Continuano così ad aumentare le forze che il Cristo elabora nel Corpo di Gesù di Nazareth, non quelle che il Cristo ha in se stesso.

O.O. 112 – Il Vangelo di Giovanni in relazione agli altri 3 – 03.07.1909


 

Le forze superiori magiche erano possibili ai tempi antichi

appunto perché il sangue di una medesima tribù scorreva nelle vene degli uomini.

 

Un uomo di quei tempi antichi, che poteva risalire con lo sguardo la serie ascendente dei suoi antenati e scorgere in essa sempre soltanto sangue affine della stessa tribù, aveva nel proprio sangue delle forze magiche attive; così erano possibili le azioni da un’anima sull’altra, come ieri è già stato descritto.

 

Questo era noto a tutti a quei tempi, anche alla gente più semplice. Sarebbe però un errore volerne dedurre che se dei matrimoni fra consanguinei si verificassero ai tempi nostri, la medesima situazione verrebbe a riprodursi, e ricomparirebbero perciò delle forze magiche. In tal caso si cadrebbe nel medesimo errore in cui potrebbe cadere il mughetto, se ad un tratto dicesse di non voler più fiorire in maggio, ma da ora in poi in ottobre.

 

Esso non può fiorire in ottobre perché non vi sono in quel mese le condizioni necessarie per il mughetto. Così è anche per le forze magiche: non possono svilupparsi in un tempo in cui più non esistono le condizioni necessarie. All’epoca nostra le forze magiche devono svilupparsi in modo diverso; ciò che è stato descritto vale soltanto per i tempi antichi.

 

Lo scienziato soltanto naturalista non può naturalmente comprendere che le leggi abbiano potuto trasformarsi durante il corso della evoluzione; egli crede che i processi, sperimentabili oggi nel suo gabinetto di fisica, abbiano dovuto sempre effettuarsi a quel modo. Ma non è così, perché le leggi si trasformano. La gente che attinge le proprie convinzioni dalla scienza moderna, avrebbe considerato con meraviglia, come un fatto del tutto singolare, ciò che si è verificato in Palestina e di cui parla il Vangelo di Giovanni.

 

Ma quelli che vivevano al tempo del Cristo Gesù, quando ancora esistevano vive le tradizioni di epoche in cui quelle cose erano assolutamente possibili, non ne rimasero molto meravigliati. Già ieri ho potuto quindi far presente che gli uomini non furono molto sorpresi dal segno verificatosi alle nozze di Cana. E perché avrebbero dovuto meravigliarsi? Esteriormente non era altro che una ripetizione di quanto essi sapevano essere già stato osservato moltissime volte.

 

Nel secondo libro dei Re, IV capitolo, versetto 42-44, si legge:

  « Giunge poi un uomo da Baal-Salisa il quale portava all’uomo di Dio dei pani fatti col primo raccolto: venti pani di orzo e del grano nuovo nella sua bisaccia. Egli ordinò: ‘Danne a tutta la gente, affinché mangi’. Il suo servo gli rispose: ‘Come posso darne a cento persone?’ — Egli disse di nuovo: ‘Danne alla gente che mangi, perché così dice il Signore: Mangeranno e ne avanzerà.’ Quegli pertanto li pose davanti alla gente che mangiò e ne lasciò d’avanzo, secondo la parola del Signore ».

 

Nell’Antico Testamento si ha qui per il passato la narrazione del pasto dei cinquemila uomini. Come potevano dunque stupirsi di un segno simile coloro nei cui documenti stava scritto che ciò non era avvenuto per la prima volta? È essenziale comprendere questo.

 

Che cosa accadeva infatti a chi era stato iniziato nel senso antico? Egli otteneva l’accesso nel mondo spirituale, il suo occhio veniva aperto per le forze spirituali attive; vale a dire: egli vedeva il nesso fra il sangue e le forze spirituali attive. Gli altri ne avevano un’oscura intuizione; ma chi era iniziato risaliva con lo sguardo fino al primo degli antenati, dal quale discendeva il sangue.

 

Egli poteva dirsi: «Così il sangue fluisce attraverso le generazioni, e nel sangue si manifesta tutto l’io di un popolo, così come il singolo io si esprime nel sangue del singolo uomo». Un tale iniziato poteva risalire con lo sguardo fino all’origine della corrente del sangue che scorreva attraverso le generazioni; egli si sentiva con la sua anima identico con l’intero spirito del popolo la cui fisionomia era espressa nel sangue di tutto il popolo. Un uomo siffatto, che si sentiva unito al sangue di tutto il popolo, era iniziato fino a un determinato grado e disponeva in una certa misura di determinate forze magiche, nel senso antico.

