Con la comparsa del Cristo sulla Terra, comincia per l’al di là una fase del tutto nuova

O.O. 107 – Antropologia Scientifico-Spirituale Vol. I – 23.10.1908


 

Quando descriviamo la vita dell’uomo fra la morte e una nuova nascita, ne tracciamo un quadro generale che conoscete senz’altro.

Descriviamo, partendo dal momento della morte, come l’uomo, dopo che gli si è dispiegato davanti all’anima il grande quadro mnemonico che sapete, entri nel periodo in cui continua a serbare in sé gli istinti, i desideri, le passioni che hanno sede nel corpo astrale, tutto ciò insomma che lo lega ancora al mondo fisico; come entri, cioè, nel periodo in cui vige quel che si chiama ormai abitualmente kamaloca; e come poi, dopo essersi liberato di questo legame, faccia il suo ingresso nel devacian, in un mondo puramente spirituale. E continuiamo poi con la descrizione di ciò che, nel periodo fra la morte e una nuova nascita, succede ulteriormente all’uomo in questa esistenza puramente spirituale, fino al suo ritorno nel mondo fisico.

 

In tutta la nostra esposizione, come avrete visto, per il momento siamo sempre stati attenti, se così vogliamo dire, a riferire al presente quanto vi è descritto, a riferirlo alla nostra vita attuale. E non può essere che così. Nel fare una descrizione, bisogna naturalmente avere un qualche punto di partenza, bisogna pur attestarsi su una qualche posizione. Proprio come nel descrivere il presente si deve partire da ciò che si osserva e si sperimenta nel presente, così, nel descrivere il mondo spirituale, è altrettanto necessario delineare il quadro che si offre allo sguardo chiaroveggente, il quadro della vita che si vive fra la morte e una nuova nascita, rapportandolo pressappoco a ciò che avviene di norma nel presente quando l’uomo muore e si avvia, attraversando il mondo spirituale, a vivere una nuova esistenza.

 

A un esame occulto di ampio raggio, però, risulta del tutto chiaro che anche per il mondo in cui l’uomo vive fra la morte e una nuova nascita la parola “storia” ha indiscutibilmente un senso. Anche lì succede proprio come nel mondo fisico. E come qui narriamo una successione di avvenimenti che si distinguono l’uno dall’altro, come descriviamo questi avvenimenti partendo all’incirca dal quarto millennio avanti Cristo e inoltrandoci quindi nell’era cristiana, così dobbiamo constatare lo svolgersi di una “storia” anche in quell’altro periodo di esistenza, dobbiamo renderci conto del fatto che, anche lì, all’epoca della civiltà egiziana, o di quella paleopersiana, o di quella dell’India più antica, la vita compresa fra la morte e una nuova nascita non era esattamente qual è, per esempio, nell’epoca attuale.

 

Dunque, se della vita nel kamaloca e della vita nel devacian ci siamo formati per il momento un’idea che è riferita al nostro presente, è ormai tempo, adesso, di ampliare questo primo quadro descrittivo, e di procedere a considerare tali mondi sotto l’aspetto storico. E, avviandoci a trattare di “storia occulta”, per riuscire a chiarirci le idee su una materia come questa vogliamo fare subito riferimento a ben precisi fatti spirituali. Per intenderci dobbiamo però risalire molto indietro, pressappoco fino all’epoca atlantica. Oggi abbiamo raggiunto un livello tale di conoscenza che, nel parlare di quelle epoche, alcune cose possiamo darle senz’altro per comunemente note.

Quello che ci chiediamo è come si presentasse in quell’epoca, per la quale possiamo già parlare di nascita e morte, la vita dell’uomo – diciamo così – nell’al di là. La differenza che esisteva allora fra la vita nell’al di là e la vita nell’al di qua non è certo la stessa di oggi.

 

Quando l’uomo dell’Atlantide moriva, che ne era della sua anima?

