Cristo – missionario dell’io autonomo che si trova in ogni individualità umana

O.O. 103 – Il Vangelo di Giovanni – 23.05.1908


 

Il Cristo vuole sempre compiere una missione la quale prescinde dai legami del sangue.

 

Questo ci viene mostrato con tutta chiarezza nel fatto ch’egli si avvicina alla samaritana al pozzo (Giov. 4, 5 e segg.). A quella donna il Cristo impartisce l’insegnamento destinato a coloro il cui “io” è già sciolto dai legami della consanguineità.

 

« Giunse quindi in una città della Samaria, chiamata Sichar, prossima al campo ch’era stato donato da Giacobbe a suo figlio Giuseppe. E lì si trovava il pozzo di Giacobbe. E poiché Gesù era stanco del viaggio, si pose a sedere sul pozzo. Ed era circa l’ora sesta. Sopravvenne allora una donna di Samaria, per attingere acqua. Gesù le dice: dammi da bere. Poiché i suoi discepoli erano andati in città per comperare da mangiare. Gli risponde la Samaritana: com’è che tu, essendo Giudeo, chiedi da bere a me che sono Samaritana? (poiché i Giudei non avevano comunanza coi Samaritani) ».

 

Viene dunque messo in rilievo il fatto straordinario che Gesù si sia recato presso un popolo i cui singoli io si sono sciolti, sradicati dall’anima di gruppo. Questo è l’aspetto importante che si tratta di cogliere.

E ancora: dal racconto dell’ufficiale reale (Giov. 4, 46 e segg.) risulta che il Cristo infrange non solo il principio del matrimonio fra consanguinei, ma anche quello delle caste separate in base alla consanguineità. Egli giunge fino a coloro il cui « io » è per così dire sradicato: guarisce infatti il figlio dell’ufficiale reale che, secondo la concezione dei Giudei, gli è estraneo.

 

Troverete confermato ad ogni passo

che il Cristo è il missionario dell’io autonomo che si trova in ogni individualità umana.

 

• Per questa ragione egli può affermare: quando parlo di me stesso,

io non parlo, in fondo, di quell’io che sta nella mia persona, bensì dell’« Io sono »,

di quella entità che ognuno trova in se stesso.

• Il mio io è uno col Padre; ma l’io in generale è uno col Padre, quell’io che si trova in ogni personalità

(Parafrasi da Giov. 8, 16 – nota del trad.).

E questo è anche il senso più profondo dell’insegnamento che il Cristo impartisce alla Samaritana presso il pozzo.

 

Vorrei ricordare soprattutto un passo (Giov., 3, 31-34) che può schiudere una comprensione approfondita, purché sia inteso giustamente, rendendosi naturalmente conto che quelle parole vengono pronunciate da Giovanni Battista:

« Colui che viene dall’alto è al disopra di tutti; chi viene dalla Terra è terreno e parla della Terra. Chi viene dal cielo è al disopra di tutti e attesta ciò che ha veduto e udito; e nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, suggella che Dio è verace. Infatti colui che Dio ha mandato, dice le parole di Dio; poiché Dio non dà lo spirito secondo misura ».

 

Vorrei conoscere la persona che comprenda davvero queste parole, nella traduzione corrente sopra riportata. Che senso ha questo contrasto: « Colui che Dio ha mandato, dice le parole di Dio; poiché Dio non dà lo spirito secondo misura »?

 

Qual è il senso di queste sentenze?

 In discorsi innumerevoli, il Cristo vuole esprimere questo pensiero:

• quando parlo dell’io,

intendo parlare dell’io eterno nell’uomo, ch’è uno col fondamento spirituale dell’universo.

• Quando parlo di questo io, menziono qualcosa che dimora nell’intimo dell’anima umana.

 

• Se qualcuno mi ascolta (e ora parla solo dell’io inferiore che non sente nulla di ciò che è eterno),

quegli non accetta la mia testimonianza, non mi comprende affatto.

• Io non posso infatti parlare di qualcosa che passa da me a lui, perché in tal caso egli non sarebbe autonomo.

• Il Dio che io annuncio, ciascuno lo deve trovare in se stesso, come suo proprio eterno fondamento.

 

Solo pochi versetti prima, troverete il passo seguente (3, 23):

« Giovanni peraltro stava ancora battezzando in Enon, presso a Salim,

poiché v’erano colà molte acque; e la gente vi conveniva e si faceva battezzare.

Si accese allora una disputa fra i discepoli di Giovanni e i Giudei,

intorno alla purificazione » (cioè intorno alla forma del battesimo).

 

Quando in quella cerchia si sollevava una questione siffatta, si parlava sempre del rapporto con la divinità e della discesa dell’uomo nella materia, e di come (secondo l’antica idea di Dio) si era uniti con il divino per mezzo dell’anima di gruppo.

