Comprensione del karma e conoscenza superiore.

O.O. 236 – Nessi karmici Vol. II – 30.05.1924


 

L’esame delle concatenazioni karmiche nella vita umana

esige il pieno intendimento di certe condizioni regolate da leggi cosmiche che all’uomo odierno sono poco usuali.

 

Nelle concatenazioni karmiche che da una vita terrena agiscono sull’altra si esplicano leggi di natura spirituale, leggi spirituali che vengono fraintese se minimamente si crede che in esse vi sia un rapporto di causa ed effetto in qualche modo analogo a quello del mondo ordinario.

Per arrivare a una comprensione dei nessi karmici occorre anzitutto conoscere con precisione quello che nell’interiorità dell’essere umano si svolge dietro la coscienza usuale.

Si può solo avere tale conoscenza mediante l’osservazione dell’essere umano che è conseguibile grazie alla conoscenza soprasensibile, iniziatica.

 

Per progredire nella trattazione di alcune delle cose accennate nelle ultime conferenze che nel loro svolgimento ci guideranno alla piena comprensione del karma, ci occuperemo oggi di vedere come, ascendendo alla conoscenza iniziatica immaginativa, ispirativa e intuitiva, si possa acquistare sempre più la possibilità di comprendere come l’essere umano sia intessuto nella totalità del cosmo.

Spesso, perfino in conferenze pubbliche, abbiamo rilevato che, mediante la conoscenza immaginativa, davanti all’uomo si apre un quadro della sua vita terrena presente: egli abbraccia così la propria vita in immagini possenti, ne abbraccia precisamente quello che la memoria usuale non può offrirgli.

 

Si può dire che, mentre osserva il quadro che nasce dal suo sforzo verso la conoscenza immaginativa, l’uomo vive all’inizio del tutto nel suo corpo fisico e nell’eterico, ma grazie ai relativi esercizi egli si è reso del tutto indipendente dalle impressioni di cui il corpo fisico è tramite. Con la conoscenza immaginativa, diviene dunque indipendente dalle sue impressioni dei sensi, indipendente anche dalle cognizioni intellettive. Egli vive in modo conoscitivo nel solo corpo eterico, e perciò vede il quadro mnemonico di cui ho detto.

Possiamo dunque dire che in quella condizione l’essere umano vive nel campo soprasensibile, ma vive in esso perché si è interiormente distaccato dal corpo fisico. Conquistare la conoscenza immaginativa non sarebbe così difficile come in realtà è per i più, se gli uomini fossero più disposti a rompere i legami interiori della loro vita animica col corpo fìsico.

 

Certo, rompere la connessione con la diretta percezione sensoria è relativamente facile, ma riflettiamo che l’uomo è collegato con il suo corpo fisico anche mediante la disposizione animica che fa propria nel corso della vita terrena.

Negli stati d’animo che sperimentiamo sul piano fisico siamo infatti anche dipendenti dal corpo fisico. Anche attribuendo qualcosa alle proprie capacità, ai propri talenti o ad altre peculiarità della propria anima, tutto è connesso con le esperienze vissute nel corpo fisico. Per arrivare alla vera conoscenza immaginativa bisogna liberarsi di tutto ciò. Chi, anche per un solo momento se ne è davvero liberato, sa che cosa sia tale conoscenza, e allora, a gradi, gli si aprirà anche il quadro della propria esistenza.

 

Ma dobbiamo sapere con chiarezza quale sia la differenza che intercorre

fra « essere collegati col corpo fisico e quindi essere in esso »

e « non essere collegati col corpo fisico, ed essere nondimeno in esso ».

 

Si tratta di una differenza rilevante, e la conoscenza immaginativa dipende appunto

dal rimanere nel proprio corpo fisico, dal non uscirne, ed esserne tuttavia indipendenti.

La vita spirituale-animica può rimanere entro la corporeità fisica,

può colmarla pur rimanendone interiormente svincolata. Il corpo fisico ne è colmato.

Ne darò un’immagine con un disegno.

 

Prendiamo la solita condizione di vita dell’essere umano durante il giorno. Supponiamo che siano le linee esterne (chiaro) il corpo fisico, che quelle più interne (lilla) siano il corpo eterico, e quelle ancora più interne (giallo) l’elemento animico-spirituale (a nel disegno). Attraverso muscoli, ossa e nervi il corpo eterico dell’uomo è in ogni sua parte congiunto col corpo fisico. Ovunque il corpo eterico è connesso col corpo fisico. Prendiamo un esempio: abbiamo un recipiente poroso d’argilla e vi versiamo un liquido che ne riempia i pori.

