Della fiducia che si può avere nel pensare e della natura dell’anima pensante — del meditare

O.O. 12-16-17 – Sulla via dell’Iniziazione – (Soglia del mondo spirituale)


 

Per la coscienza di veglia diurna, il pensare umano è come un’isola in mezzo ai flutti della vita dell’anima che si svolge in impressioni, sensazioni, sentimenti, ecc. Un’impressione, una sensazione, è fino a un certo grado dominata quando la si è compresa, quando cioè si è concepito un pensiero che illumina quell’impressione o quella sensazione. Perfino nella tempesta delle passioni può subentrare una certa calma, se la navicella dell’anima è riuscita ad approdare all’isola del pensare.

 

L’anima ha una naturale fiducia nel pensiero; sente che dovrebbe perdere ogni sicurezza nella vita, se non potesse nutrire quella fiducia. Quando ha inizio il dubbio sul pensare, cessa la sana vita dell’anima Se non si riesce a conseguire chiarezza, mediante il pensare, sopra una cosa qualsiasi, occorre potersi consolare con la certezza che la cosa verrebbe chiarita, purché ci si sapesse sollevare a un pensare di forza e precisione sufficienti. Ci si può rassegnare alla propria incapacità di chiarire col pensiero una certa cosa; ma non si riesce a sopportare l’idea che il pensare stesso potrebbe fallire, se in una determinata situazione della vita lo si mettesse in opera nel modo adeguato a portare piena luce sul problema.

 

Questo atteggiamento dell’anima nei confronti del pensare sta alla base di ogni aspirazione dell’umanità verso la conoscenza. Esso può risultare affievolito da determinate disposizioni d’anima, ma sarà sempre dimostrabile la sua presenza nell’oscura sfera del sentimento. Certi pensatori, i quali mettono in dubbio la validità e la forza del pensare, s’ingannano sull’atteggiamento fondamentale della propria anima, poiché spesso è proprio l’acutezza del loro pensare a crear loro problemi e dubbi, per un certo eccesso di tensione intellettuale. Se realmente essi non riponessero fiducia nel pensare, non si tormenterebbero con quei dubbi e quei problemi che non sono altro che prodotti del pensare.

 

• Chi sviluppa in sé il sentimento accennato, nei confronti del pensare, sente in questo non soltanto una forza espressa dall’anima umana, ma anche qualcosa che porta in sé un’entità cosmica, del tutto indipendente dall’uomo e dalla sua anima. L’uomo deve sforzarsi di raggiungere quell’entità cosmica, se vuol vivere entro qualcosa che appartenga sia a lui stesso, sia al mondo da lui indipendente.

 

Potersi dedicare alla vita del pensiero è qualcosa che induce una profonda calma. L’anima sente che in tale vita essa può liberarsi da se stessa. Questo sentimento è però altrettanto necessario all’anima, quanto quello opposto, cioè di potersi trovare interamente in se stessa. Fra questi due sentimenti oscilla di necessità il pendolo di una sana vita dell’anima. La veglia e il sonno rappresentano in fondo le espressioni estreme di questa oscillazione.

Nella veglia l’anima è in sé, vive la vita sua propria; nel sonno essa si perde entro un’esperienza universale del mondo, è dunque in certo modo liberata da se stessa.

Entrambe le oscillazioni pendolari dell’anima si rivelano per mezzo di varie altre condizioni dell’esperienza interiore.

 

Così il vivere nei pensieri è un liberarsi dell’anima da se stessa,

mentre il sentire e tutta la vita affettiva rappresentano lo stare immersi in se stessi.

 

Così considerato, il pensare offre all’anima il conforto che le è necessario di fronte al sentimento di essere abbandonata dal mondo. Si può con ragione arrivare a questo sentimento: che cosa sono io, nell’infinito flusso degli eventi universali, col mio sentire, col mio desiderare e volere, che hanno importanza solo per me? Appena si è sentita nel giusto modo la vita nei pensieri, si può contrapporre a quel sentimento quest’altro: il pensare, che è connesso con quegli eventi del mondo, accoglie te insieme con la tua anima; tu vivi entro questi eventi, quando pensando ne accogli l’essenza. Ci si può allora sentire accolti dal mondo, sentire la giustificazione di trovarsi in esso. Da questa disposizione dell’anima deriva per lei un rafforzamento che essa percepisce come se le fosse stato dispensato dalle potenze universali stesse, secondo leggi sapienti.

 

Da questo sentimento non dista allora molto un passo ulteriore, dopo il quale l’anima si esprime così:

• non io soltanto penso, ma si pensa in me;

• il divenire del mondo si esprime in me;

la mia anima offre soltanto il campo d’azione

nel quale il mondo si esplica sotto forma di pensiero.

