Come il karma viene plasmato dal mondo spirituale nel suo riflesso fisico

O.O. 235 – Nessi karmici Vol. I – 02.03.1924


 

Procedendo nelle nostre considerazioni, conviene anzitutto

 che gettiamo uno sguardo sul come il karma penetra nell’evoluzione umana,

su come il karma, che s’intreccia con le azioni libere dell’uomo,

viene plasmato dal mondo spirituale nel suo riflesso fisico.

 

A tale riguardo dovrò oggi esporre alcune cose intorno all’uomo quale vive sulla Terra. Nel corso di queste stesse conferenze lo abbiamo già considerato riguardo alla sua struttura, distinguendo un corpo fisico, un corpo eterico, un corpo astrale e l’organizzazione dell’io; possiamo però anche osservare la sua struttura in un altro modo.

Oggi cercheremo di farlo prescindendo da ciò che vedemmo prima e tenteremo poi di gettare un ponte fra le cose che diremo oggi e quelle che già conosciamo.

 

Considerando l’uomo nella sua figura fisica semplicemente come ci sta davanti sulla Terra, possiamo osservare tre organizzazioni ben distinte; di solito questa differenziazione non viene fatta perché quella che oggi si fa valere come scienza guarda in realtà solo superficialmente le cose e i fatti, e non ha sensi aperti per ciò che cose e fatti rivelano all’occhio interiormente illuminato.

Consideriamo anzitutto la testa umana: già a un primo esame essa appare del tutto diversa dalla restante figura. Basta osservare come l’essere umano si sviluppa dal germe: quel che anzitutto si forma nel grembo materno è l’organizzazione della testa, del capo.

 

L’organizzazione umana tutt’intera parte dal capo,

e il resto che viene poi ad aggiungersi è in realtà solo un’appendice.

In sostanza la figura fisica umana è prima di tutto testa; le restanti parti sono appendici.

 

Anzi, nel primo periodo embrionale le funzioni che tali appendici più tardi assumono: l’alimentazione, la respirazione e così via non vengono esplicate dall’interno dell’embrione stesso, bensì dall’esterno, attraverso il corpo materno e grazie ad organi che più tardi si staccano, che più tardi l’uomo non ha più.

 

L’essere umano è dunque prima di tutto testa, e le altre parti sono appendici.

Lo si può dire senza esagerazione!

 

Ma poiché quel che prima era solo appendice, in seguito cresce e assume importanza, più tardi la testa non si differenzia più così nettamente dal restante organismo.

Con ciò tuttavia abbiamo dato solo una caratteristica superficiale. In realtà, anche come figura fisica, l’uomo è un essere trino e la configurazione che si presenta per prima, quella della testa, rimane dal più al meno indipendente per tutta la vita. È un fatto reale che però di solito non viene osservato.

Si dirà forse che non va bene suddividere in questo modo l’uomo, in un certo senso decapitarlo. Ma che l’antroposofia sezioni l’uomo è solo un’opinione di quel tal professore che le ha per l’appunto rimproverato di dividerlo in testa, organi del respiro, organi motori. L’antroposofia però non lo fa, non seziona l’uomo.

 

In realtà, nella struttura esteriore della testa

abbiamo solo la manifestazione principale dell’organizzazione della testa.

Per tutta la durata della sua vita, l’uomo intero rimane testa.

I principali organi di senso, gli occhi, le orecchie, gli organi dell’olfatto e del gusto

sono in effetti nella testa, ma per esempio il senso termico, il senso della pressione

e quello tattile sono diffusi su tutto il corpo.

 

È così perché le tre organizzazioni vanno scisse spazialmente:

la struttura esteriore della testa appare soprattutto nella formazione del capo, ma attraversa in realtà l’intero corpo.

Ed è così anche per il resto.

Per tutta la vita la testa è anche nell’alluce, in quanto quest’ultimo possiede sensibilità tattile o calorica.

 

Abbiamo così caratterizzato una delle parti costitutive dell’essere umano che ci sta sensibilmente di fronte.

Per darne una caratteristica interiore, nei miei scritti l’ho anche chiamata organizzazione dei nervi e dei sensi.

• La seconda parte dell’essere umano comprende tutto quanto si esplica con l’attività ritmica.

