Comprendere la resurrezione per comprendere il cristianesimo

O.O. 131 – Da Gesù a Cristo – 10.10.1911


 

Quando esaminiamo il problema della sorte del corpo fisico,

ci troviamo anzitutto di fronte a un quesito

che occupa effettivamente il centro dell’intera concezione cristiana del mondo;

veniamo infatti condotti niente di meno che al problema essenziale del cristianesimo,

e cioè a come vada interpretata la risurrezione del Cristo,

se dobbiamo ritenere che sia importante per la comprensione del cristianesimo

comprendere il problema della risurrezione.

 

Per sapere se questo sia importante, basta ricordarsi di quel che sta scritto nella prima Epistola di Paolo ai Corinzi (15, 14-20).

• « Se poi Cristo non è risuscitato, vana è dunque la nostra predicazione, vana è anche la vostra fede. Saremmo anche scoperti testimoni falsi di Dio perché abbiamo reso testimonianza contro Dio dell’aver lui risuscitato Cristo, mentre non lo avrebbe risuscitato, se i morti non risorgono. Se infatti non risorgono i morti, neppure Cristo è risuscitato, e se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede, siete tuttora nei vostri peccati; allora sono perduti anche quelli che in Cristo si addormentarono. Se in questa vita solamente speriamo in Cristo siamo i più miserabili di tutti gli uomini. Ora però Cristo è risuscitato da morte, primo fra quelli che son morti ».

 

Dobbiamo osservare in proposito che il cristianesimo, quale si estese nel mondo, emana anzitutto da Paolo. Se abbiamo acquistato la capacità di prendere le parole sul serio, non ci è permesso di sorvolare su queste parole importanti di Paolo e di lasciare insoluta la questione della risurrezione.

 

Che cosa dice infatti Paolo? Che tutto il cristianesimo in generale non avrebbe giustificazione, che l’intera fede cristiana non avrebbe senso, se la risurrezione non fosse un fatto reale. Questo dice Paolo, dal quale il cristianesimo ha preso le mosse come fatto storico. Con questo è detto nientedimeno che chi vuole rinunziare alla risurrezione deve rinunziare al cristianesimo nel senso di Paolo.

 

Gettiamo ora uno sguardo sopra gli ultimi due millenni e chiediamo agli uomini del presente l’atteggiamento che conformemente alle condizioni che hanno preparato la civiltà attuale, essi debbono assumere in merito al problema della risurrezione. Non terrò conto per ora di quelli che addirittura negano del tutto Gesù; è infatti straordinariamente facile di venire a capo del problema della risurrezione, e in ultima analisi il modo più facile di rispondere è dire che Gesù non è affatto vissuto, che non occorre dunque rompersi la testa sul problema della risurrezione.

 

Se facciamo dunque astrazione da queste persone, ci rivolgeremo a quelli che per esempio verso la metà o l’ultimo terzo del secolo scorso, adottarono le rappresentazioni dei nostri tempi nelle quali siamo ancora impigliati, per chiedere che cosa essi debbano pensare della risurrezione, sulla scorta di tutta la loro formazione.

 

Se ci rivolgiamo a un uomo che ha esercitato grande influenza sul pensiero di persone che si considerano molto illuminate, e cioè a David Friedrich Strauss, leggiamo nel suo scritto le seguenti parole su Reimarus, pensatore del secolo diciottesimo: « La risurrezione di Gesù è una vera parola d’ordine attorno alla quale non soltanto le diverse concezioni del cristianesimo, ma diverse concezioni del mondo e diversi gradini spirituali di evoluzione sono fra di loro in disaccordo ».

 

Quasi nel medesimo tempo leggiamo in una rivista svizzera le parole: « Appena mi potrò convincere della realtà della risurrezione del Cristo, di questo assoluto miracolo, rinnegherò la concezione moderna del mondo. Questo strappo a quella che ritengo l’inviolabilità dell’ordine della natura sarebbe uno strappo irrimediabile al mio sistema, al mio intero mondo di pensieri».

 

Chiediamoci quanti uomini del presente, in base ai punti di vista attuali, devono sottoscrivere queste parole e anche le sottoscriveranno dicendo che se dovessero riconoscere la risurrezione come fatto storico, rinnegherebbero tutto il loro sistema filosofico o ogni altro sistema, e chiediamo come potrebbe adattarsi la risurrezione, come fatto storico, alla concezione del mondo dell’uomo moderno.