 

Dobbiamo ora considerare un’altra circostanza. L’elemento maschile e quello femminile agiscono insieme nella procreazione dell’umanità in un modo che possiamo caratterizzare brevemente nella maniera seguente.

 

Se unicamente l’elemento femminile avesse il sopravvento,

gli uomini evolverebbero in modo che ricomparirebbero sempre le medesime caratteristiche.

Il figlio somiglierebbe sempre ai genitori, ai nonni, e così via.

• Tutte le forze che determinano la somiglianza dipendono dal femminile.

• Tutto ciò che modifica la somiglianza, che crea delle differenze, dipende dal al maschile.

 

Se nell’ambito di una comunità trovate un dato numero di volti che si somigliano, ciò è frutto dell’influenza femminile; ma in quei volti vi sono delle differenze che permettono di distinguere fra di loro i singoli individui: sono il frutto dell’influenza maschile.

 

Se influisse soltanto l’elemento femminile, non sarebbe possibile distinguere gli uni dagli altri i singoli individui; e se d’altra parte agisse soltanto quello maschile, non si potrebbe mai riconoscere se un gruppo di uomini appartiene o meno al medesimo ceppo. Il maschile e il femminile agiscono insieme, e si può quindi dire che il maschile agisce in modo da individualizzare, specializzare, separare, e che il femminile tende invece a generalizzare.

 

In quali forze risiede dunque principalmente ciò che appartiene all’intero popolo?

Ciò che appartiene all’intero popolo è soprattutto legato all’elemento femminile.

 

Possiamo anche dire che mediante la forza della donna viene portato da una generazione all’altra ciò appunto che in altro modo si esprime nel fatto di scorrere col sangue di generazione in generazione. Chi volesse caratterizzare con maggior precisione ciò a cui sono legate le forze magiche contenute nei legami del sangue, dovrebbe dire che esse sono legate all’elemento femminile che compenetra tutto il popolo e che vive in tutti i suoi appartenenti.

 

Che cosa vi era dunque di essenziale in un individuo che si fosse elevato, mediante l’iniziazione, fino ad essere un uomo capace di disporre, per così dire, delle forze che l’elemento femminile del popolo aveva innestato nel sangue che scorreva attraverso le generazioni?

 

Nell’antica iniziazione venivano distinti diversi gradi — se usiamo le espressioni dell’iniziazione persiana — nell’ascesa verso le vette spirituali. Questi gradi vengono indicati con dei nomi determinati. Uno di questi ci interesserà in modo speciale.

 

• Il primo grado dell’iniziazione persiana veniva indicato con il nome di «corvo»

• il secondo con quello di «occulto»

• il terzo grado veniva denominato con quello di «guerriero»,

• il quarto con quello di «leone»;

• il quinto grado veniva indicato presso ogni popolo col nome del popolo stesso;

così di un persiano, quando saliva al quinto grado d’iniziazione, si diceva che era un «persiano».

 

L’iniziato diventava prima di tutto un «corvo»; vale a dire egli poteva iniziare le sue osservazioni nel mondo esteriore, poiché era un servo di coloro che stavano nel mondo spirituale, e portava le notizie del mondo fisico nel mondo spirituale. Da questo proviene il simbolo del corvo, quale messaggero tra il mondo fisico e il mondo spirituale; cominciando dai corvi di Elia, fino ai corvi di Barbarossa.

Chi è giunto al secondo grado, è già penetrato nel mondo spirituale.

L’iniziato del terzo grado ha già sorpassato il secondo, e gli viene perciò affidata la missione di difendere le verità dell’occultismo: diviene un « guerriero ». A un iniziato del secondo grado non era permesso di lottare per le verità del mondo spirituale.

Il quarto grado dell’iniziazione era tale che già si era verificato un certo consolidamento dell’uomo nelle verità del mondo spirituale.

Il quinto grado è quello del quale ho già detto che l’uomo imparava a disporre delle forze scorrenti nel sangue attraverso le generazioni, che disponeva di tutte le forze che fluiscono nel sangue con l’elemento femminile della procreazione. Come bisognava dunque chiamare un iniziato che avesse sperimentato l’iniziazione nell’ambito del popolo israelita? Veniva chiamato un «israelita» così come in Persia sarebbe stato chiamato un «persiano». Consideriamo ora quanto segue.