 

 

Ma possiamo anche usare un recipiente che non sia poroso, bensì di un materiale che non assorbe il liquido; in tal caso il liquido rimarrà solo nell’interno del recipiente, ma non compenetrerà le sue pareti. Analogamente, con la conoscenza immaginativa l’uomo è sì entro la corporeità, ma il suo corpo eterico non penetra nei muscoli, nelle ossa e così via. Disegno quindi il corpo fisico (b nel disegno); il corpo eterico rimane per sé stante, e dentro abbiamo l’essere animico-spirituale dell’uomo. Nell’interiorità il corpo eterico si è separato. Quando poi si ritorna alla condizione precedente, la conseguenza di tale separazione deve naturalmente giungere a percezione, ed è quindi naturale che, se ci si sforza davvero di uscire dal corpo fisico pur rimanendovi collegati, come accade nella conoscenza immaginativa, non solo ci si affatica, ma si sente il corpo pesare, lo si avverte molto, dovendo di nuovo inserirvisi.

Questo vale per la conoscenza immaginativa, non per quella ispirativa. Come spiegai, la conoscenza ispirata subentra quando la coscienza si è svuotata di ogni contenuto, e col proprio essere spirituale-animico si è fuori del corpo fisico. Nel disegno, in c, l’essere spirituale-animico è fuori del corpo fisico e del corpo eterico.

Esteriormente la disposizione deve essere come nel sonno. Con l’io e il corpo astrale l’essere umano deve poter essere del tutto fuori del corpo eterico. Allora soltanto subentra la conoscenza ispirata.

Quando poi si ritorna nel corpo fisico e nel corpo eterico, ci si accorge che in essi vi è qualcosa di particolare, che il corpo fisico e il corpo eterico non sono quali in genere li si afferra, ma che racchiudono qualcosa. Questo è molto importante, perché il saperlo caratterizza l’intero processo dell’iniziazione.

Dopo attraversata l’ispirazione, l’uomo prova a tutta prima una certa difficoltà a rientrare nel corpo fisico perché ha in sostanza l’impressione di immergersi in qualcosa di molto diverso dal corpo fisico e dal corpo eterico nei quali di solito dimorava.

 

Ieri ho detto che, guardando a ritroso, si osserva il quadro mnemonico e successivamente, attraverso la conoscenza ispirata, lo si cancella, percependo quanto è contenuto nel corpo fisico. Quando si cancella il quadro mnemonico che abbraccia il periodo fra la nascita e il settimo anno, fino alla seconda dentizione, si percepisce che nel corpo fisico aveva dimorato un Angelo. Si ha veramente la percezione di un’entità della terza gerarchia. Quando dunque si esce dal corpo fisico e poi vi si ritorna come nella propria dimora umana, guardando al tempo fra la nascita e il settimo anno nel corpo fisico si incontra il proprio Angelo.

In antico, nel corso dell’evoluzione, queste cose erano ben note, e nei diversi periodi, attraverso l’antica chiaroveggenza istintiva, erano anzi conosciute in diverse maniere e se ne teneva conto per certe manifestazioni della vita.

In quegli antichi tempi si aveva per esempio piena coscienza di doversi regolare secondo fatti spirituali nel dare i nomi. Di regola oggi non si attribuisce importanza al nome da dare a un bambino. Molti cercano solo che suoni bene o altre cose simili. Qualche volta nella scelta entra perfino in gioco una certa civetteria: si dà al bambino un dato nome perché piace. Ma vi furono tempi in cui la scelta del nome era in relazione con un certo collegamento che si pensava di stabilire fra il bambino e il mondo spirituale. Prendiamo per esempio un tempo in cui si venerava particolarmente un essere profetico chiamato Elisa; in quel tempo alcune bambine furono chiamate Elisabetta, e cioè « dimora di Elisa ». Quel nome testimoniava che la bambina era stata messa al mondo col presupposto di assicurarle la grazia di quel profeta. I nomi venivano dati con simili intenti.