 

Ricordiamoci che già nella conferenza pubblica abbiamo indicato che i Vangeli devono essere anzitutto considerati come scritti iniziatici. I fatti principali descritti nei Vangeli sono in ultima analisi dei fatti iniziatici, dei processi che prima si svolgevano nel luogo più segreto dei templi misteriosofici quando un discepolo, giudicato degno, veniva iniziato dallo ierofante. Un tale discepolo, dopo una lunga preparazione, attraversava una specie di morte e una specie di risurrezione; doveva attraversare anche determinate situazioni di vita che si ripresentano nei Vangeli, per esempio l’episodio della tentazione, del monte degli Ulivi e simili. Questa è la ragione per cui anche le descrizioni degli antichi iniziati, che non vogliono essere biografie nel senso ordinario della parola, somigliano tanto alle storie dei Vangeli sul Cristo Gesù.

 

Quando leggiamo la storia di Apollonio di Tiana, o quella del Buddha stesso o di Zarathustra, oppure la vita di Osiride, di Orfeo, quando leggiamo insomma la storia dei più grandi iniziati, spesso ritroviamo nella loro vita i medesimi tratti importanti che nei Vangeli ci vengono descritti per il Cristo Gesù.

 

Se anche si deve ammettere che in questo modo si dovrebbero ricercare nelle cerimonie dell’iniziazione negli antichi misteri i prototipi dei processi importanti che ci vengono descritti nei Vangeli, d’altra parte ci risulterà evidente che i grandi insegnamenti della vita del Cristo nei Vangeli sono ovunque accompagnati da singoli particolari, che non vogliono soltanto essere una semplice ripetizione delle cerimonie dell’iniziazione, ma che ci indicano trattarsi di una descrizione diretta di fatti reali.

 

Si deve pur dire che si riceve veramente un’impressione realistica del Vangelo di Giovanni leggendo il passo seguente (Cap. 20, I-17):

• « Il primo giorno della settimana, Maria Maddalena andò al sepolcro, la mattina presto, mentre era ancora buio, e vide che dal sepolcro era stata tolta la pietra. Allora, di corsa si reca da Simon Pietro e dall’altro discepolo che Gesù amava, e dice loro: ”Hanno portato via dal sepolcro il Signore, e non sappiamo dove l’abbiano messo”. Uscì dunque Pietro con l’altro discepolo e andarono al sepolcro. Correvano tutt’e due insieme, ma quell’altro discepolo corse più svelto di Pietro e arrivò prima al sepolcro. E, chinatosi, vide le bende per terrà, tuttavia non entrò. Arrivò intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva; egli entrò nella tomba e vide le bende per terra, e il sudario, che era sul capò di Gesù non per terra con le bende, ma ripiegato, in un angolo a parte. Allora entrò; dunque anche l’altro discepolo, che era giunto prima al sepolcro, e vide e credette. Infatti, non avevano ancora compreso la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti.

 

I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa. Maria invece stava di fuori a piangere, vicino al sepolcro. Or, mentre piangeva, s’affacciò al sepolcro, e ci vide due angeli vestiti di bianco, seduti l’uno al capo e l’altro ai piedi, dov’era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le chiedono: “Donna, perché piangi? “. Risponde loro: ’’ Perché hanno portato via il mio Signore, e non so dove l’abbiano messo”. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi, ma non lo riconobbe. Gesù allora le domanda: ”Donna, perché piangi? chi cerchi?”. E lei, pensando che fosse l’ortolano, gli dice: ” Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai messo ed io lo prenderò! ”. Gesù allora la chiama: ’’ Maria! ”. Essa, voltandosi, esclama in ebraico: ” Rabbonì! ’’ che significa: Maestro! Gesù le dice: ” Non mi toccare, perché non sono ancora asceso al Padre,… ».

 

Questa è una situazione descritta nei suoi particolari in modo che non manca quasi nulla se nella nostra immaginazione ce la volessimo rappresentare; per esempio, quando è detto che uno dei discepoli corre più presto dell’altro, che il sudario che aveva coperto la testa si trova posato in luogo a parte e così via. Tutti i particolari con cui vien descritta la situazione non avrebbero senso, se non si riferissero a dei fatti. Già in altra occasione feci osservare che ci vien raccontato come Maria non riconosca il Cristo Gesù. Feci pure notare come non sia possibile che qualcuno, prima conosciuto, non si riconosca più tre giorni dopo nello stesso aspetto di prima!