 

Dell’organizzazione dei nervi e dei sensi non possiamo dire che si esplica con attività ritmica. Se così fosse, a un determinato momento l’occhio percepirebbe una cosa, poi una seconda, una terza e una quarta, ma dovrebbe poi ricominciare dalla prima e così via. Nelle percezioni sensorie dovrebbe esserci un ritmo che non c’è. Se invece guardiamo le principali attività dell’organizzazione del torace, vi troviamo il ritmo del respiro, il ritmo della circolazione, quello della digestione, e così via. Tutto si svolge in ritmo.

 

• Il ritmo, con i suoi organi, costituisce la seconda organizzazione dell’essere umano,

e pur avendo i suoi principali organi nel torace, pervade a sua volta tutto il corpo.

L’uomo intero è polmone, è cuore, sebbene polmone e cuore

siano soprattutto collocati negli organi contrassegnati dai rispettivi nomi.

L’uomo intero respira. Respiriamo in ogni parte del corpo.

Si parla infatti di respirazione cutanea, sebbene la respirazione sia principalmente concentrata nell’attività dei polmoni.

 

• La terza organizzazione è quella rappresentata dal sistema degli arti.

Questi fanno capo all’organizzazione del tronco.

Nello stadio embrionale essi appaiono come semplici appendici, e sono gli ultimi a svilupparsi.

Sono gli organi più legati al ricambio.

Dal fatto che essi eseguono movimenti, che più degli altri organi compiano lavori,

il sistema del ricambio trae il suo maggior stimolo.

 

Abbiamo così caratterizzato le tre organizzazioni dell’essere umano.

Tali organizzazioni sono in intima relazione con la vita animica.

Questa si divide in pensare, sentire e volere.

 

• Il pensare trova la sua principale base fisica nell’organizzazione della testa,

ma la trova in realtà in tutto l’uomo, poiché, come ho detto prima, la testa si estende in tutto il corpo.

• Il sentire è connesso con l’organizzazione ritmica.

• È un pregiudizio, anzi una superstizione della scienza moderna,

credere che il sistema nervoso abbia un diretto rapporto con il sentire: non ne ha affatto.

Organi del sentimento sono i ritmi del respiro e della circolazione,

e i nervi si limitano a trasmetterci la rappresentazione di quel che sentiamo.

 

I sentimenti fanno parte dell’organizzazione del sistema ritmico,

ma non sapremmo nulla dei nostri sentimenti se i nervi non ce ne trasmettessero la rappresentazione.

E poiché i nervi ci dànno la rappresentazione dei sentimenti, l’attuale intellettualismo è caduto nell’errore di credere

che essi siano gli organi attraverso i quali il sentimento si esplica. Ma non è così.

 

Se però sappiamo giustamente confrontare i sentimenti, quali affiorano dal sistema ritmico, con i pensieri che sono invece legati al sistema del capo e a quello dei nervi e dei sensi, fra di loro troveremo la medesima differenza che corre fra i pensieri della coscienza di veglia e il sognare.

Nel campo della coscienza, i sentimenti non hanno un’intensità maggiore di quella propria ai sogni. Hanno soltanto un’altra forma, appaiono in altro modo. Quando sogniamo in immagini, la nostra coscienza vive appunto in immagini, e benché si presentino in forma diversa, quelle immagini hanno il medesimo significato che hanno i sentimenti.

 

Possiamo quindi dire:

• la coscienza più trasparente, più chiara è quella che possediamo nei pensieri, nelle rappresentazioni.

• Nel sentire abbiamo una specie di coscienza di sogno.

 

Crediamo sì di avere nel nostro sentimento una coscienza più chiara di quella del sogno, ma in realtà non l’abbiamo. Pur se al risveglio ci ricordiamo dei sogni che abbiamo avuto e ce ne facciamo rappresentazioni somiglianti a quelle della coscienza di veglia, non potremo dire di averli realmente afferrati.

 

• Il sogno è molto più ricco di quanto ce lo rappresentiamo,

• e così pure il mondo dei sentimenti è infinitamente più ricco

di quanto sappiamo accoglierne nel campo della coscienza.

 

Del tutto immerso nel sonno è il volere.

Esso è legato all’organizzazione degli arti e del ricambio, agli organi del movimento.

Del volere conosciamo solo i relativi pensieri.

Pensiamo: prenderò quell’orologio e poi lo afferriamo.

