Con l’ingresso del Cristo Gesù un impulso assolutamente nuovo penetra modo nel mondo

O.O. 139 – Il Vangelo di Marco – 17.09.1912


 

Per due volte

il vangelo accenna al fatto che il Cristo Gesù penetra nell’aura del Battista,

mentre la personalità fisica di quest’ultimo scompare sempre più

e infine abbandona del tutto il piano fisico.

 

A questo punto però, proprio il vangelo di Marco nella sua semplicità ci indica in parole molto esplicite che ora, con l’ingresso del Cristo Gesù entro l’elemento proveniente da Elia-Giovanni, tutto cambia e un impulso assolutamente nuovo penetra in tal modo nel mondo.

 

Per comprendere ciò, occorre osservare l’intera narrazione evangelica, dal momento in cui Cristo, dopo l’arresto di Giovanni Battista, si presenta per parlare del regno dei cieli, fino al passo in cui si narra dell’uccisione di Giovanni per ordine di Erode e anche ai capitoli seguenti. Se si prendono questi racconti fino alla storia di Erode (cap. 6), considerandoli nel loro vero carattere, si trova che essi tendono tutti a mettere in risalto la natura del Cristo Gesù.

 

Abbiamo mostrato già nella conferenza precedente che uno degli aspetti essenziali del Cristo Gesù è il fatto che egli agisce in modo da non essere riconosciuto solo dagli uomini, ma anche dagli spiriti da cui gli indemoniati sono posseduti: lo riconoscono cioè anche le entità soprasensibili.

 

Questa è la prima cosa che ci si presenta subito con spiccata evidenza.

Poi però vediamo che quel che dimora nel Cristo Gesù è diverso da quel che era vissuto in Elia-Nabot,

in quanto lo spirito di Elia non era interamente contenuto dalla personalità di Nabot.

 

L’intento del vangelo di Marco è proprio di narrare

come il Cristo sia entrato interamente in Gesù di Nazaret,

riempiendone l’intera personalità terrena,

sì che vi opera quello che riconosciamo come l’io umano universale.

 

Che cosa appare talmente terribile ai dèmoni che ossessionano gli uomini, quando si presenta davanti a loro il Cristo? È il fatto di dovergli dire: Tu sei quello che porta in sé il dio; essi lo riconoscono come una potenza divina presente nella personalità, una potenza che costringe i dèmoni a farsi riconoscere e ad uscire dagli ossessi, per effetto della forza di quel che si trova entro la personalità individuale umana (1,24; 3,11; 5,7).

 

I primi capitoli del vangelo di Marco mettono così in risalto questa figura che in certo senso si contrappone a Elia-Nabot e anche a Elia-Giovanni. Mentre in costoro l’elemento spirituale animatore non poteva dimorare per intero, nel Cristo Gesù sta dunque di fronte agli altri uomini (anche a quelli che egli guarisce) in modo del tutto individuale, come personalità umana singola.

 

Narrazioni come queste, provenienti dall’antichità, vengono di solito accolte dai nostri contemporanei in modo singolare. Soprattutto le prendono in modo singolare molti scienziati moderni, per esempio quelli che si autodefiniscono monisti quando vogliono atteggiarsi a filosofi. Potremmo definire così il loro modo di interpretare le narrazioni evangeliche: i bravi eruditi, i bravi filosofi della natura sono segretamente convinti (anche se sono un po’ imbarazzati ad ammetterlo) che il Padreterno avrebbe fatto meglio a incaricare loro di ordinare il mondo; essi lo avrebbero ordinato in modo migliore!

 

Prendiamo ad esempio uno di questi scienziati che giurano che la saggezza è comparsa nel mondo solo negli ultimi venti anni (altri però limitano agli ultimi cinque anni quel periodo, considerando superstizione già le opinioni di vent’anni fa). Egli rimpiangerà in modo speciale che al tempo del Cristo Gesù non esistesse ancora la medicina scientifica moderna, con tutte le sue risorse; infatti sarebbe stato molto meglio curare tutta quella gente, come ad esempio la suocera di Simon Pietro e anche gli altri ammalati, coi rimedi moderni.