 

Uno dei primi che venne condotto dinanzi al Cristo Gesù, nel senso del Vangelo di Giovanni, fu Natanaele. Gli altri, quelli che già erano seguaci del Cristo Gesù dicono dunque a Natanaele: «Abbiamo trovato il Maestro, colui che dimora in Gesù di Nazareth!», e Natanaele risponde loro: «Può forse venir qualcosa di buono da Nazareth?» Ma quando Natanaele viene condotto dinanzi al Cristo, allora il Cristo gli dice: «Ecco un vero israelita in cui non è frode» (Giov. 1-47).

 

Un vero israelita nel quale risiede la verità! — Così Egli dice, perché conosce il grado in cui è stato iniziato Natanaele. Allora Natanaele capisce di aver a che fare con uno che ne sa quanto lui, che anzi lo riconosce, che ne sa più di lui. E il Cristo gli dice, per indicare maggiormente che si tratta proprio dell’iniziazione: «Non ti vidi soltanto quando tu venisti a me, ma prima che Filippo ti chiamasse io ti vidi, quando eri sotto il fico!»

La parola «il fico» è qui adoperata nel medesimo senso come per il Buddha, il fico è «l’albero del Bodhi»; è il segno dell’iniziazione. Il Cristo gli dice cioè di riconoscere in lui un iniziato del quinto grado.

 

Da questo si vede che lo scrittore del Vangelo di Giovanni indica che il Cristo è superiore all’iniziato del quinto grado. Lo scrittore del Vangelo di Giovanni ci fa ascendere di gradino in gradino mostrandoci che nel corpo di Gesù di Nazareth alberga colui che supera l’iniziato del quinto grado.

 

Andiamo avanti. Abbiamo appena visto che un iniziato del quinto grado dispone delle forze magiche occulte che fluiscono attraverso il sangue delle generazioni. Egli si è per così dire unito con l’anima del popolo. Più sopra abbiamo visto che l’anima del popolo si esprime nelle forze della donna. Dunque, un iniziato nel quinto grado avrà a che fare – nel modo antico – con le forze della donna. Dobbiamo rappresentarci tutto ciò spiritualmente.

 

Ma il Cristo ha a che fare con la donna in un modo del tutto nuovo. Egli ha a che fare con quella donna che è ritornata vergine per effetto del battesimo di Giovanni, che ha nuovamente in sé le fresche e germoglianti forze della verginità. Ecco l’elemento nuovo che lo scrittore del Vangelo di Giovanni voleva indicare, dicendo che una determinata corrente passa dal Figlio alla madre. Che il Figlio, purché fosse iniziato al quinto grado, avesse la possibilità di impiegare magicamente le forze del popolo, quelle che si esprimono nell’elemento del popolo che proviene dalla madre, era un fatto noto a tutti quelli che allora avevano una conoscenza occulta.

Ma il Cristo mostra, in un aspetto spiritualmente più elevato, le forze della donna che è ritornata vergine.

 

Così vediamo come vennero preparate le nozze di Cana. Vediamo come ciò che allora avvenne dovesse essere proprio compiuto da un iniziato superiore al quinto grado. Ci viene mostrato che ciò è anche in relazione con le forze del popolo che dipendono dalla personalità femminile. Lo scrittore del Vangelo di Giovanni prepara in modo mirabile tutto ciò che viene mostrando (come abbiamo detto, torneremo più tardi a parlare del concetto di miracolo).

 

Si può facilmente comprendere che l’acqua appena attinta è diversa dall’acqua rimasta ferma per qualche tempo, come un fiore appena colto è diverso da un fiore che sia appassito per tre giorni. Naturalmente un modo di vedere materialistico non fa queste distinzioni.

 

L’acqua ancora unita con le forze della terra è diversa da quella adoperata qualche tempo dopo essere stata attinta. Ricollegandosi alle forze che si trovano nell’acqua appena attinta, chi è iniziato in modo adatto può agire attraverso le forze che ora sono legate in un nesso spirituale, come quello del Cristo con la madre che era appunto diventata vergine. Egli continua ciò che la terra è capace di fare.

 

Nella vite la terra sa trasformare l’acqua in vino. Il Cristo che si è avvicinato alla terra, che è diventato lo spirito della terra, è lo spirito che altrimenti agisce nell’intero corpo terrestre. Se è il Cristo, deve essere capace di fare ciò che la terra può fare, ciò che la terra fa nella vite, trasformando l’acqua in vino.