L’anima trapassava in uno stato in cui si sentiva celata, nel significato più pregnante del termine, entro un mondo spirituale, entro un mondo di individualità spirituali superiori. E sappiamo che anche qui, sulla Terra fisica, la vita dell’uomo dell’Atlantide si svolgeva diversamente dalla nostra vita di oggi.

Nell’epoca atlantica – ne abbiamo parlato più volte – non esistevano

• né l’alternarsi di veglia e sonno

• né lo stato notturno di incoscienza così come li conosciamo oggi.

 

Mentre si assopiva e la cognizione degli oggetti fìsici circostanti si ritraeva dalla coscienza,

l’uomo entrava in un mondo di spiritualità, dove gli comparivano dinnanzi entità spirituali.

• Come di qua l’uomo, durante il giorno, si ritrovava insieme con piante, animali, uomini e via dicendo,

allo stesso modo, di là, anche nella coscienza dello stato di sonno

prendeva forma, tanto più distintamente quanto più ci si assopiva,

tutto un mondo di entità spirituali, inferiori e superiori.

• E, in questo mondo, l’uomo dell’Atlantide si immedesimava.

 

Quando poi, con la morte, egli passava nell’al di là,

il mondo delle entità e degli eventi spirituali si stagliava tanto più chiaro.

• Con tutta la propria coscienza, l’uomo dell’epoca atlantica si sentiva molto più di casa in questi mondi superiori,

in questi mondi costituiti di eventi ed entità spirituali, che non nel mondo fisico.

• E basta riandare ai primi tempi dell’Atlantide per scoprire che gli uomini concepivano l’esistenza fisica

– così facevano tutte le vostre anime – come un soggiorno temporaneo entro un mondo

dove ci si trattiene bensì per un certo periodo, ma che è diverso dalla vera patria.

 

La vera patria non si identificava con la sfera terrena.

La vita compresa fra morte e nuova nascita aveva tuttavia, nell’epoca atlantica, una caratteristica particolare

della quale l’uomo d’oggi può difficilmente farsi un’idea, perché l’ha smarrita del tutto.

La facoltà di dirsi “io”, di avvertirsi come un essere autocosciente,

quella facoltà di percepirsi come un “io”che nell’uomo odierno costituisce l’essenziale,

per l’uomo dell’Atlantide andava totalmente perduta con l’abbandono del mondo fisico.

 

Quando egli ascendeva al mondo spirituale, che fosse durante il sonno o, più ancora,

durante la sua vita fra la morte e la nuova nascita, alla coscienza dell’io

“io sono un essere autocosciente”, “io sono in me”

subentrava una coscienza diversa: “io sono celato entro le entità superiori”,

“io sono come immerso entro la vita stessa di queste entità superiori”.

 

L’uomo si sentiva un tutt’uno con le entità superiori,

e nel sentirsi un tutt’uno con esse provava, in questo al di là, una sconfinata beatitudine.

• E così la sua beatitudine cresceva sempre di più, a mano a mano

ch’egli si estraniava dalla coscienza dell’esistenza fisico-sensibile.

 

Era una vita beatificante, che ci si mostra come tale quanto più andiamo indietro nel tempo.

E infatti ci siamo detti spesso in che consista il senso dell’evoluzione dell’umanità in rapporto all’esistenza terrena.

Consiste in ciò, che il legame dell’uomo con l’esistenza fisica sulla Terra si fa sempre più stretto.

 

Se nella coscienza dello stato di sonno l’uomo dell’epoca atlantica si sentiva perfettamente a casa propria nell’al di là,

se vi percepiva un mondo luminoso, sereno e familiare, bisogna anche dire che, nell’al di qua,

la sua era ancora una coscienza in parte onirica.

Non era ancora giunto a una vera e propria presa di possesso del corpo fisico.

 

Quando si destava, dimenticava in un certo senso gli dèi e gli spiriti che aveva frequentati nel sonno,

ma ciò nonostante non si immedesimava nella coscienza fìsica

come succede oggi, quando al mattino ci si risveglia.

Gli oggetti non avevano ancora dei contorni chiaramente definiti.

