Differenze legate al modo di sperimentare il mondo astrale e al modo di sperimentare il mondo devacianico

O.O. 107 – Antropologia Scientifico-Spirituale Vol. I – 26.10.1908


 

Capita molto facilmente che le varie descrizioni offerte dalla scienza dello spirito siano esposte a fraintendimenti: così, spesso si crede che, nello spazio, il mondo fisico, quello astrale e quello devacianico siano distinti l’uno dall’altro. In realtà noi sappiamo che, dove c’è il mondo fisico, lì ci sono anche il mondo astrale e il mondo devacianico; i tre mondi sono intrecciati. Perciò si potrebbe obiettare: se tutto è intrecciato, allora vuol dire che non posso distinguere questi tre mondi come nello spazio fisico, dove tutto invece è giustapposto. Se l’al di là è innestato nell’al di qua, come distinguere fra loro il mondo astrale e il mondo devacianico?

 

Ebbene, la possibilità di distinguerli è data dal fatto che, nell’ascendere dal mondo astrale al mondo devacianico, l’insieme delle immagini e dei colori si trasfigura in suoni a mano a mano che ci si innalza al mondo devacianico. Ciò che prima era luminosità spirituale si trasforma, da un certo punto in poi, in sonorità spirituale. Vi è anche una differenza nel modo di sperimentare i mondi superiori, cosicché, per chi vi si addentra, è sempre possibile distinguere in base a determinate esperienze se sia in un mondo o nell’altro.

 

Oggi caratterizzeremo le differenze legate al modo di sperimentare il mondo astrale e al modo di sperimentare il mondo devacianico. Poiché non sono solamente l’immaginazione e l’ispirazione a farci riconoscere, rispettivamente, il mondo astrale e quello devacianico, ma vi sono anche altre esperienze in base alle quali riusciamo a sapere in che mondo ci troviamo.

• Un elemento del mondo astrale è costituito dal periodo di vita che l’uomo deve attraversare immediatamente dopo la morte e che, nella letteratura scientifico-spirituale, è chiamato periodo del kamaloca.

 

Che cosa significa essere nel kamaloca?

Abbiamo più volte cercato di spiegarlo con delle perifrasi. Mi sono spesso servito di un esempio caratteristico, quello del buongustaio, avido dei piaceri che solo il senso del gusto può procurargli. Con la morte, si è deposto e abbandonato il corpo fisico e, in gran parte, anche il corpo eterico, mentre il corpo astrale è ancora presente, e l’uomo è in possesso delle facoltà e delle forze che, in vita, aveva entro il corpo fisico. Queste non subiscono cambiamenti subito dopo la morte, ma solo a poco a poco. Se in vita l’uomo ha provato il desiderio di cibi prelibati, questo desiderio, questa avida sete di piacere, gli rimane, ma dopo la morte gli manca lo strumento per soddisfarlo, perché il corpo fisico, con i suoi organi, non c’è più.

 

Egli viene inevitabilmente privato del suo piacere, e desidera avidamente qualcosa di cui non può che restare privo. Ciò vale per tutte le esperienze legate al kamaloca, e queste propriamente non consistono in altro che in quella vita, in quella condizione vissuta entro il corpo astrale, nella quale l’uomo prova ancora il desiderio di soddisfazioni che si possono ottenere unicamente attraverso il corpo fisico. E, in quanto non ha più il corpo fisico, l’uomo è costretto a inibirsi la sua ricerca, il suo avido desiderio di piaceri: è il periodo, questo, in cui deve disabituarvisi. Ne uscirà solamente quando avrà estirpato questo desiderio dal corpo astrale.

 

• Durante l’intero periodo del kamaloca,

nel corpo astrale vive qualcosa che può essere definito come privazione,

privazione nelle più diverse forme, nelle più diverse sfumature e differenziazioni;

è questo il contenuto del kamaloca.

 

Come nella luce si possono distinguere tonalità rosse, gialle, verdi o azzurre, così bisogna distinguere fra le più diverse qualità di privazione, e la caratteristica della privazione è il segno distintivo dell’uomo che vive nel kamaloca. Il piano astrale tuttavia non si esaurisce nel kamaloca, ma è assai più esteso. Eppure, un uomo che fosse vissuto soltanto nel mondo fisico, e avesse sperimentato solo il contenuto di questo mondo, non sarebbe mai in grado – o dopo la morte, o grazie ad altri mezzi di sperimentare il mondo astrale – di fare esperienza anche delle altre parti del mondo astrale, a meno che non si fosse preparato. L’uomo, a tutta prima, non può sperimentare il mondo astrale altrimenti che nella privazione.

