Conoscenza dei mondi superiori 

O.O. 13 – La scienza occulta nelle sue linee generali – V ( La conoscenza dei mondi superiori)


 

Allo stato attuale della sua evoluzione, l’uomo sperimenta nella vita ordinaria, fra nascita e morte, tre stati dell’anima: la veglia, il sonno e uno stato intermedio, il sogno. Di quest’ultimo parleremo brevemente nel seguito di questo libro. Osserveremo per ora la vita nei due stati principali che si alternano, quello della veglia e quello del sonno. — L’uomo arriva ad acquistare cognizioni nei mondi superiori quando, oltre allo stato di sonno e di veglia, raggiunge un terzo stato dell’anima. Durante la veglia l’anima si abbandona alle impressioni dei sensi e alle rappresentazioni che vengono stimolate dalle impressioni sensorie. Durante il sonno tacciono le impressioni dei sensi, però l’anima perde anche la coscienza; le esperienze del giorno sprofondano nel mare dell’incoscienza.

 

Immaginiamoci ora che durante il sonno l’anima possa conseguire una forma di coscienza, nonostante l’eliminazione delle impressioni dei sensi, quale si verifica nel sonno profondo; anche il ricordo delle esperienze diurne dovrebbe scomparire. L’anima si troverebbe allora forse di fronte al nulla? Non potrebbe allora avere proprio nessuna esperienza?

Una risposta a queste domande si trova soltanto quando si può realizzare una condizione che sia analoga o somigliante a quella descritta, e cioè che l’anima riesca a sperimentare qualcosa, anche quando nessuna azione dei sensi e nessun ricordo relativo più esistano in lei. Allora, nei riguardi del mondo esteriore, l’anima si troverebbe come nel sonno; nondimeno non dormirebbe, ma si troverebbe, come durante la veglia, di fronte ad un mondo reale.

Orbene, uno stato di coscienza siffatto può essere raggiunto, se l’uomo provoca nella sua anima le esperienze che la scienza dello spirito gli rende possibili. E tutto ciò che da questa gli viene comunicato riguardo ai mondi che trascendono il campo dei sensi, viene investigato a mezzo di tale stato di coscienza. Nelle considerazioni precedenti sono state comunicate alcune notizie riguardo ai mondi superiori; in quelle che seguiranno verrà parlato — per quanto questo libro ce lo consente — dei mezzi coi quali ci si può procurare lo stato di coscienza necessario per quelle investigazioni.

 

Questo stato di coscienza somiglia a quello del sonno sotto un solo aspetto, cioè per il fatto che per mezzo di esso tacciono tutte le azioni sensorie esteriori; rimangono eliminati anche tutti i pensieri stimolati dalle azioni sensorie. Ma mentre nel sonno l’anima non ha la forza di sperimentare qualcosa coscientemente, essa deve acquistare tale forza per virtù di questo stato di coscienza. Per mezzo di esso viene dunque destata nell’anima la capacità di sperimentare che durante l’esistenza normale viene stimolata soltanto dall’azione dei sensi. Il risveglio dell’anima ad un simile stato superiore di coscienza può essere denominato iniziazione.

I metodi dell’iniziazione conducono l’uomo, dallo stato normale della coscienza diurna, ad un’attività animica per mezzo della quale egli si serve di strumenti spirituali di osservazione. Questi strumenti già esistono come germi nell’anima, ma occorre svilupparli. Ora può presentarsi il caso che un uomo, a un determinato momento del corso della sua esistenza e senza alcuna speciale preparazione, scopra nella sua anima che tali strumenti superiori si sono sviluppati in lui. Si è verificato in questo caso una specie di autorisveglio involontario.

 

Quell’uomo sentirà da tal fatto trasformato l’intiero suo essere; la sua vita animica avrà un illimitato arricchimento di esperienze, ed egli troverà che non vi è conoscenza del mondo sensibile che possa recargli la beatitudine, il soddisfacente atteggiamento animico e il calore interiore che egli sente e che sia paragonabile a quelli che si aprono ad una conoscenza non accessibile per l’occhio fisico. Forza e sicurezza di vita fluiranno nella sua volontà dal mondo spirituale. — Vi sono casi simili di auto-iniziazione; questi non devono però indurci a credere che sia bene aspettare un tale fenomeno, senza far niente per procurarci l’iniziazione per mezzo di una disciplina regolare.

Qui non occorre parlare dell’auto-iniziazione, poiché essa può affacciarsi appunto senza che ci si sottometta ad alcuna regola speciale; dobbiamo però spiegare come, per mezzo di una disciplina, si possano sviluppare gli organi di percezione di cui i germi giacciono latenti nell’anima. Gli uomini che non si sentono specialmente disposti a lavorare per la propria evoluzione, potranno facilmente dire: « La vita umana è in mano alle potenze spirituali, e non bisogna intervenire nella loro direzione; occorre aspettare tranquillamente il momento in cui quelle potenze riterranno giusto di schiudere all’anima un nuovo mondo ».

Da tali uomini il desiderio di ingerirsi nella saggia direzione di quelle potenze spirituali è giudicato come presuntuoso, o come il frutto di una curiosità ingiustificata. Le persone che pensano a quel modo potranno cambiare di opinione soltanto se qualche speciale idea fa su di loro un’impressione sufficientemente profonda. Se per esempio si dicono: « Tale saggia direzione mi ha dato determinate facoltà; essa non me le ha concesse perché io le lasci inoperose, ma perché me ne serva. La saggezza della direzione consiste appunto nel fatto che essa ha posto in me i germi per uno stato più elevato di coscienza. Io comprendo quella direzione soltanto se sento come dovere che si manifesti all’uomo tutto ciò che può manifestarglisi mediante le sue forze spirituali ». Quando un simile pensiero esercita un’impressione abbastanza forte sull’anima, spariscono tutti i suddescritti dubbi contro una disciplina per conseguire uno stato superiore di coscienza.

 

Certo, potrà venir sollevata anche un’altra obiezione contro una tale disciplina. Ci si può dire: « Lo sviluppo delle intime facoltà animiche penetra nel santuario più arcano dell’uomo; comprende in sé una determinata trasformazione dell’intiero essere umano. I mezzi per tale trasformazione non possono essere normalmente escogitati dall’uomo; il modo di arrivare in un mondo superiore può essere noto soltanto a chi ne conosce la via per esperienza propria. Se ci si rivolge a una persona siffatta, le si concede un’influenza sul santuario più nascosto dell’anima ».

Chi pensa a quel modo non si sentirebbe rassicurato neppure se i mezzi per procurarsi uno stato di coscienza superiore si trovassero esposti in un libro, perché poco importa che ci venga comunicato qualcosa oralmente, o che una persona che possiede la conoscenza di questi mezzi li esponga in un libro nel quale poi si possano leggere. Orbene, vi sono persone che posseggono la conoscenza delle norme necessarie per lo sviluppo degli organi della percezione spirituale, ma ritengono che non convenga affidare quelle istruzioni a un libro; esse ritengono per lo più inammissibile la diffusione di determinate verità che si riferiscono al mondo spirituale.

Questo punto di vista però, da un dato aspetto, va considerato come antiquato, rispetto alla presente epoca di evoluzione della umanità. È vero che le norme in questione possono essere comunicate soltanto fino a un determinato grado; nondimeno ciò che viene comunicato è sufficiente perché la persona che lo applica alla propria anima possa arrivare, nel corso del proprio sviluppo, alla conoscenza che gli permette di scoprire l’ulteriore cammino; questo si svolge poi in un modo del quale ci si può fare un’idea giusta, soltanto per mezzo di quanto prima è stato sperimentato.

 

Da tutti questi fatti possono sorgere delle obiezioni contro la via della conoscenza spirituale. Questi dubbi svaniscono quando si esamina la via di sviluppo, indicata dalla disciplina adatta per la nostra epoca. Parleremo qui di questa via e daremo solo qualche breve cenno di altri metodi.

La disciplina di cui ora si tratta conferisce, a chi tende con volontà alla propria evoluzione superiore, i mezzi per intraprendere la trasformazione della sua anima. Un’influenza pericolosa sulla natura del discepolo potrebbe sussistere soltanto se, per ottenere questa trasformazione, il maestro si servisse di mezzi che sfuggono alla coscienza dello scolaro. Ma nessuna guida giusta dell’evoluzione spirituale si serve all’epoca nostra di tali mezzi, essa non fa dello scolaro uno strumento cieco, ma gli indica le norme da seguire, e lo scolaro le mette in pratica. Quando occorre, viene anche spiegata la ragione per cui viene consigliata questa o quella norma di comportamento.

Per accettare e applicare quelle norme, non occorre che la persona desiderosa di svilupparsi spiritualmente si abbandoni a una fede cieca; anzi in questo campo ciò è assolutamente da escludersi. Chi considera la natura dell’anima umana per mezzo della semplice auto-osservazione, e senza l’aiuto di alcuna disciplina occulta, può chiedere a se stesso, quando gli vengono indicate le norme consigliate dalla disciplina spirituale: quale azione queste norme possono esercitare nella vita dell’anima?

A questo quesito si potrà rispondere in modo soddisfacente a prescindere da qualsiasi disciplina, purché si voglia far uso spregiudicato del sano intelletto umano. Ci possiamo formare delle idee esatte sul modo di agire di queste norme prima di adottarle, ma indubbiamente se ne possono sperimentare gli effetti soltanto dopo averle messe in pratica. Ma anche allora l’esperienza andrà di pari passo con la comprensione, purché ad ogni tappa si applichi il criterio del sano buon senso.

La vera scienza dello spirito attualmente indicherà soltanto delle norme che possano essere vagliate dal sano criterio. Per chi ha volontà di dedicarsi unicamente a una disciplina di tal genere, senza farsi trascinare da nessun pregiudizio alla fede cieca, svanirà ogni dubbio. Le obiezioni contro una disciplina regolare per arrivare a uno stato superiore della coscienza non lo turberanno.

 

Perfino alla persona dotata di maturità interiore, che potrà essere condotta in tempo più o meno breve all’autorisveglio degli organi spirituali di percezione, la disciplina potrà giovare, sarà anzi per lei in special modo adatta perché, salvo pochi casi, una persona in quelle condizioni si trova per lo più costretta, prima dell’auto-iniziazione, a seguire vie secondarie traverse e inutili. La disciplina le risparmia queste vie traverse, e la conduce nella direzione giusta.

Quando un’iniziazione spontanea si verifica in un’anima, ciò proviene dal fatto che nel corso delle vite precedenti essa si è acquistata la maturità adatta. Orbene, avviene spesso che una tale anima abbia oscuramente coscienza della propria maturità, e che ciò la induca a respingere qualsiasi disciplina. Questo sentimento può generare una certa superbia che ostacola la fiducia nella vera disciplina spirituale. Un certo grado di sviluppo dell’anima può rimanere nascosto fino a una determinata età e rivelarsi soltanto allora. In tal caso la disciplina può essere proprio il giusto mezzo per portarlo a manifestazione. Se invece ci si chiude alla disciplina, può essere che le proprie capacità rimangano nascoste nella vita presente, per comparire di nuovo soltanto in una delle prossime.

 

È importante evitare alcuni malintesi che potrebbero facilmente stabilirsi nei confronti della disciplina per la conoscenza soprasensibile, quale viene qui esposta. Uno dei malintesi consiste nel ritenere che quella disciplina si proponga di trasformare radicalmente l’uomo nei riguardi di tutta la sua condotta di vita. Ma non si tratta già di dare all’uomo regole generali di vita, bensì di esporgli determinati procedimenti dell’anima che, se seguiti, gli dànno la possibilità di osservare il mondo soprasensibile.

Questi procedimenti non hanno un influsso diretto sulla parte della sua condotta di vita che non riguarda l’osservazione del soprasensibile; quest’ultima facoltà viene dall’uomo acquisita in aggiunta alle altre sue facoltà. L’esplicazione di quella facoltà d’osservazione è altrettanto separata dal resto della vita, quanto la veglia dal sonno; luna non può in alcun modo disturbare l’altra. Chi ad esempio volesse compenetrare l’ordinario svolgimento della vita con le impressioni della visione soprasensibile, somiglierebbe a un malato il cui sonno fosse di continuo interrotto da tormentosi risvegli. Al libero volere di chi si è sottoposto a quella disciplina deve risultare possibile di provocare lo stato di osservazione della realtà soprasensibile.

È vero però che esiste un nesso indiretto fra la disciplina occulta e certe regole di vita, in quanto senza una intonazione etica, impressa alla propria vita, la percezione del soprasensibile è impossibile o dannosa. Perciò non pochi dei fattori che concorrono alla visione del soprasensibile sono al tempo stesso mezzi di nobilitazione della condotta di vita. D’altra parte la percezione del mondo soprasensibile permette di riconoscere certi impulsi morali che valgono anche per il mondo fisico-sensibile. Solo partendo da quel mondo è possibile riconoscere certe necessità morali.

 

Un altro malinteso sarebbe quello di credere che qualsiasi procedimento animico destinato a condurre alla conoscenza soprasensibile abbia a che fare con modificazioni dell’organizzazione fisica dell’uomo. Al contrario, quei procedimenti non hanno proprio niente a che fare con alcun fenomeno che sia di dominio della fisiologia o di qualsiasi altro ramo della scienza naturale; essi sono processi puramente animico-spirituali, altrettanto lontani da tutto ciò che è fisico, quanto lo sono il pensiero e la percezione normali. La natura di tali processi dell’anima non si differenzia per la sua qualità da ciò che avviene quando si svolge un sano pensiero o un giudizio.

I procedimenti di una vera disciplina per la conoscenza soprasensibile hanno da fare col corpo altrettanto, o altrettanto poco, quanto il pensiero normale. Tutto ciò che a tale riguardo si comporta in modo diverso, non è vera disciplina spirituale, ma soltanto una sua deformazione. L’esposizione che segue va presa nel senso ora accennato. Solamente per il fatto che la conoscenza soprasensibile è qualcosa che scaturisce da tutta l’anima dell’uomo, potrà sembrare che per la disciplina spirituale vengano richieste cose che trasformano totalmente l’uomo. In realtà si tratta di indicazioni riguardo a procedimenti che conferiscono all’anima la possibilità di pervenire, nel corso della vita, a dei momenti in cui essa possa osservare il soprasensibile.

 

L’ascesa verso lo stato di coscienza soprasensibile può muovere soltanto dalla coscienza normale di veglia; l’anima vive appunto in questa coscienza prima della sua ascesa. Dalla disciplina le vengono forniti i mezzi per trascendere questa coscienza. La disciplina di cui ora tratteremo consiglia anzitutto dei mezzi tratti dalla coscienza normale diurna; i più importanti sono appunto quelli che consistono in pratiche silenziose dell’anima. Importa che l’anima si dedichi a delle rappresentazioni ben determinate, per loro natura esse devono essere capaci di esercitare una forza che risvegli determinate facoltà nascoste dell’anima umana.

 

Esse si differenziano dalle rappresentazioni della vita di veglia che hanno il compito di rispecchiare una cosa esteriore, e tanto più sono vere quanto più fedelmente la rispecchiano; e conformemente alla loro natura devono appunto essere vere in quel senso. Le rappresentazioni alle quali l’anima deve dedicarsi a scopo di disciplina spirituale non hanno tale missione; esse sono tali che non riproducono una cosa esteriore, ma hanno in loro stesse la proprietà di agire sull’anima in modo da risvegliarla. Le migliori rappresentazioni a tale scopo sono allegoriche o simboliche; ci si può però servire anche di altre rappresentazioni, perché non importa il loro contenuto, ma unicamente che l’anima applichi tutte le sue forze per non ammettere altro nella coscienza che la suddetta rappresentazione.

Mentre le forze dell’anima, nella sua vita abituale, sono distribuite su vasto campo, e le rappresentazioni si susseguono rapidamente, la disciplina occulta è diretta a concentrare l’intiera vita dell’anima sopra una sola rappresentazione; essa deve venire posta dalla volontà al centro della coscienza. Le rappresentazioni allegoriche sono migliori quindi di quelle che ritraggono oggetti o processi esteriori, perché queste ultime hanno un punto d’appoggio nel mondo esteriore, e per tal fatto l’anima non è costretta con queste a basarsi soltanto su se stessa come con le allegoriche, che vengono create dalla propria energia animica. L’essenziale non è già quel che ci si rappresenta, bensì il fatto che, per effetto di come avviene la rappresentazione, l’oggetto di essa sciolga l’anima da qualsiasi riferimento al mondo fisico.

 

Si arriva a comprendere questo approfondirsi in una rappresentazione se si evoca per un momento davanti all’anima il concetto del ricordo. Se per esempio si volge l’occhio verso un albero e poi si voltano a quello le spalle, in modo da non poterlo più vedere, si sarà nondimeno capaci di risvegliare dal ricordo la rappresentazione dell’albero nell’anima nostra. Questa rappresentazione dell’albero, che si conserva quando esso non ci sta più dinanzi agli occhi, è un ricordo dell’albero. Ora immaginiamoci di conservare questo ricordo nell’anima, di lasciare che l’anima in certo qual modo si adagi su quel ricordo, sforzandoci di escludere da essa qualsiasi altra rappresentazione. Allora l’anima è concentrata nella rappresentazione-ricordo dell’albero. Si tratta allora della concentrazione dell’anima in una rappresentazione; però questa rappresentazione è la riproduzione di cose percepite dai sensi. Ma se ci si accinge a questo esercizio con una rappresentazione imposta volontariamente alla coscienza, si potrà conseguire a poco a poco l’effetto desiderato.

 

Citerò ora un esempio della concentrazione interiore in una rappresentazione simbolica. Anzitutto occorre che tale rappresentazione venga costruita nell’anima, e ciò può farsi nel seguente modo. Rappresentiamoci una pianta, come essa è radicata nel suolo, come butta una foglia dopo l’altra e come si sviluppa nel fiore. Immaginiamoci ora un uomo accanto a quella pianta, e suscitiamo nell’anima nostra il pensiero che l’uomo ha caratteristiche e capacità che si possono dire più perfette di quelle della pianta; si rifletta a come egli possa recarsi qua e là a seconda dei suoi sentimenti e della sua volontà, mentre la pianta è vincolata al suolo. Ma ci si dica ora anche questo: « Sì certamente, l’uomo è più perfetto della pianta, ma scopro in lui delle qualità che non percepisco nella pianta e per la loro assenza essa mi appare, da un determinato punto di vista, più perfetta dell’uomo. L’uomo è pieno di passioni e di desideri ai quali uniforma la sua condotta. Posso dire che i suoi desideri e le sue passioni lo trascinano a molte aberrazioni. La pianta invece segue le pure leggi della crescita di foglia in foglia, essa schiude senza passione i suoi fiori ai raggi puri del sole ».

 

Posso dire a me stesso: l’uomo gode di una certa perfezione rispetto alla pianta, ma per acquistarsi questa perfezione ha dovuto permettere che, oltre alle forze pure che vedo nella pianta, istinti, desideri e passioni penetrassero nel suo essere. Io mi rappresento ora che il verde succo scorre attraverso la pianta ed è l’espressione delle leggi pure e prive di passione della crescita; mi rappresento poi come il sangue rosso scorra attraverso le arterie dell’uomo, e in esso vedo l’espressione di istinti, desideri e passioni. Queste idee devono divenir viventi nella mia anima.

Mi rappresento inoltre come l’uomo sia capace di evoluzione; come egli possa purificare i suoi istinti e le sue passioni per mezzo delle facoltà superiori della sua anima. Penso come in tal modo gli elementi inferiori di questi istinti e di queste passioni rimangano annientati e come quelle qualità purificate rinascano ad un gradino superiore. Il sangue potrà quindi rappresentare l’espressione degli istinti e delle passioni purificate. Allora con lo sguardo spirituale considero la rosa e dico a me stesso: « Nel petalo rosso della rosa vedo il colore del verde succo della pianta trasformato in rosso; e la rosa rossa, come la foglia verde, segue le leggi pure, scevre di passioni, della crescita. Il rosso della rosa può ormai diventare per me il simbolo di un sangue in cui si esprimono gli istinti e le passioni purificate che hanno eliminato i loro elementi inferiori e che, nella loro purezza, uguagliano ormai le forze che sono attive nella rosa rossa ».