 

Ciò che, dopo il pensiero iniziale, discende nei muscoli e conduce infine a una rappresentazione nuova, a quella dell’atto di afferrare, tutto ciò sta fra la rappresentazione dell’intenzione e quella dell’attuazione; tutto quanto segue la prima rappresentazione e si svolge nell’organismo, rimane altrettanto inconscio quanto la vita del sonno profondo, del sonno senza sogni.

 

• Noi sogniamo almeno i sentimenti,

• ma dagli impulsi di volontà non abbiamo più di quanto abbiamo dal sonno.

 

Qualcuno forse dirà: dal sonno io non ho assolutamente nulla. Ora però non parlo dell’aspetto fisico. Sarebbe certo una stoltezza dire che fisicamente non si trae nulla dal sonno; però anche animicamente ne ricaviamo molto.

Senza il sonno non avremmo la coscienza dell’io.

 

Seguiamo questo pensiero: quando ricordiamo le vicende della nostra esistenza,

risaliamo indietro e sempre più indietro nel passato, ma in realtà non è così.

 

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Torniamo indietro solo fino al momento in cui ci siamo destati l’ultima volta (vedi disegno); poi abbiamo dormito, e quanto si svolse nel sonno sfugge al nostro ricordo. Il ricordo prosegue poi dall’ultima volta che ci siamo addormentati fino al penultimo risveglio.

 

Retrocediamo attraverso il ricordo.

• Guardando indietro al passato, dobbiamo sempre includervi periodi d’incoscienza.

Un terzo della vita terrena trascorre in stato d’incoscienza.

A questo non si presta attenzione, ma è come se avessimo una superficie bianca con al centro un buco nero.

Il buco nero è visibile, sebbene non vi siano forze. Allo stesso modo, retrocedendo nel ricordo, urtiamo a dei buchi neri,

e cioè alle notti durante le quali abbiamo dormito, sebbene esse non contengano alcuna reminiscenza della vita.

 

La nostra coscienza urta sempre contro le notti, e da questo dipende che possiamo chiamarci “io”.

Se procedessimo senza urtare contro nulla, non arriveremmo alla coscienza dell’io.

Si può quindi ben dire che ricaviamo qualcosa dal sonno;

e come dal sonno ordinario, così pure ricaviamo qualcosa dal sonno che domina nel campo della volontà.

 

Quanto si svolge in noi durante l’atto volitivo, viene sperimentato in una coscienza di sonno;

ma nei relativi processi vive il vero io.

• Come la coscienza dell’io ordinario viene acquisita grazie all’oscurità contro la quale urtiamo,

• così vi è l’io in quanto di noi dorme durante l’atto volitivo, l’io che visse attraverso le precedenti esistenze terrene.

Qui si esplica il karma!

 

Nella volontà si esplica il karma, dominano gli impulsi della precedente vita terrena.

Però anche durante lo stato di veglia, tali impulsi sono immersi nel sonno.

 

L’uomo dunque quale ci muove incontro nella vita terrena si presenta costituito dall’insieme di tre organizzazioni:

• organizzazione della testa,      • organizzazione ritmica      • e organizzazione degli arti motori.

 

Si tratta però di una suddivisione schematica poiché ognuna delle tre è parte a sua volta del tutto.

• All’organizzazione del capo si collega il rappresentare,

• a quella ritmica il sentire,

• e a quella del movimento il volere.

 

• La condizione propria alle rappresentazioni è la veglia,

• quella propria ai sentimenti è il sogno,

• e quella propria alla volontà è il sonno, anche durante la veglia diurna.

 

• Per il capo e per l’attività di rappresentazione dobbiamo ora procedere a una duplice distinzione, vorrei dire, intima.

Questa ci porta a distinguere

• fra le rappresentazioni momentanee, che sorgono da un rapporto attuale col mondo,    • e i ricordi.

 

Ci moviamo nel mondo, e in noi si formano di continuo rappresentazioni conformi alle impressioni ricevute.

Ma abbiamo la possibilità di tornare a trarre più tardi quelle impressioni dalla memoria.

Interiormente, le rappresentazioni immediate che sorgono dal nostro rapporto col mondo

non differiscono da quelle suscitate dalla memoria.

La prima volta vengono suscitate da fuori, la seconda vengono suscitate da dentro.

 

È ingenua l’immagine di chi si figura che la memoria agisca così:

mi trovo di fronte a una cosa o ad un fatto e me ne faccio una rappresentazione;

questa discende in qualche maniera in me, come in un armadio, e la ripesco quando mi ricordo.