 

Così il primo segno che il Cristo Gesù fa secondo il Vangelo di Giovanni, è un segno che per così dire si riconnette, come appunto abbiamo visto dal Libro dei Re, a ciò che nei tempi antichi poteva essere compiuto da un iniziato che dominava le forze che scorrono attraverso i legami del sangue delle generazioni.

 

Continuano così ad aumentare le forze che il Cristo elabora nel Corpo di Gesù di Nazareth,

non quelle che il Cristo ha in se stesso.

Non si chieda se il Cristo ha la necessità di evolversi. Certamente non ne ha bisogno.

 

Ma quello che doveva essere evoluto per mezzo del Cristo, sebbene fosse già purificato e nobilitato,

era il corpo di Gesù di Nazareth; quel corpo il Cristo doveva guidare di gradino in gradino;

in esso dovevano esser versate le forze che dovevano affermarsi nel prossimo avvenire.

• Il segno seguente è la guarigione del figlio del capitano del Re,

• e dopo ancora la guarigione dell’ammalato da 38 anni presso il lago di Betesda.

 

In questo caso quale aumento si è verificato nelle forze per mezzo delle quali il Cristo agiva qui sulla terra? L’aumento consiste nel fatto che il Cristo era ormai capace di esercitare un’azione non soltanto sulle persone che gli stavano vicine, in certo qual modo fisicamente vicine; alle nozze di Cana egli aveva agito sulle persone in modo che mentre bevevano l’acqua, questa era vino.

 

Egli aveva cioè agito sul corpo eterico degli uomini presenti perché, per il fatto di aver fatto fluire la sua forza nel corpo eterico della gente circostante, ne risultò l’effetto che nella bocca di chi beveva l’acqua diventava vino, vale a dire che l’acqua veniva gustata come vino.

 

Ora però l’effetto non doveva limitarsi al solo corpo, ma doveva penetrare fin nel più profondo dell’anima; così soltanto Egli poteva infatti agire, attraverso il padre, sul figlio del capitano de Re e così soltanto la sua azione poteva penetrare nell’anima peccatrice dell’ammalato da 38 anni.

 

Se avesse soltanto fatto fluire le forze nel corpo eterico, non sarebbe stato sufficiente.

Bisognava agire sul corpo astrale, perché il peccato concerne il corpo astrale.

 

• Mediante l’azione sul corpo eterico si può trasformare l’acqua in vino,

ma occorre penetrare in maggiore profondità per esercitare un’azione sopra la personalità di un altro individuo.

• Per questo occorreva che il Cristo elaborasse ulteriormente il triplice involucro di Gesù di Nazareth.

• Badate bene che il Cristo non cambia per questo!

Egli elabora il triplice involucro di Gesù di Nazareth,

e continua nel tempo ad elaborarlo in modo che il corpo eterico

possa diventare più indipendente dal corpo fisico, di quanto prima non fosse.

 

Venne dunque un momento in cui nel triplice involucro di Gesù di Nazareth il corpo eterico divenne più indipendente, più libero rispetto al corpo fisico. Di conseguenza esso acquistò un dominio maggiore sul corpo fisico; per così dire, potè compiere nel corpo fisico opere maggiori di prima, potè cioè impiegare effettivamente fin dentro nel corpo fisico delle forze potenti. La disposizione di tutto ciò era stata data col battesimo di Giovanni, e occorreva ora elaborare quella disposizione in modo del tutto speciale. Ma tutto ciò doveva effettuarsi movendo dallo spirituale.

 

Il corpo astrale doveva agire nel triplice involucro di Gesù di Nazareth con tale forza

che il corpo eterico potesse acquistare un siffatto dominio sul corpo fisico.

 

Ma con quale mezzo può il corpo astrale esercitare un’azione così forte?

Può esercitarla se fa propri sentimenti giusti,

se si dedica a sentimenti giusti riguardo a ciò che accade nell’ambiente che ci attornia;

e soprattutto se si pone in giusta relazione con l’egoismo umano.

 

Ha fatto questo il Cristo col corpo di Gesù di Nazareth?

Agì Egli in modo da porsi in una giusta relazione con tutto l’egoismo dell’ambiente circostante,

da far emergere la tendenza egoistica fondamentale delle anime?

Sì, il Cristo agì in quel modo.