 

Secondo la loro opinione un Padreterno veramente perfetto avrebbe infatti predisposto la creazione del mondo secondo i concetti della scienza moderna, e non avrebbe certamente lasciato che l’umanità dovesse attendere tanto tempo la comparsa della moderna erudizione! Così purtroppo il mondo, come lo ha fatto il Padreterno, è piuttosto mal riuscito in confronto a quello che avrebbero fatto loro. Certo non lo si dice apertamente, si è un po’ imbarazzati ad affermarlo: ma si può leggerlo fra le righe, purché ci si decida a chiamare col loro vero nome le cose che frullano per il capo degli scienziati materialistici. Forse parlando a quattr’occhi con uno di loro potrebbe capitare di sentirsi dire: non si può fare a meno di essere atei, vedendo che al tempo di Gesù il Padreterno non è riuscito a guarire i malati coi metodi della scienza moderna!

 

La gente però non riflette a una cosa: che occorre prendere con serietà e onestà il concetto di evoluzione di cui tanto si parla. Ogni cosa è in corso di evoluzione, affinché il mondo possa raggiungere la sua meta; e non basta andare alla ricerca del modo come il mondo avrebbe dovuto venir progettato secondo la scienza moderna. Poiché invece si ragiona a questo modo, non si tiene conto che in passato era del tutto diversa l’intera costituzione dell’uomo e la compagine dei suoi corpi più sottili. A quei tempi i metodi scientifici moderni non avrebbero servito a nulla, nei riguardi della personalità umana.

 

Il corpo eterico era ancora molto più attivo, più forte di quanto sia oggi,

per cui si poteva agire per suo tramite sul corpo fisico in modo ben diverso.

Se a quei tempi si curavano gli ammalati mediante «sentimenti» (tanto per dirlo seccamente),

l’effusione del sentimento aveva un effetto tutto diverso da quello che avrebbe oggi.

 

Quando il corpo eterico era davvero ancora dotato di maggiori forze

e dominava veramente ancora il corpo fisico,

i metodi di cura psichico-spirituali potevano agire ben altrimenti.

Bisognava procedere in modo diverso alla cura,

perché gli uomini erano diversi nella loro costituzione.

 

Se ignora queste cose, uno scienziato potrà dire: noi non crediamo più ai miracoli, e poiché le guarigioni di cui ci vien narrato sono dei miracoli, dobbiamo scartarle. Se poi si è un moderno teologo «illuminato» ci si troverà in un imbarazzo tutto speciale: da un lato si vorrebbe affermare la validità dei racconti evangelici, ma dall’altro si è imbevuti del moderno pregiudizio che in quel modo non si può curare un ammalato e che quindi si tratta di «miracoli». Allora si elucubrano le più diverse spiegazioni sulla possibilità o impossibilità dei miracoli.

 

Si ignora semplicemente che tutto quel che si trova nei primi sei capitoli del vangelo di Marco

non costituiva affatto dei miracoli per quel tempo; come non è un miracolo

se oggi si riesce a influire su questa o quella funzione dell’organismo con un farmaco qualsiasi.

 

Nessuno a quei tempi avrebbe pensato a un miracolo,

vedendo qualcuno stendere la mano verso un lebbroso, dicendogli: «Io lo voglio, sii mondato».

Il rimedio era allora costituito dalla natura stessa del Cristo che traboccava.

 

Oggi non agirebbe più, perché è del tutto cambiata la connessione fra il corpo eterico umano e il corpo fisico.

Ma a quei tempi i medici risanavano generalmente così.

Non vi è quindi nulla di straordinario nel fatto che il Cristo Gesù

guarisse i lebbrosi mediante la compassione e l’imposizione delle mani: per quel tempo era una cosa naturale.

 

È invece qualcosa di completamente diverso ciò che in questo capitolo va messo in evidenza,

e che bisogna prendere nella giusta considerazione.

Vediamo un po’ come venivano educati allora per esempio i medici, grandi o piccoli che fossero.

 

Essi venivano preparati in scuole dipendenti dai misteri

e si mettevano a loro disposizione forze provenienti dai mondi spirituali che agivano per loro tramite:

i medici dell’antichità erano in certo modo dei mediatori di forze soprasensibili.

Attraverso la loro medianità essi trasferivano forze soprasensibili,

dopo aver conseguito tale facoltà nelle scuole mediche dei misteri.