Cerco ora di elaborare tali pensieri non soltanto nella mia mente, ma di farli vivere nei miei sentimenti. Può invadermi un sentimento di beatitudine, quando mi rappresento la purezza e la mancanza di passione della pianta in crescita; posso creare in me il sentimento che determinate perfezioni superiori debbano essere acquistate al prezzo di brame e passioni. Questa idea può trasformare la beatitudine che prima sentivo in un sentimento più serio; può destarsi allora in me un senso di felicità liberatrice, se mi abbandono all’idea del sangue rosso che, come il succo rosso della rosa, può diventare il veicolo delle esperienze interiori pure. È importante di non restare impassibili di fronte ai pensieri che servono alla costruzione di una rappresentazione simbolica.

Dopo essersi dati a questi pensieri e sentimenti, occorre trasformarli nella seguente rappresentazione simbolica. Ci si rappresenti una croce nera. Questa deve essere il simbolo per i distrutti elementi inferiori di istinti e passioni, mentre là, dove le braccia della croce s’incrociano, bisogna raffigurarsi sette rose rosse raggianti, ordinate a forma di circolo.

Queste rose saranno il simbolo del sangue che esprime le passioni e gli istinti purificati.

 

Ora, è una rappresentazione simbolica di questo genere che deve essere evocata nell’anima, nel modo già descritto per la rappresentazione di un ricordo. Tali rappresentazioni hanno forza risvegliatrice per l’anima, se interiormente ci si immerge in esse. Mentre ci si concentra, bisogna cercare di escludere ogni altra rappresentazione. Soltanto il simbolo caratterizzato deve aleggiare in ispirito davanti all’anima con la maggiore vivacità possibile.

 

Non è senza importanza il fatto che questo simbolo non è citato qui semplicemente come una rappresentazione risvegliatrice, ma che esso è stato prima costruito per mezzo di determinate considerazioni sulla pianta e sull’uomo. L’influenza di un tale simbolo dipende infatti dalla circostanza di essere stato costruito nel modo descritto, prima di servire alla concentrazione interiore. Se ce lo rappresentiamo senza aver prima sperimentato nella nostra anima quel lavoro di costruzione, esso rimarrà freddo e molto meno efficace, come se gli mancasse la forza vivificatrice animica che gli proviene dalla preparazione.

Durante la concentrazione, però, non bisogna richiamare nell’anima i pensieri che hanno servito a preparare il simbolo; deve aleggiare in ispirito davanti all’anima unicamente l’immagine vivente del simbolo, e all’unisono con essa deve vibrare nell’anima il sentimento che è risultato dai pensieri preparatori. Così il simbolo diventa un segno accanto all’esperienza del sentimento; l’effetto viene appunto esercitato dal soffermarsi dell’anima in questa esperienza. Quanto più a lungo vi si può trattenere senza essere disturbata da altre rappresentazioni, tanto più risulterà efficace l’intiero processo.

Nondimeno è bene, perché il sentimento non si affievolisca, che, oltre al tempo effettivamente dedicato alla concentrazione, vengano spesso rievocati i pensieri e i sentimenti che hanno servito nel modo appunto descritto a costruire tale immagine. E quanta più pazienza si applica in tale ricapitolazione, tanto più l’immagine risulta efficace per l’anima (Nel mio libro: L’iniziazione sono stati citati anche altri mezzi per la concentrazione interiore. Sono particolarmente efficaci le meditazioni indicate in quell’opera sul divenire e sull’appassire di una pianta, sulle forze del divenire latenti nel seme della pianta, sulle forme dei cristalli e così via; in questo libro è stato scelto un esempio per esporre la natura della meditazione).

 

Un simbolo come quello descritto non rappresenta nessuna cosa o essere esteriore che venga prodotto dalla natura; appunto per questa ragione esso possiede la forza di destare determinate facoltà puramente animiche. Senza dubbio si potrebbe sollevare la seguente obiezione: « Certo il simbolo, nel suo insieme, non esiste nella natura, ma nondimeno tutti i singoli particolari di esso sono tratti dalla natura: il colore nero, le rose, ecc., tutto viene percepito dai sensi ». Chi si preoccupasse di tale obiezione, dovrebbe riflettere che non sono le riproduzioni delle percezioni dei sensi che conducono al risveglio delle facoltà superiori dell’anima, ma che questo effetto viene prodotto unicamente dal modo in cui questi particolari sono stati connessi. E questa connessione non riproduce qualcosa che esiste nel mondo sensibile.

 

Questo simbolo è stato citato come esempio per mostrare il processo di una concentrazione efficace per l’anima. Nella disciplina spirituale possono venir impiegate innumerevoli immagini di questo genere, costruite nei modi più diversi. Possono venir date anche determinate frasi, formule, singole parole, su cui ci si possa concentrare; tutti questi mezzi per la concentrazione interiore tenderanno sempre alla mèta di staccare l’anima dalla percezione dei sensi e di stimolarla a una attività in cui l’impressione sui sensi fisici non abbia importanza, e lo sviluppo delle facoltà animiche interiori latenti diventi l’essenziale. Vi possono essere anche concentrazioni sopra dei semplici sentimenti; queste sono di particolare efficacia. Si prenda per esempio il sentimento della gioia. Nel corso normale della vita l’anima può sperimentare della gioia per effetto di imo stimolo esteriore. Quando un’anima dotata di sentimenti sani si accorge che un uomo compie un’azione per bontà di cuore, essa potrà provarne soddisfazione e gioia; ma può inoltre riflettere sopra un’azione di quel genere e dirsi:

« Chi compie un’azione per bontà di cuore non persegue il proprio interesse, ma l’interesse del suo simile. E una tale azione può essere detta moralmente buona ».

Orbene, l’anima che la considera può mettere da parte completamente la rappresentazione di quel singolo caso esteriore, che le ha procurato gioia o soddisfazione, e può formarsi un’idea generale della bontà di cuore. Riflettendo su questa, può pensare che la bontà di cuore deriva dal fatto che un’anima assimila, per così dire, l’interesse dell’altra, e lo fa proprio. L’anima può ora sentire gioia per l’idea morale della bontà di cuore. E allora è gioia derivante non da un avvenimento determinato dal mondo dei sensi, ma gioia proveniente dall’idea come tale. Se si cerca di far vivere questa gioia per lungo tempo nell’anima, si ottiene la concentrazione sopra un sentimento. Allora non è l’idea che esercita un’influenza sul risveglio delle facoltà animiche interiori, ma quel risveglio è frutto della permanenza nell’anima di un sentimento destato in essa non solo da una singola impressione esteriore.

Poiché la conoscenza soprasensibile è capace di penetrare nella natura delle cose più profondamente che non il nostro pensare abituale, dalla relativa esperienza potranno venir indicati dei sentimenti che esercitano una influenza ancora più intensa sullo sviluppo delle facoltà animiche, quando vengono applicati alla concentrazione interiore. Per quanto necessari essi possano essere per i gradi superiori dell’istruzione spirituale, occorre però riflettere che la concentrazione energica sopra sentimenti, come per esempio quello descritto sulla contemplazione della bontà di cuore, può già condurre molto lontano. Come le nature degli uomini sono diverse, così diversi dovranno essere anche i mezzi di allenamento, a seconda dei vari individui. Riguardo alla durata della concentrazione, bisogna rendersi conto che l’effetto è tanto più forte quanto essa può diventare più serena e più intensa; però ogni esagerazione in questa direzione va evitata. Vi è tuttavia uno speciale senso interiore che si sviluppa a seguito degli esercizi stessi e che insegna al discepolo la giusta misura a cui deve attenersi.

 

Occorre generalmente proseguire tali esercizi di concentrazione interiore per lungo tempo, prima di poterne constatare qualche risultato. Nell’educazione spirituale è necessario assolutamente aver pazienza e perseveranza. Chi non desta in sé queste qualità, e non prosegue con completa calma i suoi esercizi, in modo che pazienza e perseveranza formino la disposizione fondamentale della sua anima, non potrà ottenere molto.

Da ciò che precede è evidente che la concentrazione interiore (meditazione) è un mezzo per arrivare alla conoscenza dei mondi superiori; quest’effetto non si ottiene però facendo uso di una rappresentazione qualsiasi, ma occorre che il contenuto della rappresentazione sia stato costruito secondo il metodo indicato.

 

La via qui descritta conduce anzitutto a ciò che si può chiamare la conoscenza immaginativa. Essa è il primo gradino della conoscenza superiore. La conoscenza che poggia sulle percezioni sensorie e sulla elaborazione delle medesime a mezzo dell’intelletto collegato ai sensi può essere chiamata — secondo la scienza dello spirito — « conoscenza obiettiva ». Al di sopra di questa si trovano i gradini della conoscenza superiore, di cui il primo è appunto quello della conoscenza immaginativa. La parola « immaginativa » potrebbe generare in qualcuno il dubbio che si tratti soltanto di una rappresentazione « immaginaria » che non corrisponde ad alcuna realtà.

Nella scienza dello spirito la conoscenza « immaginativa » significa però un modo di conoscere, prodotto da uno stato di coscienza soprasensibile dell’anima, nel quale vengono percepiti fatti ed entità spirituali a cui i sensi non possono arrivare. Siccome questo stato viene destato nell’anima per mezzo della concentrazione sui simboli, o sulle « immaginazioni », così anche il mondo che corrisponde a questo stato superiore di coscienza può essere chiamato « immaginativo », e « immaginativa » la conoscenza che vi si riferisce. In questo senso dunque la parola « immaginativa » si applica ad esseri e a fatti « veri », in un senso più alto di quanto non lo siano i fatti e gli esseri della percezione sensoria. Non ha importanza il contenuto delle rappresentazioni che costituiscono l’esperienza immaginativa, ma solamente la facoltà animica che viene formata per mezzo di questa esperienza.

 

Contro l’impiego delle rappresentazioni simboliche sopra descritte potrebbe essere facilmente sollevata l’obiezione che la loro formazione derivi da un pensare sognante e da una fantasia arbitraria, e che di conseguenza esse possano essere solo di dubbio risultato. Di fronte ai simboli che sono alla base di una giusta disciplina spirituale, una simile riserva non è giustificata. Tali simboli vengono scelti in modo che si può far completa astrazione dal loro rapporto con una realtà esteriore materiale; il loro valore risiede unicamente nella forza con cui essi agiscono sull’anima, quando questa distoglie completamente la sua attenzione dal mondo esteriore, elimina tutte le impressioni dei sensi ed esclude tutti i pensieri che possono pervenirle da stimolo esteriore.

Il processo della meditazione si può meglio spiegare quando lo si paragona al sonno; da un lato somiglia allo stato di sonno, dall’altro è completamente il contrario. La meditazione è un sonno che rappresenta un grado di veglia superiore a quello della coscienza diurna. Ciò dipende dal fatto che, per la concentrazione sulla relativa rappresentazione o immagine, l’anima è costretta ad attingere dalle proprie profondità forze molto più energiche di quelle che applica alla vita ordinaria o alla conoscenza abituale; la sua attività interiore ne riesce perciò accresciuta. Essa si libera dalla corporeità, come fa nel sonno; però non cade come in questo nell’incoscienza, ma sperimenta un mondo che prima non sperimentava.

Il suo stato, sebbene si possa paragonare a quello del sonno per il fatto che l’anima si è liberata dal corpo, è nondimeno tale che, rispetto all’abituale coscienza di veglia, può essere caratterizzato come uno stato intensificato di veglia; per tal mezzo l’anima conosce se stessa, sperimenta la propria vera essenza indipendente interiore; invece nella vita ordinaria, a causa dello spiegamento più debole delle sue forze, l’anima non arriva alla coscienza di sé che con l’aiuto del corpo, e perciò non sperimenta se stessa, ma si vede soltanto nell’immagine tracciata — come una specie di riflesso — dal corpo, o piuttosto dai processi di esso.

 

I simboli costruiti nel modo appunto descritto non si riferiscono per loro natura ancora a niente di reale nel mondo spirituale, ma servono per staccare l’anima dalla percezione sensoria e dallo strumento del cervello fisico al quale l’intelligenza è a tutta prima collegata. Questo distacco non può verificarsi prima che l’uomo non senta: « Ora mi rappresento qualcosa per mezzo di forze per le quali i miei sensi e il mio cervello non mi servono di strumento ».

Su questa via l’uomo sperimenta per prima cosa una liberazione dagli organi fisici, e può dire allora a se stesso: « La mia coscienza non si spegne quando mi astraggo dalle percezioni sensorie e dal pensiero logico abituale; mi posso elevare al di sopra di questo e mi sento allora come un’entità separata accanto a ciò che ero prima ». Questa è la prima esperienza assolutamente spirituale: l’osservazione di un’entità animico-spirituale dotata di un io; essa è sorta come un nuovo sé da quell’aìtro sé che era vincolato ai sensi fisici e all’intelletto fisico. Se l’uomo si liberasse dal mondo dei sensi e dell’intelletto, senza la concentrazione, cadrebbe invece nel « nulla » dell’incoscienza.

 

Questa entità animico-spirituale, ben inteso, risiede nell’uomo anche prima della concentrazione, ma essa allora non possiede ancora nessuno strumento per l’osservazione del mondo spirituale; somiglia a un dipresso ad un corpo fisico senza occhi per vedere e orecchi per udire. La forza che è stata impiegata nella concentrazione ha per prima cosa creato gli organi animico-spirituali nell’entità animico-spirituale, fino ad allora non organizzata. Ciò che l’uomo si è creato in questo modo è appunto quanto per primo egli percepisce; la prima esperienza, in un certo senso, è dunque un’esperienza di autopercezione. La disciplina spirituale, per sua natura, fa sì che l’anima, per mezzo dell’esercizio dell’autoeducazione, a questo punto della sua evoluzione è pienamente cosciente che nei mondi di immagini (immaginazioni), sorgenti a seguito degli esercizi descritti, essa anzitutto percepisce se stessa.

Queste immagini sorgono anzi viventi in un nuovo mondo; l’anima deve però riconoscere che dapprima esse sono soltanto un riflesso del proprio essere rinvigorito dagli esercizi; e deve non solo riconoscere questo fatto con la sua ragione, ma essere anche arrivata a tale educazione della volontà da potere in qualunque momento spegnere e allontanare dalla coscienza quelle immagini. L’anima deve poter conservare completa libertà di azione in mezzo a tali immagini.

Ciò è indizio di una giusta disciplina spirituale, perché se l’anima non fosse libera si troverebbe, nel campo delle esperienze spirituali, in condizione analoga a quella di un’anima che nel mondo fisico dovesse rimanere legata ad ogni oggetto che vede, in modo da non poterne più distogliere lo sguardo. Dalla possibilità di estinguere le immagini va escluso un solo gruppo di esperienze interiori immaginative le quali, a quel gradino della disciplina occulta, non devono essere estinte; esse rappresentano il nucleo essenziale dell’anima, e il discepolo dell’occultismo riconosce in queste immagini la sua essenza fondamentale che si conserva attraverso le ripetute vite terrene.

A questo punto il sentire le ripetute vite terrene diventa un’esperienza reale. Nei riguardi però di tutte le altre percezioni immaginative deve regnare la libertà d’azione già descritta. Soltanto quando si è acquistata la capacità di estinguere le esperienze, ci si può avvicinare realmente al mondo spirituale esteriore; in luogo di ciò che si è estinto viene qualcosa d’altro nel quale si riconosce la realtà spirituale; l’anima si sente crescere, dall’essere indeterminato che era prima, a qualcosa di determinato. Da questa auto-percezione si deve procedere oltre, all’osservazione di un mondo esteriore animico-spirituale; questo appare quando si regolano le proprie esperienze interiori nel modo che ora verrà descritto.

 

Dapprima l’anima del discepolo è debole di fronte a ciò che vi è da percepire nel mondo animico-spirituale; egli dovrà applicare una grande energia interiore per conservare nella concentrazione interiore i simboli o le altre rappresentazioni che si è costruito con gli elementi fomiti dal mondo sensibile; d’altronde, se egli vuole pervenire alla vera osservazione in un mondo superiore, non deve attenersi soltanto a queste rappresentazioni; dopo aver fatto ciò, egli deve ancora potersi fermare in una condizione nella quale nessuno stimolo dal mondo esteriore sensibile possa agire sull’anima, ma in cui persino le rappresentazioni immaginative prima caratterizzate vengano eliminate dalla coscienza. Allora soltanto può presentarsi alla coscienza ciò che si è formato per mezzo della concentrazione.

Occorre ormai che vi sia sufficiente forza animica interiore, perché quanto è stato formato possa veramente essere veduto spiritualmente, perché non sfugga all’attenzione, come succede quando l’energia interiore è ancora debolmente sviluppata. L’organismo animico-spirituale che dapprima si forma e che viene scoperto dall’autopercezione è tenue ed evanescente; le distrazioni del mondo esteriore fisico, nonché i loro effetti nel ricordo, sono grandi, per quanto ci si possa sforzare di evitarli. Non si tratta soltanto delle distrazioni che si avvertono, ma piuttosto di quelle che nella vita ordinaria sfuggono alla nostra attenzione. La natura dell’uomo appunto ha permesso uno stato di transizione a questo riguardo, e ciò che l’anima non può effettuare a tutta prima nella condizione di veglia, per causa delle distrazioni del mondo fisico, le riesce invece possibile durante lo stato di sonno.

La persona che si dedica alla concentrazione interiore si accorgerà, purché vi porga attenzione, di un fatto nuovo durante il sonno; sentirà che durante il sonno « non dorme completamente », ma che vi sono degli intervalli in cui la sua anima esplica nondimeno una certa attività. In tali condizioni i processi naturali tengono lontane le influenze del mondo esteriore che l’anima non è ancora capace per forza propria di eliminare durante la veglia. Quando però gli esercizi della concentrazione già hanno agito, l’anima si libera durante il sonno dall’incoscienza, e sente il mondo spirituale-animico. Ciò può succedere in due modi: durante il sonno all’uomo può risultare chiaro di essere in un altro mondo; oppure svegliandosi può avere il ricordo di essere stato in un altro mondo. Per il primo caso occorre indubbiamente un’energia interiore più intensa che per il secondo; questo infatti si verifica più spesso per chi è all’inizio della disciplina occulta.

A poco a poco questo sentimento può arrivare al punto che dopo il risveglio il discepolo si dica: « Durante tutto il tempo che ho dormito, sono stato in un altro mondo dal quale sono uscito con il risveglio ». E il suo ricordo delle entità e dei fatti di quest’altro mondo diventerà sempre più preciso. In ambo i casi si è verificato a questo punto nel discepolo ciò che possiamo chiamare la continuità della coscienza (la continuazione della coscienza durante il sonno). Con questo non è inteso che l’uomo conservi sempre la coscienza durante il sonno; per la continuità di essa già molto avrà conseguito se egli, che altrimenti dorme come chiunque altro, ha determinati intervalli durante il sonno in cui è cosciente di un mondo spirituale-animico, o anche se da sveglio potrà vedere tali brevi stati di coscienza.

Occorre però tener conto che quanto viene qui descritto non è da considerarsi se non come uno stato di transizione: è bene attraversarlo con l’aiuto della disciplina, ma non bisogna credere di poter trarre da esso alcuna visione conclusiva del mondo spirituale. In questa condizione l’anima non è sicura di sé, e non può fidarsi di ciò che percepisce; ma per mezzo di tali esperienze raccoglie sempre maggior forza per poter poi allontanare da sé, anche durante la veglia, le influenze disturbatrici del mondo esteriore e del mondo interiore, e per arrivare in tal modo all’osservazione spirituale-animica; occorre per questo che nessuna impressione le giunga per mezzo dei sensi, che l’intelletto legato al cervello fisico taccia, e che le rappresentazioni della concentrazione, che hanno servito di preparazione per arrivare alla visione spirituale, siano pure allontanate dalla coscienza.