 

Il Cristo è dunque apparso a Maria con una figura trasformata;

di questo dobbiamo tener conto, altrimenti quelle parole non avrebbero senso.

Ci risultano dunque due cose.

• Innanzi tutto che la risurrezione va da noi considerata

come lo sviluppo storico dei risvegli fatti nei sacri misteri in ogni tempo, però con la differenza che

nei misteri chi risvegliava i singoli discepoli era lo ierofante;

nei Vangeli viene invece indicato che chi ha risvegliato il Cristo

è l’entità che chiamiamo Padre; il Padre stesso ha risvegliato il Cristo.

 

Ci viene anche indicato che il processo,

che in più piccole proporzioni si svolge di solito nella profondità dei misteri,

venne presentato all’umanità dagli Spiriti divini sul Golgota,

e che l’entità indicata come Padre agì egli stesso da ierofante per risvegliare il Cristo Gesù.

Ci si presenta dunque la massima intensificazione di quello che in minori proporzioni si svolgeva nei misteri.

 

Inoltre tutti i fatti che si riferiscono ai misteri sono intessuti con descrizioni di tanti singoli particolari in modo che oggi ancora possiamo riscostruire dai Vangeli le situazioni in tutte le loro minuzie, come già abbiamo visto nel quadro riportato.

Dobbiamo osservare anche qualcosa di più importante, e cioè che devono avere un senso le parole:

• «Perché non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti. I discepoli dunque se ne tornarono a casa».

 

Chiediamoci quindi di che cosa si erano potuti convincere i discepoli fino ad allora. Con la massima chiarezza possibile ci viene descritto che i lini sono là, ma che la salma non vi è, non è più nella tomba. I discepoli di questo soltanto avevano potuto convincersi, e null’altro compresero quando ritornarono casa. Altrimenti le parole non avrebbero senso. Quanto più si penetra profondamente nel testo, tanto più ci si deve dire che i discepoli, riuniti intorno al sepolcro, si convinsero che vi erano i lini, ma che la salma non vi era più; e rincasarono col pensiero: « Dove è andata la salma? Chi l’ha tolta dal sepolcro?».

 

Ed ora, dalla convinzione che la salma non vi è più, i Vangeli ci conducono lentamente ai fatti per mezzo dei quali i discepoli si convinsero effettivamente della risurrezione. Per mezzo di che si convinsero? Per il fatto che, come raccontano i Vangeli, il Cristo apparve loro di tanto in tanto, che essi poterono dire: « Egli è qui »; a tal punto che Tommaso, chiamato l’Incredulo, potè toccar con mano le ferite.

 

In breve, dai Vangeli si può vedere che i discepoli si convinsero della risurrezione soltanto per il fatto che più tardi il Cristo si presentò loro da risuscitato. Il fatto della sua presenza fu la prova che convinse i discepoli. Se ai discepoli, dopo che gradatamente si erano convinti che il Cristo viveva, sebbene già fosse morto, se ad essi fosse stata chiesta la vera sostanza della loro fede, avrebbero risposto di avere le prove che il Cristo viveva. Essi non avrebbero parlato affatto come più tardi parlò Paolo, dopo aver sperimentato l’evento di Damasco.

 

Chi fa agire su di sé il Vangelo e le Epistole di Paolo noterà quale profonda differenza vi sia fra la nota fondamentale dei Vangeli, riguardo al concetto della risurrezione, e il concetto che ne ha Paolo. Paolo paragona sì la sua convinzione sulla risurrezione con quella dei Vangeli perché, dicendo che il Cristo è risuscitato, indica che il Cristo, dopo essere stato crocifisso, dal chiarore dello spirito comparve vivendo a Cefa, ai dodici, poi a cinquecento fratelli in una volta, e infine anche a lui stesso, il nato prematuramente. Così comparve anche ai discepoli; a questo accenna Paolo.