 

Quando un medico imponeva le sue mani

non erano le sue forze personali a fluire nel malato, ma forze del mondo soprasensibile;

ed era con la sua iniziazione nelle scuole dei misteri ch’egli era potuto diventare un tramite per tali forze.

Agli uomini di quel tempo non sarebbe apparso molto strano

che un lebbroso o un febbricitante fosse guarito mediante tali processi psichici.

 

Il fatto significativo non era la guarigione in se stessa,

ma che a compierla in quel modo fosse uno che non era uscito da una scuola dei misteri;

che ci fosse uno che aveva riposta nel cuore, nella sua stessa anima

la forza che fluiva dai mondi superiori e che questa forza fosse divenuta dote personale, individuale.

 

Si doveva presentare al mondo il fatto che il tempo si era ormai compiuto:

l’uomo non poteva più essere come nel passato un semplice tramite di forze soprasensibili,

questa condizione era ormai superata.

Ciò si era rivelato anche a quelli che erano stati battezzati nel Giordano da Giovanni:

il tempo antico sta per finire, e tutto quel che si farà in avvenire dovrà effettuarsi grazie all’io umano,

grazie a qualcosa che dovrà penetrare nel centro divino dell’uomo.

 

Ecco, ora c’era uno che compiva per forza propria quel che gli altri avevano operato grazie all’aiuto

delle entità dimoranti nei mondi superiori, le cui forze agivano su di loro.

Se si considera il procedimento di guarigione per se stesso come qualcosa di straordinario,

non si coglie affatto il senso del Vangelo.

Allora, al crepuscolo dell’antichità, esso non era qualcosa di straordinario,

dato che siffatte guarigioni potevano ancora effettuarsi.

 

Il Cristo opera appunto in quell’epoca di declino, però con forze nuove che dovevano affermarsi da allora in poi.

Il Vangelo ci mostra in modo inequivocabile che il Cristo Gesù opera direttamente da uomo a uomo:

ciò viene sottolineato in ogni episodio, e risulta particolarmente chiaro

nel quinto capitolo di Marco, dove si narra la guarigione di una donna.

 

Il Cristo Gesù la risana in quanto essa gli si avvicina, afferra la sua veste,

ed egli sente che una corrente di forza è uscita da lui.

Il racconto evangelico descrive che la donna si accosta al Cristo e tocca la sua veste; egli non fa niente altro.

È lei ad agire, in quanto tocca la sua veste, e da lui si sprigiona una corrente di forza. Come avviene?

 

In questo caso non è stato lui a voler emettere la forza, ma la donna a sottrarla, ed egli se ne accorge solo dopo.

Questo viene detto molto chiaramente.

E come si esprime il Cristo, quando si accorge del fatto?

• «Figlia, la tua fede ti ha aiutato; va in pace e sii guarita del tuo male».

 

Egli stesso si accorge solo allora di ciò che è avvenuto, cioè che il regno divino penetra in lui e poi torna a fluire fuori da lui. Egli non sta di fronte agli ammalati come stavano di fronte agli indemoniati gli antichi guaritori; in questi casi il paziente poteva credere o anche non credere, la forza proveniente dai mondi superiori fluiva nel malato per il tramite del guaritore.

 

Ora era l’io l’elemento decisivo, e l’io del malato doveva collaborare: tutto si era individualizzato.

Questo è il fatto nuovo; non è importante il fatto, allora del tutto naturale, che si potesse agire sul corpo,

ma che con l’inizio del tempo nuovo fosse l’io a dover entrare in rapporto con l’altro io.

 

Prima lo spirituale stava nei mondi superiori, aleggiando al disopra degli uomini;

adesso il regno dei cieli si era avvicinato e doveva penetrare nei cuori umani,

dimorandovi come in un centro. Questo è l’importante.

 

Per questa nuova concezione del mondo

l’elemento fisico esteriore e quello morale interiore confluivano in modo nuovo;

solo che questo nuovo fatto, dalla fondazione del cristianesimo fino ad oggi poteva essere solo oggetto di fede,

mentre d’ora in avanti può diventare oggetto di conoscenza.

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Il Cristo congiunge dunque l’elemento morale con la guarigione di tipo magico,

creando così il passaggio da una condizione di assenza dell’io ad una in cui l’io è pienamente presente.