 

Lo scrittore del Vangelo di Giovanni ci narra

che di fronte a quelli che professano l’egoismo e che profanano il tempio, facendo in esso mercato di ogni cosa,

Egli si presenta come il purificatore del tempio.

In tal modo Egli acquista la possibilità di dire che ormai ha reso il corpo astrale tanto potente

da esser capace, se il corpo fisico si decomponesse, di riedificarlo in tre giorni.

 

Anche questo ci viene indicato dallo scrittore del Vangelo di Giovanni:

• «Gesù rispose loro: ‘Disfate questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere’.

Allora i Giudei dissero: ‘Questo tempio fu fabbricato in quarantasei anni, e tu lo faresti risorgere in tre giorni?’

Ma egli parlava del tempio del suo corpo» (Giov. 11-19,21).

 

Ciò indica che adesso l’involucro, che venne a lui sacrificato, possiede la forza di dirigere il corpo fisico in modo da averne completo dominio. Ma allora quel corpo, ormai diventato libero, può muoversi ovunque indipendentemente dalle leggi del mondo fisico, può provocare e dirigere degli avvenimenti nel mondo spirituale, senza curarsi delle leggi che regolano il mondo dello spazio. E lo fa veramente? Sì.

 

Ci viene indicato nel capitolo che segue quello della purificazione del tempio.

• «Vi era fra i Farisei un uomo, chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei.

Egli venne di notte a Gesù e gli disse…» (Giov. 1111,2).

 

Perché sta scritto qui: « di notte? ». Naturalmente la spiegazione più superficiale sarebbe di dire che l’Ebreo aveva paura di venire da Gesù alla luce del giorno, e che perciò era entrato di notte attraverso la finestra. Naturalmente tutti sono capaci di dare una spiegazione simile.

 

«Di notte» significa invece semplicemente che l’incontro fra il Cristo e Nicodemo avvenne nel mondo astrale, nel mondo spirituale, e non in quello in cui ci si trova durante la coscienza diurna abituale. Vale a dire che ora il Cristo poteva trattare con Nicodemo al di fuori del corpo fisico « di notte », quando il corpo fisico non è presente, quando il corpo astrale è fuori del corpo fisico e del corpo eterico.

 

Così il triplice involucro di Gesù di Nazareth fu preparato dal Cristo, che dimorava in esso, per le prossime azioni, per agire cioè entro le anime. Occorreva per questo che l’anima, nel triplice involucro di Gesù di Nazareth, fosse talmente libera da poter esercitare un’azione sopra altri corpi. Ma è cosa ben diversa, del tutto diversa, esercitare un’azione in un’altra anima, oppure agire nel modo che abbiamo visto ieri. Il crescendo delle forze si palesa appunto nel pasto dei cinquemila uomini e nel camminare sul mare.

 

Occorreva qualcosa di più perché il Cristo, senza esser fisicamente presente,

potesse esser veduto fisicamente; e non soltanto dai discepoli ma

– così possente già era allora la forza che risiedeva nel corpo di Gesù di Nazareth –

anche da quelli che non erano suoi discepoli.

 

Dobbiamo però nuovamente leggere il Vangelo di Giovanni in modo giusto, perché qualcuno potrebbe dire di esser pronto ad ammetterlo per i discepoli, ma non per gli altri.

  «Il dì seguente la folla che era rimasta all’altra riva dal mare, aveva veduto che non v’era altro che una barca sola, e che Gesù non v’era entrato coi suoi discepoli, ma che i discepoli erano partiti soli. Or altre barche erano giunte da Tiberiade presso il luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. La folla dunque, quando ebbe veduto che Gesù non era quivi, né che vi erano i suoi discepoli, montò nelle barche, e venne a Capernaum, in cerca di Gesù». (Giov. VI-22 e segg.).

 

Vi prego espressamente di osservare che la folla cerca Gesù, e che quindi è detto:

E trovatolo di là dal mare, gli dissero: ‘Maestro, quando sei giunto qua?’»

 

Questo significa proprio la medesima cosa che significa per i discepoli.

Non sta scritto che ogni occhio comune lo vedesse, ma è detto che

lo videro quelli che lo cercavano e che lo trovarono mediante l’intensificazione della loro forza animica.

 

Quando viene detto: « qualcuno vede un’altra persona »,

è appunto cosa un po’ diversa dal dire:

«una persona è presente con forma corporea visibile agli occhi fisici».

