Come possiamo attingere delle conoscenze sul nostro Sé superiore?

O.O. 130 – Cristianesimo esoterico e la guida spirituale dell’umanità – 08.02.1912


 

Come possiamo attingere delle conoscenze sul nostro Sé superiore?

Come possiamo arrivare a questo sapere?

 

Vi perveniamo ponendoci semplicemente la seguente domanda: che cosa sappiamo noi, in realtà?

Anzitutto, ciò che abbiamo conseguito con l’esperienza. Questo sappiamo, null’altro!

 

L’uomo che vuole conoscere se stesso senza sapere che nella sua anima non c’è altro che uno specchio del mondo esterno, può anche dirsi e ridirsi di avere la possibilità di pervenire al suo Sé superiore penetrando in se stesso, ma ciò che troverà – perché qualcosa troverà – non sarà altro che quanto è entrato in lui dall’esterno. La facile via dell’indolenza non conduce alla meta.

 

Quel che dobbiamo fare è interrogarci sugli eventi e i processi che avvengono negli altri mondi – nei quali è anche il nostro Sé superiore – e ove altro non v’è se non ciò che ci viene narrato, che ci viene descritto riguardo alle varie incarnazioni della Terra, riguardo a tutti i contenuti che la scienza dello spirito comunica.

Nello stesso modo in cui si studia l’anima di un bambino – per quanto riguarda la vita esteriore – interrogandosi sull’ambiente che lo circonda, così dobbiamo chiederci quale sia l’ambiente in cui è inserito il Sé superiore.

 

Ma dei mondi in cui è il nostro Sé superiore noi veniamo a conoscenza per mezzo della scienza dello spirito, grazie alle descrizioni che ci sono state date di Saturno, di tutti i suoi segreti, della Luna, dell’evoluzione della Terra, della reincarnazione e del karma, del devacian e del kamaloka, e così via.

Questa, e solo questa, è la fonte che può comunicarci qualche nozione del nostro Sé superiore – quel Sé che noi abbiamo al di là del piano fisico.

E a chi non vuole seguire questi misteri è necessario dire: troppe coccole tu riservi a te stesso!

 

Un’anima come questa, infatti, è troppo sensibile a certe lusinghe che la inducono a credere che basti guardare in se stessi per trovarvi l’uomo divino.

Quelle che trova sono solo le esperienze ricavate dall’esterno e depositate all’interno!

Troviamo l’uomo divino solo se ricerchiamo in noi ciò che dall’esterno di questo mondo si rispecchia in esso, perciò tutti gli apprendimenti, la cui acquisizione può esserci scomoda, altro non sono che conoscenza di sé! La vera teosofìa è in realtà vera conoscenza di sé!

Accogliendo la scienza dello spirito possiamo, dire, perciò, che è proprio la sua accettazione a comunicarci delle conoscenze del nostro Sé.

 

Dov’è veramente questo Sé? È all’interno della nostra pelle?

No, il Sé è effuso nel cosmo intero, e ciò che è nel cosmo è unito al nostro Sé, e anche ciò che era nel mondo è unito al nostro Sé, e solo imparando a conoscere il mondo apprendiamo a conoscere il Sé.

Queste apparenti teorie non sono altro che vie che conducono alla conoscenza di sé.

 

Chi vuole trovare il Sé puntando fisso lo sguardo nella sua interiorità, dice a se stesso: devi essere buono, non devi essere egoista!

Certo, come no? Solo che poi si constata che questa persona diventa sempre più egoista.

 

Conducono, invece, alla vera conoscenza di sé l’assiduo sofferto approfondimento dei grandiosi misteri dell’esistenza, lo sradicarsi dal sé personale che tanto adula e lusinga se stesso, l’effondersi in ciò che è nei mondi superiori e nelle conoscenze che vi si possono attingere.

Meditando su Saturno, Sole, Luna ci si immerge in pensieri cosmici.

• «Nel tuo pensare vivono pensieri cosmici», dice l’anima che pensa antroposoficamente, ma aggiunge: «Perditi in pensieri cosmici».

 

• L’anima che attinge alla fonte dell’antroposofia, dice a se stessa: «Nel tuo sentire tessono forze cosmiche»,

• ma aggiunge subito: «Sperimenta te stesso mediante forze cosmiche!»

 

Sperimenta le forze cosmiche, non quelle adulatrici, colui che apre gli occhi, anche quelli spirituali, e contempla fuori il possente operare delle forze cosmiche, cosciente di essere nel loro seno; non le sperimenta, invece, colui che gli occhi li chiude suggerendo a se stesso: voglio essere buono!

 

•  L’anima che attinge forza dall’antroposofia dice inoltre a se stessa: «Nella tua volontà agiscono esseri cosmici».

•  E aggiunge subito: «Crea te stesso traendoti dagli esseri di volontà!»

 

Il buon esito è certo, se si concepisce così la conoscenza di sé, e allora riesce il trasformarsi traendosi dagli esseri cosmici.

Può apparire arida ed astratta, ma in verità non è solo una teoria essendo, invece, come un seme che, piantato nella terra, vive e cresce, emana forze in tutte le direzioni e diviene pianta, albero. Così è.

 

I sentimenti che accogliamo con la scienza dello spirito ci rendono capaci di trasformarci: «Crea te stesso dagli esseri di volontà!»

L’antroposofia diviene così elisir di vita.

 

Allora il nostro sguardo si estende ai mondi spirituali, allora aspireremo le forze dai mondi spirituali, allora infonderemo in noi le forze che avremo acquisito e ci riconosceremo nelle nostre profondità.

 

•  Solo infondendo in noi la conoscenza del cosmo comprenderemo noi stessi e progrediremo gradualmente dal saggio minore, che è separato dal Guardiano della soglia, al saggio maggiore e penetreremo in tutto ciò che si occulta all’uomo che ancora non vuole essere forte, ma che egli acquisisce grazie all’antroposofìa.