 

Per l’uomo dell’Atlantide era sempre come quando a noi capita di uscire in una sera di nebbia

e di vedere la luce dei lampioni che si confonde in un alone, in un’aura multicolore.

Tutti gli oggetti del piano fisico avevano proprio questa indeterminatezza.

La coscienza del piano fisico cominciava appena a sorgere.

Nell’uomo non s’era ancora instaurata la robusta coscienza dell’“io sono”.

 

L’autocoscienza umana, la coscienza della personalità,

prese a svilupparsi sempre di più solamente verso la fine dell’epoca atlantica,

nella misura in cui si veniva smarrendo la coscienza beatificante dello stato di sonno.

 

L’uomo si impadroniva a poco a poco del mondo fisico, imparava sempre meglio a usare i sensi,

e con ciò gli oggetti stessi del mondo fisico acquistavano contorni sempre più definiti e precisi.

Tuttavia, proprio nella misura in cui l’uomo si impadroniva del mondo fisico,

veniva modificandosi anche la condizione della coscienza nell’al di là, nel mondo spirituale.

 

Abbiamo già ripercorso i vari periodi dell’epoca postatlantica. Abbiamo affondato lo sguardo nella civiltà indiana dei primordi. Abbiamo visto come allora, nella sua conquista del mondo esteriore, l’uomo si fosse spinto abbastanza avanti da percepire questo mondo come maya, da agognare il ritorno ai lidi dell’antica patria spirituale. Abbiamo visto come, nell’epoca di civiltà della Persia, la conquista del piano fisico fosse già talmente avanzata che l’uomo voleva associarsi alle forze buone di Ormuzd, per riconvertire le forze del mondo fisico. Poi abbiamo visto come, nel periodo egizio-babilonese-caldeo-assiro, i mezzi utili a proseguire nella conquista del mondo esteriore gli uomini li abbiano trovati nell’agrimensura, che facilitava la lavorazione della terra, o anche nelle conoscenze astronomiche. E abbiamo visto, infine, come l’età greco-romana sia andata ancora più avanti: come in Grecia, nell’organizzazione delle città e nelle creazioni dell’arte, si sia realizzato fra l’uomo e il mondo fisico lo splendido connubio che conosciamo, e come nell’antico diritto romano sia emerso l’elemento personale, che si affermava così per la prima volta in questo quarto periodo di civiltà.

 

Mentre prima l’uomo si sentiva celato in un tutto che era ancora il riverbero di antiche entità spirituali,

il romano cominciò a sentirsi cittadino della Terra. Sorse allora il concetto stesso di cittadino.

 

Il mondo fisico è stato conquistato pezzo per pezzo. E proprio per questo, d’altra parte, è divenuto caro all’uomo. Questi ha legato le proprie inclinazioni e le proprie simpatie al mondo fisico e, nella misura in cui la sua simpatia per il mondo fisico aumentava, anche la sua coscienza si legava alle cose fìsiche.

In eguale misura tuttavia, nell’al di là, nel periodo fra la morte e la nuova nascita, la coscienza dell’uomo si offuscava. Egli tanto più perdeva, nell’al di là, la sensazione beatificante di essere celato nell’esistenza di entità spirituali superiori, quanto più si accresceva, a mano a mano che nella storia si susseguivano le conquiste del mondo fisico, il suo attaccamento all’al di qua.

 

Di gradino in gradino, la conquista del mondo fisico da parte dell’uomo progrediva continuamente: si scoprivano sempre nuove forze naturali, si inventavano sempre nuovi strumenti. E l’uomo sempre più aveva cara questa vita, la vita fra nascita e morte. Di pari passo, tuttavia, nel mondo al di là la sua antica coscienza crepuscolare di chiaroveggente veniva offuscandosi. Non scomparve mai del tutto, ma si oscurò. E, via via che l’uomo conquistava il mondo fisico, nella storia del mondo al di là noi assistiamo a un declino.