Tutti gli insegnamenti che sotto varie forme vengono comunicati dalla scienza dello spirito non dovranno mai derivare da altra sorgente, se non da quella dell’osservazione spirituale-animica compiuta durante il completo stato di veglia.

 

Due esperienze dell’anima sono importanti durante l’educazione spirituale.

La prima è quella in cui l’uomo può dire a se stesso: « Ormai, quando mi astraggo da tutte le impressioni che mi possono pervenire dal mondo esteriore, non vedo nella mia interiorità un essere in cui è spenta ogni attività; vedo anzi un essere cosciente di sé, in un mondo di cui io non so nulla, finché mi lascio stimolare soltanto dalle impressioni sensorie e abituali dell’intelletto ». L’anima in quel momento ha il senso di aver fatto nascere in sé un nuovo essere, il proprio nucleo essenziale animico, come si è descritto più sopra. Questo nuovo essere ha delle facoltà del tutto diverse da quelle che erano prima nell’anima.

La seconda esperienza consiste nel fatto di poter sentire ormai il proprio essere precedente come una seconda entità che ci sta a fianco. Ciò in cui fino ad allora ci si sentiva racchiusi diventa qualcosa che ci sta di fronte; ci si sente temporaneamente al di fuori di quanto di solito si era considerato come il proprio essere, e si chiamava il proprio « io ». Ormai è come se si vivesse in piena coscienza in due « io », uno dei quali è quello che fino ad allora abbiamo conosciuto, l’altro si presenta come un essere nato a nuovo e superiore al primo; e si sente che il primo io acquista una certa indipendenza rispetto al secondo, a un dipresso come il corpo dell’uomo ha una certa indipendenza rispetto al primo io. Questa esperienza è di grande importanza, perché attraverso di essa l’uomo sa che cosa significa vivere nel mondo al quale egli si sforza di arrivare per mezzo della disciplina.

 

Il secondo io — il nuovo nato — può ormai venir condotto alla percezione del mondo spirituale; in lui può svilupparsi ciò che esplica nel mondo spirituale una funzione di importanza corrispondente a quella degli organi sensori per il mondo fisico-sensibile. Se lo sviluppo dell’uomo è progredito fino al grado necessario, egli sentirà non soltanto se stesso come un io nato a nuovo, ma percepirà ormai attorno a sé dei fatti spirituali e delle entità spirituali, così come percepisce il mondo fisico per mezzo dei sensi fisici. È questa una terza esperienza importante.

Per arrivare a orientarsi giustamente a tale gradino dell’educazione spirituale, il discepolo deve tener conto che, col rafforzamento delle forze animiche, l’amore per se stesso, l’egoismo, sì presenta ad un grado di intensità del tutto sconosciuto alla normale vita animica. Sarebbe un errore credere che si tratti a questo punto soltanto di un semplice egoismo; esso si intensifica a questo grado di sviluppo in modo da trasformarsi nell’anima in una vera forza di natura, e per poterne trionfare occorre una forte disciplina della volontà. L’egoismo non viene prodotto dalla disciplina spirituale; era sempre esistito, ma giunge soltanto a coscienza attraverso lo sperimentare spirituale.

La disciplina della volontà deve progredire di pari passo con l’altra disciplina spirituale. L’uomo sente una forte tendenza a godere del mondo che egli stesso si è creato, ma deve poter annullare nel modo descritto ciò che prima era stata la mèta dei suoi sforzi. Nel mondo immaginativo a cui si è arrivati occorre spegnere se stessi, ma a questo si oppongono i più forti impulsi dell’egoismo.

 

Potrebbe nascere facilmente l’opinione che gli esercizi della disciplina spirituale siano qualcosa di esteriore e di indipendente dall’evoluzione morale dell’anima. A questo riguardo si deve dire che la forza morale necessaria per trionfare dell’egoismo non può essere acquistata, se l’atteggiamento morale dell’anima non si è elevato a un grado corrispondente. Non è pensabile un progresso nella disciplina spirituale, se non accompagnato da un progresso morale.

Senza forza morale non è possibile trionfare dell’egoismo sopra descritto. Chi dice che la vera disciplina spirituale non è al contempo un’educazione morale, non afferma il vero. Soltanto all’uomo che non ha attraversato l’esperienza stessa potrà affacciarsi l’obiezione: « Come possiamo essere sicuri, quando crediamo di avere delle percezioni spirituali, di trovarci di fronte a delle realtà e non a semplici illusioni (visioni, allucinazioni e simili)?».

Chi è arrivato al grado descritto per mezzo di una regolare disciplina, può distinguere la differenza fra una sua propria rappresentazione e una realtà spirituale altrettanto bene, quanto un uomo dotato di sano criterio può distinguere la differenza tra la rappresentazione di un ferro rovente e la vera presenza di un tale ferro che egli tocca con la mano. La sana esperienza soltanto può determinare la differenza, e niente altro; anche nel mondo spirituale, la vita serve da pietra di paragone.

 

Come si sa che nel mondo dei sensi la rappresentazione di un ferro, per quanto caldo si possa immaginare, non brucia le dita, così il discepolo spirituale sa se il fatto che egli sperimenta sta soltanto nella sua fantasia, o se dei fatti o delle entità reali esercitano effettivamente un’impressione sopra gli organi risvegliati della sua percezione spirituale. Le norme da osservare durante l’educazione spirituale, per non cadere vittima delle illusioni a questo riguardo, verranno descritte nel seguito di questo libro.

 

È della più alta importanza che il discepolo abbia conseguito un atteggiamento ben determinato dell’anima quando si desta in lui la coscienza del nuovo io perché l’uomo, per mezzo del suo io, è padrone dei suoi sentimenti, emozioni, rappresentazioni, istinti, desideri e passioni. Le percezioni e le rappresentazioni non devono essere abbandonate a loro stesse nell’anima; devono essere regolate dalle leggi del pensiero. Ed è l’io che dispone di queste leggi del pensiero e che, per mezzo di esse, porta ordine nella vita delle rappresentazioni e dei pensieri. Così pure si può dire dei desideri, degli istinti, delle tendenze e delle passioni. Le massime etiche fondamentali diventano le guide di queste forze dell’anima, e per mezzo del criterio morale l’io diventa la guida dell’anima in questo campo. Quando ora l’uomo estrae dal suo io abituale un io superiore, sotto un certo riguardo il primo diventa indipendente; viene tolta all’io tanta forza viva quanta ne vien applicata all’io superiore.

Supponiamo ora che l’uomo non abbia ancora sviluppato in sé capacità e fermezza sufficienti per regolare le leggi del pensiero e la forza del criterio, e voglia nondimeno far nascere il suo io superiore. Egli non potrà in tal caso lasciare al suo io normale se non quelle capacità di pensiero che prima aveva sviluppate. Se la quantità del pensiero disciplinato è troppo scarsa, l’io normale, ormai divenuto indipendente, cadrà vittima di pensieri e di giudizi confusi e fantastici. E poiché in una simile persona anche l’io nato a nuovo non può essere che debole, per la veggenza spirituale il confuso io inferiore avrà il sopravvento, e l’uomo non mostrerà l’equilibrio della sua forza di giudizio per l’osservazione del soprasensibile. Se invece avesse sviluppato sufficiente capacità di pensiero logico, potrebbe abbandonare tranquillamente l’io normale alla sua indipendenza.

Nel campo etico succede lo stesso. Se l’uomo non ha acquistato sicurezza nel discernimento morale, se non riesce a padroneggiare sufficientemente le tendenze, gli istinti e le passioni, egli renderà indipendente il suo io abituale in uno stato nel quale sono attive le forze dell’anima prima ricordate. Può accadere che, nel precisare le esperienze soprasensibili vissute, l’uomo non applichi un senso della verità altrettanto alto quanto quello usato per portare a coscienza il mondo fisico esteriore.

Con un senso della verità in tal modo affievolito egli potrebbe stimare verità spirituale qualsiasi cosa che invece sia soltanto una sua fantasticheria. Nel senso della verità devono agire sicurezza di criterio etico, fermezza di carattere e profondità di coscienza; tali qualità devono venir formate nell’io lasciato indietro, prima che l’io superiore diventi attivo per la conoscenza soprasensibile. Ciò non deve assolutamente diventare uno spauracchio di fronte alla disciplina; va però preso molto sul serio.

 

Chi ha la forte volontà di far tutto ciò che contribuisce a dare sicurezza interiore al primo io nell’esercizio della sua attività, non si deve spaventare di veder nascere un secondo io per effetto della disciplina spirituale. Egli non deve però dimenticare che l’autosuggestione esercita gran potere, quando si tratta per l’uomo di decidere se ha raggiunto la necessaria « maturità ».

Nella disciplina spirituale qui descritta, l’uomo raggiunge un’educazione del pensiero tale, che egli non si trova esposto ai pericoli di sbagliare che altrimenti si potrebbero temere. Questa educazione del pensiero permette di far sorgere tutte le esperienze interiori necessarie, e fa sì che tali esperienze avvengano nel modo in cui devono venir attraversate dall’anima senza essere accompagnate da delle aberrazioni nocive della fantasia, mentre senza la corrispondente educazione del pensiero, le esperienze possono provocare molta incertezza nell’anima. Il metodo qui indicato fa sì che le esperienze sorgano in modo da poterle conoscere perfettamente, come un’anima normale conosce perfettamente le percezioni del mondo fisico. Per mezzo dell’educazione del pensiero l’uomo diventa piuttosto un osservatore di ciò che sperimenta in sé, mentre senza quell’educazione si troverebbe completamente immerso nell’esperienza, senza capacità di riflettervi.

 

Ogni giusta disciplina indica alcune qualità che, per mezzo dell’esercizio, devono essere acquistate dal discepolo in cerca della via verso i mondi spirituali superiori; prima di tutto, la padronanza dell’anima sulla direzione dei propri pensieri, sulla volontà e sui sentimenti. Il modo con cui questa padronanza deve essere acquistata per mezzo dell’esercizio mira a un doppio scopo: da un lato l’anima deve acquistare con quel mezzo tale fermezza, sicurezza ed equilibrio da essere capace di conservare queste qualità anche dopo la nascita del secondo io; dall’altro, il secondo io deve venir provvisto di un viatico di forza e di fermezza interiore.

 

Per la disciplina spirituale è innanzi tutto necessario che il pensiero dell’uomo sia conforme ai fatti, obiettivo. Nel mondo fisico-sensibile la vita è incaricata di ammaestrare l’io umano all’obiettività. Se l’anima lasciasse errare qua e là i suoi pensieri a piacere, verrebbe ben presto corretta dalla vita, a meno di volersi mettere in conflitto con questa. L’anima deve conformare i suoi pensieri alla realtà dell’esistenza. Ma quando l’uomo distoglie l’attenzione dal mondo fisico-sensibile, gli viene a mancare il relativo correttivo, e se allora il suo pensare non è in grado di correggere se stesso, si abbandonerà alla confusione.

Il pensiero del discepolo spirituale deve perciò esercitarsi in modo da prefiggersi la propria direzione e il proprio scopo. La saldezza interiore e la capacità di concentrarsi esclusivamente sopra un oggetto: ecco le qualità che il pensare deve tendere ad acquistare. Per questo gli esercizi della « meditazione » non si devono cercare in oggetti lontani o complicati, ma facili e familiari.

Chi riesce a fissare il suo pensiero durante vari mesi, almeno per cinque minuti al giorno, sopra un oggetto di uso quotidiano (per esempio, una spilla, una matita, ecc.), e ad escludere durante quel tempo ogni altro pensiero che non si riferisca a quell’oggetto, avrà fatto molto per raggiungere il suo scopo (si può pensare tutti i giorni a un nuovo oggetto, oppure conservare il medesimo per vari giorni). Anche chi sente di essere un « pensatore » a seguito della sua istruzione scientifica, non deve disprezzare questo modo di rendersi « maturo » per l’educazione occulta; se infatti si fissa il pensiero per qualche tempo sopra un oggetto familiare, si può esser sicuri di pensare obiettivamente.

Chi si chiede: « Di che cosa è costituita una matita? Come viene preparato il materiale che costituisce la matita? Come vengono connesse le diverse sue parti? Quando è stata inventata la matita? » e così di seguito, chi pensa a quel modo, armonizza le proprie idee molto più con la realtà, di chi riflette sopra la discendenza dell’uomo, o su ciò che è la vita. Gli esercizi semplici del pensiero ci preparano molto meglio a orientarci nelle evoluzioni di Saturno, del Sole e della Luna, che non le idee complicate ed erudite, perché in un primo tempo non si tratta affatto di pensare questa o quella cosa, ma di pensare obiettivamente per virtù di forza interiore. Se ci si è educati all’oggettività con un processo fisico-sensibile facile da osservare, il pensare si abitua a voler essere obiettivo, anche quando non si sente più dominato dal mondo fisico-sensibile e dalle sue leggi; si perde l’abitudine di lasciare errare i pensieri in modo non conforme alla realtà.

 

L’anima deve diventare padrona non soltanto nel mondo dei pensieri,

ma anche nel campo della volontà.

Nel mondo fisico sensibile è sempre la vita che si presenta come dominatrice, facendo sentire agli uomini questa o quella necessità, così che la volontà si sente stimolata a soddisfare tali richieste. Per la disciplina superiore l’uomo si deve abituare a ubbidire severamente ai propri ordini. A chi ci si abitua, accadrà sempre meno di desiderare cose inutili. La scontentezza e l’instabilità nella vita della volontà provengono dal desiderio di cose della cui realizzazione non ci formiamo un chiaro concetto. Quando l’io superiore nasce nell’anima, tale scontento può turbare tutta la vita affettiva. Un buon esercizio è quello di darsi per dei mesi un ordine a una determinata ora del giorno: « Oggi, a questa determinata ora, tu dovrai compiere quest’azione ». Si arriva così gradatamente a imporsi l’ora dell’azione e la maniera d’attuarla in modo che l’esecuzione riesca assolutamente possibile.

Ci si eleva in tal modo al di sopra della cattiva abitudine di dire: « Desidero questo, o desidero quello », senza riflettere affatto alla possibilità di effettuare quel desiderio. Un grande fa dire a una veggente: « Amo chi aspira all’impossibile » (Goethe: Faust, II). E il medesimo Goethe dice: « Vivere nell’idea significa considerare l’impossibile come se fosse possibile » (Goethe: Massime in prosa). Tali detti non devono essere considerati come obiezioni a ciò che è stato qui esposto, perché alla richiesta di Goethe e della sua veggente (Manto) può dare soddisfazione soltanto chi prima si sia educato a desiderare ciò che è possibile, e così facendo si sia reso capace di trattare l’« impossibile », mediante una forte volontà, in modo da renderlo possibile.

 

Nei riguardi del mondo dei sentimenti l’anima del discepolo deve acquistare una certa calma; è necessario per questo che sappia padroneggiare l’espressione del piacere e del dispiacere, della gioia e del dolore. Contro l’acquisto appunto di questa facoltà possono essere sollevate molte obiezioni. Si potrebbe temere di diventare insensibili e indifferenti al mondo che ci attornia, « non rallegrandosi della gioia e non addolorandosi del dolore ». Ma non si tratta di questo. Una cosa piacevole deve rallegrare l’anima, e una cosa triste deve riuscirle penosa.

L’anima deve soltanto arrivare a dominare l’espressione della gioia e del dolore, del piacere e del dispiacere. Se si tende a questo, ci si accorgerà ben presto che invece di diventare indifferenti, si diventerà anzi più ricettivi di quanto prima non si fosse per tutta la gioia e il dolore che ci attorniano.

Per riuscire ad acquisire quelle qualità, occorre però sorvegliarsi per lungo tempo, e imparare a prendere compietamente parte alla gioia e al dolore, senza abbandonarvisi al punto da dare involontaria espressione ai propri sentimenti. Non bisogna reprimere il legittimo dolore, ma il pianto involontario; non l’orrore di un’azione malvagia, ma il cieco sfogo della collera; non il giusto premunirsi di fronte ad un pericolo, ma l’inutile « timore » e così via.

Soltanto per mezzo di tale esercizio il discepolo consegue l’intima calma necessaria per evitare che, dopo la nascita dell’io superiore, o meglio dopo l’inizio della sua attività, l’anima, come una specie di doppio, svolga vita malsana accanto all’io superiore. In questo campo appunto non bisogna abbandonarsi a nessuna illusione su se stessi.

Alcuni si possono già credere provvisti nella vita di un determinato equilibrio, e ritengono perciò superflui quegli esercizi; sono invece quelle persone che ne hanno maggiormente bisogno. Esse possono veramente rimanere del tutto calme di fronte agli eventi della vita ordinaria; ma quando ascendono nel mondo superiore ritorna con maggior forza a manifestarsi la mancanza di equilibrio che era stata soltanto repressa. Occorre assolutamente convincersi che per la disciplina spirituale non si tratta di ciò che ci sembra già di possedere, ma piuttosto importa esercitare regolarmente le qualità che ci occorrono.

Per quanto queste parole possano sembrare contradditorie, nondimeno sono giuste. La vita può averci insegnato molte cose, ma per l’educazione spirituale occorrono le qualità che da noi stessi ci siamo acquistate. Se la vita vi ha reso irascibile, dovete spogliarvi di questa irascibilità; ma se la vita vi ha insegnato l’imperturbabilità dovete scuotervi, per mezzo dell’autoeducazione, in modo che l’espressione dell’anima corrisponda all’impressione ricevuta. Chi non è capace di ridere di niente, domina altrettanto poco la propria vita quanto colui che si abbandona continuamente al riso senza dominarsi.

 

Per educare il pensiero e il sentimento vi è un altro mezzo,

e cioè l’acquisto della facoltà che si può chiamare positività.

In una bella leggenda vien raccontato che il Cristo Gesù, mentre camminava con alcune persone, trovò sulla strada la carogna di un cane. Gli altri distolsero lo sguardo da quella brutta vista, e il Cristo invece parlò con ammirazione dei bei denti dell’animale. Possiamo esercitarci a sviluppare nell’anima nostra un atteggiamento, rispetto al mondo, conforme a quello indicato dalla leggenda. L’errore, il male, il brutto non devono mai impedire all’anima di riconoscere il vero, il buono e il bello ovunque si trovi. Non bisogna confondere questa positività con la mancanza di critica, con la volontà di chiudere gli occhi al male, al falso e al mediocre. Chi ammira i « bei denti » di una carogna vede anche il corpo in decomposizione; ma questo non gli impedisce di vedere i bei denti. Non è possibile ritenere che il male sia bene o che l’errore sia verità, ma il male non deve impedirci di vedere il bene, né l’errore di scoprire la verità.

 

Il pensare, unito alla volontà, acquista una certa maturità purché l’uomo non permetta alle esperienze antiche di togliergli la ricettività per accogliere spregiudicatamente quelle nuove. Per il discepolo dello spirito non deve esistere il pensiero: « Questo non l’ho mai sentito, questo non lo credo »; ma deve anzi dedicarsi per un determinato tempo a imparare qualcosa di nuovo da ogni cosa e da ogni essere.

Ogni soffio d’aria, ogni foglia d’albero, ogni balbettio infantile ci può insegnare qualcosa, purché si osservi da un punto di vista nuovo. Certamente è facile esagerare a tale riguardo, e a una certa età non bisogna trascurare di tener conto delle esperienze attraversate. Ciò che si sperimenta attualmente deve essere giudicato alla stregua delle esperienze raccolte nel passato; queste devono pesare sopra un piatto della bilancia, mentre sull’altro il discepolo deve porre la sua tendenza a raccogliere sempre nuove esperienze, convinto soprattutto della possibilità che le esperienze nuove possano essere in contraddizione con le antiche.