 

Vi sono interi sistemi filosofici che dicono: le rappresentazioni scendono sotto la soglia della coscienza,

e ne vengono ripescate nell’atto di ricordare. Sono concezioni ingenue.

Un simile ripostiglio per rappresentazioni naturalmente non esiste.

 

Neppure esiste uno spazio in cui esse possano aggirarsi per poi risalire alla mente quando ricordiamo.

Tutto questo non esiste e non ha neppure una giustificazione.

La realtà è invece diversa.

 

Pensiamo soltanto a come, se vogliamo imprimere una cosa nella memoria, spesso non lavoriamo solo col pensiero, ma chiamiamo altre forze in aiuto. Ho già visto persone studiare a memoria pensando il meno possibile, ma ripetendo le parole accompagnate da energici movimenti, e tornando poi sempre a ripeterle. Alcuni le accompagnavano con movimenti delle braccia, altri si battevano la fronte coi pugni, e così via.

 

In realtà, le rappresentazioni che ci formiamo entrando in rapporto col mondo,

svaniscono come i sogni, e non sono esse che riemergono poi nel ricordo, ma qualcos’altro.

 

Immaginiamo di vedere una cosa. Volendone dare un’immagine (vedi disegno seguente) pensiamo un uomo in quanto essere che vede. Non voglio ora descrivere tutto il processo; lo si potrebbe anche fare, ma ora non ci serve. Dunque vediamo l’immagine percepita attraverso l’occhio, il nervo ottico e gli altri organi dell’apparato visivo.

 

• Nel cervello abbiamo due parti ben distinte:

quella più esterna, la massa grigia, e sotto di essa la massa bianca.

• Quest’ultima penetra negli organi sensori ed è assai più sviluppata dell’altra.

Ben inteso, i termini bianca e grigia sono solo approssimativi.

 

Ma anche a un grossolano esame anatomico, le cose si presentano così:

• gli oggetti fanno un’impressione sopra di noi attraverso l’occhio

• e i processi entro la massa bianca del cervello.

 

Organo delle rappresentazioni è invece la massa grigia che ha struttura cellulare completamente diversa.

In essa balenano le rappresentazioni che poi svaniscono come sogni; balenano perché sotto ci sono le impressioni.

 

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Se le rappresentazioni discendessero semplicemente in noi e ne dovessimo trarre i ricordi,

non ci ricorderemmo di nulla, non avremmo alcuna memoria.

• I fatti però sono diversi: in un dato momento vedo una cosa,

l’impressione penetra in me attraverso la massa cerebrale bianca.

 

A questo punto la massa grigia entra a sua volta in azione sognando le impressioni, creandone delle immagini.

Tali immagini scompaiono.

Quel che rimane non diviene rappresentazione nello stesso momento, ma discende in noi, nella nostra organizzazione,

e quando ricordiamo, guardiamo in noi là ove l’impressione è rimasta.

 

• Se dunque vediamo qualcosa di azzurro l’impressione dell’azzurro penetra in noi (in centro nel disegno)

mentre sopra si forma la rappresentazione dell’azzurro, che svanisce.

• Tre giorni dopo osserviamo nel nostro cervello l’impressione rimasta,

e allora ci facciamo una nuova rappresentazione dell’azzurro guardando in noi.

 

• La prima volta siamo stati stimolati da fuori, dall’oggetto azzurro.

• La seconda volta, e cioè quando ricordiamo, siamo stimolati da dentro perché l’azzurro si è impresso in noi.

In entrambi i casi il processo è il medesimo.

• Si tratta sempre di percezione: anche il ricordare è percezione.

 

La coscienza diurna poggia dunque sulla rappresentazione,

ma sotto di essa si svolgono processi che in seguito riaffiorano a loro volta mediante rappresentazioni,

e precisamente rappresentazioni mnemoniche.

 

• Sotto la rappresentazione sta la percezione vera e propria, e più sotto ancora sta il sentire.

Così possiamo distinguere intimamente nell’organizzazione del capo, nell’organizzazione del pensare,

il rappresentare e il percepire.

• Poi abbiamo quello che è stato percepito e che possiamo ricordare, ma che rimane invero molto inconscio.

Sale alla coscienza solo nel ricordo.

 

Quel che in sostanza avviene in noi in realtà non lo sperimentiamo.

Quando percepiamo, sperimentiamo la rappresentazione.

