo, pur se questi fa qualcosa che loro dispiaccia. Vi è una gran differenza fra l’azione compiuta per rigido senso di dovere o per convenzione (anch’essa è spesso necessaria) e quella eseguita per amore.

 

Ora le azioni eseguite per rigido senso del dovere o per convenzione “perché si fa così”,

nella vita seguente non generano gioia, bensì quel che si potrebbe indicare

come il sentirsi, l’essere più o meno indifferenti agli altri.

 

Quel che pesa sulla vita di alcuni, quel sentire di essere indifferenti agli altri e soffrirne, si soffre giustamente quando si è indifferenti al prossimo, perché gli uomini vivono gli uni per gli altri, ed è importante non essere indifferenti agli altri; quella sofferenza è il risultato della mancanza d’amore di una vita precedente, quando ci si era comportati in modo conveniente solo perché il rigido dovere stava sopra di noi come una spada di Damocle (non dirò come una spada d’acciaio, perché allora si metterebbe in agitazione la maggior parte delle persone che agiscono per dovere, ma almeno come una spada di legno).

Questo avviene dunque nella seconda vita.

 

Nella terza la gioia proveniente dall’amore, come abbiamo visto, genera un cuore aperto e libero

che ci avvicina al mondo, un senso libero e comprensivo per tutto quanto è vero, bello e buono.

L’indifferenza che ci viene incontro da parte degli altri

e quello che noi stessi sperimentiamo a causa di tale indifferenza,

fa di noi nella vita seguente, e cioè nella terza, delle persone che non sanno cominciare nulla di giusto.

 

A scuola certi fanciulli non sanno che cosa ricavare da quel che i maestri insegnano. Più tardi essi non sapranno se diventare consiglieri di corte oppure fabbri, non sapranno che cosa fare di loro stessi nella vita, la attraverseranno a casaccio, senza direttiva. Per il mondo esterno, quelle persone non sono necessariamente ottuse. Possono ad esempio capire la musica, ma non sanno goderla. In fondo, è loro indifferente che si tratti di musica più o meno buona o più o meno cattiva. Sono forse in grado di sentire la bellezza di un quadro o di un’altra opera d’arte, ma sempre nella loro anima una voce gracchia: perché poi tutto questo? Simili stati d’animo si presentano nella terza vita come conseguenza karmica.

 

Supponiamo ora che un uomo danneggi il suo prossimo per odio o antipatia. Esistono tutte le gradazioni possibili di questo sentimento. Si può danneggiare il prossimo mossi da odio delittuoso, ma lasciando da parte i gradi intermedi si può semplicemente criticarlo. Per criticare bisogna sempre un poco odiare, a meno che si tratti di critica laudativa, che oggi è però assai rara: i giudizi favorevoli non sono molto interessanti.

La critica diviene interessante solo quando si fa dello spirito sulle cose. Vi sono appunto tutti i gradi intermedi. Anche la critica è però da considerarsi come appartenente al campo delle azioni che muovono da una certa fredda antipatia della quale spesso non ci si rende neppure conto, ma che può arrivare fino all’odio.

 

Tutto quanto viene compiuto contro altri uomini oppure contro esseri dei regni inferiori per antipatia e odio,

si scarica a sua volta in condizioni animiche che vengono riflesse nella vita fra morte e rinascita.

Dalle azioni compiute per odio e antipatia deriva nella successiva vita terrena il dolore che ci viene incontro,

il dispiacere causato da motivi esterni, tutto quanto ci viene incontro come l’opposto della gioia.

 

Si può osservare che vi è molto dolore al mondo e domandarci se provenga davvero tutto dall’odio grande o piccolo nutrito nelle vite passate. Non posso realmente credere d’essere stato un così cattivo soggetto, qualcuno dirà, e di dover soffrire tanto perché prima ho tanto odiato. Volendo al riguardo pensare spassionatamente, occorrerà rendersi conto delle grandi illusioni che spesso ci confortano e alle quali perciò ci abbandoniamo volentieri per dissimulare a noi stessi i sentimenti di antipatia che nutriamo verso altri.