Per quale ragione? Perché si sapeva che, quando l’essere umano è stato fuori della corporeità e poi vi ritorna, egli diviene in realtà un portatore di esseri spirituali, vede se stesso come portatore di esseri spirituali.

 

Il concetto secondo cui soprattutto i bambini sono protetti dal loro Angelo, proviene dal fatto che con l’iniziazione, guardando indietro al tempo fra la nascita e il settimo anno, si sperimenta quello che ieri ho caratterizzato dicendo che, quando dal quadro mnemonico viene cancellato tale periodo, traspare la gerarchia degli Angeli, vale a dire gli eventi lunari. Ieri ho detto che le cose si sono alquanto spostate, ma torneremo a parlarne. Lo si vede in pari tempo come qualcosa inserito nell’essere umano.

Se si guarda a quanto sta fra i sette e i quattordici anni, e poi si fa ritorno nel corpo, si trova un Arcangelo; esso è naturalmente in noi anche fra la nascita e il settimo anno, ma guardando a quel solo periodo non lo sì trova. Quando si ritorna nel corpo dopo esserne stati fuori ci si accorge che nel corpo dimorano tutte le entità delle gerarchie superiori. A questa forma di autoconoscenza che ci rivela che il corpo è portatore degli esseri delle gerarchie superiori, non si può arrivare però che uscendo prima dalla corporeità e poi ritornandovi.

 

Ciò può tuttavia venir compreso solo in connessione con un altro fatto. Nell’universo splendono molte stelle, e già dissi che le stelle sono soltanto i segni esteriori di colonie di esseri spirituali. Dove riluce il segno esteriore della stella, vi sono in realtà colonie di esseri spirituali. Non dobbiamo però pensare che con la loro coscienza quelle divinità siano unicamente per esempio su Venere oppure sul Sole, su Mercurio, su Sirio o altrove, bensì che esse siano soprattutto in quegli astri. Là hanno per così dire il centro di gravità del loro essere.

 

Tutti gli esseri spirituali del cosmo che sono collegati con la Terra non possono esistere nel cosmo in modo da poter dire: dimorano unicamente su Marte o su Venere. Per quanto paradossale possa sembrare, devo dire che gli esseri divini congiunti con la Terra, gli abitatori di Marte, di Venere, di Giove e così via e gli stessi abitatori del Sole, sarebbero ciechi se dimorassero unicamente sul Sole o su Marte o su Giove. Sarebbero altrettanto ciechi quanto lo saremmo noi se fossimo privi di occhi. Esisterebbero, agirebbero, come anche noi potremmo esistere, camminare, afferrare gli oggetti anche se fossimo privi della vista, ma non vedrebbero (intendo naturalmente riferirmi a quello che « vedere » è per gli dèi), non percepirebbero attraverso una certa facoltà percettiva quello che accade nel cosmo.

 

A questo punto si potrebbe domandare: dov’è l’occhio, l’organo percettivo degli dèi? dove è esso? La Luna, nostra vicina nel cosmo, accanto alle altre sue proprietà ha quella di essere l’organo di percezione degli dèi. Tutti gli esseri divini, gli esseri del Sole, di Mercurio, di Marte, di Giove, di Saturno hanno i loro occhi nella Luna. Quegli esseri sono al contempo nella Luna.

Ed ora pensiamo a che cosa si è in realtà detto con tale affermazione. Prendiamo solo un fatto. Abbiamo altre volte osservato che un tempo la Luna era una parte della Terra, e che se ne separò solo nel corso dell’evoluzione. Anticamente l’occhio delle divinità era dunque unito alla Terra. Gli dèi guardavano l’universo dalla Terra.

 

È per questo che gli antichissimi grandi maestri poterono dare all’umanità la saggezza che in effetti le diedero. Mentre vivevano sulla Terra, la Luna era nella Terra, essi guardavano fuori nel cosmo con gli occhi degli dèi, perché la Luna era nella Terra. Quando poi la Luna si separò, per un certo tempo essi poterono conservare il ricordo, poterono vedere nel ricordo quel che era esistito, visto con l’occhio dell’umanità, e in tal modo illuminare gli dèi. Più tardi essi dovettero emigrare sulla Luna e fondarvi una colonia; ivi sono ora per guardare con gli occhi degli dèi.