Sopraggiunsero allora gli altri e dissero a Giovanni: anche Gesù battezza!

 

Allora Giovanni deve spiegar loro che ciò che vien portato nel mondo da Gesù è qualcosa del tutto speciale;

e lo spiega a questo modo:

Gesù non insegna quella connessione col divino che viene simboleggiata dall’antico battesimo,

bensì insegna come l’uomo venga guidato dal libero dono dell’io divenuto autonomo;

e ciascuno deve scoprire in se stesso l’« io sono », il Dio: solo così sarà in grado di scoprire in sé l’elemento divino.

 

Se quelle parole vengono lette così, l’ascoltatore comprende che Egli stesso, che l’« io sono » è inviato da Dio. Un tale uomo, inviato da Dio, inviato ad accendere in questo modo il « Dio », annuncia Dio nel vero senso, non più secondo la consanguineità.

 

Ed ora, procediamo a tradurre questo passo, come va realmente inteso.

Ne ricaviamo il materiale, se ci rendiamo chiaramente conto di come fossero le dottrine degli antichi: esse stavano trascritte con arte in molti libri. Basta ricordare i Salmi dell’Antico Testamento, dove il divino viene annunziato in componimenti ben congegnati: in quella sede si parla solo degli antichi vincoli di consanguineità, intesi come connessione con il divino.

 

Si poteva imparare tutto questo, ma attraverso ciò non si imparava nulla più del fatto che si era in connessione con quella antica divinità.

Ma se si voleva comprendere il Cristo, non erano più necessarie tutte le antiche leggi, tutti gli antichi artifici d’espressione.

 

Ciò che il Cristo insegnava si poteva comprenderlo

nella misura in cui si era capaci di afferrare in se stessi l’io spirituale:

se questo non bastava ancora per conseguire una piena conoscenza della divinità,

era però sufficiente a comprendere ciò che si ascoltava dalle labbra del Cristo.

 

Bastava per creare la premessa della comprensione.

Non occorrevano più, allora, i Salmi, né tutte le dottrine espresse con arte,

ma bastava quanto vi è di più semplice, espressioni quasi balbettanti.

 

Basta balbettare le sue parole, per testimoniare di Dio.

• Era possibile farlo con le più semplici, balbettanti parole,

bastavano le parole più semplici, del tutto prive di « misura ».

• Chiunque anche solo balbettasse, purché sentisse nell’io di essere inviato da Dio,

era in grado di comprendere ciò che diceva il Cristo.

 

• Chi conosce solo il rapporto terreno con Dio, parla nella « misura »,

nel metro dei Salmi; ma tutta la sua metrica non Io porterà che agli dèi antichi.

• Chi invece si sente fondato nei mondi spirituali è al disopra di tutti,

e può rendere testimonianza di ciò che ha veduto e udito nei mondi spirituali.

 

Ma non accettano la sua testimonianza quelli che sono capaci solo di accogliere le testimonianze al modo consueto.

Se vi sono di quelli che l’accettano, essi dimostrano con ciò stesso di sentirsi inviati da Dio.

• Non solo credono, ma comprendono ciò che l’altro dice loro,

e suggellano con la loro comprensione le loro imperfette parole.

« Chi sente l’io, rivela le parole di Dio pur balbettando ». Questo è il significato!

 

Lo spirito di cui qui si parla non ha infatti bisogno di esprimersi per mezzo di nessuna « misura », di nessun metro; anzi, è in grado di esprimersi col più semplice balbettio.

Sarà facile vedere in questa interpretazione una giustificazione dell’ignoranza.

Ma chi ricusa la sapienza, perché a suo modo di vedere i misteri più alti dovrebbero potersi esprimere nella forma più semplice, lo fa, sia pur spesso incoscientemente, solo per una certa tendenza alla comodità, alla pigrizia dell’anima.

 

Se è stato detto: « Dio non dà lo spirito secondo la misura »,

questo vuol solo significare che la « misura » non conduce allo spirito;

ma dove veramente si trova lo spirito, nasce anche la « misura ».

• Non ha lo spirito chiunque abbia la « misura »;

ma chiunque abbia lo « spirito », perviene certo anche alla « misura ».

 

Naturalmente, non è lecito invertire i termini:

non è certo di per se stesso un segno di « possedere lo spirito », il fatto di non disporre della « misura »,

sebbene d’altra parte il disporre della « misura » non sia un segno di possedere lo spirito!

• La scienza non è certo un segno di saggezza, ma neppure lo è l’ignoranza!

Vediamo così che il Cristo fa appello all’io divenuto autonomo in ogni anima umana.

 

Dovete intendere la parola « misura » nel senso di « metro sillabico », di linguaggio disposto con arte.

E il periodo precedente dice, alla lettera: « Colui che comprende Dio nell’« io sono »,

testimonia, pur balbettando, parole divine, o di Dio, e trova la via verso Dio ».