 

Abbiamo così enumerato cinque qualità dell’anima che il discepolo dell’occultismo deve acquistare a mezzo di una regolare disciplina:

• la padronanza del pensiero,

• il dominio sugli impulsi volitivi,

• l’imperturbabilità di fronte al piacere e al dispiacere,

• la positività nel giudicare del mondo,

• la spregiudicatezza nella concezione della vita.

Il discepolo, dopo essersi dedicato per qualche tempo di seguito all’esercizio di queste qualità, dovrà anche armonizzarle nella propria anima; occorrerà perciò che egli le eserciti simultaneamente, per gruppi di due, di tre e così via, fino a conseguire l’armonia desiderata.

 

Gli esercizi descritti sono indicati come metodi della disciplina spirituale perché, se vengono eseguiti coscienziosamente, producono non soltanto i risultati diretti sopra descritti, ma indirettamente creano anche molto altro di utile per il cammino verso i mondi spirituali.

Chi pratica a sufficienza questi esercizi, durante gli stessi si accorgerà di molte mancanze ed errori nella sua vita animica, ma troverà i mezzi necessari proprio a lui per dare forza e sicurezza al suo intelletto, al suo carattere e ai suoi sentimenti; avrà certamente bisogno di molti altri esercizi, a seconda delle sue capacità, del suo temperamento e del suo carattere; questi però si presenteranno, se i primi vengono praticati esaurientemente. Si potrà anzi osservare che gli esercizi citati dànno indirettamente a poco a poco anche dei risultati a tutta prima non previsti.

Se per fare un esempio, qualcuno ha poca fiducia in sé, egli potrà osservare dopo qualche tempo che per mezzo degli esercizi cresce in lui questa qualità; così pure succede per altre qualità dell’anima. Nel mio libro L’iniziazione si trovano particolari più precisi per esercizi speciali. È importante che il discepolo si adoperi sempre a intensificare le qualità anzidette. Egli deve dominare i pensieri e i sentimenti a tal segno che l’anima acquisti il potere di procurarsi dei momenti di completa calma interiore; in essi l’uomo allontana dal proprio spirito e dal proprio cuore tutto ciò che la vita esteriore giornaliera gli reca di piacere e di dispiacere, di soddisfazioni e dì preoccupazioni, di compiti e di necessità. Durante questo periodo deve penetrare nell’anima soltanto ciò che essa vuole ammettere nella sua concentrazione.

È facile sorga un’obiezione al riguardo. Si potrebbe credere che il fatto di ritrarsi dalla vita ogni giorno per qualche tempo col cuore e lo spirito renda l’uomo estraneo alla vita e ai suoi doveri. Ma non è assolutamente così. Chi si abbandona nel modo descritto a dei periodi di calma e di serenità interiore, sentirà a mezzo di essi crescere in sé forze così potenti, da adempiere anche ai doveri della vita esteriore non peggio, ma certamente molto meglio di quello che prima non facesse.

È di grande importanza che durante tali periodi l’uomo si liberi completamente dai pensieri delle sue vicende personali, e si elevi a ciò che riguarda non soltanto lui stesso, ma l’umanità in generale. Se egli è capace di riempire la sua anima degli insegnamenti che concernono il mondo spirituale superiore, e di interessarsi a quello come si interessa a una cura o vicenda sua personale, la sua anima potrà allora raccogliere utilissimi frutti.

Chi si sforza in tal modo di portare l’ordine nella sua vita dell’anima, arriverà anche alla possibilità di un’auto-osservazione che gli permetterà di considerare le proprie vicende con la medesima serenità con cui considera quelle di un estraneo. Poter considerare le proprie esperienze, le proprie gioie e i propri dolori come fossero quelli di un’altra persona, è una buona preparazione per l’educazione spirituale.

A questo riguardo si arriva a poco a poco al livello necessario se giornalmente, dopo compiuto il proprio lavoro, si fanno scorrere davanti al proprio spirito le immagini delle esperienze vissute nella giornata; in mezzo a queste, l’uomo deve vedere se stesso, deve osservarsi come dall’esterno nella propria vita giornaliera. Per conseguire una certa pratica in tale auto-osservazione, è utile dapprima rappresentarsi soltanto singole frazioni della vita della propria giornata. Gradatamente poi si acquista maggiore abilità per tale retrospezione, in modo che dopo averla esercitata per qualche tempo si riuscirà a compierla completamente e con rapidità.

Questa osservazione a ritroso degli eventi vissuti ha una speciale importanza per la disciplina spirituale, per il fatto che essa rende l’anima indipendente dalla abitudine di seguire col pensare soltanto lo svolgimento sensibile degli eventi. Nel pensare a ritroso si pensa correttamente, ma non si è sostenuti dal decorso sensibile. E questo è necessario per penetrare nel mondo soprasensibile; d’altra parte, conduce a un sano rafforzamento del pensiero.

Perciò è anche utile il pensare a ritroso, oltre gli eventi della propria giornata, anche altre cose, per esempio lo svolgimento di un dramma, o un racconto, o una successione di suoni musicali. Sempre più « l’ideale » del discepolo dello spirito sarà quello di avere un atteggiamento di fronte agli eventi della vita che gli permetta di accoglierli con sicurezza e calma interiore, e di non giudicarli in ordine alla disposizione della propria anima, ma in ordine al loro intimo significato e al loro intimo valore. Se si prefigge questo ideale, egli si crea in tal modo una base sicura per l’anima e si potrà dedicare alla concentrazione già descritta su pensieri simbolici e altri pensieri e sentimenti.

 

Le condizioni qui descritte sono necessarie, perché l’esperienza soprasensibile è edificata sul terreno che serve di base alla vita abituale dell’anima, prima della sua penetrazione nel mondo soprasensibile. Ogni sperimentare soprasensibile dipende in duplice modo dal punto di partenza dell’anima prima di quella penetrazione. Chi trascura di formarsi fin dall’inizio una forza sana di giudizio, che serva di base alla sua educazione occulta, svilupperà facoltà soprasensibili che percepiranno il mondo spirituale in modo impreciso e non giusto.

I suoi organi spirituali di percezione si svilupperanno in modo non giusto. E come un occhio difettoso o malato non può veder bene nel mondo sensibile, così non si potrà percepire correttamente con organi spirituali che non siano formati sulla base di una sana capacità di giudizio. — Se al punto di partenza l’atteggiamento dell’anima del discepolo è immorale, egli si eleva nei mondi superiori con una visione spirituale ottusa, annebbiata, e si trova di fronte a quei mondi come un uomo che in stato di stordimento osservi il mondo sensibile. Mentre però questi certamente non arriverebbe a nessuna osservazione importante, invece l’osservatore spirituale, anche quando si trova in uno stato di confusione, è tuttavia più desto di qualsiasi uomo nella coscienza normale, e trarrà perciò dalle sue osservazioni dei risultati errati nei riguardi del mondo spirituale.

 

La saldezza interiore del gradino immaginativo della conoscenza viene raggiunta quando, in appoggio alle concentrazioni (meditazioni) animiche sopra descritte, il discepolo coltiva l’abitudine di ciò che si può chiamare il « pensiero libero dai sensi ».

Quando ci si forma un’idea basata su quanto è stato osservato nel mondo fisico-sensibile, questa idea non è libera dalla influenza dei sensi. Ma non è detto che l’uomo possa formarsi soltanto idee di quel genere. Il pensiero umano non diventa vuoto e insignificante quando non è riempito dalle osservazioni dei sensi. Per il discepolo spirituale la via più sicura e più vicina per conseguire tale pensiero libero dai sensi potrebbe essere quella di assimilare gli insegnamenti della scienza dello spirito riguardo ai fatti del mondo superiore, e formare di essi il contenuto del proprio pensiero.

Questi fatti non possono essere osservati per mezzo dei sensi fisici; nondimeno il discepolo si accorgerà che li può comprendere, purché eserciti sufficiente pazienza e perseveranza. Il mondo spirituale non può essere da noi investigato e osservato senza un’adeguata preparazione, ma anche senza la disciplina superiore possiamo arrivare a comprendere tutto ciò che ci viene riferito da chi è in grado di indagare quel mondo.

Se qualcuno ritenesse di non poter accettare con convinzione ciò che viene riferito dagli investigatori, perché direttamente non è in grado di verificare quelle notizie, la sua obiezione sarebbe ingiustificata, essendo assolutamente possibile, per mezzo della semplice riflessione, acquistare l’assoluta convinzione della verità di quelle comunicazioni.

E se qualcuno non riesce con la riflessione a formarsi tale convinzione, ciò non proviene affatto dall’impossibilità di « credere » a qualcosa che non si vede, ma unicamente dal fatto che la sua riflessione difetta tuttora di imparzialità, di larghezza e di profondità. Per chiarire questo punto bisogna riflettere che il pensare umano, quando si stimola interiormente con energia, arriva ad abbracciare un campo molto più vasto di quello che di solito gli viene assegnato. I pensieri contengono infatti una essenza interiore che è in rapporto con il mondo soprasensibile.

L’anima di solito non è cosciente di questo rapporto perché è abituata a educare il suo pensiero soltanto in relazione al mondo dei sensi, e giudica perciò incomprensibili le comunicazioni tratte dal mondo soprasensibile; ma queste sono comprensibili, non soltanto per il pensiero educato alla disciplina occulta, ma anche per ogni pensiero che sia cosciente di tutta la propria forza e desideroso di servirsene. Assimilando continuamente in tal modo gli insegnamenti dell’indagine occulta, ci si abitua ad un pensare che non attinge alle percezioni dei sensi; si impara a riconoscere che nell’intimità dell’anima un pensiero vien contessuto dall’altro, un pensiero si associa all’altro, anche quando il loro nesso non è determinato dalla forza dell’osservazione sensoria.

L’essenziale è il fatto di accorgersi che il mondo del pensiero ha una vita interiore, e che mentre veramente si pensa ci si trova già nel campo di un vivente mondo soprasensibile. Ci si dice: « Vi è in me qualcosa che forma un organismo di pensiero, ma io sono tutt’uno con quel ” qualcosa” ». Abbandonandosi al pensiero libero dai sensi si diventa coscienti di un’essenza che fluisce nella nostra vita interiore, così come le proprietà delle cose sensibili fluiscono in noi attraverso i nostri organi fisici, quando osserviamo con i sensi.

L’osservatore del mondo fisico dice: « Là fuori, nello spazio, vi è una rosa; essa non mi è estranea, perché mi si rivela per mezzo del suo colore e del suo profumo ». Orbene, quando agisce nell’uomo il pensiero libero dai sensi, basta che egli sia abbastanza spregiudicato per poter dire ugualmente a se stesso: « Qualcosa di essenziale si rivela a me, ricollega in me un pensiero all’altro e costituisce in tal modo un organismo di pensiero ». Vi è però una differenza nei sentimenti di fronte a ciò che l’osservatore del mondo sensibile esteriore ha nell’occhio, e ciò che di essenziale si annunzia nel pensare libero dai sensi. Il primo osservatore si sente esterno alla rosa, mentre chi si abbandona al pensare libero dai sensi ne sente l’essenza che gli si rivela come dentro di sé, si sente tutt’uno con essa.

Chi più o meno coscientemente dà valore di essenza soltanto a ciò che gli sta di fronte quale oggetto esterno, non potrà certamente avere il senso che una cosa di per sé esistente possa rivelarsi a lui anche per il fatto che egli si senta tutt’uno con essa. Per discernere la verità a questo riguardo, occorre poter avere la seguente esperienza interiore.

Bisogna imparare a distinguere fra le associazioni di idee volontariamente create, e quelle sperimentate in noi quando la nostra volontà è messa a tacere. Nell’ultimo caso si può dire: « Io rimango completamente tranquillo in me stesso, non provoco nessuna concatenazione di idee, mi abbandono a ciò che ” pensa in me ’’ ». Allora si può dire con ragione: « Agisce in me un alcunché di essenziale »; come pure si ha diritto di dire: « Ricevo una impressione dalla rosa, quando vedo un determinato rosso, o percepisco un determinato profumo ».

Non vi è nessuna contraddizione nel fatto di avere attinto il contenuto dei propri pensieri dagli insegnamenti dell’indagatore spirituale. I pensieri già esistono quando ci abbandoniamo ad essi, ma non si potrebbero pensare se non si creassero ogni volta a nuovo nell’anima. Si tratta appunto di questo: che l’indagatore dello spirito desti nei suoi uditori o lettori dei pensieri che essi devono attingere anzitutto in se stessi; chi invece descrive delle realtà sensibili indica qualcosa che può essere osservato dall’uditore o dal lettore nel mondo sensibile.

 

(La via che conduce al pensiero libero dai sensi, per mezzo delle comunicazioni della scienza dello spirito, è completamente sicura. Ve ne è un’altra anche più sicura, e specialmente più esatta, sebbene sia per molti uomini più difficile. Essa è descritta nei miei libri Linee fondamentali di una teoria della conoscenza della concezione goethiana del mondo e La filosofia della libertà. Questi libri espongono i risultati a cui il pensiero umano può arrivare, quando invece di abbandonarsi alle impressioni del mondo esterno fisico-sensibile, esso si concentra soltanto in se stesso. Soltanto il pensiero puro, come entità di per sé vivente, e non il pensiero rivolto solo ai ricordi di oggetti sensibili, esplica allora la sua attività nell’uomo. Nei libri sopra citati non vi è niente delle comunicazioni della scienza dello spirito; nondimeno in essi viene mostrato che il pensiero puro, concentrato in se stesso, può arrivare a spiegazioni del mondo, della vita e dell’uomo. Quei due libri rappresentano un gradino intermedio molto importante fra la conoscenza del mondo sensibile e quella del mondo spirituale, e offrono ciò che il pensiero può conseguire quando si eleva al di sopra dell’osservazione sensibile, sebbene ancora eviti l’accesso all’indagine spirituale. Chi fa agire questi libri su tutta la sua anima è già nel mondo spirituale; soltanto che questo gli si palesa come mondo del pensiero. Chi si sente capace di attraversare questo gradino intermedio, segue una via sicura, e può acquistarsi in tal modo un sentimento, riguardo al mondo superiore, che gli arrecherà i più bei frutti per l’intiero avvenire).

Il fine della concentrazione (meditazione) sulle rappresentazioni e i sentimenti simbolici sopra caratterizzati è precisamente la formazione degli organi della percezione superiore nel corpo astrale dell’uomo. Essi vengono anzitutto creati dalla sostanza del corpo astrale. Questi nuovi organi di percezione rivelano un nuovo mondo nel quale l’uomo impara a conoscere se stesso come un nuovo io; essi si differenziano da quelli del mondo fisico-sensibile già per il fatto che sono organi attivi.

Mentre gli occhi e gli orecchi sono passivi e subiscono la luce e il suono, si può invece dire che gli organi animico-spirituali di percezione sono in continua attività mentre percepiscono, e che in certo qual modo afferrano con piena coscienza gli oggetti e i fatti che si palesano loro. Da questo nasce il senso che la conoscenza spirituale-animica è un’unione con i fatti che essa percepisce, è « un vivere in essi ». I singoli organi spirituali-animici che si formano si possono denominare « fiori di loto », data la forma che assumono immaginativamente per la coscienza soprasensibile (ben inteso, bisogna rendersi chiaramente conto che tale denominazione corrisponde altrettanto poco a dei fiori, quanto il termine « albero » quando è applicato ai bronchi).

Certi speciali modi di concentrazione interiore esercitano un’azione sul corpo astrale in modo da determinare la formazione di questo o di quell’organo spirituale-animico, di questo o di quel « fiore di loto ». Dopo tutto ciò che è stato esposto in questa opera, dovrebbe essere superfluo il mettere in evidenza che questi « organi di percezione » non sono qualcosa che assomigli all’oggetto sensibile da cui traggono il nome. Questi « organi » sono veramente soprasensibili e consistono in una determinata forma di attività dell’anima; essi sussistono solo in quanto l’anima esercita tale attività e per il tempo in cui la esercita. La loro presenza nell’uomo è altrettanto poco legata alla presenza di qualcosa che cade sotto i sensi, quanto non esiste del « fumo » intorno ad un uomo che pensa. Sono inevitabili i malintesi per chi vuole a tutti i costi immaginarsi in modo sensibile ciò che è soprasensibile.

Sebbene questa osservazione debba considerarsi superflua, pure ritengo di doverla esprimere perché accade sempre di nuovo d’incontrare delle persone che ammettono l’esistenza del soprasensibile, ma che non accolgono nei loro concetti se non contenuti sensibili; d’altra parte, ci sono sempre avversari della conoscenza soprasensibile i quali affermano che l’indagatore dei mondi spirituali parli dei « fiori di loto » come di tenui formazioni percepibili ai sensi.

Ogni giusta meditazione che tende allo sviluppo della conoscenza immaginativa produce un effetto sopra l’uno o l’altro organo (nel libro L’iniziazione sono indicati alcuni metodi di meditazione e degli esercizi che agiscono sopra i diversi organi). Una giusta disciplina regola i singoli esercizi per il discepolo facendoli seguire l’uno all’altro in modo che gli organi si possano formare singolarmente o consecutivamente. Per riuscire in questo intento, occorre che il discepolo sia fornito di molta pazienza e perseveranza; non gli basterà solo quel tanto di pazienza che si acquista nelle condizioni ordinarie della vita.

Occorre molto, anzi moltissimo tempo, prima che gli organi siano capaci di servire al discepolo per percepire nei mondi superiori; in quel momento si produce nel discepolo ciò che si chiama l’illuminazione, mentre la preparazione o purificazione è invece costituita dagli esercizi per la formazione degli organi (il termine di « purificazione » vien impiegato perché, a mezzo dei relativi esercizi, il discepolo purifica un determinato campo della sua vita interiore da tutto ciò che deriva soltanto dalla osservazione del mondo sensibile). Succede talvolta che, anche prima dell’effettiva illuminazione, l’uomo riceva ripetutamente degli sprazzi di luce dal mondo superiore; deve raccoglierli con riconoscenza, poiché questi già lo rendono testimonio del mondo spirituale. Egli non deve però esitare se durante il suo periodo di preparazione, per quanto lungo questo gli possa sembrare, questi sprazzi non si verificassero.

Del resto, chi si impazienta perché « ancora non vede nulla », non ha acquistato il giusto atteggiamento verso il mondo superiore; lo si ha soltanto se si considerano gli esercizi fatti durante il discepolato quasi come fine a se stessi. Questi esercizi sono realmente una elaborazione della sostanza spirituale- animica, cioè del corpo astrale dell’uomo; si può « sentire », anche quando « non si vede niente », che si sta elaborando sostanza spirituale-animica.

Quando però si ha l’idea preconcetta di ciò che effettivamente si vuol « vedere », non si sperimenta quel sentimento. In tal caso non si darà valore a ciò che invece è di straordinaria importanza. Bisognerebbe osservare con minuta cura tutto ciò che si sperimenta durante gli esercizi e che è radicalmente diverso dalle esperienze del mondo sensibile.

Il discepolo noterà allora che il corpo astrale sul quale egli lavora non è una sostanza neutra, ma che vive in esso un mondo del tutto diverso che non si conosce per mezzo della vita dei sensi. Entità superiori agiscono sul corpo astrale, così come il mondo esteriore fisico-sensibile agisce sul corpo fisico. E ci si trova di fronte alla vita superiore nel proprio corpo astrale, purché ci si voglia aprire ad essa. Il ripetersi sempre di nuovo: « Io non vedo niente » è la conseguenza dell’essersi immaginato l’aspetto di ciò che si deve percepire, e siccome poi non si vede quello che si era immaginato, ci si dice: « Non vedo nulla ».