Riflettiamo anche su un’altra cosa: Jahve reggeva dalla Luna i cuori, le anime degli ebrei, e quelli fra i grandi antichissimi maestri che partecipavano ancora al culto e alla dottrina di Jahve, si unirono a lui sulla Luna per guardare il mondo attraverso il suo occhio.

 

La Luna tornerà un giorno a congiungersi con la Terra. Sulla Terra l’uomo riavrà allora la possibilità di guardare il cosmo con l’occhio delle divinità. Egli possiederà allora come dote naturale la facoltà di guardare fuori nel cosmo. Queste cose soltanto possono insegnarci a conoscere la vera natura dell’universo. Solo osservando l’universo in questo modo si vede anche la Luna in modo giusto.

A questo punto ci si chiarisce anche la ragione per cui sulla Terra può svilupparsi la libertà. Finché la Luna era stata unita alla Terra e finché i grandi antichissimi maestri insegnavano attingendo ai loro ricordi, e anche dopo, quando i loro insegnamenti venivano custoditi nelle sedi dei misteri, fino al secolo quattordicesimo d.C., tutta la saggezza impartita all’umanità era come la vedevano gli dèi. Solo dal tempo che ho indicato, dall’anno 1413, la Terra è nella totale impossibilità di vedere con gli occhi delle divinità. Con lo sviluppo dell’anima cosciente comincia per gli uomini la possibilità di sviluppare la libertà.

 

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L’uomo è in realtà sulla Terra soltanto con la percezione sensoria e con la conoscenza intellettiva perché queste due proprietà sono collegate al corpo fisico-sensibile. In realtà dobbiamo pensare (v. disegno seguente) che solo per quanto riguarda i sensi e la conoscenza intellettiva egli si differenzia, esce dalle gerarchie che sono al di sopra di lui (dovrei sovrapporre il rosso al senso del calore), mentre in tutto ciò che sta dietro l’intelletto vive la terza gerarchia (verde), in ciò che sta dietro il sentire vive la seconda gerarchia (arancione, torace) e in tutto ciò che sta dietro il volere vive la prima gerarchia (giallo, tronco).

 

Noi siamo dunque in realtà immersi nel grembo delle gerarchie,

e ci differenziamo, usciamo dal loro mondo solo con gli organi di senso e con l’intelletto.

È davvero come se nuotassimo, e la testa soltanto fuoriuscisse di poco.

Così, con i sensi e con l’intelletto, fuoriusciamo dal mare degli influssi delle gerarchie.

Tutto questo ci appare quando torniamo nella corporeità da uno stato di percezione extra-corporea.

Vediamo allora come l’essere umano sia la dimora degli dèi.

 

Da tutto ciò consegue ancora chequando gli dèi vogliono guardare cosmicamente l’universo,

essi lo guardano per il tramite della Luna.

Se vogliono invece guardarlo ancora oggi dalla Terra

(ed esso rivela allora un tutt’altro aspetto) devono guardarlo attraverso l’uomo.

Il genere umano è l’altro occhio degli dèi.

 

In tempi molto lontani era naturale per l’uomo guardare con l’occhio degli dèi perché la Luna era congiunta con la Terra, ed egli tornerà a vedere con gli occhi divini quando Luna e Terra si ricongiungeranno. Mediante l’iniziazione, poiché l’uomo si accorge ritornando nel suo corpo che tutto è mondo divino, che conosce gli dèi, egli impara a osservare il mondo attraverso l’occhio umano. Così l’iniziazione conferisce la stessa facoltà che un tempo l’uso dell’occhio lunare dava agli dèi.

 

Tutto quel che facciamo con la coscienza usuale,

le intenzioni che per suo mezzo realizziamo, tutto ciò dipende da noi stessi,

ma il nostro karma viene foggiato e plasmato dalle gerarchie superiori che sono in noi.

In loro abbiamo i veri artefici di un ordine del mondo del tutto diverso,

di un ordine del mondo che emana dalla realtà morale-spirituale.

Questo è l’altro lato dell’essere umano, il lato delle gerarchie.

Finché possiede unicamente la conoscenza immaginativa, guardando a ritroso alla propria vita terrena l’uomo è convintissimo di essere un’unità, ed è anche pienamente convinto che certe azioni nella vita siano libere perché vengono compiute come sgorganti dall’unità della natura umana. Egli non nota ancora molto del proprio karma con la sola conoscenza immaginativa.