 

Chi ascende ai mondi superiori, e sa che gli manca questo o quello e che non c’è alcuna speranza di ottenerlo, sperimenta il contenuto di coscienza del mondo astrale. Anche se uno, nella sua vita di uomo, potesse affidarsi a mezzi occulti per accedere al piano astrale uscendo dal proprio corpo, nel mondo astrale dovrebbe pur sempre patire la privazione.

Ora, come è possibile svilupparsi in modo da non arrivare a conoscere soltanto la parte del mondo astrale che si manifesta nella privazione, la fase della privazione, ma da sperimentare il meglio del mondo astrale, da sperimentarne quella parte che lo manifesta in realtà anche in senso buono, nel suo lato migliore?

 

L’uomo può addentrarsi nell’altra parte del mondo astrale a condizione di sviluppare quello che è l’opposto della privazione. Saranno perciò i metodi che destano nell’uomo le forze contrapposte alla privazione quelli che lo porteranno nell’altra parte del mondo astrale. È questo ciò di cui ha bisogno. Sono le forze della rinuncia. Come nella privazione, così anche nella rinuncia si può distinguere una molteplicità di sfumature.

 

Già imponendoci la sia pur minima rinuncia facciamo un passo avanti, nel senso che ci sviluppiamo in direzione del lato buono del mondo astrale. La rinuncia alla cosa più insignificante inculca già un qualcosa che contribuisce in modo essenziale a rendere possibile l’esperienza del lato buono del mondo astrale. Perciò nelle tradizioni occulte si attribuisce tanta importanza al fatto che il discepolo si eserciti a negarsi la tale o la tal altra cosa, al fatto che pratichi la rinuncia. Così facendo, egli ottiene accesso al lato buono del mondo astrale.

 

Che effetto ha questa rinuncia? Pensiamo per un momento alle esperienze del kamaloca. Poniamo che uno esca dal corpo fisico, o con la morte o in qualche altro modo: vorrà dire che gli vengono a mancare gli strumenti fisici del corpo. Gli viene assolutamente a mancare, quindi, lo strumento di ogni possibile soddisfazione. Subentra immediatamente la privazione, e questa si presenta come immagine, si presenta sotto la forma immaginativa propria del mondo astrale. Appare ad esempio un pentagono rosso, oppure un cerchio rosso. Questo, altro non è che l’immagine di ciò che entra nel campo visivo dell’uomo, e corrisponde alla privazione così come, nel mondo fisico, un oggetto del piano fisico corrisponde a ciò che se ne esperisce nell’anima sotto forma di rappresentazione.

 

Se ha brame d’infima natura, bassissimi desideri, l’uomo si vede apparire davanti, quando è fuori del corpo, degli orripilanti animali. Queste bestie spaventose sono il simbolo delle sue infime brame. Se però si è imparato a rinunciare, allora, nel momento in cui si è fuori del corpo a causa della morte o in virtù dell’iniziazione, il cerchio rosso si riduce in nulla (poiché si è compenetrato il rosso con il sentimento della rinuncia), e prende forma un cerchio verde. Allo stesso modo, per effetto delle forze della rinuncia svanirà anche l’animale, e apparirà una nobile forma del mondo astrale.

Bisogna dunque che l’uomo, mediante le forze della rinuncia che ha sviluppato, mediante questo rinunciare, muti nel suo opposto il dato oggettivo che gli si presenta, sia esso il cerchio rosso o lo spaventoso animale.

 

La rinuncia suscita prodigiosamente, da ignote profondità, le vere forme del mondo astrale.

Perciò, nessuno che voglia davvero spingersi nelle altezze del mondo astrale può pensare che, per farlo,

non sia necessario l’attivo concorso delle sue forze animiche.

• In mancanza di questo, l’uomo non riuscirebbe a giungere che in una sola parte del mondo astrale.

Egli deve rinunciare, deve rinunciare completamente anche all’immaginazione.

Ed è precisamente questa rinuncia ciò che suscita prodigiosamente la vera forma del mondo astrale.

 

Nel devacian, si ha l’ispirazione. Esiste una differenziazione interna anche per ciò che riguarda le parti del devacian, che l’uomo non può sperimentare passivamente allorché ne fa esperienza dopo la morte. In virtù di un certo nesso cosmico, nel devacian non si è ancora prodotta una condizione tanto negativa. Il mondo astrale ha in sé il terribile kamaloca, il devacian non ancora.

• Le cose cambieranno soltanto nello stato di Giove e in quello di Venere, quando, con la pratica della magia nera e simili, anche il devacian sarà entrato nello stato di decadenza. Allora vi si svilupperanno certamente condizioni analoghe a quelle oggi esistenti nel mondo astrale. Nel ciclo attuale dell’evoluzione, la situazione nel devacian è invece diversa.