Gli uomini vanno per il mondo nutrendo in cuore molto più odio, o per lo meno molta più antipatia di quanto non credano. Siccome poi l’odio genera nell’anima una certa soddisfazione, di solito non viene subito avvertito: è come ricoperto dalla soddisfazione. Quando poi ci torna incontro in forma di dolore proveniente dall’esterno, allora lo notiamo.

Per farci una rappresentazione assolutamente ordinaria al riguardo, si pensi a un crocchio dove una mezza dozzina di comari o di compari sono riuniti a parlare dei loro prossimi. Pensiamo quanta antipatia viene scaricata sul prossimo in un’ora e mezzo, e a volte simili riunioni durano anche di più. Mentre tutti quei sentimenti si scaricano, la gente non se ne accorge; se ne accorgerà quando, nella vita seguente, essi ritorneranno trasformati in dolore. E ritorneranno senza dubbio.

 

Una parte dunque del dolore

(non tutto, e impareremo a conoscere altre concatenazioni karmiche),

una parte del dolore che in una data vita ci viene incontro da fuori

può realmente dipendere da sentimenti di antipatia nutriti nella precedente esistenza.

Considerando simili rapporti bisogna naturalmente sempre tener presente

che ogni corrente karmica deve prendere le mosse da un dato punto.

 

Avendo per esempio una serie di vite terrene: a b c (d) e f g h

se d rappresenta la vita attuale, non tutto il dolore che ci colpisce da fuori dovrà di necessità dipendere dal passato; potrà anche trattarsi di dolore iniziale che esplicherà i suoi effetti karmici nella vita successiva. Perciò ho detto che solo molta parte del dolore che ci colpisce dall’esterno è conseguenza di odio nutrito in vite precedenti.

 

Se ora passiamo alla terza vita, troveremo che il risultato di quel dolore, che è per così dire frutto di odio accumulato,

si manifesta come una specie di ottusità dello spirito, come ottusità di comprensione di fronte al mondo.

 

Chi è indifferente e flemmatico di fronte al mondo, chi non ha cuore aperto di fronte alle cose e agli uomini, spesso è giunto a quell’ottusità attraverso il dolore karmico della sua vita precedente, dolore che a sua volta risaliva ai sentimenti di odio della terz’ultima esistenza. Si può essere certi che l’ottusità di una vita è sempre conseguenza dell’odio nutrito in una determinata vita precedente.

La conoscenza del karma non deve però soltanto aprirci la possibilità di comprendere la vita;

va anche considerata come impulso dell’azione.

 

Sappiamo infatti che non esiste solo la successione di esistenze “a, b, c, d,” ma che seguono poi “e, f, g, h, ” che seguiranno cioè altre vite terrene, e che il contenuto animico che ora sviluppiamo produrrà i suoi risultati, i suoi effetti in futuro.

Per essere particolarmente ottusi nella terza vita, basterà coltivare molto odio in quella attuale.

Chi invece voglia prepararsi un animo aperto e libero, deve molto amare.

La conoscenza del karma acquista vero valore in quanto influisce sulla nostra volontà di foggiare l’avvenire,

in quanto agisce sulla volontà.

 

Siamo assolutamente arrivati a un momento dell’evoluzione umana in cui i fattori incoscienti non possono più agire come in passato, un momento in cui gli uomini vanno diventando sempre più liberi e più coscienti.

Questo periodo di maggiore libertà e di consapevolezza ebbe inizio nel primo terzo del secolo quindicesimo, e perciò nella futura vita terrena gli uomini odierni avranno un oscuro sentimento della loro precedente esistenza.

Come oggi, se qualcuno s’accorge di non essere molto intelligente non ne attribuisce la causa direttamente a se stesso, ma alle sue attitudini innate (secondo le vedute dell’odierno materialismo, ne cerca forse le cause nelle disposizioni della sua natura fisica), così gli uomini che torneranno sulla Terra come reincarnazione di quelli ora viventi avranno per lo meno un oscuro, inquietante senso del fatto che la poco intelligenza è in qualche modo connessa con remoti sentimenti di odio e di antipatia.