 

Questo sentimento può venire respinto da questa o quella filosofia. Si può in apparenza dimostrare chiaramente, con gli argomenti più diversi, che l’idea ora espressa del «mondo che pensa se stesso entro l’anima umana» è del tutto sbagliata. Bisogna invece riconoscere che questo pensiero è uno di quelli che si conquistano mediante l’elaborazione di un’esperienza interiore. Solo chi lo ha elaborato in tal modo, ne comprende del tutto la validità, e sa che nessuna «confutazione» può intaccarla. Chi se lo è conquistato, vede chiaramente proprio in quel pensiero quanto valgano in realtà molte «confutazioni» e «dimostrazioni». Spesso esse sembrano veramente infallibili, finché si conserva ancora un’idea errata del valore probativo del loro contenuto. È difficile allora intendersi con persone che considerino decisive, per loro, quelle «dimostrazioni». Essi devono credere l’altro in errore, in quanto non hanno ancora compiuto il lavoro interiore che lo ha portato al riconoscimento di ciò che a loro appare errato, e magari anche sciocco.

 

Per chi voglia trovare la via alla scienza dello spirito sono utili meditazioni come quella ora citata sul pensare. Per lui si tratta infatti di portare la propria anima a una disposizione tale che le schiuda l’accesso al mondo spirituale. Questo accesso può rimanere precluso al pensare più acuto, alla cultura scientifica più completa, se l’anima non porta nulla di suo incontro ai fatti spirituali che vogliono penetrare in essa, o alla loro comunicazione.

Può essere una buona preparazione alla comprensione della conoscenza spirituale, l’aver provato spesso il senso di forza che scaturisce da questo stato d’animo:

«Nel pensare, mi sento tutt’uno col fluire del divenire universale».

 

• Non importa tanto il valore conoscitivo astratto di tale pensiero, quanto l’avere più volte sperimentato l’effetto corroborante sull’anima, quando quel pensiero fluisce energicamente nella vita interiore, espandendosi nella vita dell’anima come aria vitale spirituale. Non si tratta soltanto della conoscenza, ma dell’esperienza di ciò che si esprime in quel pensiero.

Esso può dirsi conosciuto quando sia stato una volta presente nell’anima con sufficiente forza di persuasione; ma se ha da portare frutti per la comprensione del mondo spirituale, delle sue entità e dei suoi fatti, allora, dopo essere stato compreso, esso deve essere sempre di nuovo ravvivato nell’anima.

 

L’anima deve sempre di nuovo colmarsi di quel pensiero,

tenendolo presente in sé in modo esclusivo,

eliminando cioè qualsiasi altro pensiero, sentimento o ricordo.

Il concentrarsi in tal modo ripetutamente

sopra un pensiero in cui si sia penetrati a fondo,

potenzia nell’anima certe forze che nella vita ordinaria vanno disperse:

essa le rafforza in se stessa.

 

Queste forze raccolte nell’anima diventano gli organi di percezione

per il mondo spirituale e le sue verità.

Da quanto si è accennato si può riconoscere il corretto processo della meditazione.

• Prima si conquista a fondo un pensiero, del quale si può riconoscere la validità

con gli strumenti offerti dalla vita e dalla conoscenza ordinarie.

• In seguito ci si immerge ripetutamente in quel pensiero, identificandosi con esso.

• Il rafforzamento dell’anima deriva dal vivere con un pensiero conosciuto in tal modo.

 

Qui è stato scelto come esempio un pensiero tratto dalla natura stessa del pensare: è stato scelto in quanto particolarmente fecondo per la meditazione. Però agli effetti della meditazione ciò che è stato detto vale per ogni pensiero che sia stato acquistato nel modo descritto. Per chi medita è però particolarmente utile il conoscere lo stato d’animo che scaturisce da quella oscillazione pendolare della vita dell’anima di cui si è detto prima. Per suo mezzo egli arriva con la massima certezza al sentimento di essere stato, nella sua meditazione, direttamente in contatto col mondo spirituale.

 

E questo sentimento è un risultato sano della meditazione. Esso dovrebbe irradiare la sua forza sul contenuto di tutto il resto della vita diurna di veglia; e precisamente non come se fosse sempre presente un’impressione dell’atteggiamento meditativo, ma in modo che ci si possa dire in ogni momento che la vita intera risulta rafforzata dall’esperienza meditativa.

 

Se infatti l’atteggiamento della meditazione si prolunga durante la vita diurna come un’impressione sempre presente, la vita stessa perde la propria scioltezza. In questo caso, durante il tempo della meditazione stessa, l’atteggiamento meditativo non potrà essere né sufficientemente forte, né sufficientemente puro. La meditazione porta i suoi veri frutti appunto in quanto si distacca per il suo atteggiamento dal resto della vita. E sulla vita esercita l’azione più benefica se viene sentita come qualcosa di particolare e di elevato al di sopra del rimanente.