L’effetto della percezione penetra in noi e da tale effetto si può risvegliare il ricordo.

Ma qui incomincia già l’inconscio.

 

Noi siamo propriamente uomini, siamo in noi come uomini

solo dove, nella coscienza diurna, ci facciamo rappresentazioni (vedi schema seguente).

Dove non arriviamo con la nostra coscienza (e non arriviamo neppure alla causa dei ricordi),

non siamo in noi come uomini, ma siamo semplicemente incorporati nel mondo.

 

È proprio come nella vita fisica: respiriamo e l’aria che ora è in noi, poco prima era fuori, apparteneva al mondo.

Ora è nostra, ma poco dopo la restituiremo di nuovo al mondo; siamo una cosa sola con il mondo.

L’aria è ora fuori e ora dentro, ora fuori e ora dentro.

 

Non saremmo uomini se non fossimo congiunti col mondo

così da non possedere soltanto quanto sta racchiuso entro la nostra pelle,

ma anche quanto ci unisce con tutta l’atmosfera.

 

• Come fisicamente siamo uniti all’atmosfera,

• così spiritualmente, nel momento in cui penetriamo nel subcosciente,

nella regione dalla quale sorge la memoria, siamo uniti alla terza gerarchia: Angeli, Arcangeli, Archai.

 

• Come attraverso il respiro siamo congiunti con l’aria,

• così attraverso l’organizzazione della testa, o per meglio dire la parte inferiore di essa,

siamo uniti con la terza gerarchia.

 

• La parte ricoperta dal lobo cerebrale esterno appartiene unicamente alla Terra:

• quello che sta sotto, è connesso con la terza gerarchia.

 

Passiamo ora a considerare la sfera

• che sotto l’aspetto psichico chiameremo del sentire

• e sotto l’aspetto corporeo del sistema ritmico,

da cui affiorano soltanto i sogni del sentimento e dove siamo ancor meno padroni di noi stessi.

 

• Qui siamo congiunti con la seconda gerarchia

alla quale appartengono esseri spirituali che non s’incarnano mai in un corpo terreno,

ma rimangono nel mondo spirituale,

mandando incessantemente da quello i loro impulsi, le loro forze nell’organizzazione ritmica umana

ed esplicando la loro azione del nostro torace: Virtù, Potestà, Dominazioni.

 

• Come portiamo il nostro io umano solo nel lobo esterno del cervello,

• così direttamente sotto nell’organizzazione della testa portiamo Angeli, Arcangeli e Archai.

Qui è il luogo della loro attività terrena, il punto da dove muovono.

 

• Nella sfera del torace agiscono gli esseri della seconda gerarchia: Virtù, Potestà, Dominazioni

e nel nostro torace hanno il punto da dove muovono per la loro attività.

• Nella nostra sfera motoria infine, nel nostro organismo del movimento

agiscono le entità della prima gerarchia: Serafini, Cherubini, Troni.

 

• Negli arti motori circolano gli alimenti trasformati che noi mangiamo e che subiscono un processo vivente di combustione. Quando facciamo un passo, in noi ha luogo una vivente combustione delle sostanze che, prima di venir ingerite, erano sostanze esterne: siamo collegati con esse.

• Attraverso il sistema degli arti e del ricambio siamo collegati con le funzioni inferiori e, attraverso quel medesimo sistema, siamo parimenti collegati con gli esseri più eccelsi, con la prima gerarchia, Serafini, Cherubini e Troni.

A questo punto sorge il grande quesito (rivestito di parole terrene esso appare convenzionale, ma di parole terrene sono costretto a valermi): che cosa fanno, quali azioni compiono fra di noi gli esseri delle tre gerarchie?

 

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• Ecco, la terza gerarchia

lavora su quanto ha la sua organizzazione fisica nella testa, e cioè sul nostro pensare;

senza la sua azione, nell’ordinaria vita terrena, non avremmo ricordi.

 

Gli esseri di questa gerarchia trattengono in noi gli impulsi

che riceviamo a mezzo delle percezioni e che stanno alla base dell’attività che si manifesta nel ricordo.

Durante la vita terrena, quegli esseri ci guidano attraverso la prima sfera che abbiamo in forma inconscia, subconscia.

 

• Consideriamo ora gli esseri della seconda gerarchia.

Li incontriamo dopo varcate le porte della morte, fra morte e rinascita.

