Cristo Gesù portatore della coscienza dell’io

O.O. 123 – Il Vangelo di Matteo – 10.09.1910


 

Il Cristo Gesù si considerava

come il portatore della coscienza dell’io elevata a un grado più alto di quello antico:

di una coscienza dell’io che è capace di sperimentare in se stessa il regno dei cieli.

 

Perciò egli mostra ai suoi discepoli questo contrasto:

anche nei tempi antichi vi si annunciava questa o quest’altra rivelazione dal regno dei cieli,

ma d’ora innanzi potrete avere tali esperienze in ciò che vi dirà il vostro io, purché lo lasciate parlare.

Ecco perché troviamo sempre ripetute le parole «Io ve lo dico!»  (Matteo 5,18.22.28.32.34.39.44).

 

Il Cristo Gesù sentiva di essere il rappresentante di quella parte dell’anima umana che esprime se stessa nelle parole:

io lo dico; io lo dico con la piena consapevolezza del mio io.

 

• Le parole «ma io vi dico»

che si trovano ripetutamente nel seguito del sermone sul monte non vanno prese alla leggera.

Esse stanno a indicare più volte l’impulso nuovo comunicato dal Cristo all’evoluzione dell’umanità.

 

Se quindi si leggerà in questo modo il sermone sul monte, si capirà il suo significato;

il Cristo voleva dire: finora non potevate fare appello al vostro io; adesso però, grazie a quanto vi ho dato,

potrete gradatamente penetrare nel regno dei cieli con la forza della vostra interiorità, del vostro io.

 

Il sermone sul monte è interamente pervaso dal nuovo impulso dato all’io dell’uomo.

E questo vale anche per le scene seguenti, dove si passa alle cosiddette guarigioni.

 

Sappiamo che quelle guarigioni hanno fornito motivo di interminabili discussioni, soprattutto sotto l’aspetto del problema dei «miracoli». Si insiste nell’affermare che si tratta di «miracoli»; ma proviamo a esaminare la questione più da vicino.

Già nella conferenza precedente ho messo in rilievo il fatto che l’uomo d’oggi tende a sottovalutare grandemente le modificazioni che nel corso dell’evoluzione sono avvenute nella natura umana.

 

• Se si confrontasse (non in modo grossolano, ma in un senso più sottile)

un corpo fisico umano del tempo di Cristo, o anche di prima,

con un corpo fisico attuale, ne risulterebbe una diversità molto notevole:

certo non dimostrabile anatomicamente, ma senz’altro con i metodi dell’indagine occulta.

• Si troverebbe che il corpo fisico è diventato più denso, più compatto;

al tempo del Cristo Gesù esso era ancora più plasmabile.

 

In particolare l’uomo era capace allora di scorgere cose che oggi non percepisce più affatto, per esempio gli effetti di certe forze che operano nel corpo, modellandolo, sì che i muscoli risaltavano assai più di oggi, naturalmente a una vista più fine di quella fisica.

Questo andò poi perdendosi a poco a poco. Sono puerili le critiche che la storia dell’arte fa di certe antiche raffigurazioni nelle quali i muscoli spiccavano grandemente e che sono considerate come esagerazioni dovute ad imperizia dell’artista; si ignora che quelle raffigurazioni corrispondono effettivamente all’osservazione di allora, mentre non corrisponderebbero alle condizioni odierne. Non è però di questo che ci vogliamo occupare, bensì di certi comportamenti legati a quei corpi tanto diversi da quelli attuali.

 

A quel tempo le forze dell’anima o dello spirito esercitavano ancora un’influenza assai maggiore,

un’influenza per così dire immediata sul corpo fisico,

mentre più tardi quest’ultimo divenne più denso e meno sensibile alle forze dell’anima.

 

Per tale ragione era possibile allora effettuare delle guarigioni valendosi delle forze dell’anima;

l’anima aveva un potere molto maggiore

di compenetrare il corpo con le forze risanatrici provenienti dal mondo spirituale,

sì da rimetterlo in ordine quando ne era stata turbata l’armonia.

 

Questo potere dell’anima sul corpo andò gradatamente diminuendo, per effetto del corso dell’evoluzione.

Le guarigioni dei tempi antichi erano dunque in larga misura fondate su processi spirituali.

Coloro che venivano considerati medici non lo erano nel senso che si dà oggi al nome di medico;

erano piuttosto dei guaritori, in quanto agivano sul corpo attraverso l’anima del paziente.

 

Essi purificavano l’anima, compenetrandola di sani sentimenti, impulsi e forze volitive,

mediante gli influssi animico-spirituali che erano in grado di esercitare,

sia nello stato della percezione fisica ordinaria,

sia nel cosiddetto «sonno del tempio» o in altre condizioni simili,

che non erano poi che la trasposizione dell’uomo in uno stato di chiaroveggenza.