Chi però pratica la disciplina con un giusto atteggiamento, amerà sempre più quegli esercizi per ciò che gli arrecano. Egli sa pure che per mezzo di tali esercizi agisce in un mondo spirituale-animico e aspetta con pazienza e rassegnazione il risultato dei suoi sforzi. Questo atteggiamento può affacciarsi alla coscienza del discepolo con le seguenti parole: « Io voglio fare tutti gli esercizi che sono adatti a me, e so che al tempo giusto mi verrà dato ciò che per me è importante; non chiedo questo con impazienza, mi preparo però sempre ad accoglierlo ».

Di contro non si può neppure obiettare: « Il discepolo dello spirito deve dunque procedere a tastoni nel buio forse per lunghissimo tempo, perché non può sapere di essere sulla via giusta con il suo esercitarsi, se prima non ottiene un risultato ». Ma non è vero che dal solo risultato si arrivi a conoscere la bontà della disciplina. Quando il discepolo ha un atteggiamento giusto di fronte agli esercizi, la soddisfazione recatagli dagli esercizi stessi gli dimostra, prima di qualsiasi risultato, che sta sulla buona via. L’esercizio giusto della disciplina spirituale arreca una soddisfazione che non è semplice soddisfazione, ma conoscenza; la conoscenza cioè che ci permette di dire: « Sto facendo qualcosa che vedo mi fa progredire nella linea giusta ».

Il discepolo può procurarsi questa conoscenza in qualsiasi momento, purché osservi con cura le proprie esperienze. Se non impiega una simile attenzione, egli passerà davanti ad esse come un viandante assorto nei propri pensieri, il quale non vede gli alberi che fiancheggiano la strada, sebbene li vedrebbe certamente se dirigesse verso quelli lo sguardo con attenzione, — Non è affatto desiderabile affrettare la comparsa di risultati diversi da quelli che devono accompagnare naturalmente il corso degli esercizi, perché potrebbe darsi facilmente che quei risultati prematuri non fossero che ima minima parte di ciò che effettivamente dovrebbe presentarsi.

Nello sviluppo spirituale un successo parziale è spesso causa di un lungo ritardo nel risultato completo. Il muoversi fra forme della vita spirituale che corrispondono a risultati parziali, rende insensibili agli influssi delle forze che conducono a gradini superiori di sviluppo; il successo conseguito per il fatto di avere finalmente « guardato » nel mondo spirituale, non è allora che apparente, perché questo modo di guardarvi non conduce alla verità, ma soltanto a immagini illusorie.

Gli organi spirituali-animici, ossia i fiori di loto, si formano in modo che alla coscienza soprasensibile appaiono situati, nell’uomo che segue una disciplina occulta, nella vicinanza di determinati organi fisici del corpo. Di questi organi animici citerò il cosiddetto fiore di loto a due petali che viene sentito a un dipresso al centro fra le due sopracciglia; il fiore di loto a sedici petali, nella vicinanza della laringe; il terzo, il fiore di loto a dodici petali, nelle vicinanze del cuore; il quarto nella regione epigastrica. Altri organi simili si palesano nei pressi di altre parti del corpo fisico (si usano i nomi di « fiori di loto a due o sedici petali » perché i relativi organi sono paragonabili a fiori con quel numero di petali).

I fiori di loto giungono a coscienza come facenti parte del corpo astrale, e dal momento in cui l’uomo ne ha sviluppato l’uno o l’altro egli sa anche di possederli. Sente di potersene servire e che, usandoli, si entra veramente in un mondo superiore. Le impressioni che si ricevono da tale mondo somigliano sotto molti riguardi ancora a quelle del mondo fisico-sensibile. Chi ha la conoscenza immaginativa potrà parlare del nuovo mondo superiore indicando le impressioni che ne riceve, come impressioni di calore o di freddo, come percezioni di suono o di parole, come effetti di luce o di colore, perché come tali egli le percepisce. Egli è però cosciente che nel mondo immaginativo queste percezioni esprimono qualcosa di diverso da quello che esprimono nella realtà sensibile. Egli riconosce che dietro di esse non vi sono cause fisico-materiali, ma animico-spirituali.

Quando riceve un’impressione di calore, egli non l’attribuisce per esempio a un pezzo di ferro rovente, ma la considera come emanazione di un processo animico da lui fino allora sperimentato soltanto nella vita interiore animica; sa che dietro alle percezioni immaginative vi sono cose e processi animici e spirituali, così come dietro le percezioni fisiche vi sono esseri e fatti fisico-materiali. In questa somiglianza fra il mondo immaginativo e quello fisico occorre notare però un’importante differenza. Esiste qualcosa nel mondo fisico che in quello immaginativo si presenta in modo del tutto diverso.

Nel primo si osserva un continuo divenire e deperire delle cose, un alternarsi di nascita e di morte; nel mondo immaginativo, in luogo di questo fenomeno, si nota una continua trasformazione di una cosa nell’altra. Nel mondo fisico, per esempio, si vede appassire una pianta; nel mondo immaginativo, a misura che la pianta appassisce, si manifesta un’altra forma che non è fisicamente visibile, e in cui la pianta che appassisce gradatamente si trasmuta. Quando la pianta è sparita, questa nuova formazione si trova pienamente sviluppata in sua vece. Nascita e morte sono rappresentazioni che perdono il loro significato nel mondo immaginativo. Al loro posto subentra il concetto della trasformazione di una cosa nell’altra.

Per virtù di tale fatto diventano accessibili alla conoscenza immaginativa le verità sull’entità dell’uomo che sono state comunicate in questo libro nel capitolo: « L’essere dell’uomo ». Per la percezione fisico-sensibile sono percepibili soltanto i processi del corpo fisico; essi si svolgono nella « sfera di nascita e morte »; le altre parti costitutive della natura umana: corpo vitale, corpo senziente ed io sono soggetti alla legge della trasformazione, e la loro percezione si apre alla coscienza immaginativa. Chi è progredito fino a questa conoscenza vede in certo qual modo liberarsi dal corpo fisico gli elementi che, con la morte, continuano a vivere in un altro genere di esistenza.

 

L’evoluzione non si ferma però nel mondo immaginativo; l’uomo che vi si volesse fermare percepirebbe veramente le entità in via di trasformazione, ma non potrebbe interpretare i processi di trasformazione, non potrebbe orientarsi nel nuovo mondo conquistato. Il mondo immaginativo è una regione irrequieta; in esso vi è dappertutto solo movimento, trasformazione; non vi sono punti di sosta. L’uomo arriva a delle soste, solo quando abbia trasceso il gradino della conoscenza immaginativa e si sia evoluto a quella che può venir chiamata « conoscenza per mezzo dell’ispirazione ».

Non è necessario che chi cerca la conoscenza del mondo soprasensibile si evolva in modo da acquistare prima completamente la conoscenza immaginativa per poi elevarsi all’« ispirazione ». I suoi esercizi possono essere organizzati in modo da sviluppare contemporaneamente la preparazione che conduce alla immaginazione e quella che conduce all’ispirazione. Dopo un determinato tempo egli penetrerà in un mondo superiore in cui potrà non soltanto percepire, ma nel quale sarà anche capace di orientarsi, che saprà interpretare. Il progresso, indubbiamente, si svolge di solito in modo che il discepolo comincia a percepire dapprima alcuni fenomeni del mondo immaginativo; dopo qualche tempo sente che comincia anche ad orientarvisi.

Nondimeno il mondo dell’ispirazione è del tutto diverso da quello della semplice immaginazione. Per mezzo di quest’ultima si percepisce la trasformazione di un processo nell’altro, mentre per mezzo dell’ispirazione si imparano a conoscere le proprietà interiori degli esseri che si trasformano; per mezzo dell’immaginazione si conosce la manifestazione animici degli esseri; per mezzo dell’ispirazione si penetra nella loro interiorità spirituale. Si riconosce anzitutto una molteplicità di esseri spirituali e di rapporti fra quegli esseri.

Anche nel mondo fisico abbiamo a che fare con una molteplicità di esseri differenti; nel mondo dell’ispirazione, però, questa molteplicità è di carattere diverso. In esso ogni essere si trova in rapporti ben determinati con gli altri esseri, ma questi rapporti non sono dovuti come nel mondo fisico all’esercizio di ima reciproca influenza esteriore, ma dipendono dall’intima natura degli esseri stessi. Quando si percepisce un essere nel mondo dell’ispirazione, non lo si vede esercitare sugli altri esseri nessuna influenza esteriore che sia paragonabile all’azione di un essere fisico sull’altro; esiste nondimeno un rapporto fra quelle entità per causa della loro costituzione interiore.

Questo rapporto si potrebbe paragonare a quello in cui i diversi suoni o lettere che compongono una parola si trovano nel mondo fisico. Per esempio, con la parola « uomo » l’impressione che si riceve è dovuta alla concordanza dei suoni: u-o-m-o. Nessuna spinta o influenza esteriore viene esercitata per esempio dalla « o » sulla « m », ma i due suoni cooperano in un assieme per virtù della loro natura interiore. Perciò l’osservazione nel mondo dell’ispirazione si può paragonare soltanto a una lettura; e gli esseri in quel mondo agiscono sull’osservatore proprio come se fossero segni di una scrittura che egli deve imparare a conoscere e di cui i rapporti gli si devono rivelare come scrittura soprasensibile. La scienza dello spirito chiama perciò la conoscenza per mezzo dell’ispirazione anche « la lettura della scrittura occulta ».

Come questa « scrittura occulta » possa essere letta, e come quanto vien letto possa anche essere comunicato agli altri, verrà ora chiarito sulla scorta dei precedenti capitoli di questo libro. È stato prima descritto l’essere umano, e come esso sia formato da diverse parti costitutive; è stato poi mostrato come la sede cosmica, sulla quale l’uomo si evolve, attraversi le varie condizioni: saturnia, solare, lunare e terrestre. Le percezioni per mezzo delle quali si possono riconoscere, da un canto le parti costitutive dell’uomo e dall’altro le successive condizioni della Terra e le sue precedenti trasformazioni, si rivelano alla conoscenza immaginativa.

Occorre però riconoscere inoltre quali rapporti vi siano fra lo stato saturnio e il corpo fisico umano, lo stato solare e il corpo eterico e così via; bisogna mostrare che il germe del corpo fisico umano già si è costituito durante lo stato saturnio, e che esso si è poi ulteriormente evoluto fino alla sua figura attuale durante lo stato solare, quello lunare e quello terrestre. È stato per esempio necessario anche indicare quali trasformazioni si siano effettuate nell’essere umano per il fatto del distacco del Sole dalla Terra, e di quello della Luna. Ha dovuto inoltre essere spiegato quali cause abbiano collaborato per produrre sull’umanità le trasformazioni verificatesi durante l’epoca atlantica e nei successivi periodi, cioè in quello indiano, nel paleo-persiano, nell’egizio, e così via.

La descrizione di questi rapporti non risulta dalla percezione immaginativa, ma dalla conoscenza ispirata, ossia dalla lettura occulta. Per questa « lettura » le percezioni immaginative sono come lettere dell’alfabeto o suoni; essa è necessaria, non soltanto per la spiegazione di fatti cosmici come quelli appunto descritti. Anche il corso stesso della vita dell’uomo non si potrebbe comprendere, se lo si considerasse soltanto per mezzo della conoscenza immaginativa. In tal modo difatti si potrebbe percepire come con la morte le parti costitutive animico-spirituali si distacchino da ciò che rimane nel mondo fisico; non si potrebbe però capire il rapporto fra quel che avviene dell’uomo dopo la morte e le condizioni che l’hanno preceduta e che la seguono, se non ci si potesse orientare nel mondo che è percepito dall’immaginazione. Senza la conoscenza per mezzo dell’ispirazione, il mondo immaginativo rimarrebbe una scrittura che si guarda, ma non si può leggere.

Quando il discepolo progredisce dall’immaginazione alla ispirazione, egli si accorge ben presto che sarebbe errore rinunziare alla comprensione dei grandi fenomeni cosmici, per limitarsi soltanto ai fatti che in certo qual modo interessano l’uomo più da vicino. Chi non è iniziato in questi argomenti potrebbe dire: « Mi sembra veramente che sia importante soltanto conoscere la sorte dell’anima umana dopo la morte; se qualcuno me ne dice qualcosa, a me basta; a che serve che la scienza dello spirito mi parli di fatti così lontani come dello stato di Saturno e del Sole, o del distacco del Sole e della Luna, e così via? ».

Chi però si è formato un’idea giusta su questi argomenti, si accorge che non può conseguire la vera conoscenza di quel che desidera sapere, senza imparare ciò che gli sembra così inutile. Una descrizione delle condizioni in cui l’uomo si trova dopo la morte non può essere comprensibile e riesce inutile, se l’uomo non può riconnetterla con dei concetti tratti da quegli eventi così remoti; anche per le più elementari indagini soprasensibili occorre che l’osservatore possegga tali conoscenze. Quando per esempio una pianta passa dalla fioritura alla fruttificazione, il chiaroveggente vede lo svolgersi di una trasformazione in un’entità astrale che, come una nube, ha ricoperto e avvolto dall’alto la pianta durante la fioritura. Se non si fosse verificata la fecondazione, questo essere astrale avrebbe assunto una forma completamente diversa da quella che ha assunto in seguito alla fecondazione.

Orbene, si comprende l’intero processo osservato per via chiaroveggente, quando si è imparato a intenderne la natura alla luce di quel grande processo cosmico in cui era coinvolta la Terra con tutti i suoi abitanti, all’epoca del distacco del Sole; prima della fecondazione la pianta si trova nel medesimo stato in cui si trovava l’intera Terra prima del distacco del Sole. Dopo la fecondazione, la fioritura si presenta nella pianta, in modo che ricorda la Terra quando il Sole si era distaccato, ma essa ancora conteneva le forze lunari.

Chi ha assimilato le rappresentazioni che sorgono dalla comprensione del distacco del Sole può intendere giustamente il significato della fecondazione della pianta e dire: « Prima della fecondazione la pianta è in una condizione solare, dopo di quella è in una condizione lunare ». Effettivamente il più piccolo processo del mondo può essere compreso soltanto quando si riconosca in esso il riflesso dei grandi processi cosmici; in caso diverso, la vera natura del fenomeno rimane altrettanto incomprensibile, quanto potrebbe esserlo una Madonna di Raffaello se rimanesse di essa visibile soltanto una piccola parte del dipinto, mentre il rimanente è coperto.

Tutto ciò che si svolge nell’uomo è un riflesso dei grandi processi cosmici che sono collegati con la sua esistenza. Se si vogliono comprendere le osservazioni della coscienza soprasensibile sui fenomeni che si svolgono fra la nascita e la morte, e poi ancora dalla morte fino a una nuova nascita, occorre avere acquistato la capacità di decifrare le osservazioni immaginative per mezzo delle rappresentazioni tratte dallo studio dei grandi processi cosmici. Questo studio offre la chiave per la comprensione della vita umana; perciò, secondo la scienza dello spirito, studiare Saturno, Sole e Luna è anche studiare l’uomo.

 

Per mezzo dell’ispirazione si arrivano a conoscere i reciproci rapporti fra le entità dei mondi superiori; a un gradino ancor più elevato della conoscenza diventa possibile anche di conoscere l’interiore essenza di queste entità. Questo gradino della conoscenza può essere chiamato conoscenza intuitiva. La parola « intuizione » nella vita corrente è male impiegata per indicare una nozione incerta e poco chiara di una cosa o per un’idea che a volte può essere conforme alla verità, ma della quale non è possibile dare una logica dimostrazione. Questa specie di « intuizione » non ha nulla di comune con quella di cui ora parliamo.

 

L’intuizione indica qui una conoscenza completamente luminosa e chiara, e chi la possiede è completamente cosciente della base solida sulla quale è poggiata. — Conoscere un essere sensibile, significa trovarsi al di fuori di lui e giudicarlo dall’impressione esterna. Conoscere un essere spirituale per via di intuizione significa essere diventato tutt’uno con lui, essersi unito con la sua interiorità. Il discepolo dello spirito si eleva a grado a grado fino a tale conoscenza.

L’immaginazione lo conduce a non considerare più le percezioni come qualità esteriori degli esseri, ma a riconoscere in esse le emanazioni della sfera spirituale-animica;

l’ispirazione lo fa penetrare più oltre nell’interiorità degli esseri. Per mezzo di essa egli impara a comprendere ciò che questi esseri sono reciprocamente gli uni per gli altri;

con l’intuizione egli penetra dentro alle entità stesse.

 

Dagli insegnamenti contenuti in questo libro risulta chiaro il significato che ha l’intuizione.

Nei capitoli precedenti è stato descritto non soltanto lo svolgersi dell’evoluzione di Saturno, del Sole e della Lima, ma è stato anche detto che degli esseri hanno in svariato modo preso parte a questo processo. Sono stati citati i Troni, o spiriti della volontà, gli spiriti della saggezza, quelli del movimento, e così via; a proposito dell’evoluzione della Terra è stato parlato degli spiriti di Lucifero e di Arimane. La costruzione del cosmo è stata fatta risalire fino alle entità che vi hanno preso parte; ciò che si può sapere intorno a loro viene conseguito per mezzo della conoscenza intuitiva; essa è anche necessaria per conoscere il corso della vita dell’uomo.

Ciò che si libera dopo la morte dalla corporeità dell’uomo passa in seguito per stati diversi. Le condizioni esistenti immediatamente dopo la morte si potrebbero in parte descrivere per mezzo della conoscenza immaginativa, ma ciò che si svolge ulteriormente quando l’uomo prosegue sul suo cammino fra una morte e una nuova nascita riuscirebbe assolutamente incomprensibile per l’immaginazione, se l’ispirazione non le venisse in aiuto. Soltanto l’ispirazione è capace di indagare la vita dell’uomo dopo la purificazione nel « mondo degli spiriti ».

Ma vi è qualcosa per il quale la ispirazione non è più sufficiente, in cui essa perde in un certo senso il filo della comprensione. Vi è un periodo dell’evoluzione umana, fra la morte e una nuova nascita, in cui l’entità umana è accessibile soltanto alla conoscenza intuitiva. Questa parte dell’entità umana esiste però sempre nell’uomo, e per comprenderla nella sua vera interiorità deve essere cercata per mezzo dell’intuizione anche nel periodo fra la nascita e la morte.

A chi volesse conoscere l’uomo soltanto per mezzo dell’immaginazione e dell’ispirazione, sfuggirebbero appunto i processi del suo essere più vero e profondo che si svolgono da incarnazione a incarnazione. Soltanto per mezzo della conoscenza intuitiva è perciò possibile una ricerca giusta della reincarnazione e del karma; qualsiasi comunicazione vera che si riferisca a questi processi deve derivare dalle ricerche della conoscenza intuitiva.

Se l’uomo vuol conoscere l’intimo suo essere, dovrà ricorrere all’intuizione; per mezzo di essa egli percepisce ciò che in lui passa da una vita terrena all’altra.

L’uomo può conseguire anche la conoscenza per ispirazione e intuizione soltanto per mezzo degli esercizi animico-spirituali. Essi sono analoghi a quelli già descritti per acquistare l’immaginazione, e cioè « la concentrazione interiore » (meditazione). Ma mentre gli esercizi che conducono all’immaginazione si riconnettono alle impressioni del mondo fisico-sensibile, negli esercizi invece che conducono all’ispirazione questo nesso deve sempre più venir eliminato. Per rendersi chiaro conto di che cosa si deve verificare, sarà bene considerare nuovamente il simbolo della rosacroce.

Quando ci si concentra in quel simbolo, si ha davanti a sé un’immagine di cui le singole parti sono tratte dalle impressioni del mondo sensibile, il colore nero della croce, le rose, ecc. Ma la riunione delle varie parti a forma di rosacroce non è tratta dal mondo fisico-sensibile. Se dunque il discepolo cerca di eliminare completamente dalla propria coscienza, quali immagini di realtà sensibili, la croce nera e anche le rose rosse, e conserva nell’anima soltanto l’attività spirituale che ha presieduto alla riunione delle varie parti, egli disporrà allora di un mezzo per una meditazione atta a condurlo gradatamente all’ispirazione.