Questo declino è in correlazione con l’ascesa della civiltà, con quell’ascesa che noi ricostruiamo storicamente osservando come, ai primissimi albori della civiltà, gli uomini triturino ancora il frumento tra due mole, e poi vedendo come salgano in alto di gradino in gradino, come facciano le prime scoperte, come si fabbrichino degli attrezzi e imparino a usarli, e come questo processo vada continuamente avanti nel corso del tempo. La vita sul piano fisico si fa sempre più ricca. L’uomo impara a costruire edifici giganteschi.

 

Ma in questa descrizione della storia, che attraverso l’epoca egizio-babilonese-caldeo-assira e quella greco-romana arriva fino ai giorni nostri, bisogna che inseriamo anche un altro elemento, se vogliamo descrivere un processo che abbracci veramente tutta la storia della civiltà. Dovremmo descrivere cioè, allo stesso titolo, il progressivo declino dell’intimo rapporto esistente fra gli dèi superiori e quella che poteva essere la prestazione dell’uomo nei loro confronti, quello che l’uomo faceva in accordo col mondo spirituale e in mezzo ad esso. Vedremmo allora come, nel corso del tempo, l’uomo perda sempre più il suo legame con i mondi spirituali e le facoltà spirituali.

 

Riguardo agli uomini dovremmo scrivere, per l’al di là, una storia di declino,

così come, per l’al di qua, possiamo scrivere una storia di ascesa, di conquista ininterrotta del mondo fisico.

Ecco dunque come si integrano, per così dire, il mondo spirituale e il mondo fisico,

o, più precisamente, come si condizionano.

 

Esiste un collegamento – come ben sapete – fra il mondo spirituale e il nostro mondo fisico. Molte volte, infatti, abbiamo parlato dei grandi mediatori fra il mondo spirituale e il mondo fisico, degli iniziati, di coloro che sono bensì incarnati nel corpo fisico, ma nondimeno, con la propria anima, penetrano nelle altezze del mondo spirituale fra nascita e morte, allorché l’uomo ne resta invece totalmente escluso; di coloro che anche in questo intervallo possono fare delle esperienze entro il mondo spirituale, possono ambientarvisi. Che cosa rappresentavano per l’uomo questi messaggeri del mondo spirituale, più o meno grandi che fossero, e tanto più quando parliamo dei massimi fra di loro, ad esempio degli antichi sacri Rishi dell’India, del Buddha, di Ermete, di Zarathustra, di Mosè, o di chiunque altro sia stato uno dei grandi messaggeri di Dio dei tempi lontani? Quando parliamo di tutti coloro che, a questo modo, erano per gli uomini messaggeri di Dio e dello spirito, che cosa rappresentavano, ci chiediamo, sotto il profilo del rapporto fra il mondo fisico e il mondo spirituale?

 

Durante la loro iniziazione, e in virtù della loro iniziazione, essi sperimentavano le condizioni del mondo spirituale. Non solo potevano vedere con gli occhi fìsici e percepire con l’intelletto fisico ciò che accadeva qui, nel mondo fisico, ma erano anche in grado di percepire, mediante la loro acuita facoltà percettiva, quanto accade nel mondo spirituale.

L’iniziato non solo vive con gli uomini sul piano fisico, ma è anche in grado di seguire quello che fanno i defunti nel tempo intercorrente fra la morte e la nuova nascita. I defunti, per lui, sono figure altrettanto familiari quanto gli uomini viventi sul piano fisico. Questo può farvi capire come alla base della storia occulta, con tutto ciò che vi è narrato, stiano appunto le esperienze degli iniziati.

Una svolta fondamentale, anche per la storia della quale ci stiamo occupando ora, interviene sulla Terra con la comparsa del Cristo. E ci faremo un’idea della spinta impressa alla storia del mondo al di là domandandoci: che significato ha l’azione del Cristo sulla Terra? Che cosa ha significato il mistero del Golgota per la storia nell’al di là?