Che cosa si presenta innanzitutto all’uomo quando, percorrendo il sentiero della conoscenza, egli ascende dal mondo astrale al devacian, oppure quando segue la strada delle persone comuni e viene condotto lassù dopo la morte: che cosa sperimenta, allora, nel devacian? Sperimenta la beatitudine!

 

Ciò che trapassa dalle sfumature di colore ai suoni è in ogni caso beatitudine.

Nel devacian, allo stadio attuale dell’evoluzione, tutto quanto è un creare, un produrre,

e, in rapporto alla conoscenza, un udire spirituale.

E tutto questo produrre è beatitudine,è beatitudine tutto questo udire l’armonia delle sfere.

• Nel devacian, l’uomo proverà solo beatitudine, esclusivamente beatitudine.

 

Che venga condotto lassù con i mezzi del sapere spirituale dalle guide dell’evoluzione umana, dai maestri della saggezza e dell’armonia dei sentimenti, o che vi sia condotto, da uomo comune, dopo la morte, vi sperimenterà sempre la beatitudine. Questo è destinato a sperimentare l’iniziato che sia giunto a quel grado del sentiero della conoscenza.

 

Ma è insito nell’evoluzione del mondo che non ci si possa fermare alla sola beatitudine.

Equivarrebbe soltanto a un’esaltazione del più raffinato egoismo spirituale.

L’individualità dell’uomo non farebbe altro che ospitare in sé il calore della beatitudine,

ma il mondo, così, non andrebbe avanti.

Ne uscirebbero degli esseri induriti nella propria anima.

 

Per la salvezza e il progresso del mondo, quindi, colui che mediante gli esercizi accede al devacian

non deve soltanto ottenere la possibilità di sperimentare tutte le sfumature della beatitudine nella musica delle sfere,

ma deve anche sviluppare in sé sentimenti che siano all’opposto della beatitudine.

 

• Come la rinuncia si contrappone alla privazione,

• così alla beatitudine si contrappone il sentimento del sacrificio,

sacrificio che è disponibilità a effondere la beatitudine ottenuta, a lasciarla fluire nel mondo.

 

Hanno avuto un simile sentimento di auto-sacrificio gli spiriti divini che chiamiamo Troni, quando hanno preso a intervenire nella creazione. Allorché hanno effuso la propria sostanza su Saturno, si sono sacrificati per l’umanità avvenire. La sostanza di cui siamo fatti oggi è la stessa che essi hanno effuso su Saturno.

E allo stesso modo si sono sacrificati gli Spiriti della saggezza sull’antico Sole. Questi spiriti divini sono ascesi ai mondi superiori, e non si sono limitati ad accettare passivamente l’esperienza della beatitudine, ma, nell’attraversare il devacian, hanno imparato a sacrificarsi. Il loro sacrificio non li ha impoveriti, ma li ha resi più ricchi. Solo un essere che viva interamente nella materia può credere di venire sminuito dal sacrificio.

No: sacrificarsi al servizio dell’evoluzione universale

significa evolversi sempre più verso l’alto, verso una sempre maggiore ricchezza.

 

Vediamo così che l’uomo ascende all’immaginazione e all’ispirazione, ed entra in quella sfera dove tutto il suo essere viene pervaso da sempre nuove sfaccettature della beatitudine, dove, per così dire, tutto ciò che sperimenta intorno a sé non soltanto gli parla, ma viene sempre più assorbito dai suoni spirituali della beatitudine.

Innalzarsi alla superiore capacità di conoscenza equivale a trasformare tutti i sentimenti umani, e la formazione occulta non consiste in altro se non nel fatto che, grazie alle regole e ai metodi che ci sono stati dati dai maestri della saggezza e dell’armonia dei sentimenti, e che sono collaudati da una millenaria esperienza, il sentimento e la volontà dell’uomo vengono trasformati, ed egli viene così guidato e innalzato a conoscenze ed esperienze superiori.

 

Educando e trasformando in modo occulto a poco a poco

il contenuto del proprio sentimento e della propria volontà,

il discepolo arriva a conseguire queste capacità superiori.

 

Per chi è inserito nel movimento scientifico-spirituale, non può essere indifferente l’appartenervi per tre anni, oppure per sei, o sette. Questo deve pur significare qualcosa. Il discepolo è chiamato ad approfondire il sentimento di compartecipazione a questa crescita interiore, conformandovisi interiormente. A questo è necessario che rivolgiamo la nostra attenzione, perché altrimenti ce ne sfuggirebbero gli effetti.