 

Le esperienze con il Risorto furono uguali per Paolo e per i discepoli. Ma ciò che egli subito aggiunge, ed è per lui l’evento di Damasco, è la sua teoria mirabile e facile da capire sull’entità del Cristo. Perché dall’evento di Damasco in poi che cosa diventa per lui l’entità del Cristo? Diventa per lui il « secondo Adamo ».

 

Paolo distingue subito il primo Adamo dal secondo Adamo, il Cristo.

Egli chiama il primo Adamo il capostipite degli uomini sulla terra.

 

Ma in che modo? Non occorre cercar lontano la risposta a questa domanda. Lo chiama il capostipite degli uomini sulla terra, in quanto vede in lui il primo uomo dal quale sono discesi tutti gli altri uomini; ciò significa per Paolo quello che ha trasmesso agli uomini il corpo che essi portano quale corpo fisico.

 

Così tutti gli uomini avevano ereditato da Adamo il loro corpo fisico.

È il corpo che si presenta a noi per primo nella maya esteriore e che è mortale; è il corpo ereditato da Adamo,

il corpo corruttibile, il corpo fisico soggetto alla morte.

Di questo corpo, adoperando il termine che non è cattivo, gli uomini si sono « rivestiti ».

Il secondo Adamo, il Cristo, vien da Paolo considerato come contrapposto a quello,

come partecipe interiormente del corpo incorruttibile, del corpo imperituro.

 

Paolo premette che, per mezzo dell’evoluzione cristiana, gli uomini siano gradatamente in condizione di far subentrare il secondo Adamo al primo; di rivestirsi del corpo incorruttibile del secondo Adamo, del Cristo, invece di quello corruttibile del primo Adamo.

Paolo dunque, da tutti coloro che si chiamano cristiani, richiede appunto questa convinzione che sembra in opposizione con tutte le antiche concezioni del mondo.

 

• Come il primo corpo corruttibile deriva da Adamo,

• così il corpo incorruttibile deve derivare dal secondo Adamo, dal Cristo.

 

Ogni cristiano dovrebbe quindi dirsi che in quanto discende da Adamo ha un corpo corruttibile, come lo aveva Adamo;

in quanto si pone in un giusto nesso col Cristo, riceve dal Cristo, il secondo Adamo, un corpo incorruttibile.

Questa concezione risplende per Paolo direttamente dall’evento di Damasco.

In altre parole Paolo che cosa vuol dire? Potremmo forse spiegarlo con un semplice disegno schematico.

 

 

Se in un determinato momento abbiamo un certo numero di uomini (X) Paolo li farà risalire tutti, in base all’albero genealogico, al primo Adamo dal quale tutti discendono, e che ha dato loro il corpo corruttibile.

Secondo l’idea di Paolo deve ugualmente essere possibile un’altra cosa.

Come riguardo alla loro umanità gli uomini possono riconoscere di essere affini, perché tutti discendono da quell’unico uomo primordiale, da Adamo, così, sempre nel senso di Paolo, essi dovranno dire che come senza l’opera loro, per virtù delle condizioni fornite dalla riproduzione fisica dell’umanità, quelle linee vanno fatte risalire ad Adamo, così deve essere possibile far nascere in noi qualcosa con un’altra possibilità.

 

 

Come le linee naturali conducono in alto ad Adamo, così deve essere possibile tracciare delle linee che non conducono all’Adamo corporeo con il corpo corruttibile, ma che ugualmente conducono a quel corpo che è incorruttibile e che, per virtù del nesso col Cristo, si può ugualmente portare in sé, secondo il concetto di Paolo, così come si porta in sé il corpo corruttibile che proviene da Adamo.

Niente di più scomodo, per la coscienza moderna, di questa idea, perché, considerata spassionatamente, che cosa richiede da noi? Richiede qualcosa che per il pensiero moderno è tremendo.

 

Il pensiero moderno ha discusso a lungo se tutti gli uomini discendano da un unico uomo primordiale; è un’ipotesi ancora sopportabile che tutti gli uomini siano discesi da un unico progenitore esistente una volta sulla terra, per la coscienza fisica.

Paolo però richiede quanto segue.

Egli dice: « Se tu vuoi diventare cristiano nel senso giusto, devi pensare che possa nascere e poi vivere in te qualcosa del quale tu debba dire che da esso si possono tracciare delle linee spirituali risalenti da quel che vive in te verso un secondo Adamo, verso il Cristo, proprio verso quel Cristo che è risorto il terzo giorno dal sepolcro; così come tutti gli uomini possono tracciare delle linee che risalgono al corpo fisico del primo Adamo ».