 

Ho già avuto modo di rimarcare, in numerose conferenze tenute un po’ dappertutto, l’importanza decisiva dell’evento del Golgota per l’evoluzione della storia del piano fisico. Ma adesso dobbiamo chiederci: come si presenta l’evento del Golgota se lo consideriamo nella prospettiva dell’al di là?

Troveremo la risposta a questa domanda se, nel considerare l’evoluzione nell’al di là, ne cogliamo proprio il momento che corrispose alla massima affermazione degli uomini sul piano fisico, al più deciso sviluppo della coscienza della personalità. È il momento dell’età greco-romana. Ed è anche il momento della comparsa del Cristo Gesù sulla Terra: da un lato, la più intensa coscienza della personalità, la più intensa gioia per il mondo sensibile; dall’altro, il richiamo più forte e più veemente, nell’evento del Golgota, al mondo al di là, e insieme l’azione più grandiosa, l’azione per cui la morte viene superata dalla vita che si configura nel medesimo evento. Fra questi due ordini di cose c’è un’assoluta coincidenza, se guardiamo al mondo fisico. Nell’età greca regnano in effetti una grande gioia e una spiccata simpatia per l’esistenza esteriore. Solo degli uomini come i Greci potevano creare quei templi meravigliosi nei quali, come vi è stato illustrato, dimoravano gli dèi in persona.

Solo questi uomini, che stavano così nel mondo fisico, potevano creare quei capolavori di scultura dai quali traspare un così prodigioso connubio di spirito e materia. Tutto ciò richiedeva gioia e simpatia per il piano fisico.

 

Un simile atteggiamento si è sviluppato solo a poco a poco, e possiamo percepire il moto stesso di avanzamento della storia se confrontiamo questa apertura dei Greci al mondo fisico con la sublime concezione del mondo che gli uomini della prima civiltà postatlantica avevano appresa dai loro sacri Rishi: questi uomini non avevano alcun interesse per il mondo fisico, si sentivano a casa propria nel mondo spirituale, guardavano ancora con senso di beatitudine lassù, al mondo dello spirito, e cercavano di raggiungerlo in base agli insegnamenti e agli esercizi che venivano loro proposti dai sacri Rishi. Tra questo rifiuto della gioia dei sensi e il massimo di gioia per il mondo sensibile espresso dall’età greco-romana si estende un lungo tratto di storia umana, che giunge fino al momento in cui, fra lo spirito e il mondo sensibile, si è attuato quel connubio nel quale l’uno e l’altro hanno ottenuto giustizia.

 

Qual era però, nel mondo spirituale, il rovescio di questa conquista del piano fisico propria dell’età greco-romana? Chi è capace di guardare dentro il mondo spirituale sa che quello che i poeti greci dicevano degli uomini migliori della loro civiltà non è frutto di invenzione, ma poggia in effetti su un fondamento di verità. Coloro che si sentivano pienamente inseriti nel mondo fisico, oggetto di tutte le loro simpatie, come si sentivano invece nel mondo spirituale? Corrispondono perfettamente al vero le parole che vengono messe in bocca a uno di loro: «Meglio essere un mendicante sulla Terra che un sovrano nel regno delle ombre!»

 

Giusto in quest’epoca si instaurò, fra la morte e la nuova nascita, lo stato di coscienza più torpido, più povero di intensità. Con tutta la sua simpatia per il mondo fisico, l’uomo non comprendeva l’esistenza nel mondo al di là. Gli sembrava di avervi perduto tutto, e il mondo spirituale gli appariva senza valore. Nella stessa misura in cui cresceva la simpatia per il mondo fisico, nell’al di là, nel mondo spirituale, gli eroi greci si sentivano persi. Un Agamennone, un Achille, vi si sentivano come esseri svuotati, si sentivano un nulla in questo mondo di ombre. Vero è che a tratti – giacché il legame con il mondo spirituale non è mai andato perduto del tutto – anche questi uomini potevano convivere con le entità e le attività spirituali. Ma lo stato di coscienza cui abbiamo or ora accennato era comunque presente. Abbiamo dunque una storia del mondo al di là che è storia di declino, così come, per il mondo al di qua, abbiamo invece una storia di ascesa.