Occorre più o meno chiedersi nella propria anima: « Che cosa ho fatto interiormente per combinare quel simbolo della croce e delle rose? Desidero conservare ciò che ho fatto, il processo che si è svolto nella mia anima, eliminando però dalla coscienza l’immagine stessa. Voglio poi sentire in me l’attività esplicata dalla mia anima per generare quell’immagine, sopprimendo però la rappresentazione della immagine stessa. Voglio ormai vivere interiormente nella mia attività che ha creato l’immagine. Voglio meditare perciò non sopra un’immagine, ma sulla mia attività animica, creatrice d’immagini ». Questa meditazione deve essere applicata a molti simboli, e conduce finalmente alla conoscenza per mezzo dell’ispirazione.

 

Un altro esempio sarebbe quello di concentrarsi sulla rappresentazione del crescere e deperire di una pianta.

Si faccia sorgere nell’anima l’immagine di una pianta che cresce gradatamente, che spunta dal seme, che si sviluppa foglia per foglia sino alla fioritura e al frutto; ci si raffiguri poi la pianta che comincia ad appassire fino alla sua completa decomposizione. Per mezzo della concentrazione in siffatta immagine si arriva gradatamente al senso della crescita e del deperimento di cui la pianta non rappresenta più che un simbolo. Da questo sentimento, se l’esercizio è praticato con perseveranza, può gradatamente venire a formarsi l’immagine della trasformazione che sta a base del crescere e del deperire nel mondo fisico.

Ma se si vuol arrivare alla corrispondente ispirazione, l’esercizio va fatto in modo ancora diverso. Occorre tener presente l’attività della propria anima che, dall’immagine della pianta, ha acquistato la rappresentazione del divenire e del deperire. Bisogna ora eliminare completamente la pianta dalla coscienza e concentrarsi soltanto sulla propria attività interiore.

L’ascesa all’ispirazione è possibile soltanto per mezzo di tali esercizi; dapprima non riuscirà molto facile al discepolo di comprendere del tutto come regolarsi per eseguirli. Questo dipende dal fatto che l’uomo, abituato a far determinare la propria vita interiore dalle impressioni esteriori, si sente subito vacillante e incerto quando deve sviluppare una vita animica che abbia eliminato ogni legame con le impressioni esteriori.

Nei riguardi degli esercizi che conducono all’ispirazione — e questa precauzione è in tal caso ancora più necessaria che per gli esercizi che conducono all’immaginazione — occorre che il discepolo si renda chiaramente conto che egli dovrebbe accingersi a praticarli soltanto se nel contempo coltiva tutto ciò che potrà aiutarlo a consolidare e ad affermare la sua capacità di giudizio, la sua vita del sentimento e il suo carattere.

Se egli prende questa precauzione, raggiungerà un duplice scopo; prima di tutto non rischierà di perdere, per mezzo degli esercizi, l’equilibrio della sua personalità nella veggenza soprasensibile; in secondo luogo acquisterà in tal modo la capacità di eseguire correttamente gli esercizi stessi.

Questi esercizi sembreranno difficili finché non si sarà acquistato un determinato atteggiamento dell’anima, certi speciali sentimenti e sensazioni. La comprensione e la capacità per questi esercizi verrà ben presto acquistata da chi coltiva nell’anima con pazienza e perseveranza quelle qualità interiori favorevoli al germogliare delle conoscenze soprasensibili. Ne avrà grande giovamento chi si abitua a penetrare spesso nella propria interiorità, non tanto per rimuginare su se stesso, quanto per riordinare ed elaborare con calma le esperienze attraversate nella vita.

Egli si accorgerà che le rappresentazioni e i sentimenti si arricchiscono quando un’esperienza della vita viene messa in relazione con le altre; diverrà cosciente e comprenderà che si possono acquistare molte conoscenze, non soltanto per mezzo di nuove impressioni e di nuove esperienze, ma anche per mezzo dell’elaborazione delle antiche. Conviene lasciare libero giuoco al contrasto fra le nostre esperienze e perfino tra le nostre opinioni, cercando di non prendervi parte alcuna con le nostre simpatie e antipatie, i nostri interessi e sentimenti personali; prepareremo in tal modo un ottimo terreno per le forze conoscitive soprasensibili; verrà così veramente formata ciò che si può chiamare una ricca vita interiore.

 

La misura e l’equilibrio delle facoltà animiche sono però di primaria importanza. L’uomo ha già gran tendenza a cadere nell’unilateralità, quando coltiva una determinata attività dell’anima. Se si accorge dell’utilità della meditazione e della concentrazione nella cerchia delle proprie rappresentazioni, egli può facilmente tendere a chiudersi alle impressioni del mondo esteriore; questo conduce all’aridità e all’impoverimento della vita interiore.

Progredisce molto chi, oltre alla capacità di ritirarsi nella propria interiorità, conserva anche completa ricettività per tutte le impressioni del mondo esteriore. E non si tratta soltanto delle cosiddette impressioni importanti della vita, ma ogni uomo, in qualsiasi condizione si trovi — anche chiuso entro quattro misere pareti — può sperimentare abbastanza, purché si conservi ricettivo. Le esperienze si trovano ovunque; non occorre cercarle. Di somma importanza è il modo in cui le esperienze vengono elaborate nell’anima dell’uomo.

Per esempio, può succedere che qualcuno scopra in una persona, per la quale si ha grande rispetto, qualche speciale tratto del carattere che potrebbe essere considerato un difetto. Questa scoperta potrà stimolare il pensiero dell’uomo verso due diverse direzioni. Egli potrà semplicemente dirsi: « Ora che ho riconosciuto quel difetto, non posso più stimare quella persona quanto prima ». Egli può però anche chiedersi: « Come è possibile che una persona così degna di rispetto abbia un tale difetto? Come devo raffigurarmi che non si tratta soltanto di un difetto, ma di una conseguenza della vita di quella persona, determinata forse proprio dalle sue grandi qualità? ».

Un uomo che si pone queste domande, arriverà forse alla conclusione che il suo rispetto per quella persona non viene affatto menomato dalla scoperta di quel difetto. Ogni esperienza di questo genere ci permetterà d’imparare sempre qualcosa, aumenterà la nostra comprensione della vita. Naturalmente sarebbe un errore permettere che l’aspetto buono di tale concezione della vita ci inducesse a scusare tutti i difetti delle persone e delle cose per le quali sentiamo simpatia, o ci facesse prendere l’abitudine di non rilevare le azioni biasimevoli, perché ci procura un vantaggio per la nostra evoluzione interiore.

Quest’ultimo risultato effettivamente non si ottiene, quando parte da noi stessi l’impulso a non biasimare soltanto gli errori e i difetti, ma anche a comprenderli; lo si ottiene soltanto quando il nostro atteggiamento viene determinato obiettivamente dal fatto stesso, prescindendo da vantaggi o da svantaggi che ne potremo ricavare. È assolutamente vero che si impara non per mezzo della condanna di un errore, ma soltanto per mezzo della comprensione di esso; d’altra parte questa comprensione non deve impedirci di disapprovarlo, altrimenti non potremo progredire molto oltre.

Anche in questo caso non si tratta di unilateralità in una determinata direzione, ma di stabilire la misura e l’equilibrio delle forze dell’anima. — E questo è in particolar modo utile nei riguardi di una qualità dell’anima di massima importanza per lo sviluppo spirituale dell’uomo, e cioè del sentimento che si chiama « venerazione » (devozione).

Chi coltiva in sé questo sentimento, o lo ha ricevuto come felice dono dalla natura, possiede un ottimo terreno per le forze della conoscenza soprasensibile.

 

Chi fin dalla sua infanzia e giovinezza ha potuto alzare gli occhi con devota ammirazione verso alcune persone e ideali elevati, possiede nella profondità dell’anima una disposizione particolarmente propizia per le conoscenze soprasensibili. E chi, con la maturità di giudizio dell’età più tarda, sa alzare lo sguardo al cielo stellato e accogliere con calma e devozione la mirabile manifestazione delle potenze superiori, si rende in tal modo maturo per la conoscenza dei mondi soprasensibili.

Ugualmente succede anche a chi può ammirare le forze che dominano nella vita umana; così pure è importante che l’uomo, giunto a maturità, sia capace di sentire in alto grado venerazione per gli uomini dei quali intuisce o crede di conoscere il valore. La visione dei mondi superiori si schiude soltanto a chi è capace di sentire questa venerazione.

Chi non sa venerare non può progredire molto nella conoscenza; l’essenza delle cose rimane chiusa per chi non trova niente da apprezzare nel mondo. — D’altra parte però, se per eccesso di venerazione o di devozione si è spinti ad uccidere completamente la sana coscienza di sé, e la fiducia in se stessi, si pecca contro la legge della misura e dell’equilibrio. Il discepolo spirituale lavorerà continuamente su di sé per perfezionarsi e per maturare sempre di più; in tal caso egli può avere fiducia nella propria personalità e nella progressiva crescita delle sue forze.

Chi è dotato di sentimenti giusti a questo riguardo potrà dire: « Risiedono in me forze nascoste che posso far scaturire dalla mia interiorità. Quando vedo perciò qualcuno che devo venerare perché è superiore a me, devo non soltanto venerarlo, ma devo anche confidare di evolvere in me stesso tutto ciò che mi potrà mettere alla pari con la persona che ammiro ».

 

Quanto più è grande nell’uomo la capacità di fissare la sua attenzione sopra determinati processi della vita, non accessibili senz’altro al suo giudizio personale, tanto più egli ha la possibilità di crearsi una base per l’evoluzione nei mondi spirituali. Citerò un esempio. Un uomo si trova nella vita in una situazione in cui deve decidere se compiere o no una determinata azione e, sebbene il suo giudizio lo spinga a compierla, egli sente nondimeno qualcosa d’inesplicabile che lo trattiene.

Può dunque succedere che l’uomo non presti attenzione a questo oscuro sentimento, e che compia semplicemente l’azione consigliatagli dal suo giudizio; può però anche darsi che l’uomo obbedisca all’impulso di quella forza misteriosa e si astenga dal compiere l’azione. Se egli osserva in seguito gli eventi, potrà forse verificare che, se avesse seguito il suo giudizio, ne sarebbe risultato un danno, mentre l’inadempimento di quell’azione si è risolto in un bene. Un’esperienza di questo genere può volgere il pensiero dell’uomo in una direzione ben determinata. Egli può dirsi: « Vi è qualcosa in me che mi dirige meglio del grado di giudizio che posseggo attualmente. Devo tener presente che esiste « qualcosa in me » che io, con la mia capacità di giudizio, non ho ancora raggiunto ».

L’osservazione di casi di questo genere riesce di gran profitto per l’anima; essa sente allora, per mezzo di un sano presentimento, che l’uomo contiene in sé assai più di quello che al momento il suo giudizio non sia capace di abbracciare. Da tale osservazione risulta uri ampliamento della vita dell’anima; ma anche qui possono verificarsi delle unilateralità che sono rischiose. Chi volesse abituarsi a non fare nessun assegnamento sul proprio giudizio, per seguire i presentimenti che lo spingono in questa o in quella direzione, cadrebbe in balìa di ogni oscuro istinto; da un’abitudine siffatta si arriva presto all’abbandono di ogni criterio e alla superstizione. — Qualsiasi genere di superstizione è dannoso per il discepolo dello spirito.

 

Per acquistarsi la possibilità di penetrare in modo giusto nei campi della vita spirituale occorre tenersi lontani con la massima cura da ogni superstizione, fantasticheria o illusione. Non penetra giustamente nel mondo spirituale chi si rallegra di aver avuto un’esperienza che « non può essere compresa dalla ragione umana ». Non è certo la passione per « l’inesplicabile » che forma il discepolo dello spirito; costui deve completamente spogliarsi dall’idea che sia un « mistico chi nel mondo vede l’insondabile e l’inesplicabile quando a lui sembri adatto ». Il giusto sentimento per il discepolo è di riconoscere ovunque la presenza di forze ed entità nascoste; ma egli deve anche premettere che l’inesplorato può venir esplorato, se si dispone di forze adeguate.

 

Vi è un determinato atteggiamento dell’anima che è importante per il discepolo a ogni gradino della sua evoluzione. Egli cioè, per troppa sete di conoscenza, non deve porre unilateralmente la domanda: « Come si può rispondere a questo o a quel quesito? » ma invece deve chiedersi: « Come posso evolvere in me stesso questa o quella capacità? » Quando per mezzo di paziente lavoro interiore una capacità si è finalmente sviluppata, la risposta a quei quesiti si affaccia spontaneamente. Il discepolo dello spirito deve sempre coltivare con cura questo atteggiamento dell’anima che lo conduce a perfezionarsi e a rendersi sempre più maturo per saper resistere all’impulso che lo spinge a insistere per ottenere risposte a determinate questioni; egli aspetterà finché quelle risposte gli si affaccino spontaneamente. — Chi invece si è abituato alla unilateralità anche a questo riguardo, non potrà progredire giustamente. Il discepolo deve anche sentire che a un determinato momento egli stesso, nell’ambito delle proprie forze, potrà risolvere i problemi più elevati. Anche qui dunque la misura e l’equilibrio rappresentano una parte importante nell’atteggiamento dell’anima.

 

Si potrebbero esaminare molte altre qualità dell’anima utili a coltivarsi, se il discepolo aspira a raggiungere l’ispirazione per mezzo degli esercizi. Ma per tutte occorre ripetere che la misura e l’equilibrio sono qualità essenziali dell’anima; esse preparano alla comprensione e alla capacità per praticare gli esercizi sopra descritti che conducono all’ispirazione.

 

Gli esercizi che conducono all’intuizione richiedono dal discepolo dello spirito che egli elimini dalla sua coscienza non soltanto le immagini alle quali si è dedicato per arrivare alla immaginazione, ma anche la vita nella propria attività animica in cui si è immerso per conseguire l’ispirazione. Occorre, alla lettera, che egli non conservi niente nella sua anima delle esperienze esteriori o interiori fino allora conosciute. Ma se dopo questa eliminazione delle esperienze esteriori e interiori nulla rimanesse nella sua coscienza, cioè se la coscienza stessa gli venisse allora a mancare, ed egli cadesse nell’incoscienza, ciò gli dimostrerebbe che ancora non è maturo per gli esercizi adatti all’intuizione; dovrebbe in tal caso continuare a fare gli esercizi per l’immaginazione e l’ispirazione.

Arriva certamente più tardi il momento in cui la coscienza, dopo eliminate le esperienze interiori ed esteriori, non resta vuota; vi rimane anzi qualcosa, come effetto di questa eliminazione, di cui ci si può servire come oggetto per la concentrazione, così come prima ci si serviva di ciò che deve la sua esistenza alle impressioni esteriori o interiori. Questo « qualcosa » è di natura del tutto speciale, ed è realmente nuovo rispetto a tutte le passate esperienze; quando lo si sperimenta ci si accorge che mai prima si era conosciuto.

Si tratta di una percezione come quella del vero suono che colpisce l’orecchio; ma questa percezione può penetrare nella coscienza soltanto per mezzo dell’intuizione, così come il suono fisico non può penetrare nella coscienza che per mezzo dell’orecchio. Con l’intuizione le impressioni dell’uomo vengono spogliate degli ultimi residui della sfera sensibile-fisica; il mondo spirituale comincia a rivelarsi alla conoscenza in una forma che nulla ha più di comune con le proprietà del mondo fisico-sensibile.

La conoscenza immaginativa viene acquistata quando i fiori di loto si sviluppano dal corpo astrale. Gli esercizi diretti al conseguimento dell’ispirazione e dell’intuizione generano nel corpo eterico o vitale dell’uomo speciali movimenti, formazioni e correnti che prima non vi erano. Questi appunto sono gli organi per mezzo dei quali l’uomo può « leggere la scrittura occulta » e accogliere nella sfera delle proprie facoltà ciò che è al di là di quella. Alla conoscenza soprasensibile le trasformazioni nel corpo eterico di un uomo arrivato all’ispirazione e all’intuizione si palesano nel modo seguente: press’a poco nelle vicinanze del cuore fisico viene a coscienza nel corpo eterico un nuovo centro che diventa un organo eterico.

Da questo organo scorrono verso le varie membra del corpo umano dei movimenti e delle correnti diversissime; le più importanti fluiscono verso i fiori di loto, compenetrano gli stessi e i loro singoli petali, e poi scorrono nuovamente al di fuori, riversandosi come raggi nello spazio esteriore. Quanto più l’uomo è evoluto, tanto maggiore è lo spazio attorno a lui in cui queste correnti sono percettibili. Se la disciplina seguita è giusta, il punto centrale nella vicinanza del cuore non si forma subito, esso deve attraversare un periodo di preparazione.

Dapprima si costituisce un centro provvisorio nella testa; questo poi si sposta e discende nella vicinanza della laringe, per trasferirsi finalmente nella regione del cuore fisico. Se l’evoluzione fosse irregolare, quell’organo potrebbe costituirsi fin da principio nella vicinanza del cuore; il discepolo però in tal caso, invece di arrivare a una chiaroveggenza calma e regolare, si troverebbe esposto al pericolo di cadere in sogni e fantasie. Nell’ulteriore corso del suo sviluppo il discepolo dello spirito riesce a rendere indipendenti dal corpo fisico queste correnti e questi organi del suo corpo eterico, e a potersene servire separatamente; i fiori di loto gli servono allora come strumenti per muovere il corpo eterico.

Prima che questo possa verificarsi, occorre che attorno all’intero corpo eterico si siano formate delle determinate correnti e irradiazioni che avvolgono quel corpo come in una rete sottile e lo delimitano come essere in sé conchiuso; quando ciò si è verificato, i movimenti e le correnti nel corpo eterico possono mettersi liberamente in contatto col mondo animico-spirituale esteriore e unirsi ad esso, in modo che gli eventi spirituali-animici esteriori e quelli interiori del corpo eterico umano possano reciprocamente combinarsi e unirsi.

Quando questo succede, è arrivato il momento in cui l’uomo percepisce coscientemente il mondo dell’ispirazione. Questa conoscenza si affaccia in modo diverso da quella che si ha del mondo sensibile-fisico. In quest’ultimo si ricevono delle percezioni per mezzo dei sensi, e su di esse ci si forma poi delle rappresentazioni e dei concetti; ciò non succede nella conoscenza per via di ispirazione. In questa si conosce per via diretta, in un unico atto; non vi è riflessione dopo la percezione.

 

Ciò che nella conoscenza sensibile-fisica viene acquistato soltanto successivamente in concetti, nell’ispirazione è dato contemporaneamente alla percezione. Si correrebbe perciò il pericolo di fluire e perdersi nell’ambiente spirituale circostante, di non potersene più distinguere, se il reticolo appunto sopra descritto non si fosse formato nel corpo eterico.

 

Gli esercizi destinati all’intuizione esercitano un’azione non soltanto sul corpo eterico, ma fin sulle forze soprasensibili del corpo fisico. Non bisogna però credere che da essi risulti un’azione sul corpo fisico percettibile ai nostri sensi abituali; tali effetti sono riconoscibili soltanto per la conoscenza soprasensibile; non hanno nulla a che fare con quella esteriore. Essi si affacciano come risultato della maturità della coscienza quando questa può avere delle esperienze nell’intuizione, malgrado abbia eliminato da sé tutte le esperienze esteriori ed interiori che fino allora ha conosciuto.