 

Da tutti quelli che si dicono cristiani Paolo richiede di far nascere in loro qualcosa che realmente è in loro e che, come il corpo corruttibile risale ad Adamo, riconduca invece a ciò che si è sollevato il terzo giorno dal sepolcro in cui il corpo del Cristo Gesù era stato deposto. Chi non ammette questo non può stabilire alcun nesso con Paolo, non può dire di comprendere Paolo.

 

Se nei riguardi del proprio corpo corruttibile si discende dal primo Adamo, purché si trasformi la propria natura assimilandovi l’essenza del Cristo, si ha la possibilità di avere un secondo capostipite, vale a dire colui che al terzo giorno, dopo che il cadavere del Cristo Gesù era stato deposto sulla terra, è risorto dal sepolcro.

 

Ci sia comunque chiaro che questa è una condizione richiesta da Paolo, per quanto possa riuscire incomoda per il pensiero moderno. Da questo principio paolino potremo poi avvicinarci al pensiero moderno, ma non dobbiamo giudicare in altro modo quel che ci si affaccia così chiaramente in Paolo, non dobbiamo sofisticare intorno a quello che è espresso così chiaramente in Paolo. È certo comodo interpretarlo allegoricamente e pretendere che egli abbia inteso dire chissà che cosa; tutte queste illazioni non hanno però senso. Se vogliamo connettervi un senso, anche se la coscienza moderna volesse considerarlo una superstizione, non ci resta da dire altro che, secondo la descrizione di Paolo, il Cristo è risorto dopo tre giorni. Ma andiamo avanti.

 

Vorrei aggiungere qui ancora l’osservazione che un’affermazione come quella di Paolo, dopo che egli stesso aveva raggiunto il culmine della sua iniziazione per mezzo dell’evento di Damasco, l’affermazione cioè del secondo Adamo e della sua risurrezione dal sepolcro, poteva sorgere soltanto in una persona che, per l’intero suo modo di pensare, per il suo abito mentale, era uscita dalla civiltà greca, che aveva proprio radici nella civiltà greca, malgrado appartenesse al popolo ebraico, qualcuno che in un certo senso aveva sacrificato tutto il suo ebraismo alla concezione greca.

Se si esamina il problema più da vicino, che cosa afferma infatti Paolo in sostanza?

Di quel che i greci amavano e apprezzavano, e cioè la forma esteriore del corpo umano di cui essi avevano il sentimento tragico che dovesse terminare quando l’uomo varca la soglia della morte, di tale forma esteriore Paolo diceva che essa si è risollevata trionfante dal sepolcro con la risurrezione del Cristo.

 

Se ora vogliamo gettare un ponte fra queste due concezioni del mondo, dobbiamo ricordare che l’eroe greco, in base al suo sentimento di greco, diceva esser meglio vivere da mendicante nel mondo che da Re nel regno delle ombre. Egli lo diceva perché il suo sentimento greco era convinto che ciò che il greco amava, la forma esteriore del corpo fisico, andasse per sempre perduta varcando la soglia della morte.

Su questo terreno da cui era cresciuta una simile disposizione tragica dell’anima imbevuta di bellezza, sul medesimo terreno si presentò Paolo, il propagatore del Vangelo innanzi tutto fra i greci.

 

Né ci allontaniamo dalle sue parole interpretandole nel modo seguente:

• « Quel che voi maggiormente apprezzate, la forma umana del corpo,

non perisce nel tempo, ma il Cristo è risorto, primo fra coloro che verranno risuscitati dai morti!

La forma fisica del corpo non va perduta, bensì restituita all’umanità grazie alla risurrezione del Cristo ».

 

Ciò che i greci maggiormente apprezzavano venne loro restituito, con la risurrezione, da Paolo, l’ebreo compenetrato di cultura greca. Soltanto un greco poteva pensare e parlare a quel modo, ma soltanto un greco diventato tale con tutte le premesse che al tempo stesso gli risultavano per la sua discendenza dall’ebraismo. Soltanto un ebreo diventato greco poteva parlare a quel modo, nessun altro.