 

Quando parliamo della pedagogia della scuola Waldorf, dobbiamo naturalmente farlo tenendo conto delle condizioni dei nostri tempi. Non possiamo quindi ancora apertamente educare il fanciullo per la coscienza delle ripetute vite terrene, perché oggi non se ne ha ancora neppure un indistinto sentimento.

Ma quel che appena s’inizia in una pedagogia come quella della scuola Waldorf, se verrà accolto, nei prossimi secoli si svilupperà in modo che nell’educazione etica, morale, si considererà che la scarsità di attitudini di un fanciullo trae origine da una vita precedente nella quale egli aveva molto odiato, e coi mezzi della scienza spirituale si cercherà anche di scoprire chi egli possa aver odiato. Le persone che egli avrà odiato e contro le quali avrà compiuto azioni dettate da odio dovranno infatti trovarsi non lontano da lui.

 

Nei prossimi secoli l’educazione dovrà penetrare molto più addentro nella vita. Di fronte a un tale bambino si dovrà cercare da quale parte si riflette o si riflesse, nel periodo fra morte e rinascita quello che nella vita terrena si manifesta come stoltezza. Si tenterà allora di suscitare in quel fanciullo sentimenti d’amore verso le persone che prima ha odiato e si vedrà che attraverso quell’amore esplicato concretamente si schiariranno il suo intelletto e in genere tutta la costituzione della sua anima.

Non teorie generiche sul karma potranno giovare all’educazione, ma una concreta penetrazione nella vita per scoprirvi i nessi karmici. Allora si noterà che ha un suo significato se il destino aduna determinati fanciulli in una stessa classe.

 

Se verrà superata l’orribile noncuranza oggi dominante verso il “materiale umano” (si dice spesso così) raccolto in una classe, e considerato come se vi fosse gettato alla rinfusa dal caso e non adunato dal destino, davanti agli educatori potrà aprirsi la prospettiva di scoprire quali singolari fili karmici corrano da uno scolaro all’altro. Essi introdurranno allora nello sviluppo dei fanciulli gli elementi atti a determinare un pareggio.

 

Sotto certi riguardi il karma è sottoposto a una ferrea necessità e possiamo in via assoluta stabilire la consecutività di :

• Amore – Gioia – Cuore aperto

• Odio o antipatia – Dolore – Stoltezza

 

Questi sono rapporti assoluti, ma come anche il corso di un fiume è una necessità assoluta e tuttavia fu possibile regolarne alcuni e imprimere loro un dato corso, così è anche possibile regolare quella che chiamerei la corrente karmica, agire su di essa. Ed è possibile farlo.

Se dunque notiamo che un bambino tende all’ottusità e riusciamo a guidarlo in modo da sviluppare in lui molto amore (per persone dotate di sottile facoltà di osservazione sarebbe fin d’ora possibile), se scopriamo con quali altri fanciulli egli ha dei legami karmici e riusciamo a far sì che li ami, che compia verso di loro atti d’amore, quell’amore genererà un contrappeso all’antipatia e nella successiva incarnazione la primitiva ottusità potrà correggersi.

 

Alcuni educatori sono tali per istinto, e spesso seguendo il loro naturale istinto avviano i fanciulli intellettualmente poco dotati ad amare, rendendoli a poco a poco più ricettivi. Solo tali cose rendono davvero la conoscenza dei nessi karmici utili per la vita.

Prima di inoltrarsi nello studio di ulteriori particolari sul karma, alla nostra anima deve ancora affacciarsi un problema: che cosa rappresenta la persona con cui possiamo in certo qual modo sentire di avere qualche nesso karmico? Essa è nostra contemporanea, vive sulla Terra contemporaneamente a noi.

 

Riflettendo potremo dire che, se in una vita terrena siamo contemporanei di determinate persone,

ciò significa che anche nella vita precedente e in altre più remote avevamo vissuto con loro;

detto in generale, poiché possono anche intervenire certi spostamenti.

 

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Quelli che vivranno cinquant’anni dopo di noi erano stati di nuovo fra loro in una vita precedente. In generale si può dire che alla luce del pensiero qui sviluppato gli uomini del gruppo A (vedi disegno) non s’incontrano mai con quelli del gruppo B. È un pensiero che può angustiare, tuttavia è vero.