 

Ciò che comunemente si usa chiamare nella vita esteriore «prendere il Vangelo alla lettera», è applicato meno che mai proprio al Vangelo. Se considerate che essenzialmente vi è qui dappertutto un crescendo, troverete comprensibile che quel fatto doveva essere preceduto da qualcosa d’altro. Doveva essere preceduto da qualcosa che ci mostra come l’attività esercitata dal Cristo, nel triplice involucro di Gesù di Nazareth, agisse affinché la forza di questo triplice involucro divenisse sempre più possente.

 

Egli ha esercitato un’azione risanatrice; vale a dire che ha potuto versare la propria forza entro l’anima di altri.

Egli poteva farlo solamente agendo nel modo che Egli stesso descrive nel dialogo con la samaritana al pozzo:

« Io sono l’acqua viva »

 

• Prima, alle nozze di Cana,

Egli aveva descritto se stesso quale un iniziato del quinto grado, uno che ha il dominio sugli elementi.

• Adesso si descrive come esistente negli elementi, come vivente negli elementi.

• E mostra inoltre di formare un’unità con le forze che agiscono su tutta la terra.

 

Questo avviene nel capitolo su «Gesù che ha il dominio sulla vita e sulla morte»;

sulla vita e sulla morte, in quanto può dominare le forze che agiscono nel corpo fisico.

Questo capitolo precede perciò il segno per il quale occorre che la forza sia maggiormente accresciuta.

Poi vediamo che la forza aumenta ulteriormente.

 

Ieri abbiamo indicato che nel segno, chiamato la guarigione del cieco nato,

il Cristo non interviene soltanto in ciò che risiede fra nascita e morte,

ma in ciò che, come individualità dell’anima umana, passa di vita in vita.

• Per il fatto che l’opera dell’individualità divina si è resa manifesta, egli è nato cieco;

deve acquistare la vista, perché il Cristo riversa in lui una forza tale da rendere come non avvenuto

ciò che non è avvenuto per mezzo della personalità fra nascita e morte,

e neppure per via di ereditarietà, ma che il cieco ha fatto come individualità.

 

Ho spiegato già diverse volte che le belle parole di Goethe,

sorte da una profonda conoscenza dell’iniziazione rosicruciana, hanno una base profondamente occulta:

«L’occhio è formato alla luce, per la luce!»

Ho anche detto che è giusto quello che dice Schopenhauer:

«Senza l’occhio, nessuna luce.» Ma da dove viene l’occhio?

 

Goethe dice giustamente: «Se non ci fosse la luce non si sarebbe mai formato l’occhio, un organo capace di percepire luce.» L’occhio è creato dalla luce. Lo si può vedere da un esempio: quando degli animali dotati di occhi emigrano in caverne buie, perdono ben presto la facoltà visiva, per mancanza della luce. La luce ha formato l’occhio.

 

Perché il Cristo possa versare nell’individualità dell’uomo una forza tale che questi possa acquistare la facoltà per cui l’occhio diventi un organo sensibile alla luce, mentre prima non lo era, occorre che nel Cristo vi sia la forza spirituale esistente nella luce.

A questo deve accennare il Vangelo di Giovanni.

 

Ma la guarigione del cieco nato viene preceduta nel Vangelo di Giovanni da un capitolo nel quale è detto: «Or Gesù parlò loro di nuovo dicendo: ‘Io sono la luce del mondo» (Giov. Vlll-12). Della guarigione del cieco nato non si parla prima che sia stato detto: «Io sono la luce del mondo».

 

Osserviamo ora l’ultimo capitolo, prima della risurrezione di Lazzaro,

e cerchiamo di richiamare alla mente alcune parole di quel capitolo.

Basterà il punto ove sta detto: • «Per questo mi ama il Padre; perché io do la mia vita, per riprenderla poi.

Nessuno me la toglie, ma io la do da me. Io ho la potestà di darla…

Se non faccio le opere del Padre mio, non mi credete» (Giov. X-37).

 

Tutto ciò che vien detto del Buon Pastore deve indicare il fatto che il Cristo sente:

«Io e il Padre siamo uno!», che Egli non vuole più dire a se stesso «io» altro che accogliendo in sé la forza del Padre. Se prima ha detto: «Io sono la luce del mondo», ora dice: «Io dono la mia forza egoica accogliendo in me il Padre, affinché il Padre agisca in me, affinché il principio primordiale fluisca in me, e da me possa fluire in un altro uomo. Io lascio la mia vita per riprenderla nuovamente».