Orbene, le esperienze dell’intuizione sono delicate, intime e tenui; il corpo umano fisico, all’attuale gradino della sua evoluzione, è grossolano a loro confronto, e oppone di conseguenza un forte ostacolo al risultato degli esercizi che mirano all’intuizione. Ma se questi vengono continuati con energia e perseveranza e con la necessaria calma interiore, finiscono per superare i possenti ostacoli del corpo fisico. Il discepolo dello spirito se ne accorge dal fatto che gradatamente alcune manifestazioni del corpo fisico, le quali si esplicavano prima senza che egli ne avesse coscienza, entrano ora in suo potere, e l’osserva pure dal fatto che per breve tempo sente la necessità di regolare, per esempio la sua respirazione (o qualche altra funzione simile), in modo da stabilire un determinato accordo, o armonia, con ciò che si compie nell’anima per mezzo degli esercizi o della concentrazione interiore.

L’evoluzione ideale è che nessun esercizio sia eseguito per mezzo del corpo fisico stesso (che non vengano fatti esercizi di respirazione), ma che tutto ciò che deve verificarsi in quest’ultimo si presenti soltanto come risultato degli esercizi puri per l’intuizione.

 

Quando il discepolo dello spirito ascende nei mondi più elevati della conoscenza osserva, a un determinato gradino, che la connessione delle forze che costituiscono la sua personalità assume una forma diversa da quella che ha nel mondo fisico-sensibile. In quest’ultimo l’io mantiene una stretta cooperazione delle forze animiche, soprattutto di quelle di pensiero, sentimento e volontà.

Queste tre forze dell’anima, nelle condizioni normali della vita umana, si trovano sempre in determinate relazioni. Si vede per esempio un determinato oggetto nel mondo esterno; esso può piacere o non piacere all’anima, la sua rappresentazione è cioè connessa necessariamente a un senso di piacere o di dispiacere. Si può anche desiderare quell’oggetto o sentirsi spinti a modificarlo in un modo o nell’altro; cioè il desiderio e la volontà si associano alla sua rappresentazione e al sentimento che suscita.

Questa associazione si verifica, perché l’io raccoglie e unifica la rappresentazione, ossia il pensare, il sentire o il volere, e coordina in tal modo le forze della personalità. Questo ordine sano verrebbe disturbato se, per impotenza dell’io, i desideri seguissero per esempio una via diversa da quella del sentimento o della rappresentazione. Un uomo non avrebbe un atteggiamento sano dell’anima, qualora ritenesse giusta una cosa, e invece ne desiderasse un’altra che egli stesso considera non giusta; così pure se desiderasse ciò che non gli piace, invece di ciò che gli piace.

Orbene, sulla via della conoscenza superiore l’uomo si accorge che pensare, sentire e volere effettivamente si scindono, e che ognuno di essi assume una certa indipendenza; un dato pensare, per esempio, non stimola più per impulso proprio un determinato sentire e volere. Succede che si possa percepire giustamente un oggetto col pensare, ma che per arrivare a un sentimento o ad una qualsiasi decisione della volontà in proposito, occorra attingere in noi stessi un ulteriore impulso indipendente.

Durante l’osservazione soprasensibile, pensare, sentire e volere non sono più appunto tre forze che irradiano dall’io, quale comune centro della personalità, ma diventano in certo qual modo delle entità indipendenti, tre personalità; occorre allora rinvigorire maggiormente il proprio io, poiché questo ormai deve non solo stabilire l’ordine in tre forze, ma dirigere e guidare tre entità. Ma questa scissione non deve appunto sussistere che durante l’osservazione soprasensibile.

Da questo fatto di nuovo si rileva chiaramente come sia importante associare agli esercizi per la disciplina superiore quelli destinati a dare sicurezza e fermezza alla capacità di giudizio, e alla vita del sentimento e della volontà. Se queste qualità non vengono da noi portate nel mondo superiore, ben presto ci si accorge quanto l’io sia debole e incapace di guidare correttamente pensiero, sentimento e volontà. Una tale debolezza dell’io farebbe sì che l’anima, trascinata come da tre diverse personalità in diverse direzioni, perderebbe l’intima sua unità. Ma se l’evoluzione del discepolo si svolge in modo giusto, l’indicata modificazione delle sue forze è segno di vero progresso; l’io rimane il padrone delle entità indipendenti che ormai costituiscono la sua anima.

Nell’ulteriore corso della sua evoluzione questo sviluppo prosegue più oltre: il pensiero diventato indipendente determina la comparsa di una quarta speciale entità animico- spirituale che si può indicare come un diretto affluire nell’uomo di correnti le quali somigliano ai pensieri. L’intero mondo appare allora come un edificio di pensieri che si presenta dinanzi all’uomo, come gli si presentano il mondo vegetale o quello animale nel campo fisico-sensibile. In ugual modo il sentire e il volere, divenuti indipendenti, destano due forze nell’anima che operano in essa come due entità indipendenti; e infine si aggiunge alle altre una settima forza e entità che somiglia all’io stesso.

 

Questa esperienza si lega ancora ad un’altra. Prima di penetrare nel mondo soprasensibile l’uomo conosceva pensiero, sentimento e volontà soltanto come esperienze interiori dell’anima; appena penetra nel mondo soprasensibile egli percepisce cose che non esprimono niente di fisico-sensibile, ma qualcosa di animico-spirituale. Dietro le proprietà del nuovo mondo che percepisce, stanno entità animico-spirituali, e queste gli si presentano ora quale mondo esteriore, così come nel campo fisico-sensibile minerali, piante e animali gli si presentano ai sensi.

Il discepolo dello spirito può ormai osservare una differenza importante fra il mondo animico-spirituale che gli si sta rivelando, e quello che era abituato a percepire per mezzo dei suoi sensi fisici. Una pianta del mondo sensibile rimane come è, malgrado quello che l’anima dell’uomo ne possa pensare o sentire. Non succede così a tutta prima per le immagini del mondo animico-spirituale; esse si modificano a seconda dei pensieri e dei sentimenti dell’uomo che in tal modo dà loro un’impronta del proprio essere.

Vogliamo supporre che una determinata immagine sorga nel mondo immaginativo dinanzi all’uomo; finché egli rimane indifferente di fronte ad essa, l’immagine si palesa con una determinata forma; dal momento però che essa desta in lui sentimenti di piacere o di dispiacere, quella forma si modifica. Le immagini dunque esprimono non soltanto qualcosa d’indipendente al di fuori dell’uomo, ma riflettono inoltre ciò che è l’uomo stesso; esse sono completamente impregnate dell’essenza propria dell’uomo, la quale si stende sulle entità spirituali come un velo.

In questo caso l’uomo, anche se si trova di fronte a un’entità reale, non la vede, ma scorge soltanto ciò che egli stesso ha creato. Pur avendo la verità dinanzi a sé, egli può così scorgere il falso. Effettivamente questo si verifica non soltanto nei riguardi di ciò che l’uomo ha osservato della propria entità; ma tutto ciò che è in lui esercita pure un’azione su quel mondo.

Egli può avere per esempio delle tendenze nascoste che per virtù dell’educazione o del carattere non si manifestano nella vita; esse nondimeno esercitano un’azione sul mondo spirituale-animico che acquista in tal modo un peculiare colore dall’intera natura dell’uomo, indipendentemente dal fatto che egli abbia o meno coscienza di questa sua natura.

Per poter progredire oltre questo gradino dell’evoluzione, occorre che l’uomo impari a distinguere fra se stesso e il mondo spirituale esteriore, e che egli elimini tutte le influenze del proprio sé dal mondo animico-spirituale che lo attornia; e questo potrà fare soltanto dopo aver acquistato la conoscenza di ciò che egli stesso porta nel nuovo mondo. Si tratta dunque per l’uomo di conoscere prima veramente e profondamente se stesso, per poter quindi percepire in tutta la sua purezza il mondo animico-spirituale che lo attornia. Orbene, determinati fatti dell’evoluzione umana fanno sì che tale autoconoscenza deve verificarsi naturalmente, quando l’uomo penetra nel mondo superiore.

L’uomo sviluppa nel mondo abituale fisico-sensibile il suo io, la sua autocoscienza; l’io agisce ormai come centro di attrazione per tutto ciò che appartiene all’uomo. Tutte le sue tendenze, simpatie, antipatie, passioni, opinioni, ecc. si raggruppano in certo modo attorno all’io; esso è pure il punto di attrazione per ciò che si chiama il karma dell’uomo. Se si vedesse l’io spogliato da tutti i suoi veli, si potrebbero anche vedere in lui i destini che lo attendono nell’attuale o nelle future incarnazioni, a seconda della vita da lui vissuta nelle precedenti e delle qualità che egli ha assimilate.

Con tutto ciò che ad esso è legato, l’io deve ormai essere la prima immagine che si presenta all’anima dell’uomo, quando questa ascende nel mondo animico-spirituale. Questo doppio dell’uomo, per virtù di una legge del mondo spirituale, deve costituire la prima impressione che gli si presenta in quel mondo. È facile comprendere la legge che sta a base di questo fenomeno, se si riflette che nella vita fisico-sensibile l’uomo percepisce se stesso soltanto in quanto sperimenta interiormente i) proprio pensare, sentire e volere.

Questa percezione però è interiore; non si presenta esteriormente davanti all’uomo come gli si presentano minerali, piante e animali. Del resto, per mezzo della percezione interiore, l’uomo impara a conoscersi soltanto in parte, poiché ha in sé qualcosa che non gli permette di approfondire troppo questa autocoscienza; è uno stimolo che appena l’uomo riconosce una qualità in sé per mezzo dell’autoconoscenza e non vuole abbandonarsi a nessuna illusione sul proprio conto, lo spinge a trasformare questa qualità.

 

Se egli non cede a questo stimolo e distoglie semplicemente la sua attenzione dal proprio sé, rimanendo quale è, si priva ben inteso anche della possibilità di conoscere se stesso riguardo al punto in questione. Se penetra però in se stesso ed esamina senza illusioni questa o quella sua qualità, si troverà in condizioni di correggerla in lui, oppure non ne sarà capace nelle attuali circostanze della sua vita; in quest’ultimo caso un sentimento si insinuerà nella sua anima, sentimento che si può chiamare di vergogna. Così agisce effettivamente la sana natura dell’uomo; attraverso l’autoconoscenza sperimenta molti generi di vergogna.

Orbene, anche nella vita ordinaria questo sentimento ha un effetto ben determinato: l’uomo che pensa rettamente provvederà affinché ciò che ha suscitato quel sentimento non si manifesti esteriormente, non si esplichi in azioni esteriori. La vergona è dunque una forza che spinge l’uomo a nascondere qualcosa in se stesso e a far in modo che non sia percepibile esteriormente. Se si riflette su tutto ciò, si arriverà a comprendere che la scienza spirituale attribuisce un effetto ancora più profondo a un’altra esperienza interiore dell’anima, molto affine al sentimento della vergogna; essa trova che nelle profondità recondite dell’anima esiste una specie di vergogna nascosta di cui l’uomo non è cosciente nella vita fisico-sensibile.

 

Questo sentimento nascosto agisce però in modo analogo a quello manifesto appunto descritto della vita ordinaria, e impedisce che l’entità più intima dell’uomo si presenti a lui sotto forma d’immagine percettibile. Se questo sentimento non esistesse, l’uomo potrebbe vedersi quale egli è realmente; sperimenterebbe le proprie rappresentazioni, i propri sentimenti e la propria volontà non soltanto interiormente, ma li scorgerebbe come vede pietre, animali e piante.

Questo sentimento perciò ottenebra la vista dell’uomo su se stesso, e in tal modo gli nasconde contemporaneamente l’intero mondo spirituale-animico perché, se la propria essenza interiore rimarne nascosta per l’uomo, egli non può neppure vedere ciò per mezzo di cui deve sviluppare gli organi per conoscere il mondo animico-spirituale; non può modificare il suo essere in modo che esso acquisti gli organi spirituali di percezione.

 

Se però, a mezzo di una giusta disciplina, egli lavora per acquistarsi questi organi di percezione, la prima impressione che gli si presenta è quella di se stesso, quale egli è; vede il proprio doppio. Questa conoscenza di se stesso non si può separare dalla percezione del resto del mondo spirituale-animico. Nella vita ordinaria del mondo fisico-sensibile il sentimento descritto agisce in modo da chiudere all’uomo continuamente la porta del mondo spirituale-animico. Al primo passo che egli tenta per penetrare in quel mondo, subito sorge il sentimento di vergogna di cui però non è cosciente, e gli nasconde quella parte del mondo spirituale-animico che vuole manifestarsi.

Gli esercizi descritti però aprono quel mondo. Effettivamente quel sentimento nascosto esercita un’azione molto benefica per l’uomo, perché tutto ciò che egli ha acquistato, senza l’aiuto della disciplina spirituale, come forza di criterio, di sentimento e di carattere, non basta per renderlo capace di sopportare la percezione del vero aspetto della propria entità; quella percezione gli farebbe perdere ogni fiducia in se stesso, ogni sentimento o coscienza di sé. Per evitare che questo si verifichi, occorre praticare non soltanto gli esercizi che conducono alla conoscenza superiore, ma coltivare al contempo lo sviluppo di un sano criterio, e il perfezionamento della natura dei propri sentimenti e del proprio carattere.

Dalla scienza dello spirito, per mezzo di una disciplina regolare, oltre ai molti mezzi per l’autoconoscenza e l’auto-osservazione, l’uomo apprende, senza parere, quanto è necessario per dargli la forza di sopportare con fede l’incontro con il proprio doppio. Allora il discepolo, soltanto come immagine nel mondo immaginativo, vede in altra forma quello che già conosceva nel mondo fisico. Chiunque per mezzo del proprio intelletto già nel mondo fisico abbia compreso giustamente le leggi del karma, non si sgomenterà gran che nel vedere i germi del proprio destino tracciati nell’immagine del suo doppio. Chi ha compreso col proprio criterio l’evoluzione del mondo e dell’umanità e sa come in un determinato punto evolutivo le forze di Lucifero siano penetrate nell’anima umana, non troverà difficoltà a sopportare la vista dell’immagine della propria entità che contiene quegli esseri luciferici con tutti i loro effetti.

Da tutto questo, però, si rileva come sia necessario che l’uomo non ottenga di penetrare nel mondo spirituale prima che, per mezzo del suo giudizio normalmente evoluto nel mondo fisico-sensibile, egli non abbia compreso alcune verità del mondo spirituale. Tutto ciò che viene comunicato in questo libro e che precede la trattazione della « Conoscenza dei mondi superiori », dovrebbe essere assimilato dal discepolo, nel corso regolare del suo sviluppo, per mezzo della normale sua capacità di giudizio, prima che egli stesso desideri di penetrare nei mondi soprasensibili.

Con una disciplina che non tenga conto della necessità di rinvigorire la sicurezza e la fermezza del giudizio e della vita del sentimento e del carattere, può succedere che il discepolo penetri nel mondo superiore prima di avere acquistato le capacità interiori necessarie. L’incontro col suo doppio in tal caso lo angustierebbe e lo esporrebbe ad errori. Ma se — come è anche possibile — l’incontro venisse completamente evitato, e l’uomo penetrasse nondimeno nel mondo soprasensibile, egli sarebbe ugualmente incapace di riconoscere quel mondo nella sua vera forma; gli sarebbe infatti impossibile distinguere fra l’aspetto con cui egli stesso vede le cose e ciò che esse realmente sono. Questa distinzione è possibile soltanto quando si percepisce la propria entità come un’immagine a sé, e si distacca in tal modo dall’ambiente che ci circonda tutto ciò che fluisce dalla nostra interiorità.

Il doppio agisce per la vita dell’uomo nel mondo fisico-sensibile in modo da rendersi immediatamente invisibile, per effetto dell’indicato sentimento della vergogna, quando l’uomo si avvicina al mondo animico-spirituale; così però il doppio nasconde completamente anche tutto quel mondo. Esso sta dinanzi a quel mondo come un « guardiano », per vietarne l’ingresso a chi ancora non è adatto a penetrarvi; è chiamato perciò il « guardiano della soglia del mondo spirituale-animico ».

Oltre che all’entrata del mondo soprasensibile, l’uomo incontra questo « guardiano della soglia » anche quando passa per la morte fisica; esso gli si rivela gradatamente durante lo svolgersi dell’evoluzione animico-spirituale che si verifica fra una morte e una nuova nascita. Allora però tale incontro non può angustiare l’uomo, perché là egli sa di altri mondi che ignorava nella vita fra nascita e morte.

 

Se l’uomo penetrasse nel mondo spirituale-animico senza incontrare il « guardiano della soglia », potrebbe cadere vittima di molte illusioni, perché non potrebbe mai distinguere ciò che egli stesso reca in quel mondo, da ciò che veramente appartiene ad esso. Ma una disciplina regolare deve guidare il discepolo soltanto nel campo della verità e non in quello dell’illusione; grazie alla disciplina l’incontro dovrà necessariamente una volta verificarsi. Quell’incontro è difatti una precauzione indispensabile per evitare che nello studio dei mondi spirituali si incorra nella possibilità delle illusioni e delle fantasticherie.

È indispensabile che ogni discepolo dello spirito ponga speciale cura all’educazione di se stesso, per non cadere in fantasticherie, per non diventare un uomo soggetto alle illusioni e agli errori a seguito di suggestione o di autosuggestione. Quando le indicazioni della disciplina spirituale siano osservate giustamente, rimangono annientate le sorgenti che potrebbero essere causa di errore. Naturalmente qui non si possono esaminare tutti i particolari delle misure che occorre osservare, ma è dato soltanto accennare di che cosa si tratta; gli errori in questione possono provenire da due sorgenti. Anzitutto derivano in parte dal fatto che la propria entità animica colora la realtà.

Nella vita ordinaria del mondo fisico-sensibile questa sorgente di errori presenta relativamente poco pericolo; per quanto l’osservatore possa desiderare di dotare il mondo esteriore del colore dei propri desideri e interessi, questo però si impone sempre nettamente con la propria forma. Ma appena si penetra nel mondo immaginativo, le sue immagini subiscono effettivamente una trasformazione per effetto di quei desideri e di quegli interessi, e l’uomo si trova dinanzi come realtà ciò che egli stesso si è formato, o a cui per lo meno ha collaborato. Orbene, poiché per mezzo dell’incontro col « guardiano della soglia » il discepolo impara a conoscere tutto ciò che è in lui, ciò che egli dunque può portare seco nel mondo spirituale, questa sorgente di illusione rimane eliminata.

La preparazione a cui il discepolo è sottoposto prima di penetrare nel mondo animico-spirituale è diretta a dargli l’abitudine, anche nell’osservare il mondo fisico, di eliminare la propria personalità, e di lasciar che le cose e i processi gli parlino direttamente per virtù della loro natura. Chi davvero abbia praticato a sufficienza questa preparazione può considerare con calma l’incontro col guardiano della soglia; questo incontro potrà definitivamente dimostrargli se egli sia realmente in condizione di eliminare la propria personalità, anche quando si trova di fronte al mondo animico-spirituale.

 

Oltre a questa sorgente di errori ve n’è un’altra; questa si palesa quando si dà interpretazione errata alle impressioni che si ricevono. Nel mondo fisico-sensibile un esempio tipico di tale errore si può avere quando, seduti in un treno, si crede che gli alberi si muovano nella direzione opposta alla nostra, mentre invece siamo noi che ci muoviamo col treno. Tali errori nel mondo fisico-sensibile non sono sempre così facili a constatare, quanto quello molto semplice appunto descritto; nondimeno è evidente che in questo mondo l’uomo trova anche i mezzi per eliminare tali illusioni, purché tenga conto con sano criterio di tutti gli elementi che possono servire alla spiegazione del relativo fatto. Ma la cosa diventa diversa appena si penetra nelle sfere soprasensibili.