 

Considerando dunque le condizioni della civiltà di allora, va assolutamente tenuto presente che chi era forte nell’anima e poteva ricorrere a ciò che aveva egli stesso accolto dai mondi spirituali, era in grado di agire fortemente sulle anime e quindi anche sui corpi. Per questa ragione certi uomini, in qualche modo compenetrati da forze spirituali e dei quali era noto che irradiavano forze risanatrici, venivano anche chiamati guaritori. In fondo dovremmo chiamare guaritori non solo i Terapeuti, ma anche gli Esseni. Anzi, dobbiamo dir di più: in un certo dialetto del vicino oriente, parlato proprio dalle popolazioni fra le quali è nato il cristianesimo, il nome Gesù significava appunto «guaritore spirituale».

 

Gesù significa in fondo «medico spirituale»: questa è una traduzione abbastanza esatta, soprattutto se ci si fonda sul valore affettivo della parola. Questo esempio può anche illuminarci sul sentimento che questo nome destava a quel tempo, dato che allora i nomi avevano appunto un senso che oggi non hanno più. Cerchiamo ora di penetrare più a fondo nelle condizioni della civiltà di allora.

 

Parlando come si parlava a quel tempo, si sarebbe potuto dire: certi uomini sono in grado di penetrare nei misteri; grazie a un determinato sacrificio della coscienza del loro io, nei misteri essi possono mettersi in rapporto con certe forze divino-spirituali le quali poi si irradiano nell’ambiente; e in virtù di tali forze essi diventano guaritori.

 

Ammettiamo che un uomo siffatto fosse diventato discepolo del Cristo Gesù. Egli avrebbe detto: abbiamo fatto l’esperienza straordinaria che mentre in passato poteva diventare guaritore spirituale solo chi aveva accolto nei misteri le forze spirituali, mediante l’attutimento della coscienza individuale, adesso abbiamo conosciuto un uomo che lo è diventato senza le pratiche dei misteri, e con la conservazione integrale del suo io.

 

Il fatto sorprendente non era che si compissero delle guarigioni spirituali. Quel discepolo non si sarebbe affatto stupito che nel vangelo di Matteo si narravano le opere di un guaritore spirituale. Egli avrebbe detto: che cosa vi è di strano nel fatto che qualcuno possa compiere delle guarigioni? Ciò è perfettamente naturale. Le guarigioni narrate da Matteo non sarebbero affatto apparse miracolose a quei tempi.

 

Quello che conta è invece che Matteo narri di un uomo che porta una nuova forza essenziale all’umanità; di un uomo che compiva guarigioni con la forza del suo io, con la forza cioè che in passato non serviva a quello scopo. I Vangeli narrano dunque qualcosa di completamente diverso da quanto si ritiene di solito. Si potrebbero portare molte prove, anche storiche, per suffragare la giustezza di ciò che la scienza dello spirito afferma sulla base dell’indagine occulta: vogliamo portarne una sola.

 

Se quel che abbiamo detto è vero, si dovrebbe poter constatare che nell’antichità si credeva che, con una certa premessa, i ciechi potevano venir guariti per influsso spirituale. Ora, giustamente, c’è chi ha rilevato che qualcosa di simile si trova raffigurato in antiche opere d’arte. Anche il Robertson, citato nella conferenza precedente, menziona una pittura romana che rappresenta Esculapio di fronte a due ciechi e che egli naturalmente interpreta come una scena di guarigione. Aggiunge poi che gli autori dei Vangeli hanno introdotto scene di questo genere nella loro narrazione.

 

Sennonché l’essenziale non è affatto che le guarigioni spirituali siano considerate come miracolose, ma il fatto che il significato di quella raffigurazione è il seguente: Esculapio è uno degli iniziati che in seno ai misteri conseguì le forze risanatrici, mediante l’attutimento della coscienza dell’io. L’autore del vangelo di Matteo voleva invece affermare: il Cristo non operò nello stesso modo le sue guarigioni; l’impulso unico che viveva in lui dovrà diventare a poco a poco patrimonio di tutta l’umanità, e gradualmente l’io umano con la sua forza ne diverrà partecipe.

 

Oggi gli uomini non sono ancora in grado di accoglierlo; solo in un futuro più lontano esso dovrà penetrare nell’umanità. Tuttavia, ciò che il Cristo ha compiuto finirà per compenetrare l’umanità, e gli uomini diverranno a poco a poco capaci di manifestarlo. Tutto questo dovrà compiersi gradualmente.

Ecco quanto voleva esprimere l’autore del vangelo di Matteo, narrando le guarigioni.

 

Fondandosi sulla coscienza occulta si può dunque affermare: l’autore del vangelo di Matteo non intendeva per nulla descrivere dei «miracoli», ma qualcosa di assolutamente naturale; voleva però soltanto mettere in evidenza che le guarigioni venivano compiute dal Cristo in modo nuovo.