Giunto alla conoscenza ispirata, l’essere umano quando rientra nel suo corpo si sente scisso in un mondo di innumerevoli gerarchie. Ritornando nel proprio corpo, a tutta prima egli non sa chi sia. È l’Angelo? è un essere della gerarchia delle Dynamis, delle Exusiai? È scisso in un mondo di entità, si sente stordito dalla molteplicità del proprio essere, perché è uno con tutte quelle entità.

 

È allora necessario che mediante i relativi esercizi l’uomo diventi tanto forte da far valere la propria unità di fronte a tutto quel mondo. A quel punto, e si tratta di un effetto postumo della vita fra morte e rinascita, egli vede anche come il karma si formi attraverso il concorso di tutte le entità dimoranti in lui. Innumerevoli esseri divini cooperano alla formazione del karma.

Si può quindi realmente dire che solo nel dominio dell’attività intellettiva e in quello dell’attività sensoria l’essere umano conduce una vita terrena. Per quanto concerne l’attività del sentimento e della volontà, egli partecipa alla vita degli dèi.

 

Anzi, partecipa a quella vita anche con una più profonda occulta attività di pensiero, e precisamente alla vita di Angeli, Arcangeli e Archai. Per quanto si nasconde dietro la vita del sentimento, partecipa alla vita di Exusiai, Dynamis e Kyriotetes, e per la volontà partecipa alla vita di Cherubini, Serafini e Troni. Quello che chiamiamo destino umano è dunque un fatto che riguarda gli dèi, e come tale deve essere trattato.

 

Che cosa significa per la vita umana? Se l’uomo non cerca di essere in qualche modo spassionato verso il destino, se non vi si adatta, se nutre rancore nei suoi riguardi e ne è malcontento, se lo scompiglia con decisioni soggettive, è come se egli di continuo disturbasse gli dèi nella formazione del suo destino. Si può realmente vivere il proprio destino solo sapendo accettare la vita con animo spassionato. Sentire come il destino agisce è una delle cose connesse con forti cimenti della natura umana. Ma se l’uomo arriva davvero a un atteggiamento di serietà di fronte al suo destino, proprio dalle esperienze che il destino gli pone trarrà il maggior incitamento, i più forti impulsi a vivere col mondo spirituale. Egli perverrà anzitutto a un sentimento, scaturito dalla stessa vita, al sentimento di come si esplica il destino.

 

Per gli uomini d’oggi, per gli uomini moderni, tale finezza, tale delicatezza di sentire è per lo più andata perduta. Essi sentono in modo grossolano. Ma supponiamo che, con delicatezza di sentimento, qualcuno si soffermi a considerare il rapporto avuto in gioventù con un suo maestro, con una persona che gli fu d’esempio. Non è detto che si debbano sempre solo disdegnare i propri maestri; può anche succedere, e succede nella realtà, che si guardino con un certo intimo compiacimento i propri venerati educatori, quelli che ci furono di esempio. In tali casi, quel guardare al passato con intimità di sentimento può venir approfondito. Si può richiamare all’anima come ad esempio, fra i sette e i quattordici anni, si sentisse: devo fare anch’io quel che fa il mio venerato maestro, non posso non farlo. Oppure si sente: quando quel venerato maestro insegnava, quando diceva qualcosa, era come se lo si fosse già sentito, come se fosse solo una ripetizione. È anzi una delle più belle conquiste della vita poter considerare tali cose come ripetizioni. Allora ci si dice: alla base di questo deve esserci qualcosa, e con un sano intelletto si può aggiungere: naturalmente tale base non può essere stata posta in questa vita. Dal sano giudizio umano si è per tal modo indirizzati a vite terrene precedenti. Molte persone vengono in effetti indirizzate a vite anteriori dal loro sano intelletto.

 

Che cosa significa che si possa guardare in quel modo a un nostro maestro o educatore? In tali casi quel maestro ci era stato dato dal destino. Si ha per destino un dato maestro. Si viene rimandati a vite terrene precedenti.

