Corpo fisico e intelletto

O.O. 225 -Tre prospettive dell’Antroposofia – 21.07.1923


 

Osservando la vita spirituale della nostra epoca, occorre solo essere imparziali

per accorgersi che nel suo complesso, soprattutto dalla seconda metà del secolo diciannovesimo, si è sempre più smarrita l’anima.

La nostra cultura manca dell’anima;

volendo risvegliare l’anima alla vita interiore, è necessario farlo in solitudine

e non invece prendendo parte alle grandi tendenze della nostra civiltà.

 

In generale ci siamo allontanati dal seguire con sensi desti le linee fondamentali della vita contemporanea. Per l’osservazione esteriore, introdotta proprio nel secolo diciannovesimo, ci furono avvenimenti che avrebbero dovuto destare grande attenzione per quel che avviene nella vita spirituale; ma quei fatti sono passati più o meno senza lasciar traccia alcuna, e se ne può dire che nei tempi moderni non siano mai arrivati a una formulazione tale da poter fare una profonda, risvegliante impressione sull’umanità di oggi.

 

Al centro delle odierne considerazioni vorrei porre un fatto che, visto superficialmente, forse può essere preso con un certo sorriso da qualcuno, da un altro registrato in modo imparziale dal punto di vista storico come uno dei molti errori di concezione del mondo, da un terzo combattuto con rabbia. Anzitutto vorrei cercare di dare solo una semplice formulazione di ciò che intendo.

 

Nei due ultimi decenni del secolo diciannovesimo, era per me diventato un importante interrogativo sapere chi fosse l’uomo più intelligente di allora; naturalmente tali cose si possono intendere sempre solo in senso relativo. Perciò prego di non prendere in modo assoluto quel che collegherò alla domanda, ma di accettarlo cum grano salis come ciò che intendo presentare come una caratteristica della nostra epoca.

 

La nostra è l’era dell’intellettualismo;

l’intelletto è arrivato a peculiari altezze, e quindi occorre chiedersi da che cosa dipenda l’intelletto umano nella vita terrena.

Certo la sua forza, la sua attività, dipende dall’anima umana, come vedremo più avanti,

da ciò che anzitutto in modo inconsapevole per la coscienza terrena

l’essere umano porta in sé, come organismo eterico, o corpo delle forze formative, come corpo astrale e come organizzazione dell’io.

 

L’uomo nell’attuale periodo di evoluzione della terra

non è però in grado di far realmente vivere l’attività dell’intelletto come vive in quelle tre parti costitutive della natura umana.

Se non avessimo il corpo fisico, l’intelletto dovrebbe tacere nella vita terrena.

Sarebbe come se andando verso una parete si sentisse che, avanzando e non osservando nemmeno braccia e mani,

non si vedesse nulla di sé; ma se la parete cui si arriva è uno specchio, ci si vede.

 

L’intelletto sarebbe come un uomo che non si vede;

non si percepirebbe se non avesse il corpo fisico che riflette la sua attività, che la rimanda.

Dobbiamo la grandezza del nostro intelletto nella presente epoca

al riflettersi dell’attività interiore dell’anima per mezzo del corpo fisico.

 

Non accade che scambiamo noi stessi con la nostra immagine riflessa, ma ci succede con l’intelletto.

Noi scambiamo l’intelletto stesso con la sua immagine riflessa che vive solo nell’intessere fisico;

ci abbandoniamo ad essa, ed essa domina in noi.

Con l’intelletto l’uomo è del tutto dedito al suo corpo fisico;

riuscendo ad abbandonarsi del tutto al corpo fisico, l’intelletto raggiunge un alto grado di perfezione.

 

Attivando la nostra interiorità, brancoliamo sempre tra ogni sorta di sentimenti e brame, pregiudizi, simpatie e antipatie,

entriamo a tastoni nell’intelletto rendendolo imperfetto.