Nel mondo sensibile l’errore umano non può modificare i fatti, e perciò è possibile rettificare l’errore per mezzo di un esame spregiudicato dei fatti. Ma nel mondo soprasensibile questo non è senz’altro possibile. Se si vuole osservare un processo soprasensibile e ci si avvicina ad esso con criterio errato, si introduce nel processo stesso un errore; questo viene talmente intessuto con il fatto, che non è facile a tutta prima distinguere l’uno dall’altro. In tal caso l’errore non è più dell’uomo, né il fatto reale è al di fuori di lui, ma l’errore stesso è divenuto parte costitutiva del fatto esteriore; la realtà non può perciò essere rettificata semplicemente per mezzo dell’osservazione spregiudicata del fatto. Questo esempio ci indica un’abbondante sorgente di errori e di fantasticherie per chi si avvicina al mondo soprasensibile senza giusta preparazione.

Orbene, come il discepolo acquista la capacità di eliminare tutte le illusioni che provengono dalla colorazione che la propria natura conferisce ai fenomeni cosmici soprasensibili, così egli deve conseguire anche la facoltà di annullare la seconda sorgente di illusioni sopra descritte. Egli può escludere ciò che egli stesso ha portato appena avrà riconosciuto l’immagine del proprio doppio, e potrà eliminare la seconda sorgente di illusioni, quando avrà acquistato la capacità di riconoscere, dalla natura stessa di un fatto del mondo soprasensibile, se si tratti di realtà o di illusione. Se le illusioni avessero precisamente il medesimo aspetto della realtà, non sarebbe possibile distinguerle, ma così non è.

Le illusioni dei mondi soprasensibili hanno delle caratteristiche proprie, per cui si differenziano dalle realtà; occorre che il discepolo sappia da quali caratteristiche egli può riconoscere le realtà. A chi non conosce la disciplina spirituale, scaturisce spontanea la domanda: « Come è possibile difendersi dall’errore, se le sorgenti delle illusioni son così numerose? esiste forse un solo discepolo spirituale che possa affermare con sicurezza che le sue pretese cognizioni superiori non poggino sull’illusione, sulla suggestione o l’autosuggestione? » Chi parla a quel modo non tien conto del fatto che ogni vera disciplina spirituale si svolge in modo da eliminare le sorgenti delle illusioni. Anzitutto il vero discepolo acquisterà, per virtù della sua preparazione, delle cognizioni sufficienti intorno a tutte le possibili cause di errori e di illusioni, in modo da trovarsi in condizione di sapersene difendere. A questo riguardo egli ha realmente maggiore possibilità di qualsiasi altro uomo di acquistare senno e giudizio per il corso della vita.

 

Tutto ciò che egli impara gli insegna a non fare assegnamento su nessun presentimento o premonizione indeterminata, ecc.; la disciplina lo rende quanto mai prudente. Del resto ogni vero insegnamento è basato sullo studio di grandi eventi cosmici, di argomenti dunque che richiedono tensione del discernimento e del giudizio; e tale esercizio rafforza e acuisce queste facoltà. A coloro soltanto che si rifiutano di studiare campi così lontani, e desiderano attenersi a « rivelazioni » più accessibili, può venire a mancare quel sano rafforzamento della capacità di giudizio che rende capace di discernere con sicurezza l’illusione dalla realtà. Ma tutto ciò non è l’essenziale; l’importanza maggiore risiede negli esercizi stessi, praticati durante il corso di una disciplina spirituale regolare. Questi devono essere cioè diretti in modo che la coscienza del discepolo, durante la concentrazione interiore, possa osservare minutamente tutto ciò che si svolge nella sua anima.

Anzitutto il discepolo deve formarsi un simbolo per provocare l’immaginazione; questo simbolo contiene ancora rappresentazioni delle percezioni esteriori. L’uomo non ne stabilisce da solo il contenuto; non se lo forma da sé, e può perciò ingannarsi e interpretare erroneamente l’origine di esso. Egli allontana però questo contenuto dalla sua coscienza quando procede agli esercizi per l’ispirazione; si concentra allora soltanto nella propria anima sull’attività che ha formato il simbolo. Ma anche a questo punto vi è possibilità di errore; per mezzo dell’educazione, dello studio ecc. l’uomo ha acquisito le caratteristiche della sua attività animica, ma non ne conosce completamente l’origine.

Il discepolo allontana poi anche questa sua attività animica dalla coscienza, e se dopo questa eliminazione gli rimane ancora qualcosa, non vi è più nulla che possa sfuggire all’osservazione; nulla può inserirsi che non possa venir giudicato in base a tutto il suo contenuto. Il discepolo possiede dunque nella sua intuizione qualcosa che gli mostra come sia costituita una realtà pura del mondo spirituale-animico; se si serve poi delle caratteristiche riconosciute della realtà spirituale-animica per vagliare tutto ciò che sottopone alla sua osservazione, potrà distinguere la parvenza dalla realtà. Sé applica questa legge, può essere altrettanto sicuro di proteggersi dall’illusione nel mondo soprasensibile, quanto è sicuro nel mondo fisico-sensibile di non scambiare un ferro rovente che si sia rappresentato con un ferro vero che bruci realmente.

Ben inteso, tali considerazioni si possono applicare soltanto alle cognizioni acquistate per esperienza propria nei mondi soprasensibili e non a quelle che ci vengono comunicate da altri, e che si comprendono con il nostro intelletto fisico e con un sano sentimento di verità. Il discepolo deve adoperarsi per tracciare un limite ben definito fra ciò che egli stesso si è acquistato e quello che ha accolto da altri; deve essere pronto ad accogliere le comunicazioni sui mondi superiori e a comprenderle con il suo criterio. Quando si tratta però di un’esperienza sua propria, di un’osservazione fatta da lui stesso, dovrà verificare accuratamente se questa presenta le caratteristiche che egli ha imparato a conoscere con il mezzo infallibile dell’intuizione.

Quando il discepolo dello spirito ha superato l’incontro col detto «guardiano della soglia», nella sua ascesa verso i mondi soprasensibili si trova di fronte ad altre esperienze. Anzitutto osserverà che vi è un’intima affinità fra questo « guardiano della soglia » e quella forza dell’anima già descritta a proposito della scissione della personalità, e che è la settima a formarsi come entità indipendente.

Effettivamente, sotto un certo riguardo, questa settima entità altro non è che il doppio stesso, il « guardiano della soglia »; essa impone al discepolo un compito speciale, quello cioè di guidare e di dirigere, per mezzo del nuovo sé, il suo sé abituale e quello che gli appare nell’immagine; ne risulta ima specie di lotta con il « doppio » il quale tenta continuamente di prendere il sopravvento.

 

Lo sforzo di stabilire con quello un giusto rapporto e di non permettergli nessuna azione che non sia controllata dal nuovo io, consolida e rinvigorisce anche le forze dell’uomo. — Ma nel mondo superiore l’autoconoscenza, sotto un determinato aspetto, non è la stessa che nel mondo fisico-sensibile. Mentre in quest’ultimo l’autoconoscenza si presenta soltanto come esperienza interiore, il nuovo sé si palesa subito come un fenomeno animico esteriore. L’uomo si trova dinanzi il nuovo sé come un altro essere, ma non lo può percepire completamente perché, per quanto ci si possa essere innalzati sulla via dei mondi superiori, vi saranno tuttavia sempre gradini più elevati da ascendere, e da questi avremo una visione sempre più chiara del nostro « sé superiore ».

Questo perciò può rivelarsi soltanto in parte al discepolo sui vari gradini. L’uomo si trova esposto però a una tremenda tentazione quando comincia ad accorgersi del suo « sé superiore », e cioè a quella di considerarlo, in certo qual modo, dal punto di vista acquistato nel mondo fisico-sensibile. Questa tentazione è salutare e deve presentarsi, perché l’evoluzione possa svolgersi giustamente. Il discepolo deve considerare l’essere che gli si presenta come il proprio doppio, come il « guardiano della soglia », e paragonarlo al « sé superiore », per potere constatare la differenza fra ciò che egli stesso è, e ciò che deve diventare.

Ma durante questo esame il « guardiano della soglia » comincia ad assumere un altro aspetto; esso si presenta come immagine di tutti gli ostacoli che si oppongono all’evoluzione del sé superiore. Il discepolo si accorge allora del pesante fardello di cui è caricato il sé abituale, e qualora, per virtù della sua preparazione, egli non fosse abbastanza forte per dire a se stesso: « Non mi fermerò qui, ma mi evolverò incessantemente fino al sé superiore », il discepolo indietreggerà spaventato dinanzi a ciò che gli si prospetta. In tal caso egli è penetrato nel mondo spirituale, ma rinunzia a progredire più oltre, e diventa prigioniero di quella figura che gli si presenta all’anima per mezzo del « guardiano della soglia ».

È importante il fatto che quest’esperienza non dà il senso di essere prigioniero; anzi, si crede di sperimentare qualcosa del tutto diverso. La figura evocata dal « guardiano della soglia » può essere tale da produrre nell’anima di chi l’osserva l’impressione di avere dinanzi a sé, nelle immagini che sorgono a questo gradino dell’evoluzione, l’intero assieme di tutti i mondi possibili, di essere arrivato all’apice della conoscenza, e che non occorra progredire più oltre. Invece di sentirsi prigioniero, il discepolo si potrà così sentire il ricco possessore di tutti i segreti cosmici.

Non c’è da sorprendersi che si possa avere un’esperienza così contraria alla verità, ove si rifletta che, quando si sperimenta a quel modo, già ci si trova nel mondo animico-spirituale, e che una peculiarità di quest’ultimo è proprio quella che gli eventi si possono presentare al contrario di come sono. In questo libro è stato già accennato a questo fatto, nelle osservazioni sulla vita dopo la morte.

 

La figura che l’uomo vede a tale gradino dell’evoluzione gli palesa un aspetto del « guardiano della soglia » diverso da quello con cui la prima volta si era presentato. Nel doppio si percepivano tutte le possibilità possedute dal sé abituale dell’uomo per effetto dell’influenza delle forze di Lucifero. Ma durante il corso dell’evoluzione umana, per virtù dell’influenza di Lucifero, un’altra forza è penetrata nelle anime degli uomini. È quella che in capitoli precedenti di questo libro è stata indicata come la forza di Arimane. Questa è la forza che impedisce all’uomo, durante l’esistenza fisica, di vedere le entità spirituali-animiche del mondo esteriore, nascoste dietro la superficie del mondo sensibile. Ciò che l’anima dell’uomo è divenuta sotto l’influenza di tale forza viene mostrato in immagini dalla figura che appare nell’esperienza prima caratterizzata.

Chi si avvicina a questa esperienza con una preparazione sufficiente, saprà darle il suo vero significato; in tal caso gli si manifesta poco dopo un’altra figura: quella che si può chiamare il « grande guardiano della soglia », in contrapposto a quella già vista del « piccolo guardiano »; il « grande guardiano » ammonisce a non fermarsi, ma a lavorare energicamente per progredire più oltre.

Questa figura desta chiaramente la coscienza, nell’uomo che l’osserva, che il mondo da lui conquistato diventa una realtà e non si trasforma in illusione, purché il lavoro venga giustamente proseguito.

Se un uomo però, che ha seguito una disciplina errata, dovesse avvicinarsi a questa esperienza senza la necessaria preparazione, alla vista del « grande guardiano della soglia » si sentirebbe l’anima invasa da un sentimento che si può qualificare come « di infinito terrore », di « illimitata paura ».

 

Come l’incontro col « piccolo guardiano della soglia » offre al discepolo l’occasione di verificare se egli è al riparo dalle illusioni che potrebbero sorgere dall’inserimento della sua personalità nel mondo soprasensibile, così egli può mettersi alla prova, con le esperienze che conducono alla fine al « grande guardiano della soglia », per verificare se è capace di resistere alle illusioni che derivano dalla seconda sorgente sopra descritta. Se sa resistere alla potente illusione che gli presenta il mondo immaginativo da lui raggiunto come una ricca conquista, mentre egli invece non è che prigioniero, allora si troverà anche al riparo, nell’ulteriore corso della sua evoluzione, dal pericolo di confondere l’apparenza con la realtà.

Il « guardiano della soglia » assumerà, fino a un certo punto, una figura individuale per ogni singolo uomo. L’incontro con lui corrisponde appunto all’esperienza per mezzo della quale il carattere personale dell’osservazione soprasensibile viene superato, e vien data la possibilità di penetrare in una regione in cui le esperienze sono libere da qualsiasi colorazione personale e che è valida per ogni entità umana.

Il discepolo, dopo le esperienze descritte, è capace di distinguere nell’ambiente animico-spirituale ciò che egli stesso è, da quanto è fuori di lui; egli intende allora quanto sia necessaria la conoscenza dei processi cosmici descritti in questo libro per poter comprendere l’uomo e la sua vita. Si capisce infatti il corpo fisico soltanto quando si riconosce come esso si sia andato edificando attraverso l’evoluzione di Saturno, del Sole, della Luna e della Terra; e si comprende il corpo eterico quando se ne segue la formazione attraverso l’evoluzione del Sole, della Luna e della Terra. Si comprende pure tutto ciò che si riconnette attualmente con l’evoluzione terrestre, quando si riconosce come tutto si sia evoluto per gradi.

La disciplina spirituale ci pone in condizione di riconoscere il rapporto fra tutto ciò che vi è nell’uomo e i fatti e le entità corrispondenti del mondo che si trova al di fuori dell’uomo, perché realmente ogni singola parte dell’uomo sta in rapporto con l’intero universo. In questo libro è stato soltanto possibile dare un accenno di questo fatto; bisogna però riflettere, per esempio, che durante l’evoluzione di Saturno esisteva soltanto un primo abbozzo del corpo fisico dell’uomo. I suoi organi, il cuore, i polmoni, il cervello si sono formati più tardi da quel primo germe, durante l’epoca solare, quella lunare e quella terrestre.

 

Quindi cuore, polmone, e così via sono in relazione con le evoluzioni solare, lunare e terrestre; ugualmente vi è rapporto fra quelle evoluzioni e il corpo eterico, il corpo senziente, e l’anima senziente ecc. L’uomo è stato formato dall’intero mondo che lo attornia; e ogni singola sua parte corrisponde ad un processo, a un essere del mondo esterno. A un determinato gradino della sua evoluzione, il discepolo arriva a riconoscere questo rapporto del proprio essere Con l’universo; tale stadio della conoscenza può venir chiamato la coscienza della corrispondenza del « piccolo mondo », il microcosmo, cioè l’uomo stesso, con il « grande mondo », il macrocosmo.

Quando il discepolo si è elevato fino a tale conoscenza, gli si può presentare una nuova esperienza: egli comincia a sentirsi parte integrante dell’intero edificio cosmico, pur continuando a sentir completa la propria indipendenza. Questo sentimento è come un sentirsi diffuso nell’intero mondo, diventar uno con esso, senza però perdere la propria essenza. Questo gradino dell’evoluzione può venir chiamato « unione con il macrocosmo ». È importante di non rappresentarci questa unificazione come se con essa la coscienza separata venisse a cessare e l’entità umana si diffondesse nel Tutto; un tale pensiero sarebbe soltanto l’espressione di un’opinione derivata da un giudizio incontrollato.

I singoli gradini della conoscenza superiore, secondo il processo di iniziazione qui descritto, possono dunque essere indicati nel seguente ordine:

    1. Lo studio della scienza dello spirito, per il quale ci si serve anzitutto della forza di giudizio acquistata nel mondo fisico-sensibile.
    2. L’acquisto della conoscenza immaginativa.
    3. La lettura della scrittura occulta (corrispondente all’ispirazione).
    4. L’inserimento nell’ambiente spirituale (corrispondente all’intuizione).
    5. La conoscenza dei rapporti fra microcosmo e macrocosmo.
    6. L’unione col macrocosmo.
    7. Lo sperimentare complessivo delle precedenti esperienze, vissuto con le stato fondamentale dell’anima.

Non è necessario che questi gradini si susseguano ordinatamente; a seconda dell’individualità del discepolo dello spirito, la disciplina può anche svolgersi in modo che, prima di aver completamente superato un gradino, egli già cominci a praticare gli esercizi per quello susseguente. Può essere per esempio bene che il discepolo sia riuscito in modo sicuro a ottenere soltanto alcune immaginazioni e già pratichi gli esercizi che attirano nel campo della sua esperienza l’ispirazione, l’intuizione, o la conoscenza del rapporto fra microcosmo e macrocosmo.

Il discepolo dello spirito, dopo sperimentata l’intuizione, conosce non soltanto le immagini del mondo animico-spirituale e legge i loro rapporti nella « scrittura occulta », ma arriva anche alla conoscenza degli esseri stessi, per mezzo della cui collaborazione venne costituito il mondo al quale l’uomo appartiene; egli impara in tal modo a conoscere se stesso nella forma che gli è propria, come essere spirituale, nel mondo animico-spirituale. Egli si è elevato fino alla percezione del suo io superiore, e si è accorto quanto ancora debba lavorare per dominare il suo « doppio », il « guardiano della soglia »; ha però sperimentato anche l’incontro col « grande guardiano della soglia » che gli sta di fronte come continuo incitamento ad un ulteriore lavoro.

Il « grande guardiano della soglia » diventa ormai il modello verso il quale egli aspira: quando questo sentimento si affaccia nel discepolo dello spirito, egli ha raggiunto la possibilità di riconoscere chi gli si presenta sotto l’aspetto del « grande guardiano della soglia ». Questo « guardiano » ormai, nella visione del discepolo, si trasforma nella figura del Cristo, dell’Essere il cui intervento nell’evoluzione terrestre è stato indicato nei precedenti capitoli di questo libro. In tal modo il discepolo viene iniziato in quel sublime mistero che è connesso al nome del Cristo.

Il Cristo gli si rivela come il « grande esempio che l’uomo deve seguire sulla Terra ». — Quando il Cristo viene riconosciuto nel mondo spirituale per mezzo dell’intuizione, riesce anche possibile comprendere ciò che si è svolto storicamente sulla Terra, nel quarto periodo post-atlantico dell’evoluzione terrestre, nel periodo greco-latino. Per esperienza propria, allora, il discepolo arriva a conoscere come a quell’epoca il grande Essere solare, l’Entità-Cristo, sia intervenuto nell’evoluzione della Terra, e come in questa continui da allora in poi ad esercitare la sua azione. Per mezzo dell’intuizione dunque il discepolo riceve la rivelazione del significato e dell’importanza dell’evoluzione terrestre.

 

La via ora descritta per arrivare alla conoscenza dei mondi soprasensibili può essere seguita da ogni uomo, in qualsiasi stato egli si trovi nelle attuali condizioni della vita. A proposito di tale via occorre riflettere che la mèta della conoscenza e della verità è sempre stata la medesima in ogni epoca dell’evoluzione terrestre, ma che i punti di partenza per gli uomini sono stati differenti, a seconda delle varie epoche.

L’uomo, per penetrare nelle regioni soprasensibili, non può ora partire dal medesimo punto dal quale partivano per esempio gli antichi iniziandi egizi; gli esercizi perciò che venivano imposti al discepolo egizio non sono senz’altro eseguibili per gli uomini attuali. Da quell’epoca le anime umane hanno attraversato varie incarnazioni, e questo passaggio da incarnazione a incarnazione non è privo di senso e di importanza. Le capacità e le qualità delle anime si modificano da incarnazione a incarnazione. Basta osservare anche superficialmente la vita dell’uomo e il corso della storia per accorgersi che, dai secoli XII e XIII dopo Cristo, tutte le condizioni della vita sono cambiate, che le opinioni, i sentimenti e anche le facoltà degli uomini si sono trasformati in confronto a prima.

La via della conoscenza superiore qui descritta è dunque adatta per le anime che si incarnano nell’immediato presente; essa pone il punto di partenza per l’evoluzione spirituale là dove l’uomo si trova nell’epoca presente, qualunque siano le condizioni impostegli dalla vita attuale. — Nei riguardi delle vie che conducono alla conoscenza superiore, il progresso dell’evoluzione conduce l’umanità da un’epoca all’altra a forme sempre diverse; come pure la vita esteriore modifica le proprie forme. E in ogni epoca è necessario che regni un perfetto accordo fra la vita esteriore e l’iniziazione.