 

Quelli che abbiamo chiamato messaggeri di Dio, o dello spirito, hanno sempre avuto la possibilità di passare da una parte all’altra, da un mondo all’altro. Cerchiamo allora di vedere finalmente chi fossero questi messaggeri dello spirito per gli uomini del piano fisico, nei tempi precristiani. Erano coloro che, sulla base delle proprie esperienze nel mondo spirituale, potevano dire agli uomini dei tempi antichi come stessero veramente le cose in quel mondo. Certamente avvertivano, nell’al di là, lo spegnersi della coscienza degli uomini della Terra, del mondo fisico, ma sperimentavano in compenso il mondo spirituale nella sua totalità e nella pienezza del suo splendore. E, agli uomini della Terra, potevano riferire dell’esistenza di questo mondo spirituale, e potevano dir loro come si presentasse. Potevano renderne testimonianza.

 

La cosa aveva un’importanza del tutto particolare in quei tempi, nei quali gli uomini che vivevano sul piano fisico vi si addentravano sempre di più con i loro interessi. E quanto più gli uomini procedevano nella conquista della Terra, quanto più si radicavano la gioia e la simpatia nei riguardi del mondo fisico, tanto più insistentemente i messaggeri di Dio dovevano a loro volta porre l’accento sull’esistenza del mondo spirituale. Le loro parole potevano suonare così: “Della Terra, voi sapete questo e quest’altro. Esiste però anche un mondo spirituale. E, del mondo spirituale, c’è questo e quest’altro che ancora dovete sapere!”

 

In breve, i messaggeri di Dio hanno reso manifesto agli uomini l’intero quadro del mondo spirituale. Nell’ambito delle più svariate religioni gli uomini ne erano già a conoscenza. Ma, ogni volta che i messaggeri di Dio ripassavano per così dire di qua dopo la loro iniziazione, o dopo una visita nel mondo spirituale, potevano riportare da quel mondo fattori di ristoro e di elevazione per il mondo fisico, che diventava sempre più attraente per la vita sul piano fisico; potevano riportare qualcosa dei tesori del mondo spirituale. Introducevano allora nella vita fisica i frutti della vita spirituale. E accadeva sempre che, grazie a quello che ricevevano dai messaggeri di Dio, gli uomini venissero introdotti nello spirito. Il mondo della realtà fisica, l’al di qua, ha tratto profitto dai messaggeri di Dio e dai loro messaggi.

 

Per il mondo al di là, l’azione dei messaggeri di Dio non poteva risultare altrettanto fruttuosa. Ve ne renderete perfettamente conto pensando che quando l’iniziato, il messaggero di Dio, passa nel mondo al di là, gli esseri di quel mondo gli sono compagni proprio allo stesso modo che gli esseri del mondo fisico. A loro, egli può parlare, e può dar conto di ciò che avviene nel mondo fisico. Ma, quanto più ci avviciniamo al periodo greco-romano, tanto meno l’iniziato era in grado, passando dalla Terra all’al di là, di offrire contributi preziosi alle anime dell’al di là. Queste infatti pativano troppo la perdita di ciò cui si erano attaccate nel mondo fisico. In quello che gli iniziati potevano riferire non c’era più nulla che avesse valore, per loro.

 

Nei tempi precristiani, dunque, ciò che gli iniziati riportavano nei loro messaggi agli uomini del mondo fisico era sommamente fruttuoso, ed era viceversa infruttuoso, per il mondo spirituale, quello ch’essi potevano riportare ai defunti dal mondo fisico. Tanto era efficace il messaggio che il Buddha, Ermete, Zarathustra portavano agli uomini del mondo fisico, tanto era esiguo il risultato che essi potevano conseguire dall’altra parte. Difficilmente, infatti, potevano riportare nell’al di là messaggi capaci di un effetto gioioso e vivificante.