Incontriamo allora le anime delle persone vissute con noi sulla Terra e soprattutto gli esseri della seconda gerarchia.

Incontriamo anche quelli della terza gerarchia, ma la seconda gerarchia ha maggiore importanza.

Con essa lavoriamo fra morte e rinascita a tutto ciò che durante l’esistenza terrena abbiamo sentito

e che abbiamo immesso nella nostra organizzazione.

 

Insieme con gli esseri della seconda gerarchia prepariamo così la nostra successiva vita terrena.

Mentre viviamo sulla Terra, abbiamo la sensazione che gli esseri del mondo spirituale siano sopra di noi.

Tra morte e rinascita abbiamo l’immagine opposta.

Gli Angeli, gli Arcangeli e gli altri esseri, che ci guidano nel modo indicato attraverso la vita,

vivono allora in certo modo sul nostro medesimo piano,

e direttamente sotto di loro stanno gli esseri della seconda gerarchia

con i quali lavoriamo a preparare il nostro interiore karma.

 

Tutto quanto ho detto ieri sul karma in merito alle condizioni di malattia e di salute,

viene preparato con gli esseri della seconda gerarchia.

Se nel tempo fra morte e rinascita guardiamo ancor più in basso,

se per così dire guardiamo attraverso gli esseri della seconda gerarchia,

scopriamo quelli della prima: Serafini, Cherubini, Troni.

 

Come uomini terreni, cerchiamo gli esseri superiori in alto.

Fra morte e rinascita cerchiamo i sommi esseri divini, ai quali ci è dato pervenire, profondamente in basso.

Mentre fra morte e rinascita elaboriamo con la seconda gerarchia

il karma interiore della successiva vita terrena che si manifesterà nelle nostre condizioni di salute,

mentre dunque anche con gli altri uomini ci prepariamo i nostri futuri corpi

che poi appariranno nella prossima vita terrena,

sotto di noi gli esseri della prima gerarchia esplicano una singolare attività.

 

Con una parte, con un’esigua parte del loro agire essi sottostanno a una necessità.

Quali creatori delle condizioni terrestri, essi debbono riprodurre, riprodurre in un ben determinato modo,

le azioni che l’uomo ha compiuto sulla Terra.

 

Pensiamo dunque: attraverso la sua volontà, che appartiene alla prima gerarchia,

nella vita terrena l’uomo compie determinate azioni ora buone, ora cattive, ora sagge, ora stolte.

Nella loro sfera, gli esseri della prima gerarchia devono sviluppare delle controimmagini di quelle azioni.

 

• Noi viviamo insieme con altri.

Per tutto quanto compiamo con altri, per tutto il bene, per tutto il male che facciamo,

gli esseri della prima gerarchia devono plasmare delle controimmagini.

 

• Tutto viene da loro giudicato, ma anche sviluppato, e mentre con gli esseri della seconda gerarchia e con le anime disincarnate prepariamo il nostro karma interiore, vediamo fra morte e rinascita anche ciò che gli esseri della prima gerarchia sperimentano in conseguenza delle nostre azioni terrene.

 

Qui sulla Terra vediamo sopra di noi l’azzurra volta celeste, le nuvole, la luce del Sole, e di notte vediamo le stelle.

Fra morte e rinascita vediamo dispiegarsi sotto di noi le azioni dei Serafini, dei Cherubini e dei Troni.

Guardiamo a loro come dalla Terra si guarda al cielo azzurro, al cielo cosparso di stelle.

 

Dopo la morte, sotto di noi vediamo il cielo formato

dall’attività dei Serafini, dei Cherubini e dei Troni. Di quale attività si tratta?

Fra la morte e la rinascita vediamo i Serafini, i Cherubini e i Troni

sviluppare quel che consegue quale giusto pareggio delle azioni terrene

da noi compiute e sperimentate unitamente ad altri uomini.

 

Gli esseri divini devono esplicare un’attività pareggiatrice,

e noi la guardiamo come nostro cielo, ora dispiegato sotto di noi;

vediamo nelle azioni degli esseri divini le conseguenze dei nostri atti terreni, siano essi buoni o cattivi, saggi o stolti.

 

Rispetto al riflesso delle nostre azioni tra morte e rinascita, guardando verso la Terra ci comportiamo

come qui nella vita terrena ci comportiamo guardando verso il cielo che è sopra di noi.