L’osservazione occulta rivela che di solito l’attuale maestro non era stato maestro di quella persona nella vita precedente, ma aveva avuto con lei un tutt’altro rapporto. Quando si ha di fronte un maestro o comunque un educatore, se ne accolgono i pensieri, anche se rivestiti di immagini; in una sana pedagogia se ne accolgono appunto i pensieri, le idee. Di norma in tal caso si è ricondotti a una vita terrena anteriore nella quale da chi ci divenne poi maestro non si erano accolti pensieri, ma sentimenti, nella quale non si era tanto avuta l’opportunità di accogliere da lui pensieri quanto sentimenti trasmessi nei modi più vari nella vita. Si può dire la stessa cosa per l’attuale esistenza terrena, e per una successiva.

 

Supponiamo che qualcuno abbia l’opportunità di provare un’intima e calda simpatia per una persona con la quale non entra al momento in alcuna particolare relazione, che incontra soltanto, ma che gli è molto simpatica. Può verificarsi che la simpatia provata in questa vita porti nella successiva ad avere quella persona a maestro, a educatore.

Che cosa è obiettivamente accaduto? Il provare simpatia per qualcuno dipende da quello che per lui gli esseri della seconda gerarchia, Exusiai, Dynamis, Kyriotetes effondono nell’uomo e attorno a lui.

 

Se poi nella successiva incarnazione l’influsso di quella persona non agisce più attraverso i sentimenti, ma i pensieri, le idee, ciò significa che gli esseri della seconda gerarchia cedettero, quello che in una precedente vita loro stessi avevano compiuto, agli esseri della terza gerarchia: Angeli, Arcangeli e Archai che ora agiscono nell’uomo.

Lo sviluppo del nostro karma da una vita all’altra, significa dunque che azioni, azioni reali, vengono trasmesse da una gerarchia all’altra, che nel cosmo spirituale ha luogo qualcosa di infinitamente importante.

 

Guardando al destino umano vediamo in realtà come attraverso un velo una vastissima azione universale. Portandocelo bene a coscienza, tutto questo può fare una fortissima impressione su di noi. Occorre farsene una concreta idea nell’anima.

Supponiamo di abbracciare con il pensiero la vita di un uomo che si svolge secondo il suo destino. Non si dovrebbe davvero mai guardare con indifferenza al destino quale si esplica nella vita perché, osservandolo, si vedono in realtà azioni che dalla somma gerarchia passano a quella più bassa e da questa tornano alla prima. Osservando il destino di una persona si guarda al tessere, operare e vivere di tutte le gerarchie. In fondo si dovrebbe considerare il destino di una persona con immensa venerazione, con sentimenti di profonda devozione perché, osservandolo, si è al cospetto di tutto il mondo degli dèi.

 

Questo intesi far sentire almeno un poco quando composi i miei misteri drammatici; in essi si trovano sempre quadri della vita terrena e quadri di quanto si svolge nel mondo spirituale. In quei drammi resi anche evidente come non solo le gerarchie superiori, ma anche gli esseri elementari e l’elemento arimanico e luciferico partecipano alla vita e allo sviluppo dei fatti che scorrono dall’alto al basso e dal basso all’alto per l’attuazione del destino umano.

Pensiamo alle scene che si svolgono nel mondo soprasensibile, dove Strader e Capesio compaiono in tutt’altro aspetto, pur essendo sempre loro stessi. È l’altra parte dell’aspetto umano, veramente insita nell’uomo, quella che è nel mondo degli dèi e non nei regni terrestri, dei minerali, degli animali, delle piante, delle montagne, delle nubi, degli alberi e così via. Dobbiamo far nostri sentimenti di sacra riverenza nel guardare ai destini umani; lo richiedono anche i tempi. È veramente terribile leggere biografie scritte oggi da uomini di sentimenti materialistici; è terribile perché quelle biografie sono compilate senza il rispetto dovuto al destino delle persone di cui trattano.

 

I biografi dovrebbero sapere che inserendosi nella vita di un essere umano anche solo per descriverla, essi si inseriscono anche in modo invisibile nel mondo di tutte le gerarchie.

Mediante riflessioni come queste tocchiamo l’aspetto di sentimento dell’antroposofia, vediamo come tutta l’antroposofia alla quale ci avviciniamo deve anche toccare il nostro sentimento, vediamo come non ci si limiti alla conquista di cognizioni, ma veniamo anche stimolati a sviluppare sentimenti verso il mondo, sentimenti che soli ci pongono giustamente nella vita. Senza essere stati condotti a sperimentare quei sentimenti, noi non possiamo in realtà comprendere le leggi che attraversano il karma umano.