Mettiamo adesso a confronto quel che è avvenuto per l’al di là grazie al Cristo, quel che è successo per l’al di là proprio nell’epoca, diciamo così, della più profonda decadenza, quale sappiamo essere stata, ripercorrendo la storia occulta, l’età greco-romana, mettiamolo a confronto, dunque, con ciò che accadeva prima per opera degli iniziati.

 

Noi sappiamo ciò che l’evento del Golgota significa per la storia terrena.

Sappiamo che è la vittoria ottenuta sulla morte terrena dalla vita dello spirito,

il completo superamento della morte attraverso l’evoluzione della Terra.

 

Anche se oggi non possiamo addentrarci in tutto ciò che l’evento del Golgota significa, possiamo comunque riassumerlo in due parole: è la reale dimostrazione, definitiva e inoppugnabile, che la vita sconfigge la morte. Giacché sul Golgota la vita ha sconfitto la morte, lo spirito ha posto il seme per la vittoria definitiva sulla materia!

 

Quello che viene narrato nel Vangelo circa la visita del Cristo agli inferi dopo l’evento del Golgota, circa la sua visita ai morti, non è una leggenda né un simbolo. L’indagine occulta mostra che è una verità. Come è vero che il Cristo ha camminato fra gli uomini, negli ultimi tre anni della vita di Gesù, così è altrettanto vero che i morti hanno potuto gioire della sua visita. Egli è apparso ai morti, alle anime dei defunti, immediatamente dopo l’evento del Golgota. È una verità occulta. E, adesso, il Cristo poteva dir loro che dall’altra parte, nel mondo fisico, lo spirito aveva riportato inoppugnabilmente la vittoria sulla materia! Per le anime dei defunti, nel mondo al di là, era una vampa di luce, che irrompeva con la forza di una scossa elettrica spirituale e ridestava la spenta coscienza dell’al di là dell’epoca greco-romana, aprendo una fase totalmente nuova per l’esistenza degli uomini fra la morte e una nuova nascita. La coscienza dell’uomo fra morte e nuova nascita si fece, da quel momento in poi, sempre più chiara.

 

Nel tracciare un quadro della storia, dunque, noi possiamo integrare i dati relativi alle condizioni del presente

con quanto abbiamo da dire sul kamaloca e sulla vita nel devacian, e dobbiamo mettere in evidenza il fatto che,

con la comparsa del Cristo sulla Terra, comincia per l’al di là una fase del tutto nuova,

cioè che il frutto di quanto il Cristo ha compiuto per l’evoluzione della Terra

si traduce in un radicale cambiamento della vita nell’al di là.

 

La visita del Cristo nell’al di là ha un immane significato, quello di una rigenerazione della vita nell’al di là fra morte e nuova nascita. I defunti, che nel momento cruciale rappresentato dall’età greco-romana si sentivano come ombre, a dispetto di tutta la gioia per il mondo fisico, tanto da preferire di essere mendicanti sulla Terra piuttosto che sovrani nel regno delle ombre, hanno cominciato, da allora in poi, a sentirsi sempre più a casa propria nell’al di là. Ciò che è avvenuto, da allora, è che gli uomini si sono sempre più familiarizzati con il mondo spirituale, e perciò si è aperto, in questo stesso mondo, un periodo di ascesa, un periodo di rigoglio.

 

Così, abbiamo considerato per una volta l’evento del Golgota – sia pure solo sommariamente – dal punto di vista del mondo al di là, e abbiamo rilevato nel medesimo tempo che anche per il mondo spirituale esiste una storia, proprio come esiste una storia per il mondo fisico. E solo investigando queste correlazioni, queste correlazioni reali fra il mondo fisico e il mondo spirituale, metteremo a frutto la conoscenza di un mondo per la conoscenza dell’altro, nell’ambito della vita umana. Non finiremo mai di scoprire quanto possiamo avvantaggiarci nell’osservazione della vita degli uomini, della loro vita sulla Terra, se abbiamo presenti le vere caratteristiche del mondo spirituale.