• Portiamo il nostro karma interiore nella nostra intima organizzazione,

lo portiamo sulla Terra con le nostre facoltà, le nostre capacità, la nostra genialità, la nostra stoltezza.

 

• Quello invece che gli esseri della prima gerarchia formano e debbono sperimentare come conseguenza della nostra vita terrena, lo ritroviamo nella successiva esistenza come destino che ci muove incontro dall’esterno.

 

Possiamo dire che quanto è da noi vissuto con una coscienza di sonno,

ci conduce durante la vita terrena verso il nostro destino, ma in esso vive ciò che, fra morte e rinascita,

gli esseri della prima gerarchia dovettero sperimentare come conseguenza delle nostre azioni.

 

Si prova sempre il bisogno di esprimere tali cose in immagini. Pensiamo di essere in una contrada qualsiasi e di guardare il cielo annuvolato. Vediamo il cielo coperto di nubi, ed ecco che dopo un momento piove. La pioggia, prima sospesa sopra di noi, ora la vediamo sui prati bagnati, sugli alberi bagnati.

Se lo sguardo dell’iniziato mira al tempo fra l’ultima morte e l’ultima nascita prima della discesa nella vita terrena, egli vede le figure delle azioni divine, le conseguenze delle azioni umane dell’ultima vita terrena, quali furono plasmate dagli esseri divini, discendere per così dire spiritualmente e diventare nostro destino.

 

Se incontro qualcuno che sarà importante nella mia vita, che influirà sul mio destino, tutto quanto si ricollega a quell’incontro fu previssuto dagli esseri divini come conseguenza dei miei precedenti rapporti con quella persona. Se vengo a trovarmi in una contrada che avrà importanza per me, se entro in una professione che inciderà sul mio destino, tutto è un riflesso di quanto gli esseri divini della prima gerarchia sperimentarono come conseguenza della mia precedente vita terrena, nel tempo in cui io stesso ero tra morte e rinascita.

Se con mentalità astratta ci limitiamo a dire: le azioni delle vite passate incidono sulle vite successive, prima quelle azioni furono cause ed ora sono effetti, se a questo ci limitiamo, avremo poco più di mere parole. Ma in realtà dietro a quel che descriviamo come legge del karma, stanno azioni divine, esperienze divine. Ma vi è dell’altro ancora.

 

Se riflettiamo, sul nostro destino col solo sentimento, guardiamo a divinità o alla provvidenza in genere in modo conforme alla concezione da noi adottata, e sentiamo il decorso della nostra vita terrena dipendere da quelle divinità. Ma gli esseri divini, appunto quelli che conosciamo come esseri della prima gerarchia: Serafini, Cherubini e Troni, hanno in certo senso una concezione religiosa opposta. Essi sentono collegata agli uomini terreni, agli uomini da loro creati, quella che per loro è necessità. Devono pareggiare i progressi e gli errori degli uomini. Essi sperimentano davanti a noi il destino che preparano per la nostra vita successiva.

 

Occorre tornare a scoprire con l’antroposofia queste cose che nell’antica, non pienamente sviluppata chiaroveggenza istintiva, erano note all’umanità. L’antica saggezza le conosceva; in seguito non ne rimase che un oscuro sentimento, ma in certi antichi documenti della vita spirituale umana questo oscuro sentimento trapela ancora.

Pensiamo ai versi di Angelus Silesius che già ho menzionato nei miei scritti e che ad una coscienza religiosa ristretta devono addirittura apparire sfrontati:

• “Senza di me Dio non potrebbe vivere un attimo, s’io scomparissi, dall’ambascia renderebbe lo spirito”.

 

Angelus Silesius si era convertito al cattolicesimo, e quelle parole le scrisse da cattolico.

Egli sapeva ancora che gli esseri divini dipendono dal mondo come il mondo dipende dagli esseri divini, che tale dipendenza è reciproca, e che essi devono regolare la loro vita secondo quella degli uomini. La vita degli esseri divini agisce però creativamente e agisce sul destino umano.

Attraverso un oscuro sentimento, senza una precisa conoscenza, Angelus Silesius dice:

• “Senza di me Dio non potrebbe vivere un attimo, s’io scomparissi, dall’ambascia renderebbe lo spirito”

 

Mondo e esseri divini dipendono reciprocamente, interagiscono fra loro.

Oggi abbiamo visto questa interdipendenza sull’esempio del destino, del karma.

Dovevo premettere queste considerazioni all’esposizione del karma.